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La rassegna stampa internazionale dell’UNINT

Fra poco più di un mese sarà Natale e l’interrogativo ricorrente in vari Paesi è: l’emergenza Covid ci permetterà di festeggiarlo in famiglia?
Il Fondo Russo per gli Investimenti Diretti (RDIF) ha concordato la produzione del vaccino anti-Covid in Corea del Sud: la produzione dovrebbe iniziare a dicembre di quest’anno e si parla di circa 150.000 dosi.
Siria: conferenza internazionale sui rifugiati siriani con la partecipazione di delegazioni di 27 Paesi diversi.

EUROPA

In Spagna, la presidentessa della comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso, ha chiesto all’Unione europea l’autorizzazione affinché tutte le farmacie possano eseguire test antigenici gratis contro il Covid-19, in modo che possano essere effettuati su tutti i pazienti madrileños prima di Natale, così riporta El Mundo.

Questo è stato espresso in una lettera inviata alla presidentessa della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, dove spiega che gli esperti di Madrid stabiliscono che i test antigenici possono essere eseguiti in altri centri sanitari, come le farmacie perché i loro professionisti sono formati, garantiscono sicurezza e igiene e i risultati possono essere comunicati al Sistema Sanitario di Madrid. Il capo dell’esecutivo di Madrid ha ricordato che i test del coronavirus nelle farmacie sono già utilizzati in Paesi europei come Francia, Portogallo e Regno Unito, oltre che in altri sistemi sanitari consolidati, come Stati Uniti, Australia o Canada. Per questo motivo, la Comunità di Madrid ha chiesto al governo spagnolo un quadro giuridico che consenta alle farmacie di effettuare i test.

In Catalogna il governo ha proposto un allentamento delle misure restrittive in quattro fasi che inizierebbe lunedì prossimo e si concluderà a metà gennaio. Il piano sarà applicato per zone e ogni settimana verrà valutato l’effettivo superamento della fase, tenendo conto della velocità di diffusione del virus. Così comincerà lunedì prossimo con il 30% della capienza di bar e ristoranti che resteranno aperti fino alle cinque del pomeriggio, mentre gli spazi culturali con una capienza di oltre 600 persone, come musei e cinema, e impianti sportivi all’aperto potranno aprire al 50% così come negozi al 30%. Il progetto di riduzione dell’escalation continuerà il 7 dicembre con la ristorazione al 50% della sua capacità, i centri culturali al 70%, palestre e negozi a metà della loro capacità, mentre il confinamento perimetrale del fine settimana passerà da comunale a regionale, provvedimento che verrà applicato a metà del ponte di dicembre.

Proprio la settimana di Natale si entrerà nella terza fase della riduzione dell’escalation fino all’Epifania, con incontri di 10 persone, ristoranti aperti al 50% della capienza fino alle 21:00 e l’apertura di centri commerciali per arrivare puntualmente a uno dei momenti più consumistici dell’anno. Né a Natale né a Capodanno sarà possibile lasciare la Catalogna, il cui ingresso e uscita rimarrebbero limitati senza giustificato motivo, anche se sarà consentita la mobilità all’interno della comunità.

A.C.

In questi giorni in Francia gli interrogativi aumentano: si potrà festeggiare il Natale in famiglia? La situazione creata dalla pandemia complica ogni cosa. Questo è quanto riportato da Le Monde, che sottolinea il fatto che impedire di festeggiare il Natale sarebbe una misura impopolare poiché le persone non solo sarebbero riluttanti ad accettare questa decisione, ma si verrebbero a creare problemi anche alle piccole attività che beneficiano dei consumi del periodo. Lo stesso presidente Macron continua a prendere tempo prima di dare nuove disposizioni, anche per il periodo natalizio, prolungando di fatto lo stato di “confinement” fino al primo dicembre. Su Le Parisiensi legge che anche gli agguerriti sindacati francesi dei trasporti (RATP), che intendevano manifestare contro la privatizzazione di linee di autobus nell’Ile-de-France con uno sciopero previsto per il 19 novembre, hanno provvisoriamente desistito dal realizzarlo, in conformità alla situazione sanitaria e alla non immediatezza del cambiamento. Il ministro dell’economia francese come riporta Le Figaro, afferma che il picco dell’epidemia sarebbe ormai superato, grazie all’evoluzione positiva della situazione sanitaria, motivo per cui i negozi potrebbero riaprire già dal 27 novembre, fine settimana decisivo per i commercianti in vista del black friday e delle feste natalizie ormai alle porte. Commercianti e attività locali, sindacati, responsabili politici, ecologisti – come il sindaco di Parigi Anne Hidalgo e l’ex ministro dell’ambiente – per mezzo della petizione firmata il 17 novembre, a quanto si apprende da Le Monde, chiedono di frenare le vendite del colosso dell’e-commerce Amazon. I firmatari tracciano un quadro negativo con conseguenze sociali, fiscali, ambientali generate proprio a causa dello sviluppo di Amazon, che rivendica, dal canto suo, il fatto di aver creato oltre novemila posti di lavoro nel corso degli ultimi dieci anni nel Paese. Il governo cerca comunque di evitare il peggio per i commercianti le cui attività, come dichiara Le Monde, sono chiuse dal 12 novembre e lo saranno per altri quindici giorni almeno. Il ministro dell’economia francese continua a ricordare quanto librerie, gioiellerie, negozi di giocattoli siano importanti nei piccoli centri e, in particolare, quanto siano determinanti per loro gli affari soprattutto negli ultimi due mesi dell’anno. Il ministro ha affermato che se la curva dei contagi non si abbasserà, sarà pronto a dare aiuti supplementari a questi lavoratori in difficoltà, oltre all’accesso al fondo di solidarietà, ai prestiti garantiti dallo Stato e all’esenzione dal pagamento dell’affitto, misure già annunciate e garantite. Stando a quanto riportato da Le Parisien, secondo il direttore generale della salute Salomon, gli sforzi che i francesi hanno fatto finora per contenere il virus non sono stati vani e questo sembra coincidere anche con la notizia dell’efficacia potenziale del vaccino sviluppato dai laboratori Pfizer et Biontech.

B.P.

Secondo quanto riportato dal giornale Diário de Noticias, il Portogallo si appresta ad adottare nuove misure restrittive anti-Covid. Il prossimo venerdì l’Assemblea della Repubblica potrebbe discutere e mettere ai voti l’eventuale proroga dello stato d’emergenza, attendendo soltanto la decisione ufficiale del Presidente della Repubblica Marcelo Rebelo de Sousa. L’attuale stato di calamità di 15 giorni, approvato in precedenza dal congresso, avrà termine alle ore 23.00 di venerdì prossimo e, secondo fonti interne ai vari gruppi parlamentari, verrà probabilmente esteso per ulteriori 15 giorni. In base al decreto presidenziale vigente, il Governo ha limitato la circolazione tra i comuni a rischio elevato, vietando gli spostamenti tra le 23 e le 5 del mattino nei giorni infrasettimanali e a partire dalle 13 nel fine settimana. Per Lisbona si tratta storicamente di una novità: è la prima volta che misure del genere vengono            messe in         atto      in         una      fase     democratica.                                                                                                                                          Stando agli ultimi aggiornamenti forniti dal Ministero della Salute portoghese, il numero delle vittime da Covid-19 sale a 3.472 e si registrano 225.672 casi positivi.  

