#UNINTSIGHTSEEING: PALAZZO FARNESE (CAPRAROLA)

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Ci troviamo a Caprarola, un piccolo paesino in provincia di Viterbo. Qui sorge Palazzo Farnese, una delle più belle dimore rinascimentali di tutta l’Italia centrale.

Fu il cardinale Alessandro Farnese, futuro Papa Paolo III, a commissionare ad Antonio da Sangallo, uno dei più celebri architetti del ‘500, la realizzazione della fortezza. Ma col passare del tempo e la nomina a Pontefice, ad Alessandro Farnese non serviva più una fortezza, bensì uno sfarzoso palazzo signorile in pieno stile rinascimentale. Ebbero così inizio lunghi ed imponenti lavori di costruzione: i massicci bastioni, con funzione anti cannoneggiamento, furono sostituiti da terrazze e giardini, mentre l’impervio accesso da Caprarola, venne sostituito da due larghe scalinate.

Parallelamente alla costruzione del palazzo vennero affrescate tutte le stanze del Palazzo, i cui temi dovevano, partendo dal mito, rappresentare lo sfarzo della famiglia Farnese ed in particolare del Cardinale. Tra gli affreschi più celebri, le carte geografiche che decorano la splendida Sala del Mappamondo, dove è rappresentato il mondo allora conosciuto dalle descrizioni dei viaggiatori.


Esternamente sono visitabili il Giardino Privato del Cardinale ed il Giardino Grande; il primo è praticamente coevo rispetto al resto del palazzo, mentre il secondo è sito a monte della reggia.


Il costo del biglietto è più che abbordabile per chiunque e sono diverse le agevolazioni possibili per studenti o professionisti di settori specifici. Inoltre, ai cittadini dell’Unione europea di età compresa tra i 18 e i 25 anni è riservata una riduzione del 50%.

#MondayAbr…oh oh oad! Speciale Natale

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Questa settimana ho avuto il piacere di passeggiare per le splendide vie del centro storico della nostra capitale e, il giorno dopo, sono salita sul treno e sono tornata nella mia prima casa: Carrù, un paesino in provincia di Cuneo (in Piemonte, per chi se lo stesse chiedendo).
Non torno spesso al nord, quindi per me è sempre un bel momento rientrare nella mia cameretta e rivivere uno a uno quei ricordi che sembrano così lontani.

In questi giorni comunque ho notato che dalla città più grande al paese più piccolo l’aria natalizia si sente ogni giorno di più: tra luci, decorazioni e Babbi Natale che rischiano la vita appesi ai balconi, non vi è persona che per almeno un istante non abbia sentito questo magico spirito avvicinarsi al suo cuore.

Ricordo che da bambina, poco dopo la cena della Vigilia, mi affacciavo alla finestra con mio nonno ed esclamavo “Nonno, nonno! Guarda, ho visto la slitta!” e quest’ultimo faceva finta di cercarla tra le stelle. Babbo Natale è stato sicuramente la figura più magica della mia infanzia: scrivevo sempre la letterina e lasciavo latte e biscotti davanti al caminetto del mio salotto ogni 24 dicembre. A essere sincera, ho continuato a sperare nella sua effettiva esistenza fino a 12 anni (da brava credulona quale sono) e quando, ahimè, ho aperto gli occhi, ho sentito un po’ di magone pesarmi nel petto.

