Mi chiamo Emanuele, ho 19 anni e sono
italiano, nato a Roma da genitori italiani.
Il mio primo contatto con una lingua
straniera è avvenuto, come per molti, a scuola. L’inglese mi ha appassionato
fin da subito, e ha accresciuto in me la voglia di conoscere altre lingue e
culture.
Durante il periodo delle scuole
elementari e medie non ho avuto tempo né modo di viaggiare, poiché i miei
genitori lavoravano molto ed ero troppo piccolo per muovermi da solo.
Una volta giunto il momento di
scegliere quale strada intraprendere per la scuola superiore ero molto
indeciso, ma grazie ai consigli dei miei genitori ho capito che continuare ad
impegnarmi nello studio delle lingue era il percorso migliore per me. Poco
prima dell’inizio delle superiori i miei genitori decisero di partire per Berlino.
Proprio questo viaggio mi ha permesso di innamorarmi di una lingua come il
tedesco.
Per i cinque anni di scuola superiore
decisi quindi di studiare, oltre all’inglese (obbligatorio), lo spagnolo (a
continuazione dei tre anni di scuola media) ed il tedesco. Sebbene quest’ultima
sia una lingua complessa, mi impegnai al massimo affinché le mie capacità
linguistiche aumentassero di giorno in giorno.
In più, crescendo ho avuto la
possibilità di viaggiare da solo, con la scuola o con i miei genitori: tra i
viaggi più importanti ci sono stati quelli in Spagna, Germania e Inghilterra.
Anche l’Erasmus è stato un progetto
fondamentale, a cui ho preso parte negli ultimi tre anni di superiori: ho
passato un mese a Siviglia, uno a Londra ed una settimana a Stoccarda, e questi
soggiorni mi hanno permesso un’immersione completa nella lingua.
Proprio questo percorso pieno di
influenze positive dal punto di vista delle lingue straniere mi ha portato a
credere che il lavoro da interprete fosse il migliore per me.
Oggi sto studiando nel percorso
trilingue di tedesco, portoghese e cinese, cercando quindi di perfezionare le
mie conoscenze per quanto riguarda la lingua tedesca, e ampliare il mio
bagaglio culturale con due nuove lingue.
Seppur difficile, sento che questa è la
mia strada, e cercherò di raggiungere i miei obiettivi con il massimo impegno,
perché credo nelle parole di Abraham Lincoln: “decidete che una cosa si può e
si deve fare e troverete il modo”.
Sono Barbara Bartoli, ho 47
anni, sono di Trieste ma vivo a Roma. Ho una bambina di 8 anni che si chiama Maria
e sono felicemente sposata.
Sono un’esperta di
marketing e comunicazione, idealista e visionaria perché credo fermamente che ogni persona, azienda, associazione, istituzione
abbia il dovere di rendere il mondo un posto migliore.
IL MIO PERCORSO
Professionalmente non nasco come docente e non sono cresciuta nel mondo accademico, bensì ho sempre lavorato in diverse realtà nell’ambito del marketing e della comunicazione: prima nel digital advertising – Virgilio il primo portale italiano, correva l’anno 2000, poi nel mondo delle ricerche di mercato qualitative internazionali – Synovate Censydiam, oggi parte del gruppo Ipsos, poi in aziende multinazionali del largo consumo – Unilever, Algida), fino ad approdare in Amnesty International come Direttore Crescita e Innovazione.
Le mie esperienze, prima
nel mondo profit e poi nel mondo del non profit, mi hanno permesso di
raggiungere la consapevolezza che il
marketing e la comunicazione, lavorando sui bisogni delle persone, hanno una grande responsabilità etica,
quella non solo di generare profitto, ma anche quella di produrre sensibilizzazione, consapevolezza, cambiamento, impatto sulla
collettività per un futuro migliore.
Oggi sono una consulente
indipendente e mi occupo di Innovazione
e Brand Activism in una società che si chiama Purpose House.
Cosa faccio? Studiando i
trend, i bisogni delle persone e della società supporto
aziende, organizzazioni, associazioni per incentivarle
ad andare oltre mere logiche di business, individuando e lavorando sul proprio scopo sociale con
l’obiettivo di produrre azioni incentrate sul raggiungimento del bene comune, nel rispetto e nella promozione degli
Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, concordati dagli Stati membri delle Nazioni
Unite nell’ambito dell’Agenda Globale 2030.
UNINT PER ME
Sono docente del corso di International Brand Management che ha
l’obiettivo di formare gli studenti sulle logiche e sulle best
practices di marchi internazionali sia del mondo profit che del non profit
facendo intervenire esperti di settore e giornalisti.
Ho una modalità
d’interazione con gli studenti molto partecipativa: nelle mie lezioni racconto
esperienze vissute, casi e accadimenti aziendali sia di successo che di
fallimento.
Penso, infatti, che
concentrarsi solo su storie di successo possa creare distanza e
scoraggiare chi ti ascolta, per questo io racconto esperienze vissute, i miei
successi, ma anche i miei insuccessi. A volte sono soprattutto le difficoltà,
le sfide, gli errori a rimanere più impressi e vivi negli studenti. Quindi, raccontare
le dinamiche del mondo del lavoro, la gestione dei conflitti e l’importanza di
lavorare sulle soft skills e sull’assertività per raggiungere i propri obiettivi,
è un buon modo per guidare e ispirare i giovani.
Cosa chiedo a loro? Li invito a mettersi in gioco, a esporsi, a uscire dalla loro comfort zone, perché credo fortemente nel valore dell’apprendimento attraverso l’esperienza.
L’insegnamento alla UNINT significa avere modo di “GIVE BACK”, ovvero di restituire ai ragazzi, il significato e il valore del mondo lavorativo, le dinamiche interpersonali, le sfide a cui saranno esposti per prepararli ad essere professionisti di valore di domani.
IN COSA CREDO E SU COSA DEDICO TUTTA ME STESSA
Credo nelle persone, nelle
capacità e unicità individuali e nell’importanza di valorizzarle al meglio per
individuare il proprio scopo nella vita, il sogno da realizzare ed il percorso
da fare per raggiungerlo.
Gli studenti della UNINT,
ma anche di altre facoltà in cui insegno, sono didatticamente preparati,
concentrati e incentivati a dare il meglio di sé. Tuttavia, quando la domanda
si sposta dai risultati universitari al chi
voglio essere e cosa voglio diventare, emergono dubbi, paure, incertezze,
sfiducia nel sistema.
Quindi il lavoro che faccio,
all’interno del mio corso, è passare dal marketing del profit, al marketing
sociale fino ad arrivare al personal
branding & personal storytelling attraverso l’individuazione del proprio scopo.
