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Interferenze cinesi e russe nelle elezioni USA?

Stampa americana

Il Council on Foreign Relations ha fatto sapere che l’Agenzia per la sicurezza nazionale ha da tempo intensificato gli sforzi per divulgare pubblicamente le informazioni sulle minacce russe al fine di proteggere le reti statunitensi. In tale ottica si pone anche il lavoro di potenziamento del Cyber Command, una delle unità di combattimento del Dipartimento della Difesa statunitense: non sono mancati, sotto questo profilo, lodi e apprezzamenti da parte dei senatori di entrambi i partiti politici. Già da gennaio erano state rilevate delle attività da parte dei militari russi, che avevano tentato di hackerare le strutture della compagnia di gas Burisma, per trovare informazioni su Hunter Biden, figlio di Joe Biden. Viene poi aggiunto che Facebook ha dichiarato che l’Internet Research Agency, una compagnia russa impegnata in attività di influenza online, ha migliorato le tecniche per aggirare i filtri di disinformazione della piattaforma.

Columbia News, il portale di informazioni della Columbia University, sottolinea come la Russia abbia agito anche sul movimento Black Lives Matter e sulla questione delle vaccinazioni, per rimarcare il fatto che il Cremlino stia cercando di intensificare tutte le spaccature della società americana, con l’obiettivo di aggiungere ulteriore stress alla compagine democratica statunitense.

Mancano circa due mesi allo svolgimento delle elezioni presidenziali statunitensi. Come avvenne nel 2016, la Russia di Vladimir Putin ha dato via ad una nuova offensiva informatica per danneggiare i democratici e per far rieleggere Donald Trump. Questo è quanto ha recentemente affermato Microsoft, riportato da The New York Times.

Rispetto a quattro anni fa è presente una novità identificabile nell’interferenza cinese. Essa mira a danneggiare l’attuale Presidente in carica per favorire l’elezione alla Casa Bianca del candidato democratico Joe Biden. Microsoft non ha reso noto quale sia l’avversario straniero che pone la minaccia più grave all’integrità delle elezioni presidenziali del prossimo novembre. Tuttavia, l’opinione degli esperti di cybersecurity ritiene che l’interferenza russa, ad oggi, sia la più minacciosa.

La CNN sottolinea come i rappresentanti dell’amministrazione Trump abbiano contestato tale opinione, sebbene non siano stati in grado di presentare prove a loro sostegno. Le rivelazioni di Microsoft mostrano chiaramente che l’intelligence militare russa continui nel perseguimento dei propri obiettivi legati alle elezioni, nonostante il Cremlino ormai giochi a “carte scoperte”.

Secondo il Vox, la strategia principale delle Russia è quella di seminare discordia e divisione, diminuendo la fiducia nella democrazia. Inoltre, il Cremlino appoggerebbe apertamente  la rielezione del Presidente Donald Trump, mentre la Cina e l’Iran sarebbero molto più focalizzati nel promuovere i propri obiettivi nazionali. Per la Cina, ciò potrebbe significare la promozione della sua narrativa sul Covid-19 o far tacere gli Stati Uniti sulle proteste di Hong Kong. La motivazione di Teheran a condurre tali attività è dovuta alla percezione che la rielezione del presidente Trump porterebbe a una continuazione della politica di pressione degli Stati Uniti nel tentativo di favorire il cambiamento di regime in Iran. Tutti e tre possiedono capacità diverse: la Cina potrebbe non ricorrere alla diffusione di fake news online come la Russia e l’Iran fanno perché possiede altri strumenti più efficaci – economici e tecnologici – che potrebbero permettere alla Cina di raggiungere questi obiettivi.   

Stampa inglese

La BBC riporta che, sulla base delle dichiarazioni di Microsoft, sia la campagna elettorale di Donald Trump che quella di Joe Biden sono finite nel mirino degli hacker, dunque una questione bipartisan quella dell’interferenza elettorale, che coinvolge democratici e repubblicani allo stesso modo. Ma sempre secondo l’azienda informatica la maggior parte degli assalti non avrebbe avuto successo. Dietro questi ‘cyber attacchi’ ci sarebbero quindi Russia, Cina e Iran, e con particolare riferimento a quest’ultimo Paese, un gruppo noto come Phosphorus, avrebbe tentato tra maggio e giugno di accedere ai conti dei funzionari della Casa Bianca e del personale della campagna di Trump. Il pericolo rimane molto concreto perché, come ricorda l’emittente britannica, l’indagine di Robert Mueller aveva concluso che nel 2016 gli hacker russi erano riusciti a forzare l’accesso dei sistemi del Comitato nazionale democratico e dell’email personale di John Podesta, presidente della campagna elettorale di Hillary Clinton.

The Guardian aggiunge che Microsoft non ha determinato quale attore straniero possa rappresentare la maggiore minaccia per l’integrità delle prossime elezioni presidenziali; tuttavia gli esperti di sicurezza informatica sono concordi nel giudicare la Russia come l’insidia più grave. John Hultquist, direttore del dipartimento analisi di intelligence della società FireEye, ha definito l’intelligence militare russa come il più grande pericolo per il corso democratico. 

Il Consigliere alla Casa Bianca per la Sicurezza Robert O’Brien ha annunciato che gli Stati Uniti stanno portando avanti una battaglia contro gli attacchi informatici che provenienti da Cina, Iran e Russia, secondo quanto riportato da Reuters. Inoltre, il Consigliere ha reso noto che ci saranno gravi conseguenze per quei Paesi che stanno cercando di interferire nelle elezioni degli Stati Uniti d’America.   

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

To secure the Election: tame the russian bear in cyberspace disponibile su https://www.cfr.org/blog/secure-election-tame-russian-bear-cyberspace, consultato il 15/09/2020

How to combat russian disinformation in the U.S. Presidential election disponibile su https://news.columbia.edu/news/how-to-combat-russian-disinformation-presidential-election, consultato il 15/09/2020

Russia, China and Iran hackers target Trump and Biden, Microsoft says disponibile su https://www.bbc.com/news/world-us-canada-54110457, consultato il 15/09/2020

Russian hackers targeting US political campaigns ahead of elections, Microsoft warns disponibile su https://www.theguardian.com/technology/2020/sep/10/microsoft-russia-us-election-2020-hackers, consultato il 15/09/2020

Russian Intelligence Hackers Are Back, Microsoft Warns, Aiming at Officials of Both Parties, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/09/10/us/politics/russian-hacking-microsoft-biden-trump.html, consultato il 15/09/2020

Are China and Iran meddling in US elections? It’s complicated, disponibile su https://www.vox.com/21418513/china-iran-us-election-meddling-russia, consultato il 15/09/2020

Russian meddling efforts intensifying as US election nears, disponibile su https://edition.cnn.com/2020/09/12/politics/russian-meddling-2020-us-election/index.html, consultato il 15/09/2020

China targeting U.S. election infrastructure with cyberattacks, says O’Brien, disponibile su https://www.reuters.com/article/us-usa-election-interference-idUSKCN2550Q2, consultato il 15/09/2020

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Giappone: silenzio, si gioca

Stampa statunitense

Applausi, canti, cori, urla: questo è quello che si poteva sentire andando allo stadio nel periodo pre-Covid-19. Nell’era del Coronavirus la realtà è ben diversa. Lo dimostra la riapertura degli stadi agli spettatori in Giappone. Come riporta il New York Times, mentre i principati campionati sportivi negli Stati Uniti e in Europa vedono quelle tribune, un tempo gremite di spettatori, ancora vuote, i tifosi giapponesi assistono alle partite già dall’inizio dello scorso luglio. Infatti, il Paese ha riaccolto gli spettatori negli stadi, ma canti, cori e tamburi per cui sono noti i tifosi giapponesi, sono ancora severamente vietati. Ora, la maggior parte di queste attività è vietata per paura che le persone possano essere spinte, in una frenesia di urla, e che possano usare un qualsiasi spray che può diventare un vettore per la diffusione del virus. Ricordiamo che il Giappone non ha fatto ricorso al cosiddetto lockdown per contenere la diffusione del virus e l’emergenza nazionale dichiarata ad aprile è dipesa in gran parte dall’adesione volontaria dei cittadini. Nelle ultime settimane, le autorità sanitarie del Paese hanno segnalato più di 1000 infezioni in diverse giornate, non c’è stato alcun accenno verso una possibile chiusura.

The Washington Post sottolinea come l’intenzione del governo giapponese sia quella di vaccinare l’intera comunità contro il Coronavirus entro la metà del prossimo anno. Anche se ciò si dovesse rivelare impossibile, gli organizzatori degli ormai rimandati Giochi Olimpici di Tokyo 2020 insistono sul fatto che i Giochi si svolgeranno ugualmente, forse con un numero ridotto di spettatori. In una recente intervista, Toshiro Muto, CEO di Tokyo 2020, ha affermato che poiché è altamente probabile che le Olimpiadi avranno luogo con il Coronavirus ancora presente nella comunità internazionale, è necessario adottare delle misure che permettano sia agli spettatori che agli atleti di partecipare all’evento in sicurezza. Inoltre, aggiunge che se si riuscirà ad organizzare Tokyo 2020 – ormai 2021 – con una pandemia in corso, questo servirà sicuramente da modello per come dovranno essere gestiti in futuro eventi simili su scala globale in situazioni di emergenza come quella che stiamo attraversando quest’anno.

Stampa giapponese

Nippon.com racconta come la nuova realtà sportiva imposta dal coronavirus sia stata del tutto peculiare anche quando gli stadi erano completamente vuoti. Nei match di baseball che sono ripartiti nel mese di giugno, si è cercato inizialmente di ricreare l’eccezionale calda atmosfera a cui solo i tifosi sanno dare vita. Per esempio, durante un incontro allo Yokohama Stadium la squadra di casa, la DeNA BayStars, ha occupato 5.000 posti interni con fotografie giganti dei propri fan; inoltre era stato messo a disposizione per gli spettatori a casa, un live streaming con la telecronaca delle ex stelle del baseball. E, come se non bastasse, i tifosi potevano accedere in videoconferenza alla piattaforma Zoom per poi ritrovarsi proiettati sullo schermo digitale dello stadio.