Tutti conosciamo la sua storia: questo magico signorotto che, nel suo villaggio situato nel Circolo Polare Artico, si occupa di procurare i regali a tutti i bambini del mondo e consegnarli nella notte tra il 24 e il 25 dicembre.
Tuttavia, la figura di questo meraviglioso nonno non ha sempre avuto le stesse caratteristiche: Santa Claus, il Babbo Natale di oggi, è nato negli Stati Uniti verso il 1860, ed è stato chiamato così pronunciando male la parola olandese “Sinterklaas (San Nicola) che divenne “Santa Claus”. Il primo “donatore di regali” di cui si ha memoria fu appunto San Nicola nel 300 d.c. a Myra (l’attuale Turchia). Nato da una ricca famiglia rimase orfano quando i genitori morirono di peste. Fu allevato da un monastero e all’età di 17 anni divenne uno dei più giovani preti dell’epoca che regalò tutte le sue ricchezze alla gente povera. Quando divenne arcivescovo, assunse le sembianze del noto “Babbo Natale”, ovvero una lunga barba bianca e un cappello rosso in testa. Dopo la sua morte fu fatto Santo. Quando ci fu lo scisma tra la Chiesa Cattolica e quella Protestante questi ultimi non desiderarono più festeggiare San Nicola, troppo legato alla Chiesa Cattolica, così ogni nazione inventò il proprio “Babbo Natale”. Per i francesi era ” Père Noël”, in Inghilterra “Father Christmas” (sempre dipinto con ramoscelli di agrifoglio, edera e vischio) e la Germania aveva “Weihnachtsmann” (l’uomo del Natale). Tutte queste figure natalizie si differenziavano fondamentalmente per il colore delle proprie vesti – chi blu, chi nero, chi rosso -, ma le uniche cose che avevano in comune erano la lunga barba bianca e il loro regalare doni.


L’ultima e più importante incarnazione di Babbo Natale si ha dal 1931 al 1966 quando Haddon Sundblom disegnò la famosa immagine di Babbo Natale per la pubblicità della Coca Cola. Questo è quello che anche noi conosciamo, con la sua lunga barba bianca, il suo inconfondibile abito rosso, gli stivali, la cinta di cuoio e un immancabile sacco carico di doni.
In Europa e Nord America, di solito, le tradizioni legate a Babbo Natale coincidono, anche se in alcuni paesi possono variare nel nome, in alcune caratteristiche e nella data di consegna dei doni: in Spagna, per esempio, la consegna doni è rimandata al 6 gennaio con l’arrivo dei Re Magi; in America Latina si parla, invece, di Papà Noël; in Estremo Oriente, in particolare nei paesi che hanno adottato i costumi occidentali, si festeggia il Natale non in senso cristiano, ma integrando alle religioni orientali tradizioni simili sui portatori di doni dell’Occidente; le popolazioni cristiane dell’Africa e del Medio Oriente che celebrano il Natale, in generale, riconoscono le tradizioni dei paesi europei da cui hanno importato la festività, di solito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e anche i discendenti dei coloni che abitano ancora in quei luoghi seguono le tradizioni dei loro antenati.


Detto ciò, cari amici, vi faccio tanti auguri di “Buon Natale e Felice Anno Nuovo”: che sia il nostro anno, brindo ai successi e alla speranza.
Un besito, amici, ci vediamo l’anno prossimo!

Ilaria Violi

#UnintSport: Le pagelle ignoranti. La partita del 12 dicembre 2019

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Lorenzo Pizzuti: 9. La partita finisce 3-5 perché lo ha deciso lui. Non fa entrare neanche i moscerini in porta. I gol subiti sono dovuti allo stress da apparizione televisiva. AMADEUS

Carmine Caputo: 8,5. L’unico giocatore di movimento a meritare un voto alto. Nonostante lo stato febbrile mette a segno una doppietta e guida la difesa. Più che un muro è un ariete. TACHIPIRINA A 1000

Davide Polletta: 6. Un jolly in campo. Gli viene chiesto di coprire qualsiasi ruolo e non sa più che fare. Perché non va più al Chiringuito? CONFUSO

Valentin D’Amico: 6. Entra in campo spavaldissimo con gli scarpini nuovi di Neymar, purtroppo i piedi non erano inclusi nel prezzo. Passa metà partita a cercare gli attaccanti e metà partita a cercare la lente nell’occhio. CICLOPE

Alessandro Putano: 4. Voto severo nonostante il gol su punizione. Da lui ci si aspetta di più. Forse la dieta a base di panettoni che si è auto-prescritto non funziona. Come lo ritroveremo al rientro dalle vacanze? ENOGASTRONOMICO