Per portare avanti
quest’obiettivo, a fine corso, oltre al project work, invito gli
studenti a partecipare ad un workshop dal titolo IO SONO, IO POSSO.
È una lezione esperienziale di #PERSONALBRANDING che unisce la meditazione kundalini alla scrittura creativa finalizzata allo storytelling personale grazie all’individuazione del proprio scopo, il #personalpurpose.
L’output della sessione viene, poi, usato per arricchire di unicità e purpose il profilo LINKEDIN, perché le aziende, oggi, non cercano solo brillanti studenti, ma persone con sogni e ambizioni capaci di cambiare il mondo.
Curioso/a? Il prossimo workshop IO SONO IO POSSO sarà venerdì 24 aprile alle ore 15.00.
Il mio rapporto con le lingue nasce
da quando sono piccola, come per tutti, dall’esigenza di comunicare con gli
altri. Ho avuto la fortuna di viaggiare molto, di visitare tanti paesi e stare
a contatto con molte culture e lingue diverse. Di esse, la prima lingua con cui
sono entrata in contatto e che ho appreso, è stata l’italiano. Non ricordo il
rapporto iniziale che avevo con essa, ma questo man mano ha iniziato a
deteriorarsi sempre di più.
Da bambina ho visitato spesso la Spagna
con i miei familiari; ero circondata da una lingua per me straniera, che non
capivo assolutamente. Durante il corso degli anni ho imparato a conoscerla meglio
e a comprenderla, ma non tanto attraverso lo studio, quanto grazie alla
frequentazione della cultura spagnola. Da piccola ero una bambina molto
socievole, in quanto riuscivo anche a fare amicizia e a comunicare con bambini
non madrelingua italiani. Ho questo ricordo di me che giocavo con una bambina
inglese quando avevo solo sette anni. Non avevo ancora la capacità di parlare e
comprendere la lingua; ma nonostante ciò riuscivo a capire e a comunicare senza
grossi problemi. Ricordo anche che i miei genitori ne rimasero sorpresi, poiché
loro non riuscivano a fare lo stesso con i genitori della bambina.
Sono andata in Spagna, con i miei
parenti, per circa sei anni e lì abbiamo conosciuto una famiglia che ogni anno tornavamo
a trovare. La famiglia era composta da persone solari e simpatiche, riuscivamo
a comunicare poiché loro parlavano un po’ di italiano e mio nonno con mia zia parlavano
in spagnolo. Avevano una figlia di un anno più piccola di me; quando giocavo
con lei e con i miei cugini italiani dovevo fare da intermediario, in quanto
loro non riuscivano a capirla anche se avevamo passato lo stesso periodo di
tempo in Spagna. Dopo alcuni sfortunati eventi, abbiamo smesso di andare in
Spagna e siamo rimasti in Italia.
Tra le elementari e il liceo, ho
iniziato a vedere video su internet di ragazzi americani e inglesi.
Inizialmente non riuscivo a comprendere nulla; ma pian piano, durante gli anni
e con l’aiuto dello studio della lingua, ho iniziato a capire l’inglese. Devo
ammettere, però, che il mio scopo principale non era quello di imparare la
lingua inglese, ma era quello di riuscire a capirla quanto bastava per svagarmi.
Nell’ambiente familiare sono stata circondata
da persone che parlavano diversi dialetti del Lazio. I miei nonni materni e
paterni, quando parlavano in dialetto, non riuscivano a capirsi tra di loro
poiché vivevano in due paesi distanti, anche se pur sempre della stessa regione.
Ma non erano gli unici a non capirsi: anche io non riuscivo a capire loro. Ho
dovuto imparare con il tempo a comprenderli, anche chiedendo loro i significati
delle varie parole.
Alle medie, nonostante la mia
esperienza in Spagna, ho scelto di studiare francese poiché avevo timore della
grammatica spagnola e non volevo rovinarmi i bei ricordi che avevo con quella
lingua. Il francese è una lingua elegante e sinuosa che ho iniziato ad
apprezzare con il tempo anche grazie all’insegnante madrelingua che ci ha
trasportato in una realtà linguistica diversa dalla nostra. Terminate le medie
non ho più avuto modo e desiderio di conoscere tale lingua.
Al liceo non ho intrapreso un
percorso linguistico, ma scientifico, il quale mi ha comunque fatto avvicinare ancora
di più alle lingue, specialmente all’inglese. Durante l’estate del primo anno sono partita per
due settimane a Londra per un viaggio studio. Devo ammettere che non sono stata
molto in contatto con la lingua del luogo dato che ero circondata da italiani, ed
infatti non ho appreso molto. Sono ripartita, sempre in viaggio studio, durante
l’estate del terzo anno. Sono stata per due settimane in un college a Dublino.
Questa esperienza mi ha aiutato con l’inglese. Ho amato la città e le persone
del posto, ho parlato molto in inglese con loro e mi sono immersa nella cultura
irlandese. Inoltre, nel corso dei cinque anni scolastici sono venuta a contatto
con tre diverse persone provenienti rispettivamente da Turchia, Grecia e
Georgia. Ci hanno parlato in inglese, spiegandoci il loro rapporto con la
lingua e raccontandoci dei loro paesi di provenienza. Una cosa che mi è rimasta
in mente ancora oggi è la frase di un ragazzo che disse: “Inizi a comprendere
bene una lingua e a farla tua quando riesci a sognare in quella determinata
lingua”. Durante l’ultimo anno di liceo, attraverso vari programmi su internet,
sono venuta a contatto con il norvegese, una lingua che fin da subito mi ha
affascinato. Ho iniziato a studiarla da autodidatta ma in seguito ho dovuto
lasciarla per motivi scolastici.
Dopo il liceo ho intrapreso un
percorso sbagliato e, dopo aver capito che non faceva per me, ho deciso di
abbandonarlo e ho iniziato a studiare da autodidatta il coreano prima di
intraprendere questo nuovo percorso all’UNINT. Grazie al coreano, al quale mi
sono avvicinata attraverso la musica e vari telefilm, ho conosciuto una cultura
diversa e lontana anni luce dalla mia. Grazie alla musica coreana ho conosciuto
molte persone da varie parti del mondo con cui ancora oggi sono in contatto; specialmente
ho conosciuto due ragazzi coreani, uno dei quali è venuto questa estate a Roma.
Ci siamo incontrati e abbiamo parlato per tutto il tempo in inglese, poiché era
una lingua che ci accomunava. Mi ha spiegato molte cose sulla sua cultura e ho
notato le differenze con quella europea, ma al tempo stesso, ora che studio
cinese, noto molte similitudini con la cultura cinese.
