Ricca di tradizioni e dal passato glorioso, oggi vi parliamo di cinque curiosità da scoprire sul paese più grande del mondo: la Russia.
La Russia è un paese a metà tra due continenti: Europa e Asia, questo si riflette non solo nell’architettura delle città ma anche negli usi e costumi e nei tratti somatici delle persone.
San Pietroburgo è una città completamente costruita “a tavolino” dallo Zar Pietro il Grande, che ha voluto sentirsi più vicino alle grandi potenze del vecchio continente costruendo una città più a gusto europeo. Passeggiando per le sue strade, infatti, non è raro imbattersi in monumenti o luoghi che ci ricordano Roma, Parigi, Londra o Praga. Infatti, molti furono gli architetti italiani, francesi e tedeschi che sono stati chiamati alla corte dello Zar per progettare la città.
Il mezzo di trasporto più utilizzato nel paese è il treno: infatti molte sono le linee ferroviarie che collegano anche le zone più remote della Russia. La celebre ferrovia Transiberiana, infatti, collega in 9 giorni la capitale Mosca con Vladivostok, la città più orientale. Viaggiare su un treno notte delle ferrovie russe, significa vivere un’esperienza lontana dalla comune concezione del viaggio: significa allontanarsi dalla frenesia della quotidianità ammirando il paesaggio incontaminato delle zone rurali.
L’insalata russa qui viene chiamata “Insalata Olivier”. Secondo la leggenda è stata inventata da un cuoco belga di origini francesi che lavorava nel ristorante Ermitage di Mosca.
La metropolitana di Mosca è una vera e propria opera d’arte: costruita progettata per volere di Stalin come un vero e proprio luogo da vivere a 360 gradi per sfuggire alle intemperie dell’inverno russo, le banchine delle stazioni sono sapientemente decorate in maniera sfarzosa con lampadari, mosaici, statue e colonne che celebrano l’Unione Sovietica e la storia della Russia in generale.
Questa settimana ho avuto il piacere di passeggiare per le splendide vie del centro storico della nostra capitale e, il giorno dopo, sono salita sul treno e sono tornata nella mia prima casa: Carrù, un paesino in provincia di Cuneo (in Piemonte, per chi se lo stesse chiedendo). Non torno spesso al nord, quindi per me è sempre un bel momento rientrare nella mia cameretta e rivivere uno a uno quei ricordi che sembrano così lontani.
In questi giorni comunque ho notato che dalla città più grande al paese più piccolo l’aria natalizia si sente ogni giorno di più: tra luci, decorazioni e Babbi Natale che rischiano la vita appesi ai balconi, non vi è persona che per almeno un istante non abbia sentito questo magico spirito avvicinarsi al suo cuore.
Ricordo che da bambina, poco dopo la cena della Vigilia, mi affacciavo alla finestra con mio nonno ed esclamavo “Nonno, nonno! Guarda, ho visto la slitta!” e quest’ultimo faceva finta di cercarla tra le stelle. Babbo Natale è stato sicuramente la figura più magica della mia infanzia: scrivevo sempre la letterina e lasciavo latte e biscotti davanti al caminetto del mio salotto ogni 24 dicembre. A essere sincera, ho continuato a sperare nella sua effettiva esistenza fino a 12 anni (da brava credulona quale sono) e quando, ahimè, ho aperto gli occhi, ho sentito un po’ di magone pesarmi nel petto.
Tutti conosciamo la sua storia: questo magico signorotto che, nel suo villaggio situato nel Circolo Polare Artico, si occupa di procurare i regali a tutti i bambini del mondo e consegnarli nella notte tra il 24 e il 25 dicembre. Tuttavia, la figura di questo meraviglioso nonno non ha sempre avuto le stesse caratteristiche: Santa Claus, il Babbo Natale di oggi, è nato negli Stati Uniti verso il 1860, ed è stato chiamato così pronunciando male la parola olandese “Sinterklaas“ (San Nicola) che divenne “Santa Claus”. Il primo “donatore di regali” di cui si ha memoria fu appunto San Nicola nel 300 d.c. a Myra (l’attuale Turchia). Nato da una ricca famiglia rimase orfano quando i genitori morirono di peste. Fu allevato da un monastero e all’età di 17 anni divenne uno dei più giovani preti dell’epoca che regalò tutte le sue ricchezze alla gente povera. Quando divenne arcivescovo, assunse le sembianze del noto “Babbo Natale”, ovvero una lunga barba bianca e un cappello rosso in testa. Dopo la sua morte fu fatto Santo. Quando ci fu lo scisma tra la Chiesa Cattolica e quella Protestante questi ultimi non desiderarono più festeggiare San Nicola, troppo legato alla Chiesa Cattolica, così ogni nazione inventò il proprio “Babbo Natale”. Per i francesi era ” Père Noël”, in Inghilterra “Father Christmas” (sempre dipinto con ramoscelli di agrifoglio, edera e vischio) e la Germania aveva “Weihnachtsmann” (l’uomo del Natale). Tutte queste figure natalizie si differenziavano fondamentalmente per il colore delle proprie vesti – chi blu, chi nero, chi rosso -, ma le uniche cose che avevano in comune erano la lunga barba bianca e il loro regalare doni.