Vanni Nicolì: 6. Anche lui subisce molto lo stress da intervista di Rete Oro. Cambia continuamente ruoli e moduli. Mai soddisfatto, sempre arrabbiato. Che classe però. GUARDA È GUARDIOLA

Ludovico Vagnarelli: 8. Per il coraggio. Entra in in campo per provare a strappare il pareggio, rischiando di strapparsi qualsiasi parte del ginocchio. Quella maglia taglia M gli sta proprio bene. MONDIALE

Dario Martufi: 6. Vedi Costantino Porcu. PS: la Lazio ha perso poi? DARIO MARGUFO

Costantino Porcu: 6. Gli vengono concessi pochi minuti di gioco per mettersi in mostra, ma neanche lui riesce a incidere. La sorpresa della serata è la doccia bollente a fine partita con la quale recupera la mobilità del mignolo. COAST TO COSTA (Cit. Baffo)

Tifosi: 100. Nonostante le prime sconfitte, loro continuano a essere presenti e numerosi. Sono un tutt’uno con gli spalti. A breve anche con il permafrost. BRRRRRUTTI SON ALTRI

Valentin D’Amico

#PeopleofUNINT

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Quando ti sei sentita per la prima volta adulta? Che sensazione hai provato?

La prima volta che mi sono sentita adulta è stato da bambina. E io adulta da bambina mi ci sono sentita tante volte. Quando d’estate dopo cena mi piaceva vincere il sonno per restare in giardino ad ascoltare i discorsi dei ‘grandi’.

Quando ho scelto di salire sul palco da sola perché le mie compagne di danza hanno smesso a poche settimane dal saggio. E quando poco tempo dopo ho iniziato a correre in punta di piedi nella classe delle ‘grandi’.

Quando alle feste mi trattenevo al tavolo dei bimbi solo per poco e poi andavo ad ascoltare i grandi perché li trovavo più interessanti e perché io ferma in una situazione che mi annoiava proprio non ci sarei rimasta.

Quando al ristorante al momento delle ordinazioni il cameriere mi proponeva un menu a base di premure, pasta al sugo, cotoletta e patatine fritte e io rispondevo indispettita che avrei preferito un risotto.

Quando nel ’98 (e io sono del ’92) ho chiesto a mia madre di portarmi al cinema a vedere La leggenda del pianista sull’oceano.

Quando ho preparato il primo sugo di pomodoro a mio fratello.

Quando fantasticavo su come sarebbe stata la mia casa. E la immaginavo come una magione ottocentesca. Con un giardino così grande che a stento mi avrebbe consentito di scorgere l’entrata di casa, con un porticato sorretto da colonne bianche dove avrei sorseggiato il tè, con finestre in stile inglese che mi avrebbero regalato più luce, con soffitti alti oltre 3 metri che mi avrebbero fatto sentire come all’aperto, con una grande pista per ballare, una sala da pranzo dove avrei portato in tavola la colazione tutte le mattine e un tetto trasparente per guardare le stelle nelle sere serene.

Avrei scoperto più tardi che nelle sere serene è bello anche starsene ad ascoltare la pioggia. Che basta veder rifiorire le tue piante a prescindere dalla grandezza dello spazio che le ospita, che del tè mi piacciono solo le tazze, che la luce si diffonde più spesso dall’interno, che ci si può sentire come all’aperto anche in soffitta, che si può ballare stando fermi, e che a volte si può stare insieme anche senza sedersi alla stessa tavola.

Non so quanto fossi bambina e quanto adulta quando progettavo la mia magione. In fondo cercavo di progettare la mia vita. Avrei scoperto più tardi che la vita inizia quando smetti di progettarla.

La prima volta che mi sono sentita bambina è stato da adulta. E io bambina da adulta mi ci sono sentita tante volte. Quando ero la più piccola del gruppo, quando avevo desiderio di protezione pur essendo capace di proteggermi da sola, quando cercavo ripetutamente conferma del certo.