In questo viaggio in cui ho descritto
brevemente il mio rapporto con le lingue voglio affrontare come ultima lingua
l’italiano, poiché è una lingua che tutti noi riteniamo importante e fa parte
della nostra quotidianità. Io ho avuto e ho tutt’ora un brutto rapporto con
l’italiano. Ancora oggi porto con me questo peso, dal momento che la ritengo
una lingua difficile che raramente tendo a parlare correttamente. Al liceo sono
riuscita ad apprezzare e a comprendere la grammatica e la letteratura italiana
grazie ai miei professori; ma la base impartitami dagli insegnanti primari mi
ha lasciato con il peso che mi porto dietro. Eppure, la difficoltà ad imparare
correttamente tale lingua non mi ha portato a ritenere lo studio di essa
inutile, anzi ritengo, come riteneva Antonio Muratori, che non bisogna essere
ignoranti della propria lingua natìa.
In conclusione, ritengo che il mio
rapporto con le lingue, è assolutamente da ritenersi positivo; sono avida di
sapere e conoscere culture lontane dalla mia e che questo avvenga con diverse modalità,
come la musica, i film, i libri e l’insegnamento stesso non può che essere per
me una grande opportunità per essere in ogni momento “qui” ma allo stesso tempo
“in ogni dove”.
Le lingue: un mondo affascinante e profondo, imprescindibile nella vita di ognuno di noi fin dall’infanzia. Nonostante il ruolo fondamentale che riveste nella quotidianità, la maggior parte delle persone utilizza questo strumento di comunicazione in maniera inconsapevole, ignorando la complessità che si cela dietro al suo sviluppo e alla sua continua evoluzione.
Io mi sono sempre interessata allo studio delle lingue perché ho avuto modo di entrare in contatto fin dall’infanzia con diverse realtà linguistiche. Il ramo paterno della mia famiglia infatti è di origine umbra, per cui mi sono spesso trovata ad ascoltare conversazioni e proverbi in dialetto che mi incuriosivano data la differenza con il modo di parlare a cui ero abituata. Ciò che mi colpiva era come, già all’interno del mio nucleo famigliare, ci fosse una differenza linguistica così accentuata.
Crescendo,
il mio contatto con le lingue aumentava, grazie anche all’influenza di mia
madre, che mi ha sempre incoraggiata ad imparare l’inglese mediante la
frequentazione di corsi privati fin da quando avevo otto anni.
Durante il
mio percorso alle scuole medie, oltre a rafforzare la mia conoscenza
dell’inglese, ho avuto modo di ampliare il mio panorama linguistico con lo
studio dello spagnolo. La musicalità della lingua, unita al fascino della
cultura, ha reso lo spagnolo una delle mie lingue preferite, sebbene abbia
deciso di non inserirlo nei miei studi universitari. Questa decisione però non
deve far sottovalutare l’importanza che ha avuto nella mia vita: infatti è
stato proprio l’amore per lo spagnolo ad indirizzarmi verso la scelta del liceo
linguistico.
Alle scuole
superiori quindi ho avuto l’opportunità di apprendere una nuova lingua: il
francese, con il quale inizialmente ho avuto molte difficoltà. Nonostante la
mia avversione però, grazie all’aiuto del mio professore sono riuscita a comprendere
i complicati meccanismi di grammatica e pronuncia ed ho iniziato ad apprezzare
veramente questa lingua. Durante gli anni, il mio rapporto col francese è
andato via via rafforzandosi soprattutto attraverso la lettura in lingua
originale di grandi classici della letteratura, tra cui autori come Voltaire,
Zola e Camus.
Il motivo
per cui ho deciso di continuare il mio percorso con la lingua francese
all’università è stata l’importanza che ai miei occhi riveste nell’ambito
internazionale e diplomatico, coerente con il mio sogno di diventare
un’interprete parlamentare.
Una cosa per
cui mi ritengo particolarmente fortunata è l’opportunità che ho avuto di
entrare in contatto con queste lingue non solo a livello accademico, ma anche a
livello personale. Ho iniziato a viaggiare sin da piccola con mia madre e ho
visitato molti Paesi, diversi tra loro ma ognuno meraviglioso a modo suo. Lo
Yucatan, Zanzibar e Dubai ne sono la prova. Nonostante mi sia immersa in mondi
diametralmente opposti, non ho potuto fare a meno di amarli proprio per le loro
peculiarità. Vedere con i miei occhi realtà differenti dalla mia quotidianità e
farne esperienza concreta mi ha stimolata sempre più in questo mio percorso,
spinta dalla voglia di comprendere e di essere parte del mondo.
L’ultimo arrivato, in termini di studio linguistico, è il russo, che ho deciso di iniziare all’università. Ad essere sincera, la mia è stata una scelta azzardata, fatta in nome della mia passione più grande, la danza. La Russia è infatti la patria del balletto classico, che io amo, e la voglia di migliorare la mia conoscenza di questo paese dal punto di vista culturale mi ha spinta ad inserire questa lingua nel mio corso di laurea. Inoltre, il mio desiderio era studiare una lingua fuori dal comune in prospettiva del mio futuro lavorativo.
In
conclusione, guardandomi indietro, posso dire che mi sono trovata quasi
involontariamente ad interagire con lingue diverse, ma ora, guardando avanti,
ho deciso volontariamente che esse facciano parte della mia vita per sempre.
Sin da quando ero bambina ho sempre avuto un ottimo rapporto con la lingua italiana; ricordo che alla scuola primaria, quando la maestra assegnava i compiti di scrittura, li svolgeva appena tornata a casa, tentando di trasmettere su un foglio di carta tutto il mio entusiasmo e la mia immaginazione.
Col passare del tempo questa passione è aumentata sempre di più, e alla scuola media ho iniziato a scrivere qualche piccolo componimento che rispecchiava le mie emozioni e le mie sensazioni provate durante quel periodo della mia vita.
L’amore per le lingue straniere, invece, non è nato tra i banchi di scuola, poiché a mio parere in Italia esse non vengono insegnate correttamente, dunque questa mia passione, in particolar modo per la lingua inglese, è nata quando i miei genitori hanno ospitato per un mese una ragazza americana. Da quel momento ho pensato quanto potesse essere affascinante approfondire le altre lingue per conoscere i costumi degli altri popoli; questo è il motivo per cui ho scelto di frequentare il liceo linguistico, e andando avanti ho scoperto che la conoscenza delle lingue è fondamentale al giorno d’oggi, non solo perché offre un vasto campo di lavoro, ma soprattutto per un proprio bagaglio culturale che ognuno di noi porta con sé. Padroneggiare una lingua è importante per comunicare con persone che provengono da altri paesi, per conoscere le loro culture e tradizioni. Conoscere le lingue straniere è un modo per aprirsi al mondo e non restare chiusi nella propria mentalità. Ed è proprio per questo motivo che ho scelto di intraprendere questo percorso universitario, in quanto io credo fermamente che sia importante sperimentare nuove culture per guardare verso nuovi orizzonti. Inoltre dentro di me è sempre rimasta accesa la passione per i viaggi. Quando si viaggia si esce dalla solita routine, si ammirano paesaggi diversi, l’architettura e i monumenti del posto, si scoprono nuovi sapori e odori. L’apprendimento delle lingue aiuta a rendere il tutto più piacevole e a capire molte più cose sui luoghi e sulle abitudini delle persone.