G.D.P.

Nel Regno Unito, da quanto si evince da alcuni rapporti, Boris Johnson avrebbe palesato l’intenzione di voler interrompere la vendita di nuove auto endotermiche a benzina e a gasolio a partire dal 2030, ovvero cinque anni prima di quanto lo stesso premier britannico aveva dichiarato in precedenza. Johnson dovrebbe annunciare la misura nell’ambito di una serie di nuove politiche ambientali la prossima settimana, secondo quanto riportato dal Guardian. Il governo spera che la politica darà impulso al mercato delle auto elettriche e aiuterà il Paese a raggiungere gli obiettivi climatici, in particolare quello delle emissioni zero entro il 2050. Nonostante la domanda sia più che raddoppiata nell’ultimo anno, le auto elettriche rappresentano ancora soltanto il 7% dei nuovi veicoli acquistati nel Regno Unito nel mese scorso, come mostrano i dati della Society of Motor Manufacturers and Traders. L’organizzazione ha recentemente chiesto al governo di garantire significativi incentivi a lungo termine per l’acquisto di veicoli elettrici e di fissare obiettivi sull’infrastruttura di ricarica. Nel frattempo, dopo la vittoria elettorale di Joe Biden negli Stati Uniti, il partito laburista ha fatto pressioni sul governo al fine di intensificare gli sforzi della Gran Bretagna in vista dell’emergenza climatica, promovendo un piano multimiliardario di “ripresa verde”. La notizia riporta anche le critiche secondo cui il Regno Unito non stia finanziando adeguatamente gli interventi per fronteggiare la crisi climatica, nonostante le promesse del primo ministro di mettere l’ambiente al centro della strategia post Covid. Una ricerca del thinktank IPPR ha rilevato che il governo sta investendo solo il 12% dei fondi necessari per affrontare l’emergenza climatica.

In tema Covid, i recenti sviluppi dei vaccini sembrerebbero segnalare una luce in fondo al tunnel e potrebbero dare avvio ad un aumento di investimenti post-crisi. Il governatore della Banca d’Inghilterra Andrew Bailey ha salutato con ottimismo i risultati ottenuti dagli studi clinici di Pfizer/BioNTech e Moderna, sostenendo che la possibilità di intervenire sul virus eliminerebbe una fonte principale di incertezza che ha fin qui frenato le spese. Il governatore ha dichiarato che gli investimenti sono attualmente sospesi a causa dei molteplici fattori aleatori legati al Covid-19 e alla Brexit, aggiungendo che lo shock della pandemia potrebbe tuttavia condurre ad un rimedio in vista della scarsa produttività del Regno Unito. Parlando a una conferenza CityUK, riportata dal Guardian, Bailey ha affermato che mentre la crisi ha cambiato il modo in cui le persone lavoravano e facevano acquisti, il cambiamento strutturale dell’economia potrebbe essere meno doloroso di quanto sia stato il passaggio dalla produzione ai servizi nel corso degli anni ’80. Ha inoltre tenuto a sottolineare la decisività riguardante il passo da compiere in vista di un cambio di direzione da apportare ai mutamenti climatici, evidenziando che ciò richiederà investimenti su una scala molto più ampia di quanto abbiamo visto negli ultimi anni. Infine, richiamando lo spiraglio che via via pare intravedersi alla fine del tunnel, ha ribadito l’importanza di concentrarsi sui cambiamenti che avverranno in seno alle economie, su quale sarà l’eredità del Covid e su cosa si potrà fare per sostenere e dare priorità a eventuali cambiamenti strutturali più necessari.

                                                                                                                              L.D.

Nonostante il rallentamento della curva dei contagi da coronavirus, in Germania resta l’allerta.

Come riportato dal giornale tedesco Tagesschau, il tema intorno al quale ruotano le riflessioni in questi giorni è la scuola. L’obiettivo di inizio novembre era quello di riuscire a tenerle aperte più tempo possibile così da permettere lo svolgimento delle lezioni in presenza, mentre ora invece, si cerca di capire quale potrebbe essere il metodo migliore per ridurre il rischio di contrarre l’infezione. A questo proposito, il governo della Renania Settentrionale-Vestfalia ha deciso di anticipare le vacanze di Natale di quest’anno a causa della pandemia ma questa decisione, stando a quanto emerge dal giornale Kölner Stadt-Anzeiger, è stata fortemente criticata a Düsseldorf. MDR Thüringen, al contrario, riporta ciò che è accaduto durante il dibattito in cui veniva posto l’accento sulla chiusura delle scuole. Nel corso di questa riunione, il ministro dell’istruzione Helmut Holter, pur ritenendo che le scuole e gli asili dovrebbero rimanere aperti in Turingia, sottolineava la necessità di valutare la chiusura delle strutture a livello locale e regionale a seconda delle relative situazioni epidemiologiche.

Intanto, la cancelliera federale della Germania Angela Merkel e i primi ministri dei Länder si sono riuniti il 16 novembre 2020 per discutere dei prossimi passi da compiere per limitare la diffusione del Covid-19. In particolare, la cancelliera Merkel fa notare che è molto importante diminuire al massimo i contatti sociali visto che ogni contatto evitato può condurre alla vittoria nella lotta contro la pandemia, rivolgendo infatti Per questo motivo, scrive Die Zeit, la Merkel rivolge un vero e proprio appello alla popolazione tedesca in cui spiega che si dovrebbe rinunciare completamente alle cerimonie private e alle attività ricreative e raccomanda ad ogni cittadino di rimanere a casa nel caso in cui si avvertano dei sintomi e di chiamare subito il medico. La confederazione e i Länder provvederanno anche a proteggere le persone più deboli le quali riceveranno 15 mascherine FFP2 a testa a un prezzo agevolato. Per quanto riguarda le scuole invece, per il momento potranno rimanere aperte poiché delle regole più concrete verranno decise durante la riunione del 25 novembre 2020. La mancanza di norme precise e il rispettivo rinvio ha suscitato un sentimento di forte delusione negli ufficiali sanitari tedeschi, da quanto si apprende dal giornale Tagesschau. L’esperto sanitario tedesco Karl Lauterbach, infatti, parla di un’opportunità persa perché, da come spiega la presidentessa dell’Associazione Federale dei medici del servizio sanitario pubblico Ute Teichert, se da un lato si può comprendere il fatto che si cerchi di andare avanti con dei semplici appelli, dall’altro, si deve tener conto anche che la sanità pubblica tedesca si trova con l’acqua alla gola. Pertanto, si spera nell’arrivo di un’ordinanza valida che permette di migliorare la situazione attuale la quale desta molta preoccupazione.