L’ultima e più importante incarnazione di Babbo Natale si ha dal 1931 al 1966 quando Haddon Sundblom disegnò la famosa immagine di Babbo Natale per la pubblicità della Coca Cola. Questo è quello che anche noi conosciamo, con la sua lunga barba bianca, il suo inconfondibile abito rosso, gli stivali, la cinta di cuoio e un immancabile sacco carico di doni. In Europa e Nord America, di solito, le tradizioni legate a Babbo Natale coincidono, anche se in alcuni paesi possono variare nel nome, in alcune caratteristiche e nella data di consegna dei doni: in Spagna, per esempio, la consegna doni è rimandata al 6 gennaio con l’arrivo dei Re Magi; in America Latina si parla, invece, di Papà Noël; in Estremo Oriente, in particolare nei paesi che hanno adottato i costumi occidentali, si festeggia il Natale non in senso cristiano, ma integrando alle religioni orientali tradizioni simili sui portatori di doni dell’Occidente; le popolazioni cristiane dell’Africa e del Medio Oriente che celebrano il Natale, in generale, riconoscono le tradizioni dei paesi europei da cui hanno importato la festività, di solito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e anche i discendenti dei coloni che abitano ancora in quei luoghi seguono le tradizioni dei loro antenati.
Detto ciò, cari amici, vi faccio tanti auguri di “Buon Natale e Felice Anno Nuovo”: che sia il nostro anno, brindo ai successi e alla speranza. Un besito, amici, ci vediamo l’anno prossimo!
“The best experience in your life that helps you to discover not only another country but the whole world and your own identity😉”: Tatiana Grygorieva Direttamente da Danzica, seppur ucraina (esattamente di Kiev), oggi conosciamo Tatiana, una dei tanti splendidi Erasmus che ha il piacere di trascorrere insieme a noi il suo periodo italiano.
“Ho scelto Roma per il mio programma Erasmus perché è sempre stata il mio sogno. Mia madre è una fan di Adriano Celentano e a lungo la musica e la lingua, che secondo me è molto melodiosa, mi hanno ispirata. In più, Roma è il cuore dell’Italia! Inoltre, gli italiani sono persone allegre e rispettose, soprattutto per quanto riguarda l’arte, l’amore, la bellezza e la vita in generale. Questa visione mi fa impazzire! Così come i colori che usate nel vestirvi. L’Italia mi sta insegnando ad apprezzare ciò che ho e ciò che è effettivamente presente per me (e ciò che mangio, ossia non un semplice bisogno, bensì un piacere fisico).
Tatiana studia International Business Management e ha deciso di dedicare una buona parte del suo lavoro universitario al mercato italiano della moda poiché spinta dalla grande storia che caratterizza il nostro splendido paese. Chiacchierare con lei è stato molto divertente e stimolante: è una persona molto vivace e attiva, sente veramente ogni parola che pronuncia e, soprattutto dal mio punto di vista, non sapete quanto sia entusiasmante poter avere l’occasione di colloquiare con una forza della natura com’è lei. Ciò che più mi ha incuriosito è questa sua “doppia” provenienza, dunque ho provato a giocare sui tre paesi protagonisti di quest’intervista: l’Italia, la Polonia e Ucraina.
Secondo Tatiana, ci sono grandi differenze tra i tre Stati: primo fra tutti, il modo di veder la vita. Il motto italiano è “la vita è meravigliosa e talmente tanto corta che non abbiamo tempo per i cattivi pensieri e il pessimo cibo!”, quello polacco “l’attenzione ai dettagli e il sarcasmo sono quanto di più importante ci sia”, mentre quello ucraino è “amiamo la libertà, ma non abbiamo idea di come usarla” (questo dovuto soprattutto agli eventi storici; per chi non lo sapesse, l’Ucraina nasce 28 anni fa e sono ancora un grande work in progress per quanto riguarda la loro identità nazionale). La seconda grande differenza sono i colori: in Italia usiamo colori smaglianti e floreali (soprattutto sulle vetrine dei negozi), in Polonia utilizzano molto colori pacati come il marrone e il verdone e, infine, l’Ucraina risplende di colori brillanti quali il giallo e il rosso, per esempio.
