#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

Il museo dei libri proibiti

In un museo dell’Estonia vi sono libri una volta censurati o al centro di polemiche, da 1984 di George Orwell a Cinquanta sfumature di grigio. Il Banned Books Museum ha aperto il 30 novembre a Tallinn, capitale dell’Estonia, con l’intenzione di «preservare i libri che sono stati vietati, censurati o bruciati e raccontare la loro storia al pubblico». Ecco cosa spiega Joseph Dunningam, il co-fondatore e direttore, in un’intervista con Babelia. Sono due le cose che lo hanno ispirato a intraprendere il progetto: la lettura di George Orwell da giovane, che ha acceso il suo interesse per la censura e la libertà di espressione, e il sogno costante di possedere una propria libreria.


#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

Che musica, maestrə!

A pochi giorni dalla Giornata Internazionale della Donna, fa molto riflettere la dichiarazione di Beatrice Venezi che, sul palco del teatro Ariston, ha chiesto espressamente di essere definita “direttore” d’orchestra, e non “direttrice”. Se da una parte è lecito definirci come più ci aggrada, dall’altra è pur vero che rifiutare un appellativo declinato al femminile (vuoi per un’indigestione di politically correct, vuoi per la convinzione di fondo che il cambiamento linguistico non abbia niente a che vedere con il progresso sociale) veicola, volenti o nolenti, un messaggio ben chiaro. Nell’anno della prima vicepresidente statunitense donna, nera e asiatica, quel “Sono direttore d’orchestra, non direttrice” riaccende inevitabilmente la miccia del dibattito sull’utilità e la fattibilità di declinare al femminile i nomi di professioni tradizionalmente maschili.


#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

21 Febbraio, Giornata internazionale della Lingua Madre

“Le lingue madri, in un approccio multilinguistico, sono fattori essenziali per la qualità dell’istruzione, che è alla base dell’emancipazione di donne e uomini e delle società in cui vivono”.
(Irina Bokova, ex Direttore Generale dell’UNESCO)


#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

Ευχαριστώ, Ελλάδα: grazie Grecia!

Pandemia.

Secondo Google Trends, è la parola più cercata nei primi mesi del 2020. Una parola che ha fatto tremare milioni di persone in tutto il mondo e che, purtroppo, non accenna a scomparire dai notiziari. Dal greco παν δῆμος (“tutto il popolo”), è una parola che riunisce le preoccupazioni e le ansie del mondo intero e che ci ricorda che, al di là dei confini e delle frontiere, siamo tutti umani, con le stesse fragilità e le stesse paure.


#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

Alla scoperta di un Impero che continua a sorprendere

La necropoli di Memphis attira l’attenzione mondiale con sensazionali reperti che permettono di completare la storia dell’antico Egitto. Il Paese ha bisogno più che mai di attrazioni turistiche.

#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

Una collina da scalare

Lo scorso 21 gennaio, in occasione del giuramento del neoeletto presidente degli Stati Uniti, molte personalità di spicco della politica e della cultura hanno preso parte alla cerimonia. Tra queste, una giovane ragazza afroamericana con un cappotto giallo e lo sguardo fiero ha recitato una poesia che ha suscitato l’interesse del largo pubblico.

Nata a Los Angeles nel 1998, Amanda Gorman mostra sin da piccola un profondo amore per la letteratura e inizia a scrivere poesie di suo pugno dall’età di otto anni. Nel 2014 presenta alcune sue poesie sul tema dell’ingiustizia sociale al Youth Poet Laureate di Los Angeles, vincendo il primo premio del concorso riservato ai giovani talenti nel mondo della poesia negli Stati Uniti; l’anno successivo pubblica il suo primo libro di poesie, intitolato The One for Whom Food Is Not Enough. A soli 16 anni diventa delegata giovanile alle Nazioni Unite, mentre l’anno seguente fonda un’organizzazione no profit, One Pen One Page, per dare la possibilità ai giovani poeti svantaggiati di pubblicare i propri lavori. I temi delle poesie di Amanda Gorman riguardano l’oppressione, il femminismo, il razzismo, l’emarginazione e la diaspora africana, tristemente attuali nell’America e nel mondo del XXI secolo. Ad oggi, è la più giovane poetessa a essere intervenuta durante una cerimonia di insediamento presidenziale.