Prendendo spunto da un proverbio ceco (“Imparate una nuova lingua e avrete una nuova anima”), spero vivamente che tutti i miei sogni si possano realizzare attraverso questo percorso che avrò la possibilità di intraprendere in questi anni.
Non si tratta di un reboot del
romanzo di Gabriel García Márquez, bensì di un titolo molto inflazionato nelle
storie e nei post dei giovani laureati di questo periodo, che descrive una
realtà fattasi strada nel contesto della pandemia che in Europa ha colpito per
prima l’Italia, diffondendosi poi a macchia d’olio in tutte le nazioni del
continente e al di là della Manica. Infatti, un gruppo di studenti
dell’Università degli Studi Internazionali di Roma ha consumato un breve
momento di celebrazione e gioia all’interno delle loro quattro mura domestiche,
mentre il mondo fuori dalla loro finestra combatteva un nemico invisibile; è
stata la fioritura del germe del futuro, che è sbocciato in una serra fertile e
protetta, mentre fuori c’era una primavera secca.
“Mi sono laureata ai tempi del coronavirus”, sarà
questa la frase che diranno ai posteri i 73 laureati della UNINT di Roma che
hanno conseguito il titolo per via telematica; non sarà però facile spiegare
cosa questo significhi realmente, perché sarebbe riduttivo dire solamente che
un percorso universitario si è concluso dentro il proprio domicilio, davanti ad
un computer quando fuori c’era un virus che viaggiava dal nord al sud
dell’Italia, costringendo l’intera nazione a casa, dato che il sistema
sanitario era vicino al collasso. Parleranno di isolamento, di restrizioni, di
spirito di adattamento e di distanze, ma anche del potere dei social media e
dello spirito di comunità che ha unito tutti virtualmente e spiritualmente per
festeggiare un traguardo meritato; parleranno di come un momento straordinario
in una condizione straordinaria sia stato condiviso da molti giovani, i quali si
aspettavano di discutere la tesi davanti ad una commissione, vestiti di tutto
punto e di festeggiare nelle loro facoltà e poi in qualche locale con i propri
cari, magari facendo foto con corone d’alloro, tocchi e mazzi di fiori, ma che poi
hanno dovuto ridimensionare tutto e adattarsi alla situazione. Quindi, anche se
ognuno di questi si è ritrovato a parlare a immagini catturate da webcam sparse
in tutta la penisola, nel confinato spazio della propria cameretta o del
proprio salone, erano tutti lì, nella stessa piattaforma, seppur virtualmente.
I protagonisti di questo evento si sono resi disponibili a dare il proprio
contributo per ricostruire l’intera vicenda, fornendo la loro prospettiva e
dopo essere stati contattati tramite un gruppo Facebook creato due anni fa per
facilitare la comunicazione tra compagni di corso, hanno condiviso la loro
esperienza, ricorrendo allo stesso software usato per discutere la tesi e per
la proclamazione: Skype. È stato chiesto loro di raccontare come avessero
vissuto l’esperienza in una videochiamata tête-à-tête ed è subito risultato chiaro come ogni storia fosse a sé, ma
in qualche modo simile alle altre, disegnando così la fitta rete che ha messo
in connessione i membri della micro comunità di laureati.
Tutto è iniziato il 4
marzo 2020 con la notizia arrivata dal Presidente Giuseppe Conte, che
annunciava la sospensione delle attività didattiche per far fronte
all’emergenza dovuta alla diffusione del coronavirus. Ovviamente, i
provvedimenti emanati da Palazzo Chigi hanno impiegato alcune ore per
percorrere i 5,6 chilometri di strade e venir posti in essere all’interno della
sede dell’Università degli Studi Internazionali di Roma; ore piene di
incertezza e preoccupazione per i futuri laureandi, incollati al televisore
insieme alle famiglie, i coinquilini, gli amici e i propri cari, per capire
quale fosse stato il destino della nazione. Inevitabilmente, dopo aver appreso
la notizia, il loro pensiero è andato anche alla sessione di laurea ed è così
che sono iniziate le supposizioni in merito ai possibili scenari: la rimandano?
Si farà a porte chiuse? Non mi laureerò mai? E altri dubbi che alimentavano il
disorientamento dato all’intero contesto.