M.C.

A Mosca, capitale della Federazione russa, il sindaco Sergej Sobjanin riporta l’introduzione delle nuove misure anti-Covid per i prossimi due mesi, dal 13 novembre al 15 gennaio 2021, visto il peggioramento della situazione epidemiologica nella città. La decisione è stata presa di comune accordo con il Servizio Federale operativo e il Rospotrebnadzor (Servizio Federale per il controllo della tutela dei diritti dei consumatori e del benessere umano), scrive Russian.rt. Tra le restrizioni introdotte ci sono le seguenti, riportate da Stopcoronavirus.rf: dopo le 23:00 e fino alle 6:00 non si potranno servire clienti in bar, ristoranti, pub (restano disponibili asporto e consegna a domicilio) e in luoghi di intrattenimento; gli studenti delle scuole e delle università passeranno alla didattica a distanza (con l’invito a limitare i propri spostamenti); il numero di spettatori in cinema, teatri e sale da concerto viene ridotto al 25% della capienza totale. Il sindaco ha inoltre affermato che ovviamente nella capitale non si terranno i grandi festeggiamenti di Capodanno. Anche il festival “Viaggio verso il Natale” non si terrà quest’anno: le strade e le piazze verranno comunque addobbate con luci e altre decorazioni. Continuano ad essere applicate restrizioni per le persone con più di 65 anni e per coloro che soffrono di patologie. In più, proprio a causa delle nuove restrizioni, al governo russo è stata inviata una proposta di prolungare le vacanze invernali di due settimane, cioè fino al 25 gennaio. La richiesta è stata fatta al Gabinetto dei Ministri dal partito Comunisti di Russia, poiché una misura del genere rallenterebbe ulteriormente la diffusione del coronavirus, facendo guadagnare ulteriore tempo per la vaccinazione di massa della popolazione. La proposta è stata definita eccessiva dalla Duma di Stato, come riporta Russian.rt, poiché non può essere correlata alla situazione reale che potrebbe verificarsi nel Paese dopo il 10 gennaio.

In queste settimane si sta parlando molto del vaccino russo Sputnik V e della sua diffusione. L’Ungheria riceverà i primi campioni del vaccino anti-Covid a breve, come riferito dal Ministro dell’Industria e del Commercio russo Denis Manturov al capo della diplomazia di Budapest Peter Szijjarto e di cui dà notizia il sito Stopcoronavirus.rf. Questo farà dell’Ungheria il primo Paese europeo in cui verrà organizzata la produzione del vaccino russo. Inoltre, secondo Stopcoronavirus.rf, anche il Venezuela ha riconosciuto il ruolo della Russia nella ricerca di un vaccino efficace e ha infatti ricevuto il primo lotto del vaccino russo all’inizio di ottobre, classificandosi come il primo Paese dell’emisfero occidentale a partecipare alle sperimentazioni cliniche della fase tre del vaccino. Sputnik V è il primo vaccino contro il coronavirus registrato al mondo, con un’efficacia del 92%. Nel frattempo, il Fondo russo per gli investimenti diretti (RDIF) ha concordato la produzione del vaccino in Corea del Sud, come riportato da Vesti.ru: la produzione dovrebbe iniziare a dicembre di quest’anno e si parla di circa 150.000 dosi.

Per quanto riguarda le sanzioni adottate nei confronti della Federazione russa da parte di Francia e Germania dopo l’incidente dell’avvelenamento del leader dell’opposizione russa Aleksej Navalnij, c’è stata una contro risposta della Russia. Come riportato da Zona.media, il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov ha definito ovvia la contro risposta alle sanzioni e, poiché la Germania è diventata il leader del confronto tra Europa e Russia, le misure di risposta saranno simmetriche alle sanzioni UE imposte contro alcuni dirigenti del Cremlino. Mosca darà una comunicazione di questa decisione ai due Paesi europei, specificando chi sarà colpito dalle sanzioni. Con riferimento alla sicurezza del Paese russo, il 13 novembre il presidente Putin ha firmato importante un decreto per l’attuazione di un piano di difesa della Russia per gli anni 2021-2025, come riportato da Vesti.ru, al fine di attuare misure nel campo della difesa. Il documento è stato pubblicato sul portale internet ufficiale per le informazioni legali ed entrerà in vigore il 1° gennaio 2021.

Sulla questione del conflitto nel Nagorno-Karabakh ci sono stati degli sviluppi. Il 13 novembre il presidente Putin ha tenuto una videoconferenza sulla risoluzione delle questioni umanitarie nella regione del Nagorno-Karabakh e ha firmato un decreto per la creazione di un centro interdipartimentale per la risposta umanitaria nel Paese colpito dal conflitto e le forze di pace russe saranno schierate sul territorio, così riporta Vesti.ru. Le funzioni del centro includono l’agevolazione del ritorno dei rifugiati e il ripristino delle infrastrutture del Nagorno-Karabakh, oltre alla creazione di condizioni di vita normale per la sua popolazione, scrive Russian.rt. La videoconferenza è stata pubblicata sul sito del Cremlino. L’obiettivo dell’accordo tra Armenia e Azerbaigian sarebbe di mantenere la pace per cinque anni, allo scadere dei quali, se le parti non dovessero opporsi, la pace verrà rinnovata automaticamente. Tuttavia, mentre il primo ministro armeno Pashinyan ha definito le forze di pace una garanzia di non ripresa della guerra, alcuni cittadini armeni hanno percepito la firma dell’accordo come un atto di resa, riporta Gazeta.ru. Di qui le proteste che hanno avuto luogo a Yerevan dal 12 novembre per chiedere le dimissioni del primo ministro: diverse migliaia manifestanti hanno marciato lungo le vie della città, portando all’arresto di più di 60 persone, secondo Russian.rt. Il 17 novembre, durante il XII Vertice BRICS (acronimo per riferirsi a Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), il presidente Putin ha confermato il rispetto degli accordi presi sul Nagorno-Karabakh, scrive Regnum.ru. La situazione sembra finalmente stabile e ora, con un po’ di tranquillità, si potrà forse indagare sul ruolo che ha avuto la Turchia nel conflitto, domanda che si pongono soprattutto Stati Uniti e Francia.

S.P.

AFRICA

Sembra invece essere migliorata la situazione nel continente africano. Il Jornal de Angola informa che il governo di Luanda è stato inserito fra gli otto Paesi africani che hanno registrato importanti progressi tra il 2010 e il 2019. Il rapporto della Mo Ibrahim Foundation (IIAG) 2020, ha assegnato all’Angola 40 punti. Il Paese sub-sahariano ha infatti mostrato significativi segnali di sviluppo per quanto concerne la qualità della governance, le opportunità economiche, il coinvolgimento della società civile, diritti e inclusione, risultando così, tra i 54 Stati africani, quello con il più alto tasso di crescita.