Anche a Taiwan e nella Corea del Sud, per sopperire a una presenza limitata negli stadi, sono state affisse fotografie dei propri tifosi. Ancora, in ambito calcistico si stanno cercando di sviluppare nuovi approcci: la Yamaha Corporation è impegnata a studiare una ‘tecnologia di tifo a distanza’, ovvero una app che permette ai supporter da casa di trasmettere le loro voci direttamente agli altoparlanti dello stadio. Perché come sappiamo, gli eventi sportivi professionali, secondo il programma governativo giapponese, hanno sì iniziato a rivedere una presenza fisica dei propri sostenitori ai vari incontri a partire da luglio, ma comunque è in atto uno sforzo creativo per sviluppare nuove forme di intrattenimento, in quanto il Giappone teme che molte squadre aziendali possano scomparire, come era già successo negli anni tra lo scoppio della bolla speculativa giapponese del 1990 e la grande crisi finanziaria internazionale del 2008. Infatti, oltre alle perdite sui biglietti, i club dovranno fare i conti con le diminuzioni dei guadagni su prodotti come cibo e bevande che vengono solitamente venduti durante le partite.

Il Japan Press Weekly ha invece voluto evidenziare come nel mese di maggio il governo giapponese abbia messo a disposizione di gruppi sportivi e associazioni culturali e artistiche, un budget di 56 miliardi di yen per riprendere le proprie attività. Ma lamenta il giornale, è ancora troppo poco.

Japan Times, affidandosi alle parole dell’AD di Sports Branding Japan, ha sottolineato come sia importante cercare di comprendere le potenzialità del nuovo mercato offerto dai servizi video, per fare in modo che leghe e squadre si aprano a nuove idee per ampliare il mercato, creando piani aziendali nuovi. Viene inoltre affrontato il tema dei Giochi Olimpici e Paraolimpici di Tokyo, che sono stati rinviati alla prossima estate. Numerosi interrogativi, infatti, ruotano attorno a tale questione; per esempio, ci si chiede se gli sponsor che avevano termini contrattuali previsti per il 2020, avranno un rinnovo gratuito oppure dovranno versare denaro aggiuntivo. Infine, viene affrontato il tema più delicato relativo ai problemi dei Giochi Paraolimpici, perché gli atleti con specifiche disabilità fisiche potrebbero rifiutarsi di viaggiare in Giappone per problematiche legate al proprio sistema immunitario.

Dunque, anche lo sport ha dovuto ovviamente ridimensionare il proprio spazio in seguito alla pandemia da Covid-19, delineando inediti scenari dei propri campi da gioco, che nel passato sarebbero sembrati assurdi o, addirittura, inimmaginabili.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

Sitting in Silence With 5,000 Fans: The New Sound of Japanese Sports, disponibile su  https://www.nytimes.com/2020/09/09/world/asia/japan-coronavirus-jleague-soccer.html, consultato il 10/09/2020

Organizers, IOC Trying to Remove Doubts Over Tokyo Olympics, disponibile su https://www.nytimes.com/aponline/2020/09/08/sports/olympics/ap-oly-tokyo-future.html, consultato il 10/09/2020

Tokyo Olympics organizers say Games can proceed without a coronavirus vaccine, disponibile su https://www.washingtonpost.com/world/asia_pacific/tokyo-olympics-japan-coronavirus-vaccines/2020/09/03/8e858c88-e799-11ea-bf44-0d31c85838a5_story.html, consultato il 10/09/2020

Government compiles support measures covering a wide range of sports clubs disponibile su http://www.japan-press.co.jp/s/news/index.php?id=12969, consultato il 11/09/2020

Expert calls on Japanese sports industry to innovate after pandemic disponibile su https://www.japantimes.co.jp/sports/2020/06/30/general/expert-calls-japanese-sports-industry-innovate-pandemic/, consultato il 11/09/2020

Japanese pro sports tries to adapt to a new coronavirus reality disponibile su https://www.nippon.com/en/in-depth/d00595/, consultato il 11/09/2020

COVID as a catalyst for corporate sports reform disponibile su https://www.nippon.com/en/in-depth/d00581/, consultato il 11/09/2020

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Trump ispira l’estrema destra tedesca

Stampa statunitense

“Trump è a Berlino!”. È una donna ad urlarlo da un palco a Berlino durante la manifestazione di attivisti di estrema destra svoltasi il 5 settembre scorso. Sebbene Donald Trump non fosse in Germania ma a kilometri di distanza quel giorno, la donna è risultata così convincente che alcuni attivisti di estrema destra si sono presentati all’ambasciata americana di Berlino per parlare con lui. La faccia di Trump veniva mostrata su striscioni, T-shirt e sulle bandiere sventolate da una folla di 50.000 persone che sono scese in piazza per manifestare contro le restrizioni adottate a causa della pandemia in Germania.

Come riporta il New York Times, questa è l’ennesima prova che il Presidente Trump stia diventando oggetto di culto nel panorama della destra tedesca, sebbene sia generalmente impopolare tra la maggior parte dei tedeschi, secondo quanto mostrano i sondaggi. Tuttavia, il suo messaggio di “rottura”, il suo schietto nazionalismo e la tolleranza dei suprematisti bianchi uniti al suo scetticismo sui pericoli della pandemia, stanno avendo larga eco oltre il continente nordamericano, specialmente in Germania. In un momento storico in cui la linea tra informazione vera e informazione falsa si fa sempre più sottile e non è ben delineata, un messaggio simile comporta dei rischi reali per le democrazie occidentali, consentendo ai gruppi di estrema destra di raccogliere consensi tra coloro che sono scettici nei confronti delle misure adottate per il contenimento della pandemia di Coronavirus.  In Germania, come negli Stati Uniti, Trump è diventato una fonte di ispirazione per questi gruppi di minoranza.

Tra questi non ci sono solo movimenti di estrema destra, ma anche seguaci di QAnon, la teoria del complotto di Internet popolare tra alcuni dei sostenitori di Trump. I seguaci di QAnon sostengono che Trump stia combattendo contro un “Deep State” che controlla finanza e potere.

La CNN sottolinea come i sondaggi registrino un alto tasso di approvazione nei confronti della Cancelliera Angela Merkel per l’approccio deciso mostrato al momento dello scoppio della pandemia. Inoltre, i sondaggisti hanno registrato un calo del consenso nei confronti di Alternative für Deutschland, il primo partito di estrema destra ad entrare nel 2017 nel Parlamento federale tedesco dagli anni ’60. Il partito aveva cercato di sfruttare al meglio lo scetticismo nei confronti della pandemia e aveva invitato i suoi sostenitori a prendere parte alle manifestazioni dello scorso sabato.

Stampa tedesca

A Berlino nelle scorse settimane una folla indomita di manifestanti si è ritrovata per protestare contro le misure pandemiche attuate dal governo. Nello specifico, un particolare è riuscito a catturare l’attenzione di molti: l’eterogeneità dei dimostranti. Già, perché oltre ai nazionalisti, come racconta un giornalista di Deutsche Welle, c’era anche chi ha prontamente sventolato la bandiera che fu utilizzata prima nella Germania imperiale, e poi nella Germania nazista, la “Reichsflagge”. In altre parole, vi era una presenza cospicua di neonazisti. Ciò che dunque ha turbato la classe politica sono stati sia l’indifferenza dei nazionalisti nel marciare assieme a dimostranti con tendenze tanto oltranziste, sia il fatto che i radicali di estrema destra potrebbero utilizzare questo movimento di profondo malcontento per i propri fini. Il Presidente federale Frank-Walter Steinmeier ha infatti definito questa vicenda come un attacco insopportabile al cuore della democrazia. Soprattutto, non è passata inosservata la presenza di esponenti del “Reichsbürger”, ovvero “i cittadini del Reich”, un movimento che si oppone al moderno Stato tedesco. In questo caso l’emittente tedesca, al contrario della stampa internazionale, non ha lasciato grande spazio al fatto che in queste veementi manifestazioni, che hanno raggiunto il loro culmine nei pressi del Reichstag, ci sia stato un forte richiamo all’attuale Presidente americano, che viene idolatrato da molti degli esponenti tedeschi di estrema destra. Nell’era di Trump è aumentato il numero dei gruppi neonazisti statunitensi che hanno un forte legame con i neonazisti tedeschi.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

Trump Emerges as Inspiration for Germany’s Far Right, disponibile su  https://www.nytimes.com/2020/09/07/world/europe/germany-trump-far-right.html, consultato il 09/09/2020

Germany’s virus response won plaudits. But protests over vaccines and masks show it’s a victim of its own success, disponibile su https://edition.cnn.com/2020/09/05/europe/germany-virus-response-victim-of-own-success-intl/index.html, consultato il 09/09/2020

Opinion: Anti-pandemic protesters too cozy with neo-Nazis disponibile su https://www.dw.com/en/opinion-anti-pandemic-protesters-too-cozy-with-neo-nazis/a-54785002, consultato il 09/09/2020

Extremists could hijack coronavirus rallies in Germany, warns BfV head disponibile su https://www.dw.com/en/german-reichstag-protests/a-54783070, consultato il 09/09/2020

German leaders slam extremists who rushed Reichstag steps disponibile su https://www.dw.com/en/german-leaders-slam-extremists-who-rushed-reichstag-steps/a-54758246, consultato il 09/09/2020

US neo-Nazi groups on the rise under President Donald Trump: report disponibile su https://www.dw.com/en/us-neo-nazi-groups-on-the-rise-under-president-donald-trump-report/a-42688331, consultato il 09/09/2020

What are the links between US and German neo-Nazis? disponibile su https://www.dw.com/en/what-are-the-links-between-us-and-german-neo-nazis/a-40127263, consultato il 09/09/2020

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La Francia rivive l’incubo di Charlie Hebdo. Comincia il processo

Stampa francese

“Perché? Sì perché? Perché questi tre giorni insensati di crimini il 7, 8, 9 gennaio 2015?”: queste sono le parole con cui il periodico satirico francese Charlie Hebdo ha commentato l’inizio del processo sugli attacchi terroristici del gennaio 2015 avvenuti a Parigi contro la sede del proprio giornale, la poliziotta Clarissa Jean-Philippe e il supermercato Hyper Cacher a Porte de Vincennes. Il periodico, che per l’occasione ha deciso di rendere fruibile online anche ai non abbonati la visione degli articoli sul processo, ha raccontato che, dopo la lettura durata quasi quattro ore del Rapporto sulle stragi di quei giorni, è emersa una incredibile rete di intermediari e confluenze, un terribile sistema, per cui tutto ha avuto inizio con traffici illeciti di armi e di denaro.