Enfant prodige, certo. Ma ciò che ha colpito maggiormente il pubblico durante il suo intervento è lo stile rap della poesia intitolata The Hill We Climb, che la Gorman ha recitato con grande sicurezza, nonostante la sua giovane età.

Dal punto di vista metrico, l’autrice ha optato per il verso libero, diffuso nella letteratura americana da autori del calibro di Walt Whitman, Ezra Pound e T.S. Eliot. Versi lunghi e brevi si alternano, creando quasi una tensione tra prosa e poesia, mentre la ripetizione anaforica del pronome “we” contribuisce a creare un ritmo incalzante, enfatizzato poi dalla lettura stessa.

La domanda sorge spontanea: come si può tradurre, in diretta televisiva, una poesia dal ritmo così particolare e piena di rime e continui richiami tra le parole? L’interprete avrà avuto un mancamento? I traduttori avranno rinunciato in partenza? Assolutamente no.

Scherzi a parte, andiamo a vedere le diverse strategie di traduzione adottate dai principali canali televisivi italiani. Esistono difficoltà oggettive nella resa in traduzione di testi poetici, primo tra tutti il rischio di tradire lo stile originale dell’autore, nonché il senso profondo dell’opera. Alcuni professionisti del settore affermano inoltre che soltanto un poeta può essere in possesso della sensibilità e degli strumenti culturali necessari a rendere una poesia da una lingua a un’altra. Il rischio di diventare un “traduttore traditore”, come spesso si sente dire, è quindi molto elevato quando si tratta di poesia. E se di norma l’interpretazione simultanea da una lingua molto sintetica e ritmata come l’inglese a una notoriamente più ridondante come l’italiano è già di per sé difficile, nel caso specifico della poesia recitata in stile rap dalla Gorman in diretta tv, interpretare in simultanea mantenendo inalterato il significato profondo del testo di partenza e riproponendone allo stesso tempo gli elementi stilistici e il ritmo diventa pressoché impossibile. Nell’esempio che segue, notiamo come la sintesi e il ritmo della poesia in lingua inglese scompaiano quasi totalmente nella proposta di traduzione in italiano, per quanto fedele nel contenuto e negli espedienti retorici dell’originale essa sia:

We are striving to forge our union with purpose   To compose a country committed to all cultures, colors, characters, and conditions of man    
We seek harm to none and harmony for all.
Noi ci stiamo sforzando di plasmare un’unione che abbia uno scopo   (Ci stiamo sforzando) di dar vita ad un Paese che sia devoto ad ogni cultura, colore, carattere e condizione sociale   Non cerchiamo di ferire il prossimo, ma cerchiamo un’armonia che sia per tutti.

Ecco perché le principali reti televisive hanno optato per il respeaking, mantenendo l’audio originale per consentire anche a un pubblico non anglofono di cogliere gli elementi prosodici del testo originale, aiutandosi nella comprensione con i sottotitoli in diretta tv. Nelle ore successive alla cerimonia, diversi siti web che si occupano di informazione hanno invece pubblicato il video del discorso originale, accompagnato da una traduzione scritta elaborata in un secondo momento. Il risultato? Un testo che è al contempo una bellissima poesia e una dichiarazione programmatica di democrazia, un appello all’assunzione di responsabilità rivolto ai potenti e un messaggio di speranza rivolto ai giovani e, stavolta, anche alle giovani donne, affinché gli Stati Uniti diventino finalmente un Paese dove anche “una magra ragazza afroamericana, discendente dagli schiavi e cresciuta da una madre single, può sognare di diventare presidente, per sorprendersi poi a recitare all’insediamento di un altro”.

Vanessa Iudicone

Fonti:
http://www.strettoweb.com/2021/01/the-hill-we-climb-poesia-rap-amanda-gorman-joe-biden-testo-traduzione/1116764/
https://it.wikipedia.org/wiki/Amanda_Gorman, consultato in data 24/01/2021.