G.D.P.

MEDIO ORIENTE

Secondo l’esperto militare Ayad al-Tufan la politica americana nei confronti dell’Iraq e della regione seguirà senza soluzione di continuità le precedenti, poiché basata su di una pianificazione geostrategica a lungo termine. L’esperto ha riferito ad Al-Quds Al-Arabi che l’ascesa al potere di Biden non sarà determinante nel cambiare le regole del coinvolgimento degli USA nella regione, in quanto legate ad una politica per ogni aspetto coerente e immutabile, con l’unica variabile rappresentata dai diversi meccanismi di attuazione. L’analista politico, Jassem Al-Shammari, ha spiegato ad Al-Quds Al-Arabi che i dossier iracheni e iraniani sono determinanti nella politica americana, sottolineando che chi vuole allentare la stretta sull’Iran estenderà il raggio d’azione in Iraq, là dove chi vuole fare pressione sull’Iran limiterà le mosse iraniane in Iraq. La questione è pertanto legata al dialogo atteso tra Washington e Teheran sulla rinegoziazione del dossier nucleare: l’accordo concluso contiene 12 clausole, di conseguenza né Biden né chiunque altro possono cambiare le carte in tavola con un senato peraltro a maggioranza repubblicana. Da alcuni sondaggi è emerso che la scomposizione dell’Iraq, almeno in questa fase, indebolirebbe la presa degli USA nella regione. Date le circostanze sfavorevoli, Biden potrebbe trovarsi a esercitare minimamente la pressione avviata da Trump in merito alla normalizzazione con Israele, questione talaltro cruciale. Il metro di giudizio per stabilire il successo o il fallimento della politica di Biden in Iraq, coinciderà con l’atteggiamento che questi adotterà nei riguardi delle milizie. Un’altra domanda decisiva riguarda il ruolo dei leader iracheni: Al-Shammari ha ribadito trattarsi di una circostanza capitale, dal momento che gli iracheni non vogliono che Baghdad si tramuti in un’arena per la resa dei conti tra americani e iraniani.


                                                                                                                            L.D.

In Siria, tra il boicottaggio degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, è stata indetta a Damasco, sotto iniziativa del governo siriano e con la supervisione russa, una conferenza internazionale sui rifugiati siriani che ha visto la partecipazione di delegazioni di 27 Paesi. Il ministro degli Esteri russo Seri Lavrov, in un discorso rivolto alla conferenza, pronunciato dall’inviato speciale per la Siria Alexander Lavrentiev, ha dichiarato che i metodi degli USA e di alcuni Paesi sono tutt’altro che costruttivi e dimostrerebbero i doppi standard che vengono usati nei confronti della Siria per realizzare interessi geopolitici, con riferimento al regime sanzionatorio in atto contro il Paese. In un discorso pronunciato all’apertura della conferenza, il comandante del Centro di controllo nazionale per la difesa Mikhail Mezentsev ha ribadito l’importanza di garantire lo smantellamento dei campi per gli sfollati, in quanto fonte di risorse umane per formazioni armate illegali. Il funzionario russo ha annunciato che il suo Paese ha stanziato più di un miliardo di dollari per la ricostruzione di reti elettriche, industrie e altri scopi umanitari, indicando allo stesso tempo la firma di otto memorandum nei campi di energia, unione doganale e attività educative. Il presidente al-Assad ha tenuto un discorso da remoto descrivendo la crisi dei rifugiati come “artificiosa” e soggetta a investimenti politici oltre a ribadire che i governi responsabili della diffusione del terrorismo non possono definirsi garanti del rimpatrio dei rifugiati. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, da parte sua, ha espresso in altra occasione l’auspicio per l’avvio del processo di pace, simile a quanto avvenuto pochi giorni fa nel Karabakh. Erdogan ha dichiarato che per raggiungere questo obiettivo, il governo siriano e i gruppi terroristici devono essere esclusi e che la Turchia è pronta a lavorare con la Russia e le potenze regionali al fine di soddisfare direttamente le aspirazioni del popolo siriano. La Coalizione nazionale siriana delle forze rivoluzionarie, che ha denigrato l’evento, ha dichiarato come lo sfruttamento da parte della Russia del rimpatrio dei rifugiati nel marketing politico non è una novità, poiché figura nell’agenda del Cremlino da lungo tempo, con l’obiettivo finale di sostenere la sopravvivenza del regime e imporlo al popolo siriano e alla comunità internazionale. Secondo il quotidiano al-Quds al-Arabi, sembra che l’obiettivo della Russia, nel tenere la conferenza a Damasco, sia quello di determinare un cambiamento nelle posizioni degli Stati Uniti e dei Paesi europei nei confronti del governo siriano.


                                                                                                                               L.D.



Fonti Reuters citate dal giornale al-Quds al-Arabi hanno riferito che l’Arabia Saudita avrebbe informato il gruppo Houthi attivo nello Yemen in colloqui riservati della propria volontà di firmare la proposta delle Nazioni Unite per un cessate il fuoco qualora il gruppo allineato con l’Iran accettasse di installare una zona cuscinetto lungo i confini del regno. Se si giungesse ad un accordo, sarebbe la svolta più significativa dall’’inizio del conflitto nel quadro degli sforzi tesi a raggiungere una soluzione politica. Il conflitto è ampiamente considerato come una guerra per procura tra l’Arabia Saudita e l’Iran. Il presidente eletto degli Stati Uniti Joe Biden ha promesso durante la sua campagna di interrompere la vendita di armi all’Arabia Saudita, il più grande acquirente di armi americane in Medio Oriente, per fare pressione su Riyadh affinché ponga fine ad una guerra che ha causato la peggiore crisi umanitaria del mondo. Ma le fonti sostengono che gli Houthi, che controllano lo Yemen settentrionale, l’area più popolata del Paese, potrebbero essere meno disposti a cooperare con l’Arabia Saudita qualora il presidente degli Stati Uniti Donald Trump concretizzasse la minaccia di designarli come organizzazione terroristica prima di lasciare l’incarico. Le fonti affermano che Riyadh ha chiesto maggiori garanzie di sicurezza agli Houthi, compresa come già detto una zona cuscinetto lungo il confine con il nord dello Yemen oltre a un corridoio lungo il confine per prevenire incursioni, fino a quando non sarà istituito un governo di transizione, sostenuto dalle Nazioni Unite. In cambio, il regno alleggerirà il blocco aereo e marittimo come parte della proposta delle Nazioni Unite, che include già l’arresto degli attacchi transfrontalieri.


                                                                                                                                 L.D.

AMERICA

Infobae riporta la forte reazione cittadina in Perù causata dalla partenza di Martín Vizcarra dalla presidenza e la successiva assunzione del potere esecutivo da parte del presidente del congresso, Manuel Merino, a cui ha risposto una violenta repressione da parte del governo peruviano contro le manifestazioni con almeno due decessi e numerosi feriti.