Uomini armati, posti di blocco, perquisizioni, metal detector e sistema anti-drone. Così viene presidiata la zona a nord-ovest di Parigi, dove è stata appositamente costituita una speciale Corte d’assise per ospitare il processo, che la Prefettura di Polizia della città considera esposto al rischio di attacchi terroristici. E infatti, riferisce Le Monde, l’area del tribunale di Batignolles è stata completamente blindata e resa accessibile solo agli autorizzati; ovviamente, il tutto si svolge sotto l’imposizione di rigorose norme sanitarie. Altra peculiarità, dettata dall’eccezionalità storica dell’evento, è la registrazione del processo, non per riproduzione televisiva o digitale, bensì per interesse d’archivio.

Ma cosa accadde di preciso in quei giorni? La mattina del 7 gennaio i fratelli Saïd e Chérif Kouachi attaccarono la sede del settimanale satirico, dove morirono dodici persone; successivamente, l’8 gennaio Amedy Coulibaly uccise l’agente di polizia municipale e, ancora, il 9 gennaio ammazzò quattro uomini durante la loro presa in ostaggio nel negozio Hyper Cacher. Tutti e tre gli assassini morirono durante due distinte operazioni di polizia.

Dunque, ora toccherà alla Corte d’assise, composta da cinque eminenti magistrati guidati da Régis de Jorna, ascoltare i testimoni e giudicare gli imputati ritenuti colpevoli a diversi livelli. Le accuse più pesanti sono però rivolte verso Mohamed Belhoucine e Ali Riza Polat, rispettivamente il maggiore dei due fratelli attentatori e un parente di Coulibaly: questi due uomini sono infatti indagati per concorso in omicidio, mentre gli altri sono imputati per associazione con finalità di terrorismo – solo uno per associazione a delinquere –. Soprattutto, chiarisce il quotidiano, l’obiettivo è quello di arrivare a una verità processuale che individui il mandante degli attacchi, poiché nonostante le rivendicazioni dei gruppi terroristici, al riguardo permane ancora una certa ambiguità.   

Le Figaro invece, comunica il successo del numero unico pubblicato da Charlie Hebdo in occasione dell’avvio del processo. “Tout ça pour ça”: così esordisce in prima pagina l’edizione speciale, accompagnando l’impetuosa scritta alle vignette su Maometto che hanno trasformato il giornale in un bersaglio d’attacco. 200.000 copie vendute in un solo giorno. Un modo coraggioso per ribadire il diritto a far sentire la propria voce.  

Stampa statunitense

In queste settimane la Francia sta risfogliando le pagine di un capitolo molto doloroso della sua storia recente. Infatti, dall’attentato di Parigi del gennaio 2015 sono passati più di cinque anni e proprio in questi giorni è iniziato il processo agli imputati dell’attacco alla sede del giornale satirico Charlie Hebdo che costò la vita a 17 persone (14 civili e 3 poliziotti). Nell’attacco morirono anche i 3 terroristi: i fratelli Saïd e Chérif Koucachi e Amedy Coulibaly.

Come riporta il New York Times, gli imputati per la strage al periodico francese sono 14, accusati di aver fornito supporto logistico e materiale ai terroristi. Se dovessero essere condannati, molti di loro dovranno scontare 20 anni di prigione. Il tribunale di Parigi ascolterà circa 150 testimoni e, per la prima volta nella storia, il processo verrà filmato perché ne rimanga memoria per le generazioni future. Come ha affermato Philippe Lançon, un sopravvissuto dell’attacco alla sede del giornale, il processo è “una cerimonia necessaria e simbolica e anche, per alcuni di noi, di consolazione”. Questa settimana la nuova copertina di Charlie Hebdo riporta “Tout ça pour ça”, traducibile con “Tutto questo per niente” e alcune vignette raffiguranti il Profeta Maometto. Ovvero, una strage non è riuscita a far tacere il giornale, che da sempre ha difeso la sua libertà di espressione e anche il “diritto alla blasfemia”.  L’ultima vignetta raffigurante il Profeta, accompagnata dal titolo “Tutto è perdonato”, risale ai giorni successivi alla strage.

Il Washington Post sottolinea che gli attuali editori di Charlie Hebdo hanno affermato che sarebbe un “atto di codardia politica o giornalistica” non pubblicare le vignette perché sentono la necessità di ricordare alle persone che quello che ha provocato la strage è stata una vignetta. La pubblicazione è stata anche difesa dal Presidente Emmanuel Macron.

La CNN ha riportato le parole del Presidente francese: “In Francia, il diritto alla blasfemia è legato alla libertà di coscienza. Dal mio punto di vista, sono qui per la tutela di queste libertà”.

Stampa araba

In Pakistan, a seguito della pubblicazione di queste vignette satiriche riguardanti Maometto, è stata bruciata una bandiera francese in segno di disprezzo. Le rappresentazioni figurative del Profeta, specialmente quelle che mirano a ridicolizzarlo, sono assolutamente vietate dalla religione islamica. Al Jazeera riporta la condanna che il Ministro degli Esteri pakistano Shah Mahmood Qureshi ha manifestato verso il periodico satirico; il Ministro ha affermato che la decisione di stampare nuovamente queste vignette è profondamente offensiva nei confronti dei musulmani.    

Arab News ricorda innanzitutto che il processo è iniziato in questi giorni a causa dei ritardi inevitabili imposti dall’emergenza da coronavirus. Poi, racconta della provocazione determinata dal numero speciale di Charlie Hebdo, sottolineando che si tratta di una mossa pienamente corrispondente allo stile del giornale. Infine, riporta l’ipotesi secondo cui Mohamed Belhoucine sia responsabile di aver esercitato una certa influenza ideologica su Coulibaly dopo un loro incontro avvenuto in carcere e, sempre secondo questa teoria, l’uomo sarebbe l’autore che ha favorito il canale di comunicazione tra Coulibaly e l’organizzazione jihadista.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

Procès des attentats de janvier 2015 : première journée calme dans la forteresse du tribunal de Paris disponibile su https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/09/03/proces-des-attentats-de-janvier-2015-premiere-journee-calme-dans-la-forteresse-du-tribunal-de-paris_6050790_3224.html, consultato il 04/09/2020

Contraintes sanitaires et haute sécurité au premier jour du procès des attentats de janvier 2015 disponibile su https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/09/03/contraintes-sanitaires-et-haute-securite-au-premier-jour-du-proces-des-attentats-de-janvier-2015_6050772_3224.html, consultato il 04/09/2020

Quarante-neuf jours d’audience, quatorze accusés et près de 200 parties civiles : ce qu’il faut savoir sur le procès des attentats de janvier 2015 disponbile su https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/09/02/quarante-neuf-jours-d-audience-14-accuses-et-pres-de-200-parties-civiles-coup-d-envoi-du-proces-des-attentats-de-janvier-2015_6050663_3224.html, consultato il 04/09/2020

Procès des attentats de janvier 2015: Le premier jour disponibile su https://charliehebdo.fr/2020/09/justice/proces-des-attentats-de-2015-le-premier-jour/, consultato il 04/09/2020

Charlie Hebdo: succès pour le numéro spécial procès, 200.000 exemplaires réimprimés disponibile su https://www.lefigaro.fr/medias/charlie-hebdo-succes-pour-le-numero-special-proces-200-000-exemplaires-reimprimes-20200904, consultato il 04/09/2020

Trial begins over Charlie Hebdo terrorist killings that shook France disponibile su https://www.arabnews.com/node/1728366/world, consultato il 04/09/2020

Trial Over January 2015 Attacks Opens in Paris disponibile su https://www.nytimes.com/2020/09/02/world/europe/charlie-hebdo-trial-france.html, consultato il 05/09/2020

The Charlie Hebdo trial serves as a reminder that we can’t have freedom without solidarity disponibile su https://www.washingtonpost.com/opinions/2020/09/04/charlie-hebdo-trial-serves-reminder-that-we-cant-have-freedom-without-solidarity/, consultato il 05/09/2020

 Charlie Hebdo to reprint controversial cartoons as terror trial begins disponibile su https://edition.cnn.com/2020/09/01/media/charlie-hebdo-cartoons-trial/index.html, consultato il 05/09/2020

Suspected accomplices of Charlie Hebdo attackers go on trial disponibile su https://www.aljazeera.com/news/2020/09/suspected-accomplices-charlie-hebdo-attackers-trial-200902083859111.html, consultato il 05/09/2020

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Tensioni tra Grecia e Turchia nel Mediterraneo. Cosa fa l’Europa?