C’è stata però una volta in cui sono stata davvero una bambina. Ed è stato quando ho pensato che da adulta non sarei mai più stata bambina. E una in cui sono diventata davvero adulta. Ed è stato quando ho realizzato che sarei rimasta per sempre anche bambina.

Federica Granata

#curiositàdalmondo: Fairy Glen

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Oggi vi parliamo di uno dei luoghi più incantevoli e nascosti della Scozia: Fairy Glen, nel cuore di dell’isola di Skyye nelle Highlands. La valle ha sempre avuto un fascino misterioso e mistico, tant’è che sono molti gli abitanti locali che nel corso della storia sostengono di aver visto delle fate aggirarsi tra questi sentieri.

Scoprite questi incantevoli luoghi in libertà, immergetevi completamente nella natura e lasciatevi ispirare dai paesaggi mozzafiato che soltanto la Scozia sa regalare. Alla fine del vostro percorso arriverete ai piedi di una torre diroccata: Castle Ewan. Ma la particolarità che sicuramente catturerà la vostra attenzione è un grande cerchio di pietre perfettamente disposte a spirale, dove i visitatori si dilettano a lanciare una moneta o a percorrere lentamente la spirale verso il centro e poi di nuovo in senso opposto in una specie di rito propiziatorio.

Raggiungere Fairy Glen non è proprio così semplice dato che non ci sono indicazioni e per alcuni tratti si cammina direttamente sull’erba senza essere guidati da un sentiero. Ma siamo certi che il vostro spirito di iniziativa ci guiderà in questo fantastico luogo.

#UNINTSightseeing: Subiaco (Roma)

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Situato su uno sperone di roccia calcarea a dominio della Valle dell’Aniene, Subiaco è un borgo medievale a circa 70 km da Roma, ricco di attrattive storico-artistiche nonché paesaggi naturalistici mozzafiato, tanto da essere inserito nella lista dei Borghi più belli d’Italia.

La città è essenzialmente nota per essere la sede di due monasteri benedettini: Santa Scolastica e San Benedetto (detto anche Sacro Speco, poiché è stato ricavato direttamente dalle pareti rocciose del Monte Taleo. Pochi sanno che proprio in questo Monastero venne stampato il primo libro in Italia nel 1465, per opera di due allievi tedeschi di Gutemberg. Entrambi gli edifici religiosi, si trovano all’interno del Parco Regionale dei Monti Simbruini, un vero e proprio gioiello per gli amanti della natura: la Villa di Nerone e il Laghetto di San Benedetto sono solo due degli angoli suggestivi di paradiso che possono essere ammirati.

Il centro storico è dominato dalla Rocca Abbaziale che un tempo apparteneva alla famiglia dei Borgia. Costruita in epoca medievale, venne profondamente modificata tra il XVI e il XVII secolo. La leggenda narra che proprio qui sia nata Lucrezia Borgia.

Inoltre, la città è attraversata dal fiume Aniene, uno dei maggiori affluenti del Tevere. Consigliamo soprattutto di passeggiare sul lungo fiume e ammirare le bellezze del centro storico, magari in una giornata tipicamente autunnale. Oppure, per i più dinamici, è possibile anche lanciarsi nello sport del rafting.

Raggiungere Subiaco è molto semplice: basta prendere uno dei tanti autobus Cotral dal capolinea Ponte Mammolo (Linea B della metropolitana).

#MondayAbroad: Danzica

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The best experience in your life that helps you to discover not only another country but the whole world and your own identity😉”: Tatiana Grygorieva
Direttamente da Danzica, seppur ucraina (esattamente di Kiev), oggi conosciamo Tatiana, una dei tanti splendidi Erasmus che ha il piacere di trascorrere insieme a noi il suo periodo italiano.