Dopo questi eventi, il presidente provvisorio del Perù non ha più potuto resistere al suo debole mandato e si è dimesso domenica, dopo meno di una settimana al potere.

Merino è stato denunciato penalmente insieme al suo Primo Ministro, Ántero Flores-Aráoz, e al Ministro dell’Interno, Gastón Rodríguez, nonché ai capi della Polizia Nazionale per i reati di omicidio qualificato, abuso di autorità e lesioni.

La denuncia per gravi violazioni dei diritti umani è stata presentata al procuratore generale del Perù, Zoraida Ávalos, dopo il decesso di due giovani e più di cento persone rimaste ferite durante le proteste che si sono svolte la scorsa settimana a Lima.

La denuncia indica che, oltre alla repressione dei manifestanti, gli agenti antisommossa hanno aggredito anche alcuni membri della stampa con colpi diretti sul corpo con gas lacrimogeni e pallottole. Da parte sua, Amnesty International (AI) ha chiesto la fine della repressione da parte della polizia nazionale durante le manifestazioni, in quanto questa crisi politica potrebbe generare una crisi dei diritti umani. “Le autorità devono dare la priorità alla protezione della popolazione rispetto a qualsiasi interesse politico”, così afferma Marina Navarro, direttore esecutivo di Amnesty International Perù.

Dopo aver analizzato le prove audiovisive, Amnesty ha potuto verificare che gli agenti di polizia hanno sparato munizioni, lanciato gas lacrimogeni, picchiato o sottoposto a violenza diverse persone in modo non necessario e sproporzionato, ferendole e violando gli standard internazionali sui diritti umani. Nel bel mezzo di una delle peggiori crisi politiche della storia del Paese andino, lunedì il congresso ha approvato un nuovo consiglio di amministrazione guidato da Francisco Sagasti, che diventerà così presidente ad interim, dopo la partenza dei due suddetti leader. Il suo obiettivo principale sarà mitigare la tempesta politica nel Paese e condurre una transizione pacifica fino alle elezioni presidenziali dell’aprile 2021.

A.C

DW riporta la prima chiamata del neopresidente eletto degli Stati Uniti, Joe Biden, con un leader latino-americano, il presidente cileno Sebastián Piñera.

Nella sua chiamata con il presidente cileno, Biden lo ha ringraziato per essersi congratulato con lui per la sua vittoria elettorale e ha espresso il suo profondo desiderio di approfondire il rapporto degli Stati Uniti con il Cile in modo da aiutare le Americhe a riprendersi dalle sfide economiche e sanitarie poste dalla pandemia Covid-19.

Biden si è congratulato con il presidente Piñera per la recente decisione del Cile di aggiornare la sua Costituzione, dopo 30 anni di democrazia, in modo da raggiungere una democrazia più forte ed equa. L’ex vicepresidente degli Stati Uniti, che entrerà in carica il 20 gennaio, ha anche annunciato che lavorerà per rafforzare le istituzioni emisferiche, gestire la migrazione regionale e ricostruire la cooperazione per far fronte a sfide globali, come il cambiamento climatico.

A.C

Dall’altro lato dell’oceano Atlantico, in Brasile il Presidente Jair Bolsonaro ha partecipato in videoconferenza al BRICS, il meeting che riunisce i Paesi emergenti. Come riporta la testata  Jornal de Noticias, il leader brasiliano si è incontrato virtualmente con i suoi omologhi di Russia, Cina, India e Sudafrica, criticando la gestione della pandemia da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e annunciando che per superare la grave crisi sanitaria, “anche il Brasile sta sviluppando un vaccino anti Covid […]”. Bolsonaro ha poi sottolineato la necessità di apportare importanti riforme all’interno di vari organismi, quali la stessa OMS, l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Il rappresentante della nazione sudamericana ha anche ottenuto l’appoggio del Presidente russo Vladimir Putin sulla questione Amazzonia ed ha annunciato novità rilevanti: “Presto riveleremo quali sono i Paesi responsabili del disboscamento illegale della foresta pluviale”.

G.D.P

Secondo quanto riportato dal CNBC il 14 novembre, il continuo rifiuto del presidente Donald Trump di accettare la sconfitta delle elezioni degli Stati Uniti d’America del 2020 ha posto una serie di pericoli per la sicurezza nazionale. Tuttavia, il pericolo più grande non si troverà nell’elenco convenzionale di minacce di cui si occupano gli esperti di politica estera di Washington. Questo non significa però, che non ci sia anche un potenziale rischio di aumento inerente al solito elenco di preoccupazioni: Cina, Russia, Iran, Corea del Nord o terrorismo. Tuttavia, nessuno di loro, per quanto significativi siano, rappresenta un pericolo esistenziale per gli interessi degli Stati Uniti come la crescente possibilità che si sviluppi una polarizzazione politica interna e crescenti divisioni culturali. Le intenzioni del presidente Trump, a seguito della sua sconfitta elettorale, sono chiaramente quelle di emergere come la forza più significativa del Partito Repubblicano. Più si avvicina il giorno della sua partenza, più l’ex presidente continua ad affermare che nel 2024 riprenderà l’ufficio che sta lasciando con tanta riluttanza. Infatti, quest’ultimo promette di essere un ex presidente non tradizionale, dal momento che ha intenzione di rimanere sotto i riflettori con qualunque mezzo disponibile. Di contro, il presidente eletto Biden desidera contrastare la continua influenza di Trump e vuole raggiungere il suo obiettivo: diventare il leader unificatore per tutti gli americani e per le democrazie globali. I suoi alleati credono addirittura che potrebbe essere uno di quei presidenti la cui storia si tramuterà in un momento storico d’importanza mondiale.

Tenendoci aggiornati sullo stesso argomento, il 15 novembre secondo quanto rilasciato dal CNBC, il presidente Trump ammette finalmente pubblicamente e per la prima volta che Joe Biden ha vinto le elezioni. Nonostante l’accettazione della sconfitta, Trump continua comunque a sostenere che le elezioni sono state truccate. Infatti, migliaia dei suoi sostenitori si sono continuati a riunire a Washington per protestare contro i risultati. Almeno 20 persone sono state arrestate dopo che i gruppi pro-Trump si sono scontrati con i ‘contro-protestatori’.

Cambiando ora argomento, sempre negli USA, secondo quanto riportato dal New York Times, la modella e attrice Emily Ratajkowski ha pubblicato un saggio in cui afferma di essere stata oggetto di molestie sessuali da parte del fotografo Jonathan Leder all’età di 20 anni. Il signor Leder, in risposta, ha definito le accuse della Ratajkowski “false” e il suo saggio “pacchiano e senza fondamento”. Sembra che l’uomo l’avesse fotografata due volte nel 2013 e che da allora abbia iniziato a rilasciare immagini di lei, anche contro la sua volontà. Dopo la pubblicazione del saggio dell’attrice sono emerse più donne con storie che coinvolgono lo stesso fotografo. Il New York Times ha cercato di contattare l’uomo di 47 anni per avere un commento su questo articolo, ma lui non ha mai risposto. Tuttavia, non è il primo fotografo accusato di sfruttare i corpi dei giovani. “Questi sono i tipi di storie che ascoltiamo ogni giorno”, ha detto Sara Ziff, fondatrice di Model Alliance, un’organizzazione no profit per i diritti dei lavoratori.