Le risposte sono
arrivate giovedì 5 marzo con una comunicazione che annunciava la decisione di
svolgere le lauree a porte chiuse, vietando anche i festeggiamenti nelle
immediate prossimità dalla struttura per non creare assembramenti e vanificare
le misure di contenimento; a quel punto si sono diffusi sentimenti contrastanti
negli animi degli studenti laureandi: c’era chi voleva “solamente laurearsi”,
chi invece ha messo in moto la rete dei rappresentanti degli studenti per poter
parlare con la presidenza e richiedere almeno di far entrare in aula due
invitati per candidato. Lo smarrimento si era tinto di disapprovazione e
delusione; Giulia racconta “mio padre mi ha detto: ‘mi stai dando una
pugnalata’. Però poi entrambi i miei genitori mi hanno mostrato grande sostegno
per risollevare almeno il mio di morale” e aggiunge “sinceramente all’inizio mi
sembrava tutto surreale e neanche ci pensavo troppo alla laurea, ero più
preoccupata per la salute dei miei genitori e dei miei nonni”. Ma tutto il
dissenso si è placato alla successiva comunicazione, che è stata accolta anche
con più consapevolezza dei rischi da parte degli studenti: il 10 marzo
l’università ha comunicato la chiusura della sede e la coerente e conseguente
scelta di svolgere le lauree per via telematica a seguito del decreto che
dichiarava l’estensione della zona rossa a tutta l’Italia. Gli studenti si sono
rassegnati davanti alla gravità della situazione, rinunciando a tutti i piani
che si erano costruiti per questo giorno che doveva essere il culmine della
loro carriera universitaria; Virginia dice “avevo perso l’entusiasmo,
non volevo quasi più laurearmi, ho proprio deciso di fregarmene”, anche Alice
denuncia lo stesso sconforto “non mi andava giù”. Un’altra Giulia (che
per comodità chiamerò L’altra Giulia) dice “in quel momento mi sembrava
che la laurea stesse perdendo il suo valore simbolico. Ero molto dispiaciuta”; hanno
iniziato, quindi, a provare rifiuto per l’intera situazione, tanto che Giulia
(questa volta si tratta de LaPrima Giulia) confessa
“inizialmente mi sembrava una barzelletta, tanto che mi è tornata in mente una
storia fatta dalla mia collega Clarissa quando non si sapevano ancora le nostre
sorti, dove ironizzava sul fatto che avrebbe preferito quasi laurearsi in
pigiama a casa e mi ricordo di averci riso su per l’assurdità della cosa”; Vita
invece racconta “ero a Roma nella mia stanza in affitto, lontana dalla mia
famiglia e quando mia madre l’ha saputo, ha iniziato a piangere e credo abbia
pianto tutti giorni fino a quando non mi hanno proclamata”. Successivamente è
arrivata la fase dell’accettazione, dove ormai gli studenti si erano abituati
all’idea e hanno iniziato a reagire: un’altra Giulia (che chiamerò L’ultima
Giulia) dice “il decreto è uscito proprio il giorno in cui ho ritirato la
copia cartacea della tesi. Mi è dispiaciuto, ma mi sono rassegnata” poi
aggiunge “mi sono detta di rimanere positiva, perché volevo concludere questo
percorso”, la stessa conclusione alla quale è arrivata Alice “pensare
positivo era l’unica cosa che restava da fare, l’unica cosa che ci rimane”; La
Prima Giulia è sulla stessa linea “ho pensato che quasi era meglio così,
perché almeno avrei avuto la mia famiglia con me, nella stessa stanza”. Anche Virginia
con il passare dei giorni ha iniziato a reagire: “ho metabolizzato la cosa. Ho
pensato a cosa mettere e ho cominciato a lavorare alla presentazione”. Enrico
invece, si è mostrato positivo fin da subito: “l’ho subito vista come
un’opportunità”, mentre dall’altra parte c’è stato chi si è sentito privato di un’occasione
di riscatto, ad esempio Isabella con un po’ di amaro in bocca dice: “ero
curiosa di vedere cosa si provasse ad aspettare davanti all’Aula Magna con le
gambe che tremano e il discorso in mano, per poi parlare al microfono davanti
ad una commissione, perché alla triennale non abbiamo vissuto una laurea del
genere. Non potrò dire di aver mai discusso una tesi nella modalità canonica”. Lo
stesso dice Laura con un animo ancora più deluso “mi ero buttata molto
giù, perché alla triennale non avevo sostenuto una vera discussione con i miei
cari alle spalle e aspettavo la magistrale per farlo. La delusione era talmente
tanta che avevo deciso di non ripetere neanche la presentazione” aggiunge “non
mi sono mai comportata così, sono andata a tutti gli esami sempre più che
preparata. Solo qualche ora prima del mio discorso, ho iniziato a rivedere il
PowerPoint”.
Sta di fatto che nei
giorni prima del grande evento fuori dall’ordinario, si sono attivati tutti,
grazie anche al sostegno dei familiari, degli amici e niente po’ po’ di meno
che dei rispettivi relatori; alcuni hanno organizzato dirette su Facebook,
Twitch e Instagram per accorciare le distanze e condividere il momento in
sicurezza, creando un piccolo spazio virtuale di celebrazione e affetto. La
maggioranza ha vissuto in tranquillità i giorni precedenti alla laurea, senza
troppa ansia, tanto che Flavia, come altri, ammette di non averci
proprio pensato quasi, fino a che non si è ritrovata davanti al suo computer ad
aspettare la chiamata dalla facoltà e La Prima Giulia la sera prima dice
di avere risposto alla domanda della sue amiche sul suo stato d’animo con un
secco e spensierato “sto guardando Harry
Potter sul divano”.
Il giorno è arrivato
inesorabilmente, COVID o non COVID, i nostri ragazzi hanno preparato la postazione
nella propria cameretta o nel soggiorno e hanno aspettato, anche più del dovuto
per via di imprevisti tecnici; l’attesa in alcuni casi è salita addirittura a
due ore e questa potrebbe essere la dimostrazione che la tecnologia ha fatto
passi da gigante, ma non riesce ancora a raggiungere l’uomo in tempo. Francesca
racconta “la mattina stessa abbiamo deciso di fare come se fossimo dovute
andare a Roma. Abbiamo fatto colazione, trucco e parrucco e poi dal bagno sono
andata in sala praticamente” facendo quasi finta che quello fosse il tragitto
dalle Marche a Roma; mentre, La Prima Giulia e Federica dicono di
non esser riuscite a portare da Roma i vestiti che avevano comprato per
l’occasione e si sono viste costrette a rimediare qualcosa di già usato o, come
ha confessato Federica, di andare a frugare nell’armadio della mamma.
Molti invece non si trovavano a casa con i propri cari, ma piuttosto con i
coinquilini in un appartamento nella capitale; Valerio infatti ci dice
“ero rimasto a Roma con la mia ragazza. Ho provato ansia solo nei minuti che
hanno preceduto la discussione, ma ho sciolto la tensione parlando su WhatsApp
con i miei colleghi, che erano nella mia stessa situazione” e precisa “ecco,
forse è questa la cosa che mi è mancata di più: non poterli avere fisicamente
con me e festeggiare con loro il completamento di un percorso che abbiamo
condiviso in tutti i suoi aspetti”. L’ansia si è fatta avanti, un po’ per
tutti, negli attimi prima della chiamata, quando alcuni dei candidati hanno
iniziato a fare avanti e dietro per la stanza, a maturare preoccupazioni
relative al funzionamento di internet e agitazione per quanto stava per
accadere.