Un’altra differenza è il rumore “pubblico”: in Polonia, a differenza di Italia e Ucraina, non è appropriato parlare a voce alta in un luogo pubblico, difatti sin da bambini si insegna il rispetto per la quiete altrui. Infine, l’istruzione: Tatiana racconta che nei suoi due “paesi” l’attenzione dello studente ricade molto più sugli argomenti imparati a memoria, piuttosto che quelli effettivamente compresi. I docenti sono molto severi e ci tengono che i loro allievi imparino bene a memoria i concetti teorici da loro insegnati. Tant’è che mi ha svelato che loro conoscono già le domande che verranno sottoposte in sede d’esame, visto che, appunto, il loro lavoro è semplicemente quello di rispondere alle domande. “Non è il caso italiano! Ho grandi professori che mi dedicano le attenzioni che merito in caso non capisca un determinato argomento e, secondo me, il metodo utilizzato qua è più efficace.”
Concludo l’intervista allontanandomi dalle differenze sopracitate: domando a Tatiana cosa le piace di Roma: “premetto che è la mia prima volta in questa splendida città e in Italia in generale… pensare di andare a vivere un periodo nella capitale mi spaventava e mi continua a spaventare non poco (e i mezzi pubblici non sono proprio la cosa più semplice da capire qua…), ma quando vedi la ricca architettura che il panorama ti offre e senti lo spirito della città, dimentichi ogni pensiero negativo (anche quelli legati al traffico! Ahah) E soprattutto, la gente è così simpatica, aperta, gioviale, emozionale… hanno un grande cuore caldo simbolo della loro cultura e io mi chiedo come faccia a non piacere tutto ciò.
“Quando ero a Napoli partecipavo spesso a tandem linguistici. Una volta arrivato alla UNINT, mi sono sentito immerso in quest’atmosfera internazionale, ma non ero soddisfatto: l’internazionale non si studia solo sui libri e la mia esperienza me lo aveva insegnato molto bene. Internazionale è cultura, tradizioni, lingue… l’Internazionale siamo noi. L’aperilingua è un evento creato per tutti: studenti UNINT ed Erasmus. Credo molto in questo progetto e nei ragazzi che mi stanno supportando (e sopportando), così come ringrazio l’Università per aver lasciato spazio (e fondi) alla mia idea.” – Flavio Aniello, Responsabile dell’Aperilingua UNINT
MondayAbroad oggi rimane a casa: da brava cittadina del mondo, oggi voglio raccontarvi questa preziosa iniziativa che si ripete a giovedì alterni e che ci permette di vivere l’internazionalità e l’intercultura a km 0.
Il 21 Novembre 2019, dalle 20:00 alle 22:15, si è tenuto nella mensa della nostra cara Università il primo Aperilingua UNINT: i nostri amati colleghi (me compresa!) hanno indossato una bellissima maglietta bianca personalizzata per ogni lingua e si sono calati nel ruolo di “insegnanti” di lingue. Ognuno a un tavolo diverso ha pensato, organizzato e creato giochi in lingua per interessare, incuriosire e appassionare i ragazzi che hanno deciso di cimentarsi in questa grande nuova avventura, il tutto accompagnati da un piatto di paella, una fetta di tortilla de patatas e un allegro bicchiere di sangria. Sì, perché il 21 Novembre è stato il giorno dedicato alla Spagna, dunque, quale miglior modo di imparare, se non con la pancia piena di cibi così… calienti? A ogni serata viene, difatti, associato come tema un diverso paese del mondo: come già detto, abbiamo iniziato con la Spagna, mentre il prossimo appuntamento (il 5 dicembre 2019) ci catapulterà in terra tedesca e insieme brinderemo “Ein Prosit” a suon di birra e Würstel (e musica, che non guasta mai!)
Nove tavoli in tutto: inglese, spagnolo, francese, tedesco, portoghese, russo, cinese, arabo e… LIS (Lingua Italiana dei Segni). Ognuno con tanta voglia di fare, imparare, divertirsi e con una grande sete di… conoscenza! La partecipazione al tavolo non è obbligatoria per l’intero corso dell’evento: diamo ai ragazzi la massima libertà di saltare di tavolo in tavolo ogni qualvolta lo decidano.
In più, raga, vi parlo da studentessa, amica, collega e “aperilinguista” impegnata al tavolo ispanofono: buttatevi nelle lingue senza paura di un possibile errore, siamo qui per divertirci insieme, non per correggervi, tantomeno per giudicarvi.
Detto ciò, spero di avervi incuriosito e che possiate partecipare al prossimo appuntamento: per iscriversi, basta correre in mensa, chiedere delle card per l’aperilingua e pagare l’importo previsto per partecipare alla serata. Mi raccomando, però: non dimenticate di riportare la card la sera dell’evento! Questa serve, difatti, per ritirare il proprio piatto e la propria bevanda.