A.B.

ASIA

Secondo quanto riportato dal giornale China Daily, la Cina continuerà ad effettuare controlli rigorosi sul turismo in uscita dal Paese visto il crescente rischio di contagio importato da nuovo Coronavirus.

Infatti, sebbene in occasione della recente Giornata Nazionale i viaggi nazionali siano stati numerosi, un occhio di riguardo va soprattutto nei confronti dei viaggi internazionali, vista la gravità della pandemia anche negli altri Paesi, come affermato dal viceministro degli esteri Luo Zhaohui. “Non consigliamo alle persone di andare all’estero. E per chi sarà costretto a viaggiare per motivi umanitari o altre ragioni, richiediamo la massima attenzione e il rispetto delle norme di sicurezza personali così come delle norme anti-Covid imposte dai Paesi di destinazione”.

Verranno prese misure più approfondite per impedire al virus di entrare in Cina: come ad esempio l’obbligo per tutti i viaggiatori di sottoporsi al test di positività Covid prima di entrare nel Paese e un’intensificazione dell’ispezione degli alimenti di cibo importati dall’estero che potrebbero essere veicolo di contagio.

Secondo un altro giornale, il The Standard, l’Amministrazione Nazionale Cinese per l’Immigrazione, lo scorso giovedì 12 novembre, ha dichiarato che più di 5.000 stranieri sono stati indagati per aver attraversato illegalmente i confini nazionali. Tuttavia, l’aumento di controlli per limitare gli attraversamenti illegali delle frontiere cinesi ha permesso efficacemente di prevenire l’entrata di numerosi pazienti affetti da coronavirus. Dallo scoppio dell’epidemia infatti, sono stati chiusi ben 46 punti di ingresso via terra e 66 passaggi di frontiera sparsi in tutto il Paese.

Cambiando argomento, secondo quanto riportato dal China Daily, durante questo fine settimana si prevede che Pechino e altre aree circostanti, subiranno un peggioramento medio-alto della qualità dell’aria a causa di un aumento dell’inquinamento tipico di questo periodo. A tal proposito, il governo della città ha già affermato di aver adottato delle misure di sicurezza che dovrebbero aiutare a garantire la qualità dell’aria. Secondo quanto spiegato dal Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente: “L’aria fredda raggiungerà il nord della Cina martedì e ciò incrementerà la purificazione della qualità dell’aria”.

Nonostante ciò, in linea generale Pechino negli ultimi anni ha registrato un significativo miglioramento della qualità dell’aria determinato da importanti riduzioni della concentrazione di inquinamento. Ovviamente, per mantenere una buona qualità dell’aria, la città ha fissato obiettivi chiari sia per il resto di quest’anno che per l’anno prossimo. Per raggiungere tali goals, il governo di Pechino ha promosso 37 misure volte a combattere il problema dell’inquinamento dell’aria per questo prossimo inverno. Tali misure coinvolgono diversi settori tra cui: energia, industria e trasporti. Pechino inoltre, per ridurre ulteriormente il problema, ha gradualmente eliminato 110 imprese (molte delle quali manifatturiere) e ha emesso un regolamento relativo allo smaltimento dei rifiuti da costruzione.

A.B.

OCEANIA

Secondo il 9NEWS, in Australia è stato introdotto un programma multimilionario il cui fine è quello di migliorare la salute degli studenti nelle scuole primarie e secondarie. Per gli infermieri scolastici saranno spesi quasi 47 milioni di dollari e verrà posta particolare attenzione alla salute mentale degli scolaretti. Altri 6 milioni di dollari andranno a programmi comunitari nelle aree ad alto rischio di suicidio. Nonostante l’anno Covid-19, nel NSW i numeri dei suicidi sono rimasti invariati. Tuttavia, secondo John Brogden di Lifeline Australia: “Lifeline ha visto un aumento delle chiamate tra il 20 e il 30 percento”. Il governo lavorerà con le scuole per indirizzare le aree in cui c’è un maggior bisogno di assistenti sanitari.

Secondo il Newsroom, in Nuova Zelanda sta prendendo vita il primo allevamento di pesci in mare aperto, il quale potrebbe generare miliardi di dollari. Tuttavia, la società che è dietro il progetto si sta scontrando con diverse obiezioni, in gran parte provenienti della gente del posto, la quale non è affatto impressionata dai livelli di conformità che si sono invece verificati altrove. I piani ambiziosi per trasformare l’oceano aperto in un’industria di allevamento di pesci multimiliardaria si stanno avvicinando alla realtà con il recente rilascio delle linee guida del governo. Nonostante ciò, l’azienda di prima linea ‘Nuova Zelanda King Salmon’ sta trovando ostacoli inaspettati: “poiché pensavamo che tutti sarebbero stati a favore, non avevamo previsto la quantità di dati che avremmo dovuto raccogliere e la quantità di modelli che dovevamo fornire per andare in mare aperto” afferma Grant Rosewarne, amministratore delegato di King Salmon in Nuova Zelanda. A differenza della Norvegia, che non ha avuto barriere ambientali per i suoi enormi allevamenti di salmone in mare aperto, la Nuova Zelanda è molto più conservatrice. Infatti, la giornalista della democrazia locale Chloe Ranford sostiene che le persone siano preoccupate perché pensano ci potrebbe essere una ricerca inadeguata. “Non è che non vogliano che ciò accada, è solo che non è mai successo prima, la comunità ti sosterrà a lungo termine e sa che riuscirai a portare molti soldi a Marlborough, solo che non vogliono che questo processo sia affrettato, deve essere ben pensato e ben studiato. Alla fine, se tutto ciò accadrà sarà una vittoria, una vittoria per tutti”, afferma la giornalista Ranford.

Rassegna stampa a cura di:
Alessandra Semeraro (responsabile inglese, cinese, portoghese, arabo)
Alissa Bianconi & Livio D’Alessio (lingua inglese)
Alissa Bianconi (lingua cinese)
Giorgio De Paolis (lingua portoghese)
Livio D’Alessio (lingua araba)
Veronica Battista (responsabile spagnolo, tedesco, francese, russo)
Angelica Chimienti (lingua spagnola)
Beatrice Proietti (lingua francese)
Mariarosaria Carnicelli (lingua tedesca)
Simona Piergiacomo (lingua russa)
Claudia Lorenti (coordinatrice del progetto)

#QuelloCheCiUnisce

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La Giornata Internazionale della Televisione

Mes amis, bentornati nella nostra rubrica #QuelloCheCiUnisce, dove celebriamo le giornate internazionali. In particolare oggi, 21 Novembre, è la giornata internazionale della televisione: nel 1996 infatti l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso di istituire questa giornata, riconoscendo l’impatto che la televisione ha a livello emotivo e decisionale sugli spettatori. Ça va sans dire, oggi la televisione racchiude uno spettro più ampio di dispositivi: l’avvento delle smart TV, in concomitanza con lo sviluppo di internet, cellulari, app e servizi di streaming hanno reso la televisione uno strumento ancora più internazionale, in grado di ricoprire ruoli sempre più vasti.