Accesi microfono e
webcam, si è dato inizio alla sessione, in un’atmosfera che via via è diventata
sempre più distesa, grazie anche alla presenza sullo schermo delle facce note
di colleghi e professori; la sensazione di tutti è stata quella di aver vissuto
una chiamata molto veloce e come afferma Irene, quasi da non rendersi
conto di essersi laureati; Alice inoltre dichiara “ho avuto l’impressione
che fosse tutto più informale di quello che mi aspettavo. Mi è mancato un po’
l’aspetto rituale dell’evento” anche nelle parole de La Prima Giulia c’è
sostegno per questa tesi “non c’erano tutti i fronzoli di una laurea classica,
ma il valore ce l’ha avuto lo stesso” poi aggiunge “ho potuto vedere gli occhi
lucidi di mio padre in piedi davanti a me, cosa che non sarebbe successa de
fossi stata in un’aula universitaria con lo sguardo rivolto verso la
commissione”; in quasi tutti i laureati, quel velo di delusione piano piano è svanito,
lasciando il posto all’emozione e alla contentezza che si è sfogata in
centinaia di chiamate ai parenti e videochiamate e anche alcune nonne sono
diventante social per l’occasione. Ovviamente, non sono mancate bottiglie di
spumante stappate con coinquilini o familiari, infatti Laura afferma “i
miei coinquilini si sono impegnati molto per farmi sentire speciale e regalarmi
dei festeggiamenti degni”; Clarissa racconta “il mio ragazzo e il mio
coinquilino hanno preparato dei lancia coriandoli con un rotolo finito della
carta igienica e un palloncino attaccato in fondo” e una cosa simile l’ha fatta
anche la famiglia di Francesca “abbiamo tagliato dei giornali a forma di
coriandolo e li abbiamo lanciati dopo la proclamazione”. Valerio, dal
suo canto, dice “per festeggiare ho fatto una cosa per me inusuale: ho ordinato
la pizza a domicilio e insieme alla mia ragazza abbiamo preparato una torta”; anche
Alice e Federica si sono date alla cucina, preparando una
crostata nelle rispettive case. Ilaria invece afferma “eravamo solo io e
la mia coinquilina ma non siamo riuscite a brindare, perché non abbiamo fatto
in tempo a comprare lo spumante, dato che le file alle casse dei supermercati
durano ore”. Di sicuro i festeggiamenti non sono stati in linea con le
aspettative e La Prima Giulia sottolinea infatti che qualcosa è mancato
particolarmente: “il più grande rammarico di mio padre è quello di non avermi
potuto regalare dei fiori, perché era tutto chiuso”; da questo punto di vista Federica
e Francesca sono state invece più fortunate, perché hanno potuto
confezionare un piccolo mazzetto con i fiori dei loro giardini e Flavia
ha ricevuto da parte di sua madre una corona fatta da lei stessa. L’alloro in
testa è mancato a molti, tanto che alcuni hanno riesumato le vecchie corone
secche della triennale oppure di qualche coinquilina laureata da poco, come è
stato il caso di Virginia o si sono arrangiati con vecchi tocchi, altri
invece come Alice non sono riusciti ad avere né tesi stampata né
contrassegni vari, infatti dice di aver pubblicato una sua foto del giorno
senza alcun elemento che richiamasse una laurea dove ha scritto: “mi sono
appena laureata, mi dovete credere”. Non sono mancati comunque momenti di
comunità, soprattutto con gli amici in diretta sui social e con il vicinato che
ha testimoniato le celebrazioni: Vita ci racconta infatti che, appena si
è conclusa la chiamata con la commissione, ha iniziato a esultare e a saltare
insieme alla sua coinquilina, che l’ha sostenuta in tutto il processo, si sono spostate
poi in balcone e vedendo il vicinato affacciato per il flash mob delle 18, la neolaureata ha urlato “mi sono laureata”
sentendo la necessità di condividere un momento avvenuto lontano dallo sguardo del
mondo e che rischiava di passare in sordina. È lì che da tutti i balconi del
circondario sono arrivate le congratulazioni per il suo traguardo e i condomini
hanno addirittura tirato fuori i calici per brindare a distanza insieme a lei; è
simile un po’ a quello che è successo a Flavia,che uscendo in
balcone per festeggiare, è stata accolta dall’Inno d’Italia che poi ha fatto da
sottofondo a cori di congratulazioni. Clarissa ha invece trovato una
lettera per lei attaccata al suo portone, firmata “la ragazza dell’appartamento
di sopra” dove questa sua coetanea, deducendo cosa stesse succedendo dai
festeggiamenti, si congratulava con lei per il traguardo raggiunto, con un
gesto spontaneo e inaspettato; a questo proposito, aggiunge Clarissa “mi
sono sentita parte di una comunità. Già dopo che sono stata riconosciuta nel
video dei The Jackal ho ricevuto
tanta solidarietà da parte degli utenti dei social, anche da persone che non
conoscevo”. Come detto prima alcuni hanno organizzato delle dirette con i
propri amici e come dice Enrico “nella sfortuna sono stato fortunato,
perché avevo lì con me in diretta miei amici un po’ da tutto il mondo, anche
dall’Australia, che in una condizione ‘normale’ non avrebbero mai potuto
prendere parte alla mia laurea. Persino mia nonna ha guardato la mia diretta” e
anche Vita ha detto lo stesso “mi hanno potuto vedere anche miei amici
dalla Spagna”; essere rimasti a casa, inoltre, ha sicuramente fatto sentire ad
alcuni più calore, perché come dice Federica “se fossi stata a Roma le
persone a me care non sarebbero potute essere presenti e magari non sarei stata
giù di tono, ma sicuramente sarei stata sottotono”. In alcuni casi, le persone
care erano però distanti dai laureati, ma si sono comunque fatti sentire anche
in videomessaggi e come dice Clarissa “hanno trovato il modo di essere
ugualmente come me”. Ma ovviamente, tutti concordano sul fatto che i grandi
festeggiamenti sono solo rimandati a data da destinarsi e ovviamente saranno
l’occasione perfetta per stare tutti insieme e non solo per festeggiare la
laurea. Relativamente a ciò, La Prima Giulia dice “anche questa è una
cosa straordinaria, perché in una situazione normale non avrei mai potuto
sperare che avrei festeggiato la mia laurea ancora dopo due mesi”.
Ho lasciato poi spazio
alle loro riflessioni in merito all’intera vicenda, chiedendo loro di fare un
appello ai ragazzi che si sarebbero laureati nella loro stessa modalità e hanno
lanciato tutti messaggi carichi di speranza, dipingendo il lato positivo di
questa situazione; come Irene che sottolinea “è stato il nostro modo di
contribuire a queste emergenza” e L’ultimaGiulia aggiunge
“bisogna pensare che andrà tutto bene e imparare ad apprezzare le piccole cose
e non bisogna smettere di sognare neanche ora”. A questo pensiero si unisce
anche la riflessione di Clarissa: “a volte ci preoccupiamo troppo di
come andranno le cose, ma una volta che queste passano e volgiamo lo sguardo
indietro, ci rendiamo conto che quelli che vedevamo come macigni erano in
realtà dei sassolini”. La Prima Giulia riporta le stesse parole che ha
detto a suo cugino, che si laureerà a breve sempre telematicamente: “è stata
una bellissima sensazione e un’esperienza nuova. Abbiamo comunque vissuto un
giorno di allegria e felicità in un periodo così buio e ci siamo sentiti
straordinari!”; Federica sottolinea “siamo la dimostrazione che nulla
può fermarci! Non ci siamo abbattuti e ce l’abbiamo fatta: abbiamo raggiunto il
nostro obiettivo”. Nella sua testimonianza, Enrico fa una sua
riflessione “mi ha colpito molto una cosa che mi ha detto un mio amico: ‘mia
nonna si è laureata nel 1944 in un rifugio antiaereo’. Anche se fuori non ci
sono bombardamenti, mi sono riconosciuto nella situazione e se ce l’hanno fatta
loro, ce la faremo anche noi ad uscire da questa guerra”.