Concludo con una piccola riflessione, forse un po’ troppo sentimentale, ma senza dubbio veritiera: Gino Paoli cantava “Il cielo in una stanza” e, con splendide parole e una dolce melodia, spiegava come l’amore lo portasse a ritrovare l’infinito cielo in quattro pareti. Noi, sicuramente, non siamo Gino Paoli, ma è pazzesco come il nostro lavoro e le nostre teste siano riuscite a ricreare l’internazionalità all’interno di una mensa universitaria. Alla fine, Flavio ha ragione: “Internazionale è cultura, tradizioni, lingue… l’Internazionale siamo noi.”, difatti non potremmo essere più orgogliosi di aver un responsabile come lui.
Vi aspettiamo a mensa, Giovedì 5 Dicembre 2019, dalle 20:00 alle 22:15! Un besito, Amici Internazionali!
Nato da mamma francese e papà italiano, oggi conosciamo Leo, studente Erasmus proveniente dalla Facoltà di Interpretariato e Traduzione dell’Université de Lille.
Chiacchierare con Leo è molto divertente: è un ragazzo molto simpatico e solare, allegro e scherzoso, che non fa fatica ad aprirsi con me sulla sua esperienza. “Sono qua con la mia fidanzata, anche lei è in Erasmus, ma in un altro ateneo. Ci stiamo divertendo molto in quest’avventura: stiamo crescendo e stiamo capendo ogni giorno di più cosa vuol dire essere adulti, dunque, cosa significa doversi occupare anche della casa, per esempio… è comunque bello avere responsabilità alla pari con la nostra età.” Leo rimarrà con noi tutto l’anno, arrivando a dare un totale di otto materie: “non ho trovato grossi ostacoli nella compilazione del mio Learning Agreement e, per fortuna, sia i miei docenti francesi che questi italiani si sono sempre resi molto disponibili per aiutarmi in caso non riuscissi a completare qualche passaggio.”
Come già detto, Leo ha una buona percentuale di italianità che scorre nelle sue vene: “amo l’Italia e sono molto fiero delle mie origini. Mio papà ci portava spesso a Bologna e qualche volta è capitato che visitassimo anche altre città italiane, infatti non è la prima volta che venivo nella Capitale.” Incuriosita, comunque, dagli elogi che Leo continuava a rivolgere alla sua cittadina francese, ho deciso di continuare l’intervista spostandomi dall’obiettivo principale per parlare di… cibo e feste! (Quindi occhio alle prossime righe, lettori viaggiatori e buongustai!).
Lille è, infatti, conosciuta come una città universitaria, capoluogo della regione Alta Francia, ma è anche famosa per la Braderie de Lille, nella quale 10.000 espositori, fra cui 300 venditori professionisti di oggetti di brocantage, offrono un centinaio di chilometri di bancarelle a quasi 3 milioni di visitatori per vendere e comprare di tutto, dando vita a uno dei mercati delle pulci più grandi d’Europa e che consente alla città di Lille di trasformarsi in un’immensa isola pedonale dove commercianti, rigattieri e appassionati di antiquariato di ogni genere portano avanti una tradizione commerciale e di festa, mangiando cozze, patatine e moules-frites, e per Lille 3000, una gigantesca sfilata che cambia ogni anno tema e che attrae turisti da tutto il mondo (gli eventi si svolgono rispettivamente a settembre e aprile/maggio).
In più, per i nostri amici buongustai, Leo consiglia la carbonnade (à la) flamande, un piatto tradizionale belga composto da uno spezzatino di manzo stufato e cipolla, bagnato con la birra e condito con timo e alloro… una delizia per il palato! Concludiamo l’intervista tornando a focalizzarci su Roma: alla domanda “Leo, come descriveresti ciò che hai vissuto fino a ora?”, ci pensa un attimo e poi afferma: “sicuramente entusiasmante… ma la vera particolarità è che ognuno di noi può venire a Roma infinite volte nella sua vita, ma la città avrà sempre qualcosa di nuovo da insegnargli o da fargli scoprire!”.
Si chiama Elia, ha 20 anni e arriva direttamente da Barcellona. La sua avventura inizia il 22 agosto 2019, quando, per la prima volta come studentessa Erasmus, muove i primi passi sul suolo romano. È una studentessa di Interpretariato e Traduzione dell’Universitat Autònoma de Barcelona, studia inglese e russo e… il caso ha voluto che oggi diventasse una nostra compagna di avventure per il primo ciclo semestrale!