Stampa statunitense

Nel contesto geopolitico già instabile che caratterizza l’Unione Europea in questo ultimo periodo, si inasprisce il conflitto riguardante i diritti di sfruttamento dei giacimenti di gas naturale nel Mediterraneo orientale, che vede come protagonisti due strategici membri della NATO: stiamo parlando di Grecia e Turchia. Come riporta il New York Times, questi due Stati confinanti si stanno scontrando per lo sfruttamento delle risorse che si trovano nelle loro acque contese. Nel mentre Israele, Cipro, Grecia ed Italia stanno progettando un gasdotto chiamato EastMed, per portare il gas nei loro paesi. Basandosi sulle più recenti rivendicazioni marittime della Turchia il gasdotto attraverserebbe le “acque turche” e per questo motivo il Presidente Erdogan ha minacciato di bloccare il progetto. Inoltre, la Turchia sostiene che Cipro non abbia il diritto di sfruttare le sue risorse di gas finché non raggiunga un accordo con i turco-ciprioti del nord dell’isola. Sebbene la Turchia non abbia firmato la convenzione ONU sul diritto del mare, che prevede l’istituzione delle EEZ – zone economiche esclusive- contesta quelle rivendicate dalla Grecia e da Cipro e ne vuole una più ampia. 

Questa situazione di stallo è il più grave scontro tra alleati della NATO da quando la Grecia e la Turchia si sono scontrate nel 1996 per la contesa di due isole disabitate.

Il Time si è occupato di fornire una dettagliata ricostruzione di questa instabile vicenda che sta dividendo la leadership europea circa la risposta da assumere al riguardo. Formalmente si tratta di una controversia sul versante energetico, dal momento che Grecia e Turchia stanno tentando di riaffermare la propria legittimità sulle stesse aree geografiche del Mediterraneo orientale. Il fatto è che i rapporti tra i due Paesi non sono mai stati particolarmente amichevoli, soprattutto per una questione legata allo status di Cipro. L’isola infatti, nel 1974 era stata invasa nella zona settentrionale dalla Turchia, conseguentemente, i greco-ciprioti erano stati costretti a fuggire e più tardi, venne proclamata la Repubblica Turca di Cipro del Nord (TRNC). Nonostante questa divisione, nel 2004 la Repubblica di Cipro è entrata a far parte dell’UE, ma la sua situazione è rimasta, per così dire, ancora irrisolta.

Non solo Cipro, però. Di mezzo ci sono anche altri fattori, uno di questi è legato al massiccio afflusso dei migranti. La Turchia difatti, che ne ospita circa 4 milioni sulla base di un accordo europeo del 2016, aveva nel mese di febbraio minacciato di consentire la fuoriuscita di migranti verso il territorio greco, e per questo è stata rimproverata dall’UE. Nel mese di luglio invece, la riconversione in moschea della Basilica di Santa Sofia, ha fatto adirare la Grecia e la Russia, in quanto poli della cristianità ortodossa. Ora questa disputa, trascina con sé le schermaglie di altri Paesi: se da un lato la Turchia gode della disponibilità del governo libico, soprattutto dopo che è stato firmato un accordo bilaterale che garantirebbe l’espansione delle trivellazioni turche nel Mediterraneo orientale, dall’altro lato la Grecia può contare sulla Francia di Macron e sull’Egitto di Al-Sisi. Non a caso il leader francese oltre ad aver sostenuto militarmente la Grecia ha definito ‘criminale’ l’atto turco, mentre il dirigente egiziano ha minacciato di agire contro la Turchia in Libia. Quanto agli Stati Uniti, va detto che il Presidente Trump si è preoccupato di raggiungere telefonicamente i leader dei rispettivi Paesi per invitarli al dialogo, tuttavia vuole di fatto lasciare un ruolo più concreto da mediatore alla Germania. E sempre l’ambiente americano ha voluto evidenziare come la Russia stia praticamente trasformando militarmente quest’area, principalmente in virtù della realizzazione dell’hub navale nel porto siriano di Tartus.

Le crescenti tensioni tra i due Stati dividono l’Unione Europea. Come afferma Foreign Policy, la Germania tenta di ricoprire il ruolo di mediatore, mentre Francia, Grecia, Cipro e Italia sono impegnate in esercitazioni navali militari vicino alla costa cipriota con il fine di dissuadere la Turchia dal condurre ulteriori esplorazioni in acque contese per fini energetici.

Bloomberg sottolinea il fatto che Grecia e Cipro hanno chiesto pesanti sanzioni contro la Turchia, la quale potrebbe minacciare la cooperazione con l’UE, compreso il ruolo cruciale di Ankara nel contenere il flusso di rifugiati diretti verso l’Europa dal Medio Oriente e dall’Africa nell’ambito di un accordo siglato nel 2016.

Stampa greca

Che opinione ha la popolazione greca e quella turca circa questa situazione? Il Greek City Times riporta un sondaggio non troppo rassicurante. Per quanto sia la maggioranza dei Turchi a volere una risoluzione diplomatica della questione, esiste una percentuale consistente degli intervistati che, seppur in minoranza (35%), si è espressa a favore di uno scontro armato con la Grecia. Inoltre, il 45% dei Greci sostiene di essere favorevole al conflitto armato se il rapporto tra i due Stati si dovesse inasprire.

Il quotidiano Kathimerini ricorda che la politica energetica espansionista della Turchia nel Mediterraneo orientale si basa sulla dottrina marittima della Blue Homeland o Mavi Vatan, strategia elaborata dall’ammiraglio Cem Gurdeniz nel 2006. Blue Homeland rappresenta la filosofia che vuole condurre Ankara a ricoprire una posizione sempre più indipendente rispetto alle decisioni degli altri attori internazionali.

Essendo la Grecia favorevole ad un intervento militare contro la Turchia, l’Unione Europea come dovrebbe comportarsi nel caso in cui dalle parole si passasse ai fatti?

Stampa turca

Il Daily Sabah ha riportato che, in seguito all’annuncio fatto dal Primo ministro greco Kyriakos Mitsotakis secondo cui il governo si stava accingendo a presentare un progetto di legge volto a estendere le acque territoriali greche nel Mar Ionio, il Ministro degli affari esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha precisato che una tale misura avrebbe potuto comportare un conflitto. Inoltre, il Ministro ha criticato duramente il sostegno francese alla causa greca, puntualizzando che a suo avviso tale manovra si inserisce nella volontà della Francia di creare una forza di sicurezza europea in opposizione alla NATO.

Anche il Presidente turco si è mostrato infastidito dall’atteggiamento francese; infatti il quotidiano Hürriyet ha raccontato che Erdoğan ha tenuto a sottolineare che l’era delle potenze coloniali si è conclusa già da tempo, e che quindi nessuno avrebbe potuto arrestare tale ‘risveglio per la giustizia’.  In più, la storica testata ha riportato la notizia dell’appello fatto da Papa Francesco durante l’Angelus domenicale per invocare il dialogo costruttivo, un modo per raccontare la crescente preoccupazione dell’ambiente internazionale.  

Ormai è chiaro che tale tensione rischia di rompere dei già precari equilibri, e come un effetto domino, qualora non dovesse essere trovata la giusta mediazione, potrebbe rendere davvero incandescente lo scenario del Mediterraneo.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

How dangerous is Greece and Turkey’s Mediterranean standoff? disponibile su https://time.com/5884397/turkey-greece-tensions/, consultato il 01/09/2020

Turkey warns of ‘war’ in East Med as tensions mounts over Greece’s aggressive actions disponibile su https://www.dailysabah.com/politics/diplomacy/turkey-warns-of-war-in-east-med-as-tension-mounts-over-greeces-aggressive-actions, consultato il 01/09/2020

Turkey after its right in Med, calls for dialogue disponibile su https://www.hurriyetdailynews.com/seeking-justice-at-core-of-turkeys-east-med-activities-says-erdogan-157883, consultato il 01/09/2020

Ankara welcomes Pope Francis’ call for dialogue in East Med disponibile su https://www.hurriyetdailynews.com/ankara-welcomes-pope-francis-call-for-dialogue-in-east-med-157872, consultato il 01/09/2020

Rising Tensions Between Turkey and Greece Divide E.U. Leaders disponibile su https://www.nytimes.com/2020/08/27/world/europe/greece-turkey-eu.html, consultato il 01/09/2020

Turkey Seeks to Sideline EU in Maritime Disputes With Greece disponibile su https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-08-27/turkey-seeks-to-sideline-eu-in-maritime-disputes-with-greece, consultato il 01/09/2020

EU Leaders Meet as Eastern Mediterranean Crisis Deepens disponibile su https://foreignpolicy.com/2020/08/27/eu-leaders-meet-eastern-mediterranean-crisis-turkey-greece/, consultato il 01/09/2020

Surveys find minority of Turks want war and Greeks are more prepared for conflict in East Mediterranean disponibile su https://greekcitytimes.com/2020/08/30/surveys-find-minority-of-turks-want-war-and-greeks-are-more-prepared-for-conflict-in-east-mediterranean/, consultato il 01/09/2020

Greek-Turkish relations on a knife-edge disponibile su https://www.ekathimerini.com/256301/opinion/ekathimerini/comment/greek-turkish-relations-on-a-knife-edge, consultato il 01/09/2020

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L’Ungheria è ancora un Paese democratico? Freedom House dice di ‘no’. E intanto la stampa indipendente è sotto attacco…

Stampa statunitense

Classificata come “regime ibrido o in transizione”, l’Ungheria oggi non può più essere considerata una democrazia secondo il report Nations in Transit 2020 pubblicato da Freedom House lo scorso maggio. Secondo quanto riporta la suddetta ONG, l’Ungheria si colloca nel crescente gruppo di regimi ibridi, situandosi nella zona grigia tra democrazie e pure autocrazie. Infatti, è stato registrato un peggioramento nei punteggi che si riferiscono alla classificazione del processo elettorale, dell’amministrazione locale democratica e della corruzione. Inoltre, a fronte di ciò, è fondamentale fare chiarezza sull’idea di democrazia e di quanto essa possa essere distorta e strumentalizzata. È possibile così individuare le manifestazioni pragmatiche del significato profondo di democrazia, ovvero quelle che hanno una influenza sul concetto stesso di essa. La democrazia in quanto tale se non “quantificabile” perde ogni credibilità: essendo un concetto apparentemente impossibile da misurare, come se ne può determinare il livello? Impiegando degli indici, pur non parlando di unità di misura scientifiche in quanto la democrazia non è un dato misurabile. Questi indici non rappresenteranno certo la soluzione perfetta ma quantomeno quella migliore.