Lungi da me annoiarvi con la storia della nascita della televisione, mes amis, quindi per rendere il tutto più interessante ho deciso di raccontarvi i programmi televisivi che hanno creato più scalpore negli anni, alcuni dei quali sono ancora in onda… Così sapete cosa fare nelle serate di quarantena.

Iniziamo con un cult, un po’ il padrino dei programmi di quest’articolo, colui che ha dato il via a tutto: “Jackass”. Prodotto e distribuito da MTV, in Italia il programma andò in onda nei primi anni 2000, e scatenò molte polemiche; lo show infatti si caratterizzava di stunt comici, ossia azioni pericolose con inclusi i vari fails. MTV ha continuamente riempito il programma di avvertenze che evidenziavano la pericolosità delle azioni, invitando a non replicarle a casa. Nonostante ciò, molti imitarono gli stunt, causandosi ferite più o meno gravi, e MTV fu costretto a cancellare il programma. In seguito uscirono diversi film, basati sullo stesso concept e ideati dai creatori del programma originale.

“Cheaters” è un altro titolo che ha fatto molto discutere. Si tratta di un programma televisivo dove degli investigatori privati offrono il loro servizio per scoprire se uno dei due partner tradisce l’altro. Oltre ai dubbi sulla veridicità del programma stesso -infatti molti sostenevano che in realtà si trattasse di attori pagati, e i fatti fossero inventati-, il programma presentava anche scene violente quando il partner tradito scopriva la verità e attaccava fisicamente il traditore. Il programma è ancora in produzione, e in Italia va in onda su Sky, ma se volete guardare qualcosa di più soft e con lo stesso concept, su Real Time va in onda “Alta infedeltà” – a voi il giudizio sulla veridicità o meno dei fatti.

Un programma da poco approdato in Italia, e disponibile solo in streaming su DPlay Plus, è “Naked Attraction” – e sì, come il titolo evidenzia, i concorrenti sono completamente en déshabillé. Si tratta di una sorta di appuntamento al buio, ossia un partecipante alla ricerca di un partner si trova davanti a sei cabine. In ogni cabina c’è un potenziale partner completamente nudo, e man mano che i round si susseguono, il partecipante sceglie quale cabina continuare a scoprire. Alla fine, il partecipante e il partner rimasto in gara escono per un appuntamento, vestiti, e decidono se iniziare a frequentarsi o meno. Aldilà dell’etica dietro al programma, è stato riscontrato che di fatto “Naked Attraction” non viola nessuna legge, e continua ad essere prodotto.

Infine, uno dei programmi più controversi nella storia della TV, “Fear Factor”. Prodotto dalla NBC e andato in onda nei primi anni 2000, in Italia il programma non è mai approdato. Si tratta di un contest dove tre stuntman si sfidano in azioni pericolose per vincere il premio finale di 50 mila dollari. In America, il programma è stato denunciato da varie associazioni animaliste, ma anche da singoli individui che sono rimasti feriti in seguito alla replica a casa delle azioni riportate nel programma.

In breve, mes amis, il mondo della televisione è vario, a volte istruttivo, a volte demenziale – come abbiamo potuto vedere con i programmi sopra citati -, ma indubbiamente è la fonte di intrattenimento su cui si basa la nostra società. Se siete curiosi di scoprire le varie iniziative per celebrare questa giornata, seguite l’hashtag #WorldTVDay sui social.

À bientôt mes amis

Emanuela Batir

#UNINTSpeechPressReview

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«SPESSO DICO AI MIEI ARTISTI: AMATEVI», COSÌ RIVELAVA L’ATTORE DI ORIGINE ARMENA ARMEN DŽIGARCHANJAN

È morto il 14 novembre a Mosca, dopo una importante carriera come attore sovietico di origine armena. Armen Džigarchanjannasce il 3 ottobre del 1935 a Erevan e cresce in un ambiente russofono, frequentando una scuola russa e respirando la cultura russa e quella armena allo stesso tempo. Il personaggio ideale per chi desidera immergersi in un contesto multiculturale e un esempio per tutti coloro che, dovendo parlare in pubblico, si sentono un po’ attori nella propria professione.

L’artista popolare è morto lo scorso sabato all’età di 86 anni. Ha interpretato centinaia di ruoli teatrali e cinematografici, lavorando nei film Zdravstvujte, ja vaša tjotja! (in italiano, Buongiorno, sono sua zia!), Mesto vstreči izmenit’ nel’zja (Mai cambiare il luogo dell’incontro)e in Širli-myrli (Che pasticcio).

Nel 1952 Džigarchanjan si diploma e tenta di iscriversi all’Università russa di arti teatrali (GITIS) A. V. Lunačarskij a Mosca, ma non supera il concorso. Come racconta l’attore in diverse interviste, era stata la madre a ispirare in lui il sogno di iscriversi in una delle principali scuole teatrali, quando tornando da Mosca gli aveva portato i volantini del teatro. Quando legge il monologo durante il concorso, un uomo della commissione gli chiede perché si fosse presentato proprio a quel concorso, proponendogli invece l’istituto del Teatro di Erevan. In questo modo torna a Erevan e racconterà successivamente: «Lì ho incontrato il mio grande insegnante: Armen Gulakjan. E se non fossi tornato, chissà come sarebbe andata…».

Dopo la triste esperienza con il test universitario, lavora per un anno come assistente operatore nello studio cinematografico Armenfilm. Nel 1954, come gli consigliano, entra nell’Istituto artistico e teatrale di Erevan (l’attuale Istituto Statale di Teatro e Cinema di Erevan) ed è studente dell’artista Gulakjan. Quando è ancora al secondo anno, Džigarchanjan è accolto nella compagnia del teatro drammatico russo di Erevan K. S. Stanislavskij.

«Ricordo molto bene [i primi passi sul palco], come fosse ieri: il 25 gennaio del 1955 salii sul palco del Teatro drammatico Stanislavskij di Erevan con lo spettacolo Ivan Rybakov. Dovevo interpretare questa battuta: “Compagno capitano, ha un messaggio telefonico!” Così avvenne la mia prima apparizione sul palcoscenico, da professionista», condivide durante un’intervista.