Il suo sogno Erasmus aveva come destinazione l’Inghilterra, Paese da Elia sempre amato, sia per quanto riguarda la cultura che la lingua, ma purtroppo i vari problemi connessi al tema Brexit hanno fatto sì che cambiassero i piani e la scelta si è, dunque, spostata sulla nostra Capitale. “Anche prima di partire per quest’avventura, la lingua italiana mi incuriosiva molto e pianificavo di studiarla una volta conclusi i miei studi universitari. Non è andata propriamente così, ma sono comunque molto contenta di ciò che sto vivendo, imparando e scoprendo giorno dopo giorno. Soprattutto, adoro visitare la città e perdermi nelle sue strade così grandi e ricche di storia!” detto ciò sorride e continua “…anche se, trovo che la differenza più grande tra Roma e Barcellona è il servizio di trasporto pubblico: a Barcellona (sarà per le diverse dimensioni delle città) mi trovo molto meglio, mentre qua è stato un bel colpo vedere la complessità della situazione.”
Elia è una ragazza molto gentile, solare e disponibile e, mentre mi racconta la sua storia, sorride ricordando i giorni già vissuti e pensando alle varie avventure che ancora l’attendono. “Qua all’UNINT mi sto trovando molto bene sia con i professori, che con i miei colleghi. Sto frequentando cinque materie, le stesse che avrei dovuto seguire a Barcellona… incrociamo le dita!”
Ma l’Erasmus non è solo studio: l’esperienza l’ha condotta anche in altre città italiane, come, per esempio, Napoli. “Ho girato e sto girando molto, anche se mi piacerebbe riuscire a vedere meglio i monumenti, i musei e le città… Sicuramente non mi lascerò scappare quest’occasione in ciò che mi rimane di tempo qua.”
Terminiamo l’intervista con un pensiero della studentessa: alla domanda “come descriveresti con una frase ciò che hai vissuto fino a ora?” Elia rimane in silenzio per qualche secondo e, infine, conclude con “sicuramente un’esperienza magica e che rifarei senza alcun dubbio… alla fin fine, non è da tutti vivere in una delle città più antiche del mondo e avere, comunque, la consapevolezza che hai ancora così tanto da scoprire.”
Sono partita per Murcia il 4 settembre dell’anno scorso ed ero la persona più spaventata del mondo: non sapevo cosa mi avrebbe atteso e avevo già nostalgia della mia famiglia e dei miei amici.
Murcia è la settima città più grande della
Spagna ed è anche il nome della regione dove si ubica. È prevalentemente una
città universitaria, anche se è capace di offrire molto a chiunque voglia
viverci, che sia o meno studente.
L’Erasmus mi ha rubato il cuore: sono rimasta 6 mesi in una residenza universitaria chiamata Colegio Mayor Azarbe, un luogo magico dove ho conosciuto persone che, nonostante mi conoscessero da poco, mi hanno preso per mano e mi hanno accompagnato durante tutta l’esperienza. Grazie ai loro consigli, ai loro abbracci, alle loro risate, ho vissuto il tutto con molto più entusiasmo di quanto già non avessi. In più, mi hanno aiutato a capire le tradizioni spagnole, dalla siesta alla movida, essendo loro in primis spagnoli e non studenti Erasmus come me.
Non so quando effettivamente io mi sia abituata a vedere quelle pareti come fossero effettivamente casa mia, o quando quei ragazzi siano diventati parte integrante della mia famiglia; non so nemmeno quando ho iniziato a dire “acho” (espressione tipica murciana) o quando mi sono resa effettivamente conto di conoscere tutte le canzoni che cantavano i miei compagni, ma è successo (e meno male).
Ho viaggiato, ho studiato, ho fatto amicizia, mi sono innamorata e poi sono dovuta tornare alla realtà: cresciuta, forse diversa, ma sicuramente, molto più adulta. Mi sono sentita più volte la straniera, la “diversa”, l’italiana all’estero, ma sono stati solo momenti: Murcia mi ha voluto bene dal primo momento e io le sarò sempre riconoscente.
Non so come sarei ora se non avessi
partecipato a quest’avventura, ma sicuramente sono contenta della persona che
mi ha fatto diventare.
Quindi, cari ragazzi, buttatevi con tutti voi
stessi in questo grande viaggio: non prometto che sarà semplice, né tanto meno
sempre tutto rosa e fiori, ma non ve ne pentirete.
Muchas gracias por haberme dejado volar en tus cielos, Murcia. Mi manchi tanto.
En el silencio crece el viento con su hoja única y su flor golpeada, y la arena que tiene sólo tacto y silencio, no es nada, es una sombra, una pisada de caballo vago, no es nada sino una ola que el tiempo ha recibido, porque todas las aguas van a los ojos fríos del tiempo que debajo del océano mira. Pablo Neruda, “El sur del océano”, tratta da “Residencia en la Tierra”, 1935 (prima versione)
Benvenuti nel 2019: benvenuti nel futuro. Benvenuti nel tempo in cui basta sbloccare il telefono per viaggiare in tutti i luoghi del mondo, per conoscere, attraverso un qualsiasi motore di ricerca, le diverse culture, le lingue, le ricette tipiche che tanto ci piacquero quella volta quando andammo in vacanza in quel paradiso. Dal mare alla montagna, dalla pianura alla città, il mondo ci ha regalato la luce del sole perché riuscissimo a sfruttare il suo calore, così come la neve per emozionarci al veder fluttuare ogni fiocco che cade dal cielo.
