Questa settimana ho avuto il piacere di passeggiare per le splendide vie del centro storico della nostra capitale e, il giorno dopo, sono salita sul treno e sono tornata nella mia prima casa: Carrù, un paesino in provincia di Cuneo (in Piemonte, per chi se lo stesse chiedendo).
Non torno spesso al nord, quindi per me è sempre un bel momento rientrare nella mia cameretta e rivivere uno a uno quei ricordi che sembrano così lontani.

In questi giorni comunque ho notato che dalla città più grande al paese più piccolo l’aria natalizia si sente ogni giorno di più: tra luci, decorazioni e Babbi Natale che rischiano la vita appesi ai balconi, non vi è persona che per almeno un istante non abbia sentito questo magico spirito avvicinarsi al suo cuore.

Ricordo che da bambina, poco dopo la cena della Vigilia, mi affacciavo alla finestra con mio nonno ed esclamavo “Nonno, nonno! Guarda, ho visto la slitta!” e quest’ultimo faceva finta di cercarla tra le stelle. Babbo Natale è stato sicuramente la figura più magica della mia infanzia: scrivevo sempre la letterina e lasciavo latte e biscotti davanti al caminetto del mio salotto ogni 24 dicembre. A essere sincera, ho continuato a sperare nella sua effettiva esistenza fino a 12 anni (da brava credulona quale sono) e quando, ahimè, ho aperto gli occhi, ho sentito un po’ di magone pesarmi nel petto.

Tutti conosciamo la sua storia: questo magico signorotto che, nel suo villaggio situato nel Circolo Polare Artico, si occupa di procurare i regali a tutti i bambini del mondo e consegnarli nella notte tra il 24 e il 25 dicembre.
Tuttavia, la figura di questo meraviglioso nonno non ha sempre avuto le stesse caratteristiche: Santa Claus, il Babbo Natale di oggi, è nato negli Stati Uniti verso il 1860, ed è stato chiamato così pronunciando male la parola olandese “Sinterklaas (San Nicola) che divenne “Santa Claus”. Il primo “donatore di regali” di cui si ha memoria fu appunto San Nicola nel 300 d.c. a Myra (l’attuale Turchia). Nato da una ricca famiglia rimase orfano quando i genitori morirono di peste. Fu allevato da un monastero e all’età di 17 anni divenne uno dei più giovani preti dell’epoca che regalò tutte le sue ricchezze alla gente povera. Quando divenne arcivescovo, assunse le sembianze del noto “Babbo Natale”, ovvero una lunga barba bianca e un cappello rosso in testa. Dopo la sua morte fu fatto Santo. Quando ci fu lo scisma tra la Chiesa Cattolica e quella Protestante questi ultimi non desiderarono più festeggiare San Nicola, troppo legato alla Chiesa Cattolica, così ogni nazione inventò il proprio “Babbo Natale”. Per i francesi era ” Père Noël”, in Inghilterra “Father Christmas” (sempre dipinto con ramoscelli di agrifoglio, edera e vischio) e la Germania aveva “Weihnachtsmann” (l’uomo del Natale). Tutte queste figure natalizie si differenziavano fondamentalmente per il colore delle proprie vesti – chi blu, chi nero, chi rosso -, ma le uniche cose che avevano in comune erano la lunga barba bianca e il loro regalare doni.


L’ultima e più importante incarnazione di Babbo Natale si ha dal 1931 al 1966 quando Haddon Sundblom disegnò la famosa immagine di Babbo Natale per la pubblicità della Coca Cola. Questo è quello che anche noi conosciamo, con la sua lunga barba bianca, il suo inconfondibile abito rosso, gli stivali, la cinta di cuoio e un immancabile sacco carico di doni.
In Europa e Nord America, di solito, le tradizioni legate a Babbo Natale coincidono, anche se in alcuni paesi possono variare nel nome, in alcune caratteristiche e nella data di consegna dei doni: in Spagna, per esempio, la consegna doni è rimandata al 6 gennaio con l’arrivo dei Re Magi; in America Latina si parla, invece, di Papà Noël; in Estremo Oriente, in particolare nei paesi che hanno adottato i costumi occidentali, si festeggia il Natale non in senso cristiano, ma integrando alle religioni orientali tradizioni simili sui portatori di doni dell’Occidente; le popolazioni cristiane dell’Africa e del Medio Oriente che celebrano il Natale, in generale, riconoscono le tradizioni dei paesi europei da cui hanno importato la festività, di solito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e anche i discendenti dei coloni che abitano ancora in quei luoghi seguono le tradizioni dei loro antenati.


Detto ciò, cari amici, vi faccio tanti auguri di “Buon Natale e Felice Anno Nuovo”: che sia il nostro anno, brindo ai successi e alla speranza.
Un besito, amici, ci vediamo l’anno prossimo!

Ilaria Violi