Secondo il report Freedom in the World, Freedom House assegna all’Ungheria un punteggio pari a 70 su 100 per quanto riguarda il livello di democrazia nel Paese. Relativamente a quanto specificato sopra, riguardo la possibilità di poter quantificare il livello di democrazia facendo uso di indici, quelli utilizzati da Freedom House si diramano in due macro gruppi: diritti politici e libertà civili. All’interno di quest’ultimo ritroviamo la libertà di espressione che, in relazione al caso ungherese in queste settimane, è al centro del dibattito internazionale.

Il New York Times sottolinea la concentrazione nelle mani del governo ungherese dei mezzi di informazione, compresivi dei media e della stampa, e come questo fenomeno si stia estendendo anche alla vicina Polonia. Infatti, il giornale riporta la notizia del licenziamento dell’editore Szabolcs Dull e le successive dimissioni di metà dello staff di Index, giornale ungherese online di notizie nazionali ed internazionali. Si tratta di un giornale indipendente che risulta evidentemente scomodo al Governo.

Foreign Policy racconta come il Primo Ministro ungherese abbia sfruttato la pandemia per togliere potere e credibilità all’opposizione e ai nuovi sindaci schierati all’opposizione, limitando la loro capacità di portare avanti gli atti di ordinaria amministrazione delle loro città. In particolar modo, questo è apparso chiaro nel caso del nuovo sindaco di Budapest, Gergely Karacsony, rappresentante dell’opposizione, poiché Orban ha apportato dei tagli sostanziali alle principali fonti di finanziamento del municipio della capitale. Foreing Policy parla di democrazia “illiberale” riferendosi all’Ungheria.   

Lo smantellamento, da parte del Primo Ministro Viktor Orban, del meccanismo istituzionale di “controlli e contrappesi”, che caratterizza i rapporti tra i vari poteri dello Stato negli ordinamenti democratici, ha portato Freedom House a collocare il Paese nella categoria dei regimi ibridi. Questo è quanto riporta Bloomberg.

Secondo Bloomberg, sarebbe stata proprio la pandemia – e il conseguente approccio governativo – a far scivolare la nazione ungherese nella categoria del “sistema ibrido” fra democrazia e autarchia, nel rapporto di Freedom House. Questa organizzazione non governativa internazionale realizza delle indagini per tenere costantemente sotto controllo il grado delle libertà e dei diritti dei vari Paesi, fornendo un punteggio democratico che si basa su sette categorie principali, tra cui corruzione e libertà dei media. Ebbene, l’Ungheria non è più una democrazia: tale è la conclusione di Freedom House dopo l’ulteriore consolidamento del potere da parte di Orban.

Il Politico si occupa invece di riportare le dichiarazioni di Vĕra Jourová, vicepresidente della Commissione Europea e responsabile del coordinamento delle politiche sui valori e la trasparenza, la quale si è mostrata gravemente preoccupata in merito alla situazione del sito di notizie ungherese Index. Stando alle parole della vicepresidente, è importante che vengano garantite la pluralità di stampa e la libertà di espressione; l’indipendenza politica sarebbe infatti ora esposta a un grande rischio, che finirebbe per compromettere le libere elezioni nel Paese.

Stampa inglese

Anche la BBC parla dell’incessante scontro con l’Unione Europea, ricordando che il governo di Orban si è più volte scontrato con l’Unione in materia di stato di diritto. Poi, l’emittente britannica si sofferma sulla questione Index, denunciando il fatto che nel World Press Freedom Index l’Ungheria sia 89° su 180 nazioni. Quasi tutte le testate ungheresi, difatti, attendono le direttive da parte del governo su cosa denunciare e su come farlo e l’unico media svincolato da qualsiasi forma di assoggettamento era Index.  Tuttavia, le preoccupazioni per la sua indipendenza hanno iniziato a concretizzarsi quando diversi mesi fa Miklos Vaszily, un imprenditore pro-Orban, ha acquisito una quota del 50% della società che gestisce le pubblicità e le entrate di Index. Non a caso Szbolcs Dull, il caporedattore, solamente un mese fa aveva pubblicato un pezzo preoccupante nel quale affermava che la testata era esposta a una tale pressione esterna che avrebbe potuto mettere fine alla loro redazione.

Proprio l’editore capo è stato licenziato, e quasi tutta la sua équipe si è successivamente dimessa come forma di protesta. Reuters racconta la protesta di Budapest, dove migliaia di ungheresi hanno marciato verso la sede del Primo Ministro per opporsi alle azioni di governo per esercitare pressione sul sito e sui media in generale. Il pubblico verrebbe così privato del punto di vista più indipendente nel panorama dei media ungheresi.

Affinché l’opinione pubblica sia considerata come tale, devono sussistere precise condizioni, tra cui la libertà di espressione. Se i flussi di informazione vengono privati della loro autonomia, la democrazia perderà uno dei suoi elementi costitutivi, scivolando inevitabilmente in un allarmante stato patologico.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

Hungary’s Independent Press Takes Another Blow and Reporters Quit disponibile su https://www.nytimes.com/2020/07/24/world/europe/hungary-poland-media-freedom-index.html, consultato il 29/07/2020

Viktor Orban Has Declared a War on Mayors disponibile su https://foreignpolicy.com/2020/07/28/viktor-orban-has-declared-a-war-on-mayors/, consultato il 29/07/2020

Orban’s Hungary Is No Longer a Democracy, Freedom House Says disponibile su https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-05-06/orban-s-hungary-is-no-longer-a-democracy-freedom-house-says, consultato il 29/07/2020

Thousands of hungarians march for media freedom after website muzzled disponibile su https://www.reuters.com/article/us-hungary-media/thousands-of-hungarians-march-for-media-freedom-after-website-muzzled-idUSKCN24P1CQ, consultato il 28/07/2020

Hungary’s Index journalists walk out over sacking disponibile su https://www.bbc.com/news/world-europe-53531948, consultato il 28/07/2020

Jourová raises concerns as Hungarian reporters resign disponibile su https://www.politico.eu/article/commissioner-vera-jourova-raises-concerns-as-hungarian-reporters-resign/, consultato il 28/07/2020

Freedom House disponibile su https://freedomhouse.org/country/hungary/freedom-world/2020#CL, consultato il 29/07/2020

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E intanto Trump raddoppia gli sforzi per il vaccino. Sarà grazie alle rivalità politiche che ci salveremo dal virus?

Stampa statunitense

Da sentirsi in pericolo a rappresentare il pericolo. Con oltre 70 mila nuovi casi registrati ogni giorno, gli Stati Uniti d’America contano oltre 4 milioni e 150 mila casi di Coronavirus ad oggi, secondo i dati forniti dalla Johns Hopkins University. È di questi giorni l’annuncio dell’amministrazione Trump di un contratto da 2 miliardi di dollari con Pfizer e BioNTech per 100 milioni di dosi del vaccino per il Covid-19. Nonostante non ne sia ancora stato sviluppato uno e non sia chiaro se la versione proposta da Pfizer funzionerà, si inizia a vedere una luce di speranza in fondo a questo tunnel. Sarà il settore privato a comprare la maggior parte dei vaccini negli Stati Uniti d’America e non il governo.

Il New York Times riporta come l’approccio adottato da Trump sia simile a quello suggerito dal candidato democratico Joseph Biden. Infatti, il piano di risposta alla pandemia proposto da Biden prevede che la nazione aumenti la produzione su larga scala di tutti i potenziali vaccini per assicurare alla popolazione statunitense, e dunque non solo alle persone benestanti, l’accesso alle nuove terapie.

Il POLITICO afferma che il Presidente Trump ha scommesso che un vaccino efficace contro il Coronavirus costituirà la sorpresa del mese di ottobre che lo catapulterà al secondo mandato. Tuttavia, le tempistiche non si stanno rivelando favorevoli per l’attuale Presidente nonostante gli sforzi della Casa Bianca. Sono numerose le perplessità del mondo scientifico circa l’affidabilità di un vaccino sintetizzato in pochi mesi e senza essere noti i possibili effetti collaterali nel lungo periodo. Una corsa contro il tempo per Trump – e una corsa all’oro per le aziende farmaceutiche che vogliono giungere per prime alla scoperta del vaccino strategico – più che per la salute della popolazione, per la rielezione alla Presidenza degli Stati Uniti d’America. Inoltre, questa corsa alla prevenzione potrebbe non garantire, oltre l’efficacia, soprattutto la sicurezza del vaccino giacché non sussistono i tempi necessari minimi per garantire la quasi totale sicurezza delle dosi.

Per questo motivo, in attesa della scoperta di un vaccino utile, diversi consulenti di Trump hanno sollecitato il Presidente a rifocalizzare la sua attenzione e la sua energia su azioni attuabili nel breve periodo e ad assumere un ruolo più attivo nel condurre la lotta contro la pandemia. Questo fatto viene riproposto anche dalla CNN, la quale racconta anche dell’intenzione di Trump di voler riaprire le scuole nelle prossime settimane, non seguendo le indicazioni della comunità scientifica, ma perseguendo i propri interessi in vista delle prossime elezioni. Infatti, gran parte dell’elettorato repubblicano chiede la riapertura delle scuole.