#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

Nicholas Sparks, Le pagine della nostra vita: la storia dello scrittore milionario

L’americano ha accumulato una grande ricchezza scrivendo storie d’amore che sono state portate sul grande schermo. Tuttavia, la sua vita amorosa non ha avuto un «per sempre felici e contenti».

Nelle ultime settimane, lo scrittore americano è stato in cima alla lista dei best seller del New York Times. Questa volta la sua permanenza in classifica è dovuta alla sua ultima uscita: La Magia del Ritorno. Tuttavia, Sparks ha compiuto questa impresa più di 15 volte, insieme a successi come Le pagine della nostra vita, I passi dell’amore, Vicino a te non ho paura, L’ultima canzone, La risposta è nelle stelle, Ricordati di guardare la luna, Come un uragano e Il meglio di me che sono stati tutti adattati con successo al grande schermo. Il romanticismo di Sparks è irresistibile quando si tratta di creare una buona storia d’amore. Eppure, l’autore non è stato molto fortunato quando trovato a dover aprire il suo cuore, soprattutto dopo aver divorziato dalla madre dei suoi cinque figli.

Fin dalla prima infanzia l’autore, nato in Nebraska 55 anni fa, si è distinto come un ragazzo brillante: si è diplomato, ha vinto un’importante borsa di studio e grazie ai suoi sforzi si è laureato in finanza.

Durante l’ultimo anno di università, Sparks incontra Catherine, che presto diventerà sua moglie. Secondo un’intervista, i due si sarebbero incontrati un lunedì e il giorno dopo lo scrittore le avrebbe detto: «Ti sposerò». Ebbe così inizio una storia d’amore appassionata che, secondo l’autore stesso, cominciò con un gran numero di lettere. «Tra marzo, quando ci siamo incontrati, e maggio, quando ci siamo laureati, avremo scritto 100 lettere d’amore o forse 150», affermò Sparks nel 2014. Infine, gli amanti si sposarono nel 1989, un anno dopo il loro primo incontro.

Sparks ha sempre voluto scrivere. Fu infatti sua madre che, durante un periodo di convalescenza, lo spinse a scrivere il suo primo romanzo. Eppure, dato che non aveva molta esperienza, lo scrittore fu rifiutato da numerosi editori e fu costretto a lavorare come cameriere, venditore di immobili e venditore di farmaci. Nonostante questo, Sparks non ha mai smesso di cercare di creare letteratura e nel 1993 iniziò a scrivere quello che sarebbe stato il suo primo grande successo: Le pagine della nostra vita, una storia d’amore ispirata alla relazione dei suoi nonni.

«Ho scritto il mio primo romanzo a 19 anni e il secondo a 22. Nessuno di questi era buono. A 28 anni ho scritto Le pagine della nostra vita. Leggo una media di 100 libri all’anno e spesso mi chiedo cosa fa funzionare una buona storia. Allora perché Le pagine della nostra vita era molto meglio dei miei primi due romanzi? Non lo so. Dirò che è stato il primo romanzo in cui ho cercato di scrivere bene, invece di limitarmi a scrivere. A 28 anni ero più maturo che a 19 o 22» affermò Sparks qualche anno fa.

Le pagine della nostra vita è stato pubblicato nel 1996 e si è rivelato un grande successo. Ma il miracolo non è avvenuto da solo: è stato il duro lavoro dell’agente Theresa Park, che si è fidata di Sparks quando nessun altro le aveva prestato attenzione. «Lavoravo come assistente in un’agenzia letteraria quando un collega mi portò una lettera che parlava di un romanzo intitolato Inverno per due. Ho detto: “Davvero? Amore tra anziani?” e ho chiesto a malincuore di vedere il manoscritto. Mi sono ritrovata affascinata ed emotivamente schiacciato da quel romanzo breve e ho chiesto a Sparks di riscrivere il libro. Gli ho anche chiesto di cambiare il titolo, e quando il libro era in uno stato in cui mi sentivo sicura a mandarlo ai miei editori, ho parlato con Nicholas e lui mi ha chiesto quanti romanzi avessi venduto. Ho detto nessuno, e lui ha detto: “Fantastico, sei il mio agente”», raccontò Park in un’intervista del 2016.