Come nota conclusiva, ho
chiesto loro di condividere con me la prima cosa che vorrebbero fare quando
l’emergenza finirà e tutti hanno parlato di passeggiate all’aperto e viaggi,
anche se, come sottolinea L’altra Giulia, ci sarà un po’ di
preoccupazione nel guardare al di là dei confini una volta che l’Italia ne sarà
uscita, dato che probabilmente alcuni paesi saranno nel cuore dell’emergenza. A
parte questo, come dice La Prima Giulia: “ci sarà una grande voglia di
stare insieme e di condivisione. Sarà tutto più sentito” ma anche di affetto,
come rivela Vita: “vorrei prendere una persona X alla quale tengo e che
non ho visto in tutto questo tempo e abbracciarla in silenzio per alcuni
minuti”. Molti hanno approfittato di
questo periodo per prendersi cura di se stessi, come sta facendo Isabella:
“sicuramente questa situazione mi ha regalato molto più tempo per capire cosa
voglio, così da arrivare a delle consapevolezze che mi potranno indirizzare nel
lavoro”; altri sono rimasti attivi nella ricerca di un impiego come Irene
che mentre fa lezioni su Skype di lingua, continua a mandare CV sperando che,
una volta tornati alla normalità, ci possano essere altre opportunità
lavorative. Ilaria aveva invece trovato un tirocinio in Spagna ed è per
questo che era rimasta a Roma, ma è stato bloccato a causa dell’emergenza:
“vorrei sfruttare questo periodo per formarmi: seguo webinar e provo ad
imparare lo spagnolo. Ma quando sarà finito tutto vorrei tornare a casa e farmi
una passeggiata al mare”. Anche Laura stava lavorando per la Regione
Lazio quando il governo ha tagliato i fondi per gli stage: “ero riuscita a
crearmi la mia indipendenza a Roma e vorrei solo riavere il mio posto nel
mondo”.
Per quanto la situazione sia incerta, ognuno ha conservato i propri sogni e non sarà una pandemia a fermare la determinazione di realizzarli; chi ha le redini nel mondo degli adulti deve però ascoltare il nostro grido di rivalsa che si diffonde più rapidamente di un virus e risuona più forte di un tuono ripetendo: fateci posto!
Mi chiamo Sara, nome che mi è stato dato da mia sorella perché
deriva dall’ebraico שָׂרָה (Sarah)
che significa ‘signora’ o ‘principessa’, ma in famiglia mi
chiamano spesso con il nome della mia bisnonna Marietta, una donna che ricordo dolce
e allo stesso tempo testarda, alla quale assomiglio moltissimo.
I miei genitori sono
italiani, papà di origine napoletana e mia madre romana.
Da bambina andavo spesso a
Sant’Agata De Goti, in provincia di Benevento, il paese di mio nonno paterno e
quando tornavo a casa mi capitava di avere un accento molto simile a quello
napoletano. I dialetti influenzano molto il modo di parlare ed io mi divertivo
ad impararli tutti fino a mescolarli completamente.
Considerato che dalla scuola
materna alla scuola secondaria di primo grado sono andata in un istituto
privato frequentato anche da ragazzi audiolesi, per dialogare con loro imparai
la “LIS”, la lingua dei segni italiani che mi influenzò così tanto da
arrivare ad utilizzare questi gesti ogni volta che parlavo con una persona.
Per me gli anni
dell’adolescenza sono stati molto importanti perché mi hanno aiutata a crescere
e a capire un po’ chi sono. Nel periodo in cui avevo 12 anni mio padre scoprì
di avere un altro fratello che viveva in America. Era nato a New York dalla
relazione, avuta prima del matrimonio, di mio nonno paterno con una donna
italiana che si trasferì successivamente negli Stati Uniti, dove poi nacque mio
zio. Dopo circa un anno di vita del bambino, la madre, purtroppo, venne a
mancare e il bambino venne adottato da una buona famiglia che lo portò a
conoscenza della sua situazione. Nel suo cuore restò sempre un desiderio,
quello di conoscere i suoi fratelli, e dopo circa 60 anni ha ritrovato quello
che stava cercando, noi. È stato un incontro emozionante alla Carramba
che sorpresa.
I miei genitori non parlano
molto bene l’inglese, mentre mio zio conosce il Broccolino, una specie
di dialetto napoletano nato dalla fusione di termini inglesi e napoletani,
parlato dagli italo-americani di Brooklyn che erano emigrati in America tra
l’800 e il ’900 e che non avevano una grande padronanza della lingua italiana.
A questo punto ho fatto da intermediario linguistico tra i miei genitori e mio
zio. Da qui è nata la volontà di studiare le lingue straniere. Iniziai a vedere
serie tv in spagnolo e in inglese, ad appassionarmi alla moda e al liceo
linguistico mi ritrovai a studiare tre lingue: inglese, francese e spagnolo.
Agli ultimi anni del liceo
iniziai a pensare a come proseguire gli studi. Molti dei miei coetanei volevano
fuggire da questo “paese senza
speranza” e questo non mi rincuorava affatto. Bisogna ammettere che per
molti giovani lavorare all’estero non è più un’opportunità ma una strada quasi
obbligatoria e quindi rimanere è un rischio che molti di noi non sono pronti a
correre, a causa dei tanti problemi in cui versa l’Italia.
Nonostante ciò alcuni hanno
deciso di scommettere proprio sull’Italia raccogliendosi addirittura intorno al
movimento “io voglio restare”,
fondato nel 2012 per dare voce a chi vuole fare qualcosa per il nostro Paese. È
quello che vorrei fare io se le circostanze me lo permetteranno: restare qui,
crearmi un futuro, una famiglia e contribuire a ringiovanire questo “paese di anziani”.
Così ho deciso di iscrivermi all’università, al corso di interpretariato e traduzione, di iniziare a studiare il tedesco ed allargare le mie conoscenze e la mia cultura anche a quella degli altri paesi, senza dimenticare mai le mie origini.
Anzitutto mi presento. Sono Ludovica e mi occupo dell’Ufficio Dottorati qui alla UNINT. Questa domanda un po’ mi spiazza, quasi da non sapere come descrivermi. Dal punto di vista lavorativo sono una ragazza molto pignola e puntuale, curiosa e determinata invece dal punto di vista caratteriale. Sicuramente sono sorridente, solare e cerco di esserlo tutti i giorni e con tutti i colleghi che mi circondano.