La CNBC parla di un accordo storico raggiunto tra il Presidente Trump e le società Pfizer e BioNTech, che stanno studiando insieme quattro potenziali vaccini anti-Covid. L’affare serve a garantire agli Stati Uniti l’acquisizione di 100 milioni di dosi qualora il vaccino dovesse rivelarsi efficace, più la possibilità di acquistare 500 milioni di dosi addizionali. Trump ha detto che gli Stati Uniti stanno “incredibilmente bene” nella ricerca medica e nello studio dei potenziali vaccini. Un’affermazione che risulta altisonante poiché pronunciata nel momento in cui il Paese sta registrando una nuova crescita vertiginosa di contagi.

Il quotidiano della regione del Triangolo, News & Observer, pone invece rilievo sulla visita programmata di Trump al centro Fujifilm Diosynth Biotechnologies a Morrisville, un’azienda farmaceutica che produce sostanze per la proteina NVX-CoV2373, candidata al vaccino di Novavax. Il governo federale ha infatti parlato all’inizio di luglio dell’intesa di 1,6 miliardi di $ con Novavax per dimostrare che sarà possibile giungere alla produzione su scala commerciale del vaccino. Questo atto si collega dunque alla campagna che l’amministrazione Trump sta sviluppando per mostrare la spinta americana a sviluppare un vaccino.

Il New Yorker sviluppa una lunga riflessione con cui esprime perplessità circa l’effettiva efficacia di questa energica corsa contro il tempo sui vaccini. Ricorda che a maggio Trump ha lanciato il piano chiamato Operation Warp Speed, l’operazione che dovrebbe condurre entro la fine dell’anno alla consegna di centinaia di milioni di dosi del vaccino anti-Covid, e che nell’immediato ha suscitato grande speranza; ma nella scienza i fatti sono ben più complessi. Innanzitutto, il periodico statunitense rinvia al fatto che le ricerche siano ancora indirizzate verso lo studio di tutti i possibili effetti della virus, e per di più si stratta di una malattia che fin da subito si è dimostrata essere multiforme e complessa. Si è rivelata, in alcuni casi, come una malattia asintomatica e, in altri, ha condotto rapidamente alla morte, a seconda di alcuni fattori che non sono stati ancora compresi. Anthony Fauci ha anche aggiunto la possibilità che alcuni sopravvissuti potrebbero presentare effetti debilitanti per tutta la vita. Studi recenti hanno poi dimostrato come alcuni contagiati non abbiano sviluppato un’immunità duratura; è dunque altrettanto possibile che il vaccino possa fornire una copertura solo iniziale, per poi svanire. È difficile inoltre elaborare una vaccinazione capace di conferire immunità a diverse fasce di età e con diversi gradi di vulnerabilità. Non solo, un vaccino di prova, oltre a non conferire protezione, potrebbe facilitare il virus ad attaccare le cellule; di conseguenza è rischioso affrettarsi nel procedere con le prove umane. Margaret Heckler nel 1984 disse che il vaccino per l’AIDS sarebbe stato disponibile nel giro di due anni, eppure ancora oggi non esiste un vaccino. Ecco, gli scienziati temono che le promettenti previsioni dell’amministrazione Trump siano destinate a rivelarsi come quelle dell’amministrazione Reagan: errate.   

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI

Vaccine, U.S.-China, Mars: Your Thursday Briefing disponibile su https://www.nytimes.com/2020/07/22/briefing/vaccine-america-china-mars.html, consultato il 25/07/2020

The U.S. Commits to Buying Millions of Vaccine Doses. Why That’s Unusual disponibile su https://www.nytimes.com/2020/07/22/upshot/vaccine-coronavirus-government-purchase.html, consultato il 25/07/2020

Is Trump on track for an October vaccine surprise? disponibile su https://www.politico.com/news/2020/07/22/trump-october-vaccine-surprise-coronavirus-379278, consultato il 25/07/2020

Trump’s pandemic reversals betray anxiety about November election hopes disponibile su https://edition.cnn.com/2020/07/21/politics/donald-trump-coronavirus-masks-briefings-election-2020/index.html, consultato il 25/07/2020

President Trump touts Pfizer and BioNTech coronavirus vaccine: ‘We think we have a winner’ disponibile su https://www.cnbc.com/2020/07/22/trump-applauds-government-contract-with-pfizer-and-biontech-says-he-thinks-vaccine-is-a-winner.html, consultato il 24/07/2020

Trump to visit North Carolina biotech company, discuss vaccine efforts Monday disponibile su https://www.newsobserver.com/news/politics-government/article244445582.html, consultato il 24/07/2020

The long game of coronavirus research disponibile su https://www.newyorker.com/science/medical-dispatch/the-long-game-of-coronavirus-research, consultato il 25/07/2020b

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La campagna dei democratici contro Trump sarà centrata sulla pandemia.   
Lo dimostrano i servizi di NY Times e CNN

CNN

Il Presidente Donald Trump ha storicamente un rapporto conflittuale con la stampa. In particolar modo con l’emittente televisiva statunitense CNN, con la quale gli attriti sono ulteriormente aumentati negli ultimi mesi. Il Presidente ha criticato la CNN ininnumerevoli occasioni sin dall’inizio della sua presidenza. Eclatante fu il tweet del luglio 2017, nel quale editava una puntata della WWE– World Wrestling Entertainment in cui faceva una breve apparizione. Nella versione modificata, Trump proiettava a terra un personaggio della WWE ponendo sul suo viso il logo della CNN, come a rappresentare il dominio di Trump nei suoi confronti.

Come si spiega questo astio nutrito da Trump nei confronti dell’emittente? Il tutto trova fondamento nella diffusione di fake news, che hanno ulteriormente inasprito i rapporti con il Presidente e creato una nuova tipologia di guerra non convenzionale. Questa pregressa situazione, sommata alle implicazioni del Coronavirus, potrebbe influire in maniera determinante sulle elezioni presidenziali.

Come riporta l’articolo della CNN del 23 giugno 2020, Trump sta toccando con mano tutte le conseguenze della pandemia, non potendo portare avanti come vorrebbe la sua campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni: pesanti accuse sono state avanzate dai Democratici in merito alla volontà di Trump di creare assembramenti nei comizi elettorali. L’emittente ha sottolineato che, avvicinandosi al giorno delle elezioni, quasi sicuramente il numero dei decessi negli Stati Uniti sarà di gran lunga superiore a quello registrato adesso e questo costringerà Trump ad ammettere di aver lasciato un Paese in condizioni critiche per affrontare una crisi sanitaria pubblica senza precedenti. Tra le risposte alle accuse, il Presidente ha anche affermato che se tutti i Paesi rispettassero le normative, come lui stesso fa, promuovendo l’impiego dei tamponi, e testassero le popolazioni, si vedrebbe come gli Stati Uniti d’America non rappresenterebbero un caso così critico in merito alla diffusione del virus, come invece presentato dagli “anti-Trumpiani” e dalla comunità internazionale.

New York Times

Forti. Agguerriti. Qualcosa che unisce il Presidente Donald Trump e il quotidiano New York Times esiste, e sicuramente è il modo spietato con cui entrambi si attaccano vicendevolmente. Già dalla corsa nel 2016 per le presidenziali, l’autorevole testata americana aveva offerto il proprio sostegno alla candidata democratica Hillary Clinton. Poi, nel corso del mandato presidenziale, gli attacchi verso Trump si sono intensificati, ovviamente, sul versante della sua linea politica. Il giornale infatti, si è mosso in nome del liberalismo progressista di cui si fa portavoce: un’area liberal – come è nota nella tradizione statunitense – molto attenta alle questioni sociali. Il Presidente dal canto suo, che aveva definito il quotidiano una fake news dopo le dimissioni dell’editore James Bennet, o ancora, promulgatore dell’ideologia marxista in riferimento al progetto 1619, non ha mai mancato di rispondere alle provocazioni mosse contro di lui.

E adesso, in un recente articolo, l’ennesima offensiva: un’indagine, articolata in cinque punti, sulla cattiva gestione della pandemia da parte dell’amministrazione Trump. Per la precisione, ad essere messa sotto accusa, sarebbe l’articolazione della risposta all’emergenza nel periodo critico delle settimane di metà aprile in cui, mossi dalla fretta di dichiarare la vittoria contro il virus, si sarebbe scatenata una nuova ondata pericolosa di contagi. In primo luogo, le decisioni sulla gestione del virus sarebbero state prese essenzialmente da un piccolo gruppo di collaboratori del Presidente che elaborava strategie sulla base delle linee dettate da Trump, tralasciando i pareri degli esperti di sanità pubblica. Successivamente, viene specificato che il maggior peso è stato attribuito alle valutazioni del medico Deborah Birx, che basandosi sull’esperienza dell’Italia, aveva ipotizzato che il virus in America fosse ormai sotto controllo, che il picco era alle spalle e che i morti e i contagi si sarebbero ben presto attestati attorno allo 0. Oltre a ciò, data la volontà primaria di far ripartire l’economia, Trump avrebbe intensificato una campagna pubblica contro i test, poiché questi avrebbero dimostrato che i casi sarebbero stati sempre più in aumento. Inoltre, viene dato prova che con l’atteggiamento negligente del Presidente, che si è voluto sottrarre alle sue responsabilità, si è creato un vuoto di potere che ha lasciato i governatori e i funzionari statali alle prese con uno sforzo maggiormente impegnativo nella lotta al virus. Infine, viene denunciato il fatto che Washington si sarebbe mossa troppo in ritardo per iniziare a riconoscere i propri errori; difatti solamente nelle prime giornate di giugno, i funzionari dell’amministrazione hanno ammesso che le loro previsioni erano sbagliate.