Non ho scelto una poesia a caso per iniziare questa nuova avventura del #MondayAbroad: si tratta di un componimento tratto da “Residencia en la Tierra”, una raccolta di poesie di Pablo Neruda, il quale decide di ripercorrere le varie fasi della vita, dall’infanzia alla vecchiaia, nella quale il rigore interno del suo simbolismo e della sua natura metafisica aiutano ad appurare il significato della sua indagine. Siamo tutti residenti di qualche posto, che sia un paese o una città, ma Neruda parlava di un luogo diverso, ben più antico e decisamente più grande: il pianeta Terra.
Nella società odierna, cosmopolita come nessuna mai, in molti si definiscono come “cittadini del mondo”, grazie, magari, ai loro viaggi o alle varie avventure interculturali che hanno caratterizzato molti momenti delle loro vite, prima fra tutte l’Erasmus, una delle più magiche e pazzesche esperienze che possano capitarti nella tua vita. Non semplice, ma nemmeno complessa, l’Erasmus ti rapisce il cuore e ti aiuta a chiamare “casa” anche il luogo più lontano, così come chiamare “famiglia” le persone che hai appena conosciuto, ma che sai che, sicuramente, capiscono alla perfezione ogni pensiero che ti sta passando per la testa.
Essere, comunque, residenti sulla Terra non è da tutti: ti richiede una buona conoscenza del tuo passato, una forte intraprendenza nel tuo presente e tanta, tanta, tantissima curiosità e buona volontà per il futuro. Neruda non rinnega la sua provenienza, né le sue origini, ma si sente accolto e amato nei molti posti che l’hanno ospitato e quindi decide di auto-definirsi utilizzando questo gioco di parole.
Quindi, Daje Tutta, raga: a chi è intimorito dal domani e a chi non vuole pensarci, a chi è pronto e deciso, a chi ha già trovato il suo posto nel mondo e a chi lo sta ancora cercando. Tanto, presto o tardi, avremo tutti una residencia en la Tierra e un tiempo que debajo del océano (nos) mira.
Belgrado, capitale della Repubblica di Serbia e fino al 1992 della Jugoslavia, è una città che si lascia apprezzare poco a poco, mostrando tutta la bellezza e la forza di un popolo che è riuscito a mantenere la propria identità nel corso degli anni.
Il centro ruota intorno all’antica Fortezza, che sorge nel punto in cui i fiumi Danubio e Sava si incontrano, pertanto è sempre stato considerato un luogo strategico di difesa della capitale fin dai tempi degli Antichi Romani. In questa fortezza, inoltre, è possibile notare alcune delle poche testimonianze della dominazione ottomana presenti in città, come la fontana Mehmet Pascià.
A pochi passi, si erge imponente il Tempio di San Sava, che domina su tutto il centro. È la Chiesa ortodossa più grande al mondo e ospita ancora oggi le ceneri delle reliquie del Santo.
Per una passeggiata, vale sicuramente la pena perdersi per le stradine di Skadarlija, il quartiere bohémien e degli artisti. Con i suoi ciottoli, le sue decorazioni floreali, i suoi ristorantini e le botteghe di artigiani sembra di essere a Parigi, piuttosto che in una città dei Balcani. Il quartiere è ancora oggi il centro della comunità intellettuale serba, nonché il punto di ritrovo dei giovani per tutte le iniziative culturali che la città sa offrire. Si consiglia soprattutto di entrare in uno dei tanti locali della zona per ascoltare musica tradizionale dal vivo.
Belgrado, infine, è sede della Belgrade Bank Academy, una delle mete che gli studenti della UNINT possono scegliere per la loro mobilità internazionale.