La persona che sei oggi è quella che sognavi di essere?
Ho studiato qui alla UNINT solo nel biennio magistrale perché il mio sogno era quello di fare l’interprete. Poi, strada facendo, ho capito che in realtà il mondo dell’interpretariato e la vita da interprete era più una passione, un hobby da coltivare nel mio tempo libero, e non da dedicarmici a pieno nella vita. Perché a livello lavorativo mi sento molto inserita qui e spero che questo percorso possa continuare. Come già detto sono inserita nell’Ufficio Dottorati e anche in quello per l’Alternanza. Seguo la parte selettiva dei concorsi, supporto la commissione e la consegna dei documenti, controllo le attività, le organizzo a livello mensile, faccio insomma un po’ da tramite. Per quanto riguarda l’Alternanza con le scuole ci stiamo adoperando per delle video lezioni che saranno sottoposte a ragazzi/e liceali per il loro futuro inserimento universitario.
Se tornassi indietro cosa diresti alla te di un tempo?
Premettendo che io guardo sempre e solo avanti, non tornerei mai indietro. Sono molto soddisfatta di me stessa perché penso di non aver mai lasciato un obiettivo cadere. Da testarda quale sono, quando mi dico di fare qualcosa, la porto sempre a termine, perché sarebbe contro la mia natura lasciare le cose in sospeso.
Non mi sono mai pentita delle mie scelte. Spero di poter restare qui perché mi sento molto a casa. Ci sono cresciuta dentro. Per me la UNINT è come una famiglia ormai.
Sono Rosanna e ho 24 anni. Se mi dovessi descrivere in quattro parole, sarebbero: responsabile, determinata, curiosa e scherzosa. Ho un senso del dovere particolarmente sviluppato e quando mi prefiggo un obiettivo faccio di tutto per raggiungerlo. La monotonia un po’ mi spaventa perciò cerco sempre di sperimentare cose nuove anche se costano più sacrificio del previsto e mi mettono a dura prova. A casa e con gli amici, sono un po’ la mascotte di turno e tra le battute e la mia spontaneità cerco sempre di strappare un sorriso e di regalare spensieratezza.
Sono una neolaureata della magistrale di Economia e Management Internazionale, curriculum in Digital Marketing. La scelta di avviare i miei “ultimi” due anni di studio alla UNINT è stata determinata dal mio percorso di studi precedente, ovvero in Marketing e Comunicazione d’Azienda, e dalla passione che mi muove verso la comunicazione digitale, i social media, il copywriting, il branding e il marketing in tutte le sue sfaccettature.
La persona che sei oggi è chi sognavi di essere?
Ad oggi sto svolgendo uno stage come marketing assistant, consapevole che si tratta di un punto di partenza e non di arrivo. Ho un’idea del lavoro dei miei sogni, ma devo ancora metterla a fuoco, perché sto constatando concretamente che le opportunità e i profili professionali di un “laureato in economia” sono molteplici e richiedono una formazione continua e sempre aggiornata.
Mi piacerebbe diventare brand
manager di una casa di moda del settore sportivo e supportarla nello
sviluppo della brand awareness avvalendomi
degli strumenti di comunicazione digitale. Non perché io sia la classica
ragazza “healthy” attenta alla linea; mi piace l’idea che la gente possa
vestirsi sportiva e sentirsi cool allo stesso tempo, in qualsiasi situazione.
La persona che sono oggi è sicuramente diversa rispetto a quella
che immaginavo di diventare, ormai quasi sei anni fa. Vado fiera delle scelte
che ho fatto, sebbene alcune di esse mi abbiano fatto cadere, ma tutte mi hanno
reso più forte e consapevole.
Se tornassi indietro, cosa diresti alla te di un tempo?
Alla me di qualche tempo fa consiglierei di continuare a credere e a praticare l’onestà, il rispetto e il non prevaricare sugli altri; di accogliere gli imprevisti come delle opportunità; di non aver timore di osare e non smettere mai di credere in se stessa.
Solo chi non sa dove sta andando può arrivare lontano!
Sono Diletta e sono al secondo anno magistrale del percorso di studi in Economia e Management Internazionale-Marketing Digitale. La mia scelta di studiare economia è stata totalmente diversa da quella fatta per la triennale quando avevo optato per un percorso di natura giuridica, nello specifico Diritto per le Imprese che ho frequentato a Torino, la mia città, perché ho sentito il bisogno di avere una conoscenza più profonda del mondo aziendale e di tutto ciò che lo caratterizza. L’inizio della magistrale ha comportato un grande cambiamento nella mia vita: mi sono dovuta trasferire qui a Roma e ho dovuto imparare ad ambientarmi in una nuova realtà. Ma l’ho fatto con coscienza, specie perché questo percorso di studi si trovava solo qui.
Sei felice della
scelta che ti ha portato qui oggi?
Sì, sono contenta del percorso di studi che ho fatto, perché da un lato l’economia mi ha sempre appassionata, dall’altro ho anche superato dei miei limiti dal momento che ero abituata a un metodo di studio completamente differente. Per cui ti direi sì lo rifarei, rifarei questa scelta sia per esperienza personale che formativa.
Che tipo di ragazza
sei? Come ti definiresti?
Sono una ragazza ambiziosa, determinata e testarda, perché tutto quello che voglio, cerco di ottenerlo anche se mi costerà fatica. Non so ancora chi voglio diventare, non so ancora dove mi porterà questo percorso di studi, se continuerò a studiare o se dopo la laurea potrò avviare la mia carriera lavorativa. So che il mondo del Digital Marketing mi affascina, cerco di rendermi sempre attiva dal punto di vista dei social, di apprendere quanto più posso dal punto di vista universitario. Fare marketing significa soddisfare il bisogno del cliente, quindi spero anch’io di riuscire nel mio lavoro ad aiutare il prossimo. Non so se questo comunque mi avvicinerà a una carriera bancaria che mi piacerebbe molto o piuttosto a un’impresa in cui occuparmi della gestione degli aspetti legali. In ogni caso sono molto fiduciosa.
Senti di stare procedendo nella giusta direzione?
Quello che sono oggi è quello che ho sognato di essere, nonostante le difficoltà che ho incontrato. Alla fine penso che tutti i nodi vengano al pettine e che quindi prima o poi tutte le soddisfazioni possano essere raggiunte, alcuni traguardi sono infatti già stati segnati, ma non mi posso ovviamente fermare qui.
Come dico sempre: Nonostante i periodi di pioggia, bisogna guardare la luce del sole in fondo al tunnel.