Da allora, Sparks e Park hanno formato una squadra, portando alla fama più di 20 romanzi.

Francesca Vannoni

Articolo adattato da: https://www.elmundo.es/loc/celebrities/2020/12/23/5fe2173921efa0f1568b4644.html

#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

Perché essere creativi fa bene

Qual è la chiave della creatività e come aiuta la nostra salute mentale? Beverley D’Silva parla con Julia Cameron, autrice di The Artist’s Way, e con altri di “flusso”, paura e curiosità.

La creatività, secondo Maya Angelou, è un pozzo senza fondo: «Più la usi, più ne hai», racconta l’autrice. «La creatività è l’intelligenza che si diverte» è una frase spesso attribuita a Einstein. Sappiamo che la creatività è viva in tutti i campi della vita, dalla medicina all’economia e all’agricoltura. Ma la parola (che deriva dal latino “creare”, “fare”) è più spesso associata alle arti e alla cultura, e si crede sia apparsa per la prima volta nell’opera letteraria del XIV secolo, The Canterbury Tales di Geoffrey Chaucer.

«La creatività è l’ordine naturale della vita. La vita è energia, pura energia creativa» è il primo dei 10 princìpi fondamentali che si trovano nella guida creativa più venduta di Julia Cameron, The Artist’s Way. L’autrice dichiara alla BBC Culture che «la creatività è, ai miei occhi, un’esperienza spirituale». Per Cameron non esiste una élite creativa, siamo tutti creativi. Dopo aver iniziato a lavorare come sceneggiatrice (continuando a scrivere romanzi, poesie e canzoni), adesso il suo lavoro è quello di insegnare alle moltissime persone provenienti da tutti i campi creativi che si rivolgono a lei, come per esempio artisti che spesso sono ostacolati dai demoni dell’autodeterminazione e dell’autocritica o che affermano di non aver tempo né talento.

«Molte persone bloccate, che hanno personalità piuttosto forti e creative, sono state portate a sentirsi colpevoli dei propri punti di forza e dei propri talenti», spiega. La sua prescrizione per una pronta guarigione creativa è quella di scrivere alcune “pagine del mattino”, tre pagine come flusso di coscienza. Le pagine «sviluppano la nostra creatività e ci incoraggiano a credere nel nostro potenziale» commenta, aggiungendo che «non sono negoziabili».

Il nuovo libro di Cameron, The Listening Path: The Creative Art of Attention, rivisita gli strumenti proposti, aggiungendo quello delle passeggiate per trovare l’ispirazione. Il libro si concentra sull’ascolto degli altri, di sé, dell’ambiente, degli antenati e del silenzio. «Le persone mi chiedevano sempre come facessi a essere tanto produttiva. La mia risposta è: ascolto. E “ascolto” ciò che dovrei fare dopo».

L’intuizione e la «guida» che «viene da dentro», come ha dichiarato, hanno aiutato la scrittrice a rimanere sobria a partire dall’età di 29 anni, dopo le battaglie con l’alcol che ha vissuto. Senza la sobrietà, dice, avrebbe dovuto dire addio alla creatività.

Tuttavia, l’intelligenza creativa non è nulla senza una mente indagatrice. Isaacson, autore di una biografia di Leonardo da Vinci del 2017, basata su più di 7.000 pagine di libri di lavoro dell’artista, è stato interpellato dalla National Geographic per capire che cosa abbia reso Leonardo un genio. Egli ha identificato le ampie competenze dell’artista (come architetto, ingegnere e produttore teatrale) vitali per le incredibili realizzazioni.

«Ma la caratteristica distintiva», dice, «è stata la sua curiosità. Essere curioso di tutto… È così che si è spinto e ha imparato a essere un genio». Conclude: «Non potremo mai emulare l’abilità matematica di Einstein. Ma tutti possiamo cercare di imparare e di copiare la curiosità di Leonardo».

Marco Riscica

Fonti consultate:
https://www.bbc.com/culture/article/20210105-why-being-creative-is-good-for-you