Vilnius, prima tappa. In 3 giorni si gira bene tutta. Ci sono musei interessanti, molti parchi e addirittura un quartiere in cui risiede una repubblica indipendente, Užupis, casa di numerosi artisti. Il cibo lituano è molto buono ma molto pesante, consiglio di non mangiare sempre fuori. Ci siamo trovati bene anche con i trasporti: gli autobus e i treni per uscire dalla città sono efficienti ed economici. In più, a meno di 5 euro ci siamo spostati per la città sfruttando servizi di bike sharing e car sharing. Da non perdere è il castello di Trakai, una cittadina a 30 km dalla capitale dove è possibile provare la tipica cucina caraita. Il terzo giorno ci siamo spinti anche più a nord per entrare nella regione dei laghi, siamo andati ad Ignalina, un paese che ci è sembrato fermo negli anni ’80 sovietici sia per l’architettura sia per le persone che abbiamo incontrato. Lì ci siamo fatti un bel giro in bicicletta tra laghi e boschi lituani soffrendo molto il freddo, non eravamo preparati ai 13° ma siamo corsi ai ripari. Un vantaggio per me che studio russo è stato esercitarmi nella lingua con i lituani, perché, anche per ragioni storiche, adottano il russo come seconda lingua. Non è stato facile, soprattutto quando guardavano con aria di disapprovazione ogni errore che facevo, ma dopo un po’ mi sono abituata. Unica pecca finora è la pulizia: bagni privati molto sporchi (cosa che non ci è nuova, dopotutto), divano di casa lurido, utensili da cucina tutti da lavare (accuratamente sterilizzati con il fuoco, ‘n se sa mai) e addirittura la signora che ci ha dato le chiavi dell’Airbnb ci ha fatto vedere tutto l’appartamento a piedi nudi. A piedi nudi. Sul nostro pavimento. Nudi. NUDI. Cara Vilnius, per te il voto è un 6 e 1\2, il potenziale ce l’hai, ma non ti applichi.
Seconda tappa: Klaipeda e penisola curlandese. Arriviamo a Klaipeda stanchi dopo un lungo viaggio in pullman, il nostro airbnb si trova in un’ex kommunalka sovietica (molto affascinante) ma, appena sistemati, sorgono dei problemi con il divano letto: lo apriamo e scopriamo che in realtà è composto da un materasso singolo e una conchetta dove uno dei due dovrà dormire, una specie di cassetto sotto al letto per intenderci. Scoraggiati e distrutti andiamo a letto, sapendo che l’indomani ci aspettava Neringa. Affittiamo una macchina la mattina e partiamo con il traghetto per la penisola, biglietto pagato 12 euro + 20 euro di enviromental fee. Neringa è un paradiso, kilometri di natura incontaminata intervallati da paeselli con casette colorate. Ci spingiamo fino a Nida, vicino al confine russo (c’è un oblast‘ russo distaccato dai suoi confini, Kaliningrad). Poi torniamo poco a poco indietro senza farci mancare le passeggiate sulla duna Parnidis, nel bosco sulla collina delle streghe, con sculture di creature fantastiche intagliate nel legno, e infine sulla spiaggia. Per quanto riguarda Klaipeda è la classica cittadina marittima, visitabile in mezza giornata. Caratteristiche sono sempre le casette e il centro storico, ma nulla di troppo particolare. PS. Durante la seconda notte ci è venuta un’illuminazione: abbassare la spalliera così da rendere il letto a due piazze. Era un tranquillissimo divano-letto matrimoniale di Ikea e ci siamo sentiti molto, molto stupidi. Tra l’altro chi era con me si era fatto una notte nel cassetto sotto al letto. Alla grande. Neringa e Klaipeda, voto 9 ha dei paesaggi mozzafiato.
Terza tappa: Riga. Una città deliziosa, un misto di palazzi Art Noveau, edifici storici dallo stile svedese e casette di legno colorate. È una città viva, colorata e accogliente. Per tutta la Lituania, abbiamo incontrato gente con ghigni più che sorrisi, abbiamo ricevuto molte occhiatacce in tante occasioni; qui ti sorridono, ti accolgono, insomma ci siamo sentiti un po’ più a casa. L’appartamento dove abbiamo alloggiato era bellissimo, molto vicino al centro, arredato in modo impeccabile, un giusto incontro tra vecchio e nuovo, mobili in legno vintage, la luce, il verde delle piante: era tutto perfetto! Lo sono stati anche i nostri host, una famiglia disponibilissima con una bimba molto dolce e vivace. Sconsiglio di mangiare in centro città, ci siamo trovati a mangiare in un ristorante medievale che si è rivelato più costoso del previsto. Il mercato è un must di Riga: situato in un ex magazzino per dirigibili, ha diversi padiglioni che offrono tutte le tipologie di carne, pesce, formaggi, dolci e anche degli stand dove fermarsi a mangiare un boccone. La biblioteca nazionale è particolare, offre un buon panorama della città. Per le vie del centro ci è capitato di ascoltare molta musica rockabilly, i lettoni ne vanno pazzi. Riga è veramente elegante, voto 9.