“Ho scelto Roma per il mio programma Erasmus perché è sempre stata il mio sogno. Mia madre è una fan di Adriano Celentano e a lungo la musica e la lingua, che secondo me è molto melodiosa, mi hanno ispirata. In più, Roma è il cuore dell’Italia! Inoltre, gli italiani sono persone allegre e rispettose, soprattutto per quanto riguarda l’arte, l’amore, la bellezza e la vita in generale. Questa visione mi fa impazzire! Così come i colori che usate nel vestirvi. L’Italia mi sta insegnando ad apprezzare ciò che ho e ciò che è effettivamente presente per me (e ciò che mangio, ossia non un semplice bisogno, bensì un piacere fisico).


Tatiana studia International Business Management e ha deciso di dedicare una buona parte del suo lavoro universitario al mercato italiano della moda poiché spinta dalla grande storia che caratterizza il nostro splendido paese. Chiacchierare con lei è stato molto divertente e stimolante: è una persona molto vivace e attiva, sente veramente ogni parola che pronuncia e, soprattutto dal mio punto di vista, non sapete quanto sia entusiasmante poter avere l’occasione di colloquiare con una forza della natura com’è lei.
Ciò che più mi ha incuriosito è questa sua “doppia” provenienza, dunque ho provato a giocare sui tre paesi protagonisti di quest’intervista: l’Italia, la Polonia e Ucraina.


Secondo Tatiana, ci sono grandi differenze tra i tre Stati: primo fra tutti, il modo di veder la vita. Il motto italiano è “la vita è meravigliosa e talmente tanto corta che non abbiamo tempo per i cattivi pensieri e il pessimo cibo!”, quello polacco “l’attenzione ai dettagli e il sarcasmo sono quanto di più importante ci sia”, mentre quello ucraino è “amiamo la libertà, ma non abbiamo idea di come usarla” (questo dovuto soprattutto agli eventi storici; per chi non lo sapesse, l’Ucraina nasce 28 anni fa e sono ancora un grande work in progress per quanto riguarda la loro identità nazionale).
La seconda grande differenza sono i colori: in Italia usiamo colori smaglianti e floreali (soprattutto sulle vetrine dei negozi), in Polonia utilizzano molto colori pacati come il marrone e il verdone e, infine, l’Ucraina risplende di colori brillanti quali il giallo e il rosso, per esempio.

Un’altra differenza è il rumore “pubblico”: in Polonia, a differenza di Italia e Ucraina, non è appropriato parlare a voce alta in un luogo pubblico, difatti sin da bambini si insegna il rispetto per la quiete altrui.
Infine, l’istruzione: Tatiana racconta che nei suoi due “paesi” l’attenzione dello studente ricade molto più sugli argomenti imparati a memoria, piuttosto che quelli effettivamente compresi. I docenti sono molto severi e ci tengono che i loro allievi imparino bene a memoria i concetti teorici da loro insegnati. Tant’è che mi ha svelato che loro conoscono già le domande che verranno sottoposte in sede d’esame, visto che, appunto, il loro lavoro è semplicemente quello di rispondere alle domande. “Non è il caso italiano! Ho grandi professori che mi dedicano le attenzioni che merito in caso non capisca un determinato argomento e, secondo me, il metodo utilizzato qua è più efficace.”


Concludo l’intervista allontanandomi dalle differenze sopracitate: domando a Tatiana cosa le piace di Roma: “premetto che è la mia prima volta in questa splendida città e in Italia in generale… pensare di andare a vivere un periodo nella capitale mi spaventava e mi continua a spaventare non poco (e i mezzi pubblici non sono proprio la cosa più semplice da capire qua…), ma quando vedi la ricca architettura che il panorama ti offre e senti lo spirito della città, dimentichi ogni pensiero negativo (anche quelli legati al traffico! Ahah) E soprattutto, la gente è così simpatica, aperta, gioviale, emozionale… hanno un grande cuore caldo simbolo della loro cultura e io mi chiedo come faccia a non piacere tutto ciò.