Fra le grandi conseguenze che questa pandemia farà registrare, ci sarà anche un cambiamento nelle stanze della Casa Bianca? I Democratici attendono con impazienza.   

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

Trump’s pandemic failing is now directly impacting his campaign, disponibile su https://edition.cnn.com/2020/06/23/politics/donald-trump-coronavirus-campaign-testing/index.html, consultato il 22/07/2020.

Inside the failure: 5 takeaways on Trump’s effort to shift responsibility disponibile su https://www.nytimes.com/2020/07/18/us/politics/trump-coronavirus-failure-takeaways.html, consultato il 22/07/2020.

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Pompeo spiazza tutti: “Più diritti non significa più giustizia”.
Ma gli analisti dicono che sta gettando le basi della nuova politica estera americana

Stampa statunitense

Giovedì scorso, il Segretario di Stato americano Mike Pompeo si è pronunciato contro la “proliferazione” dei diritti umani, affermando che “più diritti non significa più giustizia”. Questo è quanto riporta la CNN. Le affermazioni del Segretario di Stato sono concomitanti alla presentazione della bozza formulata dalla Commissione sui Diritti Inalienabili. Tale Commissione aveva il compito di esaminare la supposta “proliferazione dei diritti” e focalizzare i diritti che devono essere “onorati”. Il Segretario di Stato ha precisato che “il nucleo stesso di ciò che significa essere un americano, anzi lo stile di vita stesso americano, è sotto attacco” tra le proteste nazionali per la giustizia razziale e contro la brutalità della polizia. Nel suo discorso Pompeo ha più volte evidenziato l’importanza per ogni americano di riconoscere quelli che i Padri fondatori concepivano come “diritti inalienabili” e, in particolare, si è soffermato sui diritti della proprietà e sulla libertà religiosa.

Il Politico riporta l’opinione del Segretario di Stato, il quale spera che la versione finale di questa bozza influenzi la politica dei diritti umani sia statunitense che globale. La bozza presentata in questi giorni ha sollevato numerose critiche e perplessità nel mondo accademico. Infatti, alcuni esperti hanno sottolineato come questa bozza contenga diverse affermazioni caratteristiche di Pompeo, ad esempio i rifermenti agli avversari statunitensi, come Iran e Cina. Inoltre, le perplessità sono sorte circa l’impatto che questa pronuncia della Commissione sui Diritti Inalienabili può avere sui diritti delle donne e della comunità LGBTQ. Gli attivisti sostengono che, seguendo le indicazioni disposte nella bozza, una persona omosessuale ha il diritto di vivere ma non quello di sposarsi. Dunque, gli Stati potrebbero decidere autonomamente circa tali questioni. Probabilmente la chiave di tutto, come si legge ancora nel National Review, è nella rotta che si vuole imprimere alla politica estera dei Repubblicani e degli Stati Uniti d’America.

Il New York Times è stato accusato da Pompeo a causa del suo “1619 Project” sulla schiavitù (vedi in paragrafo successivo la spiegazione). Il Segretario di Stato sostiene che il giornale miri a diffondere un’idea di America costituita da oppressori ed oppressi. In aggiunta, Pompeo ha affermato che “il Partito Comunista Cinese è felice quando vede il New York Times declamare la sua ideologia”. Il New York Times ha ribattuto che questo progetto ha contribuito a comprendere meglio la storia della fondazione degli Stati Uniti d’America e a tenere vivo un dialogo che permette di riesaminare le supposizioni riguardo il passato. Per quanto riguarda la recente pubblicazione della bozza della Commissione, il giornale ha riportato che gli esperti di diritti umani avvertono che questa azione potrebbe costituire un precedente globale per altre nazioni circa la definizione dei diritti umani, minacciando gli sforzi diplomatici volti a fermare la persecuzione delle minoranze religione in luoghi come la Cina, o la promozione dei diritti delle donne in Paesi quali Arabia Saudita ed Iran.

Questa Commissione nata nel 2019, all’interno del Dipartimento di Stato, rappresenta un punto di rottura rispetto alla politica finora adottata dagli Stati Uniti: sembra che stiano facendo passi indietro, mettendo a repentaglio le fondamenta dei valori statunitensi conosciuti in tutto il mondo. La Commissione, di stampo conservatore, in realtà non rinnega le origini che costituiscono il Paese, ma scredita quelle che a partire dal secondo dopoguerra sono state vantate e prese ad esempio dalla comunità internazionale, a discapito di quelle invece più antiche, risalenti alla nascita del Paese. La Commissione ha quindi avanzato una bozza con la speranza di concretizzarla. Vi si tratta, tra l’altro, di diritti degli omosessuali, di religione e del ruolo dello Stato. Quali conseguenze si potranno avere sulla comunità internazionale nel caso in cui questa bozza, raggiunta la versione definitiva, diventi la guida in tema di diritti umani per gli Stati Uniti, considerando l’influenza che essi hanno sul mondo Occidentale e non?

Stampa francese

Il 16 luglio 2020 con una cerimonia che si è tenuta nella città di Philadelphia, il Segretario di Stato Mike Pompeo ha presentato la proposta di relazione prodotta dalla Commissione sui Diritti Inalienabili. L’organismo consultivo sui diritti umani che si avvale della forza intellettuale dei suoi membri ed è presieduto da Mary Ann Glendon, docente alla Harvard Law School. Nella prefazione viene immediatamente fatto riferimento agli sconvolgimenti attraversati dalla società americana nelle ultime settimane in merito alle questioni razziali e viene auspicato che la redazione di tale rapporto possa essere in grado di nutrire i valori di orgoglio e umiltà, radicati nei principi costitutivi del Paese e agganciati saldamente alla dottrina politica americana. 

1619 è l’anno in cui furono trasportati i primi schiavi in America, ed è anche il nome che il New York Times ha dato a un progetto-inchiesta che pone in discussione il passato degli Stati Uniti, mettendo in discussione lo schiavismo. FR24news racconta che Mike Pompeo ha definito questa iniziativa come un inno all’ideologia marxista che vuole dipingere i fondatori americani esclusivamente come un gruppo di oppressori. Durante la conferenza al National Constitution Center, Pompeo ha inoltre espresso le sue preoccupazioni riguardo alle numerose voci dissidenti che si stanno sollevando contro i principi fondanti degli Stati Uniti, e che possono rappresentare un attacco all’essenza stessa degli Americani. Il capo della diplomazia statunitense ha poi esaltato la proprietà privata e la libertà religiosa come i più importanti fra i diritti inalienabili, aggiungendo che i Padri fondatori riuscirono a istituire un sistema durevole, capace di proteggerli. Ad ogni modo, numerose critiche sono arrivate in risposta a queste dichiarazioni. Molti gruppi sui diritti umani hanno affermato, ad esempio, che il diritto di proprietà venne sostenuto dai Padri fondatori nel tempo in cui essi proclamavano anche il diritto di possesso di altri esseri umani tramite l’esercizio della schiavitù.

Future en seine si è occupata proprio di registrare le opinioni contrarie che hanno stimolato la costituzione della Commissione. I democratici e le organizzazioni sui diritti umani, infatti, hanno manifestato perplessità circa il mandato e il funzionamento di tale organo, nonché sulle ripercussioni che potrebbe avere sui diritti umani in tutto il mondo. Rob Berschinski, vicepresidente della politica di Human Rights First, ha dichiarato che questa Commissione rappresenta uno sforzo politico non necessario, progettato dall’amministrazione statale per fornire copertura intellettuale al tentativo di riorganizzare la politica estera americana sulla base delle opinioni politiche e religiose dei dirigenti istituzionali.

Il documento in fase conclusiva apre alla possibilità di una inclusione di nuovi diritti, chiarendo però che il tutto deve avvenire con cautela e ricordando, in ultima istanza, che la protezione dei diritti umani è una lotta senza fine, che proprio la storia degli Stati Uniti è stata capace di insegnare.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

Draft of the report of the Commision on Unalienable rights disponibile su https://www.state.gov/wp-content/uploads/2020/07/Draft-Report-of-the-Commission-on-Unalienable-Rights.pdf, consultato il 17/07/2020

Pompeo déclare que le mode de vie américain «est attaqué», frappe le projet «marxiste» 1619 du NYT dans un discours enflammé disponibile su https://www.fr24news.com/fr/a/2020/07/pompeo-declare-que-le-mode-de-vie-americain-est-attaque-frappe-le-projet-marxiste-1619-du-nyt-dans-un-discours-enflamme.html, consultato il 17/07/2020

Pompeo affirme que la propriété privée et la liberté de religion sont les droits de l’homme «les plus importants» disponibile su  https://www.fr24news.com/fr/a/2020/07/pompeo-affirme-que-la-propriete-privee-et-la-liberte-de-religion-sont-les-droits-de-lhomme-les-plus-importants-us-news.html, consultato il 17/07/2020

Pompeo dit que plus de droits ne signifient pas plus de justice, comme il révèle le rapport sur les droits de l’homme disponibile su https://futur-en-seine.paris/pompeo-dit-que-plus-de-droits-ne-signifient-pas-plus-de-justice-comme-il-revele-le-rapport-sur-les-droits-de-lhomme/17396/, consultato il 17/07/2020

Pompeo says more rights don’t mean more justice as he unveils human rights report disponibile su https://edition.cnn.com/2020/07/16/politics/commission-on-unalienable-rights-report-unveiled/index.html, consultato il 17/07/2020

Pompeo Says Human Rights Policy Must Prioritize Property Rights and Religion disponibile su https://www.nytimes.com/2020/07/16/us/politics/pompeo-human-rights-policy.html, consultato il 17/07/2020

Pompeo rolls out a selective vision of human rights disponibile su https://www.politico.com/news/2020/07/16/mike-pompeo-human-rights-hierarchy-366627, consultato il 17/07/2020

What Does Pompeo’s Commission on Unalienable Rights Mean for U.S. Foreign Policy? disponibile su https://www.nationalreview.com/corner/what-does-pompeos-commission-on-unalienable-rights-mean-for-u-s-foreign-policy/, consultato il 18/07/2020

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Russia, proteste anti-Putin. Ma questa volta a scendere in piazza non sono le élite metropolitane…

Stampa inglese

La BBC racconta che sabato 11 luglio un numero record di persone ha affollato le strade della città di Chabarovsk, capoluogo della regione russa estremo-orientale, per protestare contro l’arresto di Sergei Furgal e, più in generale, per esprimere una voce dissidente verso le tattiche “spietate” di repressione del dissenso da parte di Mosca. Altre manifestazioni minori sono state registrate in diverse altre città della regione.