Quarta tappa: Viljandi. Devo essere sincera, appena ho messo piede in questa cittadina pioveva, non c’era anima viva, solo case in legno. Sembrava un paesino abbandonato sparso al centro dell’Estonia. Ho pensato “ma che c*** (caspita) ci faccio io qui?!”. Però ormai eravamo là tanto valeva raggiungere la casa e vedere se c’era qualcosa di interessante da fare. Arriviamo nella casa dopo 20 minuti a piedi sotto la pioggia: inizialmente sembra una bella casa vicino al lago; poi invece mi ci soffermo e la trovo molto disorganizzata, diversi stili uniti in un agglomerato di confusione. La nostra stanza è apparentemente normale, anche se vicino alla mia parte del letto c’è un ramo di albero con appesa una piuma dove andrò a sbattere con la testa per tutta la durata del nostro tempo lì. La casa sembra nel suo insieme normale, ma ci sono alcune stranezze che l’hanno resa inquietante. Una di queste era in salotto: dietro al divano c’era una parte del pavimento che era in vetro e sotto mostrava una specie di “buco”, una teca (quasi) con delle luci colorate che illuminavano un telefono wireless, di quelli che abbiamo tutti in casa. Non ho fatto foto perché tutta la casa mi faceva sentire a disagio, soprattutto perché la prima notte nel sonno ho detto di aver visto qualcuno in stanza e non c’era nessuno, perciò non volevo che le stranezze mi condizionassero più di tanto. Anche il cibo non ci è sembrato granché, abbiamo optato per le pizze ma non ci hanno soddisfatto, ce lo aspettavamo comunque (la mia quattro stagioni era divisa in quadranti e in uno c’era l’ananas, mangiabile ma non era pizza). Il secondo giorno è stato quello giusto, ci siamo trovati molto meglio, il centro città è piccolino ma molto caratteristico. Il lago è il vero protagonista della cittadina, abbiamo ammirato i suoi belvedere dalle rovine del castello e questa tappa ci è sembrata meno sbagliata. Tutto sommato è stato rilassante, Viljandi aveva delle cose da offrirci dopotutto, forse sarebbe stato meglio passarci senza restare a dormire, ma ci siamo trovati bene. Voto 7, ma solo dopo gli esami di riparazione a settembre. P.S. nella casa creepy la doccia e la lavatrice erano in fondo a delle buie e ripide scale nello scantinato. Mi sono lavata ma AIUTO.
Quinta tappa: Tallinn. Città carinissima, la capitale migliore tra quelle visitate. Il centro storico e il mercato sono un must se si visita Tallinn. La città vecchia è circondata da mura medievali che, insieme a molti edifici ottocenteschi donano un tocco pittoresco al centro. Interessante è anche il quartiere creativo di Telliskivi dove, tra murales e opere d’arte, vi è allestito un grande mercato delle pulci. Volevamo visitare anche il Linnahall, un vecchio edificio sovietico costruito per le olimpiadi di Mosca del 1980 ma non è possibile entrare. Per il resto, Tallin ci ha soddisfatto, voto 8.
Sesta e ultima tappa: Helsinki. Sfortunatamente, siamo potuti stare solo 2 giorni in questa città, una scelta di cui ci siamo pentiti. Helsinki è molto bella, ecologica e verde. Abbiamo visitato la fortezza nell’isoletta di Suomenlinna, la cattedrale, la chiesa scavata nella roccia e a pranzo abbiamo mangiato al mercato (Il salmone è tanto buono quanto costoso, ma quando mi ricapita di assaggiare salmone finlandese?). Un aspetto che ci ha stupito di Helsinki sono i trasporti pubblici: difficile da credere se si viene da una città come Roma ma qui FUNZIONANO! ABBIAMO ASPETTATO MASSIMO 3 MINUTIIIIIIIII AAAAAAAAH!!!!!! Ci siamo trovati in situazioni che a noi sono sembrate fuori dal mondo! L’autista di un autobus ha aspettato che noi arrivassimo alla fermata prima di partire, in treno per l’aeroporto si sono scusati per soli 2 minuti di ritardo, insomma il paradiso! In più, malgrado la città ci sia sembrata anche un po’ fredda, i suoi abitanti ci hanno trasmesso molto calore accogliendoci sempre con sorrisi e piccole attenzioni che hanno reso il ritorno in Italia più difficile del previsto. In particolare Pauliina, la nostra host, al nostro arrivo aveva lasciato del latte, dei cioccolatini, crema per la pelle e altre piccoli comfort molto apprezzati. È stato difficile tornare, siamo stati tanto bene e quello che ci aspettava a casa era sconfortante. Dalla sessione autunnale, alla laurea di novembre, ai mille problemi del vivere in città, fino alla noiosa routine. Per questo abbiamo deciso di abbandonare tutto, non torneremo più (AHAH) apriremo una fattoria di renne in Lapponia, addio a tutti, ciao. P.S. per Helsinki il voto è 9 e mezzo, perché la perfezione non esiste.