Per il Telegraph queste proteste si legano a delle frustrazioni di vecchia data con Mosca, in quanto le persone che vivono nella regione – racconta un portavoce – si sentono escluse geograficamente e finanziariamente dal resto della Russia. Non a caso, Chabarovsk è stata una delle poche regioni ad avere una affluenza particolarmente bassa e una vittoria incerta per gli emendamenti costituzionali voluti da Putin. Il quotidiano riporta, inoltre, che quello di Furgal è l’ennesimo arresto di una nuova ondata repressiva a cui i servizi segreti russi hanno dato il via la scorsa settimana.

Il Financial Times, invece, presenta un retroscena interessante sulla vicenda, affidandosi alle parole di Alexander Khinstein, un parlamentare vicino alla polizia russa. Pare infatti che il Governatore russo abbia continuato a gestire delle attività fraudolente mentre era in Parlamento. Inoltre, le indagini hanno preso una svolta dopo che quattro persone, arrestate lo scorso novembre, hanno fornito prove decisive agli investigatori. In pratica Furgal, che prima di entrare nel mondo della politica era un imprenditore con interessi nel commercio del legname e del metallo, sarebbe sotto osservazione dagli anni ’90, anche per i suoi contatti con la criminalità organizzata. 

Stampa francese

Dopo l’istanza di arresto da parte di un tribunale di Mosca, Sergei Furgal resterà in detenzione preventiva, in attesa del processo, fino a settembre. Così riferisce Le Figaro. L’esponente del partito nazionalista LDPR, che grazie alle preferenze del 70% circa era riuscito nel 2018 a estromettere il partito del Cremlino, ha rigettato tutte le accuse a suo carico.

«Libertà» e «Mosca vai a casa» sono solo alcuni degli slogan che circa 35.000 persone hanno urlato per manifestare contro le accuse rivolte a Furgal. Le Monde aggiunge che il comunicato stampa rilasciato dagli investigatori menziona una serie di crimini e omicidi avvenuti fra il 2004 e il 2005 ai danni di una serie di imprenditori, annotando che molti osservatori hanno ravvisato una componente politica nel caso. Viene precisato che tutto ciò sarebbe il sintomo di un declino della popolarità di Putin, per cui, quando cresce l’insoddisfazione, essa tende a manifestarsi fugacemente su temi sociali, ambientali o locali. Mosca finisce però sempre per ignorare e mostrare inflessibilità verso le opposizioni. Questo accadde, ad esempio, nell’estate del 2019 durante le manifestazioni a Mosca. Ma ora è difficile per il Cremlino spazzare via il malcontento come un capriccio della gioventù istruita della capitale.

Stampa statunitense

Il New York Times riporta che nella giornata di sabato 11 luglio, la città di Chabarovsk, nel circondario federale dell’Estremo Oriente russo, ha visto sfilare tra le sue strade decine di migliaia di manifestanti. Una folla che, intonando il coro “Putin dimettiti”, chiedeva le dimissioni del Presidente e il rilascio del governatore regionale arrestato la settimana scorsa con l’accusa di omicidio multiplo. Si tratta di Sergei Furgal, uno dei pochi leader provinciali non affiliato a forze politiche interamente controllate dal Cremlino. Altri episodi di proteste si sono registrati in diverse città della regione di Chabarovsk.

Il New York Times,in un altro articolo, sottolinea che, dopo aver lasciato ai leader regionali la maggior parte della responsabilità nella battaglia contro il Coronavirus, adesso il Cremlino ha lanciato un chiaro messaggio ai potenti locali: non si può sfidare la volontà del Presidente. Dunque, sembra trattarsi dell’arresto politicamente motivato di un personaggio scomodo al Cremlino che gode dell’appoggio popolare in una regione difficilmente controllabile poiché distante 8000 km dalla capitale.

La CNN ricorda che l’arresto è avvenuto due settimane dopo il via libera ottenuto da Putin con il referendum che gli consente di rimanere al potere oltre i limiti di mandato previsti, vedendo la scadenza dal 2024 al 2036. Inoltre, sottolinea sempre la CNN, dopo la dichiarazione di innocenza da parte di Furgal, il tribunale di Mosca ha disposto il suo stato di fermo fino al 9 settembre prossimo.

Riprendendo un articolo pubblicato da Voice of America nel 2011 – proprio all’inizio della protesta che avrebbe poi preso il nome di “Rivoluzione bianca” –, si nota come anche quel movimento di protesta si rivolgesse al Presidente Putin a seguito dello svolgimento, ritenuto “irregolare”, delle elezioni parlamentari.

Le presunte irregolarità al Cremlino sembrano ormai aver assunto un moto ciclico: le proteste cambiano contesto e periodo, ma non cambiano volto. Coloro che misero in dubbio la trasparenza nella gestione politica ed elettorale durante il lasso temporale 2011-2013 sono gli stessi che ancor oggi si sono mobilitati al fine di demolire la credibilità di un Putin che sembra ormai più uno Zar che un Presidente. Il movente se pur diverso sembrerebbe molto chiaro anche questa volta: perché accusare un governatore di omicidio proprio adesso? Quanto peso ha il fatto che l’area sotto il dominio del governatore subisca una forte influenza cinese? Dovremo osservare ancora qualche tempo per capire le reali ragioni, o forse è già troppo tardi?

Stampa russa

Al momento oltre 40.000 persone hanno firmato la petizione per il rilascio di Furgal ed almeno 10.000 sono stati i manifestanti a scendere tra le vie delle loro città nella regione di Chabarovsk per protestare contro il Cremlino, come riportato da The Moscow Times. Proprio nella regione incendiata adesso da questi movimenti di protesta, si trovava in giorni scorsi il Vicepresidente del governo Yury Trutnev: una chiara scelta strategica da parte del Governo, che vuole far sentire la propria presenza in quella regione così lontana dal cuore del potere.

Questo caso può segnare un precedente e può avere serie conseguenze per i partiti di opposizione in Russia. Così è quanto sostiene la TASS. Infatti, è altamente probabile che le accuse mosse contro Furgal, oltre a danneggiare la sua immagine, renderanno più difficile il futuro successo elettorale del Partito Liberal-Democratico di Russia, di cui fa parte il governatore.

Riusciranno i manifestanti russi a marciare per le vie delle città fino a quando il tribunale di Mosca non si sarà espresso oppure il Governo riuscirà a mettere in sordina le loro voci?

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

Russie: manifestations massives en soutine à un gouverneur détenu pour meurtres disponibile su https://www.lefigaro.fr/flash-actu/russie-manifestations-massives-en-soutien-a-un-gouverneur-detenu-pour-meurtres-20200711, consultato il 14/07/2020

Dans l’Extrême-Orient russe, l’arrestation d’un gouverneur provoque des manifestations massives disponibile su https://www.lemonde.fr/international/article/2020/07/12/dans-l-extreme-orient-russe-l-arrestation-d-un-gouverneur-provoque-des-manifestations-massives_6046012_3210.html, consultato il 14/07/2020

Russian governor’s arrest sparks anti-Putin protests disponibile su https://www.ft.com/content/dea8bdff-19bf-4857-b882-cc83a5d07eca, consultato il 14/07/2020

Russia far east protest over Khabarovsk governor’s arrest disponibile su https://www.bbc.com/news/world-europe-53373132, consultato il 14/07/2020

Anti-Kremlin protests rock Russia’s once sleepy hinterland disponibile su https://www.telegraph.co.uk/news/2020/07/13/anti-kremlin-protests-rock-russias-sleepy-hinterland/, consultato il 14/07/2020

Protests Rock Russian Far East With Calls for Putin to Resign disponibile suhttps://www.nytimes.com/2020/07/11/world/europe/russia-protests-putin.html, consultato il 13/07/2020

Protests erupt in Russia’s Far East after arrest of governor over years-old murders disponibile su https://edition.cnn.com/2020/07/11/europe/russia-arrest-sergey-furgal-intl/index.html, consultato il 13/07/2020

Russian Governor Is Accused of Multiple Murders as Kremlin Claws Back Powers disponibile su consultato il 14/07/2020

Pro-Democracy Protests Put Putin, Russia at Turning Point disponibile su http://www.voanews.com/english/news/Moscow-Braces-for-Anti-Putin-Rally-135313948.html, consultato il 14/07/2020

Giant Protests in Russia’s Far East After Popular Governor’s Arrest disponibile su https://www.themoscowtimes.com/2020/07/11/giant-protests-in-russias-far-east-after-popular-governors-arrest-a70849, consultato il 14/07/2020

Kremlin Envoy in Far East as More Protest Governor’s Arrest disponibile su https://www.themoscowtimes.com/2020/07/13/kremlin-envoy-in-far-east-as-more-protest-governors-arrest-a70862, consultato il 14/07/2020

Khabarovsk governor in custody, faces murder charges disponibile su https://tass.com/russia/1176369, consultato il 14/07/2020