«La nostra professione, devo ammetterlo, si basa su una domanda: [quello del personaggio] è un tuo problema o è qualcosa che non ti riguarda? Se io avessi una figlia e l’avessi persa, lavorerei nel ruolo del Re Lear. Ma non possiamo cercare tra gli attori chi ha davvero strangolato qualcuno per interpretare l’Otello, non è vero? Questo vuol dire che è un’imitazione, ecco tutto», dichiara l’attore.

«Sono un bravo artista e un brav’uomo, direi. E penso che ciò sia molto importante per noi, per gli esseri umani. Devo essere consapevole del fatto che mi amo. Lo dico spesso ai miei artisti, “amatevi”».

Dopo aver scoperto nuove curiosità su questo famoso artista, se ti interessa sapere quali sono alcuni tra i migliori film sovietici, ecco una breve lista:

  • Andrey Rublyov (1966);
  • Stalker (1979);
  • Il racconto dei racconti (1979);
  • Solaris (1972);
  • Va’ e vedi (1985);
  • L’albero dei desideri (1976);
  • Ivan il Terribile (1944);
  • La terra (1930);
  • La corazzata Potemkin (1925);
  • La congiura dei boiardi (1958).

Marco Riscica

Fonti (sitografia):
https://tass.ru/kultura/10003223, consultato in data 17/11/2020.
https://www.kinopoisk.ru/lists/editorial/top_100_russian_by_roskino/?tab=all, consultato in data 17/11/2020.
https://www.nientepopcorn.it/classifiche-, consultato in data 17/11/2020.
film/nazione/migliori-film-russi/, consultato in data 17/11/2020.

#POLITICAFFÈ

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E Trump non molla…Aumentano le pressioni perché riconosca la vittoria di Biden, ma il Presidente annuncia battaglia legale.

Stampa inglese

Trump è agguerrito. Non vuole abbandonare la Casa Bianca. Si sta impegnando energicamente per portare avanti la sua contestazione in merito ai risultati elettorali: ha, infatti, condotto diverse azioni legali in alcuni Stati chiave. Eppure, le prove concrete di frode continuano a mancare.

Si potrebbe chiedere, in ultima istanza, un intervento da parte della Corte Suprema. Ma una svolta di questo tipo sarebbe motivata solo dalla presenza di una questione molto significativa. Come accadde nel 2000, quando la proclamazione del nuovo Presidente avvenne dopo il riconteggio totale dei voti. A scontrarsi erano George W. Bush e Al Gore.   

Bryan Ware, il vicedirettore per la sicurezza informatica della Cybersecurity and Infrastructure Security Agency (CISA), ha confermato a Reuters di aver rassegnato le proprie dimissioni giovedì scorso. Poiché, secondo alcune indiscrezioni, la Casa Bianca aveva esercitato pressioni per ottenere il suo allontanamento. Anche a Christopher Krebs, direttore della CISA, è toccato lo stesso destino. Sempre Reuters pochi giorni fa aveva rivelato che Krebs si aspettava di essere licenziato. E questa confidenza, fatta ai suoi colleghi, si è trasformata in una notizia ufficiale proprio nelle ultime ore. Krebs, infatti, aveva attirato le ire di Trump per il sito web soprannominato “Rumor Control” gestito dalla CISA. In pratica, in questo sito internet sono state smontate le teorie su cui Trump aveva fatto affidamento per contestare l’integrità del risultato delle elezioni. Specificamente, i funzionari di Trump si sono infuriati per un post della CISA che rifiutava una teoria del complotto basata sull’idea che un supercomputer e un programma – chiamati presumibilmente Hammer e Scorecard – avrebbero ribaltato i voti a livello nazionale.

Ancora, Ben Hovland della Election Assistance Commission (EAC), riguardo alle convinzioni di Trump sul fatto che milioni di voti a suo favore siano stati cancellati, ha reagito dicendo che affermazioni di questo tipo dovrebbero essere effettivamente sostenute con qualcosa di credibile e che tali insinuazioni finiscono semplicemente per erodere la fiducia degli americani nel processo democratico. Per tale motivo, il tutto è preoccupante – così The Independent.

Sempre The Independent dichiara che Trump per condurre questa battaglia, continua a prendere di mira altri personaggi, tra cui Andrew Cuomo. Il quale, come altri democratici, ha espresso preoccupazioni sul fatto che l’attuale amministrazione stia affrettando lo sviluppo dei vaccini per logiche eminentemente politiche. Il Governatore dello Stato di New York, inoltre, aveva dichiarato di essere pronto a intraprendere un’azione legale poiché la proposta di distribuzione del vaccino avrebbe sfavorito le comunità a basso reddito, quelle che cioè sono contrarie alla politica del Presidente ancora in carica.

Inoltre, la BBC ha raccontato come Trump si sia mosso a livello legale finora. In Pennsylvania ha intentato una causa per la mancanza di accesso degli osservatori dei sondaggi – coloro che controllano attentamente il conteggio dei voti per garantire trasparenza –, ma in molte zone ci sono state delle restrizioni giustificate in gran parte dal coronavirus. Un’altra sfida in Pennsylvania è stata giocata sulla scelta statale di contare le schede elettorali con timbro postale arrivate in ritardo. La Corte d’Appello, però, ha respinto il caso. Una causa per la mancanza di procedure di supervisione è stata poi portata avanti in Michigan. In Nevada, invece, il Partito Repubblicano aveva individuato migliaia di persone che avevano votato dopo essersi trasferite dallo Stato. Ma successivi controlli hanno dimostrato che si trattava di elettori legali, come il personale militare. In aggiunta, altre cause sono state intraprese in Georgia e in Arizona. Tuttavia i giudici statali stanno procedendo con il respingimento delle cause.  

Stampa statunitense

Un numero crescente di repubblicani chiede una transizione ordinata del potere, ma il Presidente Trump persiste nel diffondere affermazioni infondate su presunte frodi elettorali, alimentando in tal modo resistenza e disordini tra i suoi sostenitori, migliaia dei quali hanno protestato per i risultati delle elezioni a Washington lo scorso sabato. Tuttavia, Trump appare irremovibile e annuncia battaglia legale.

The New York Times sottolinea come, più di una settimana dopo che Joe Biden è stato dichiarato vincitore alle elezioni presidenziali statunitensi, Trump continui a bloccare in qualsiasi modo la transizione del suo successore. Come Trump ostacola Biden? Ad esempio trattiene i briefing dell’intelligence e impedisce l’accesso alla documentazione raccolta sul coronavirus.

Infatti, il Presidente uscente sta ricevendo molta pressione affinché permetta colloqui tra i suoi funzionari sanitari e gli assistenti del Presidente neoeletto, scrive The Washington Post. Si tratta di colloqui che potenzialmente potrebbero salvare la vita a molti cittadini statunitensi perché favorirebbero uno scambio di informazioni fondamentali sulle misure da adottare nel corso di questa pandemia. Le richieste si fanno sempre più urgenti e pressanti con il trascorrere dei giorni, perché i nuovi casi di Covid-19 stanno aumentando vertiginosamente nell’ultimo mese, arrivando a toccare la cifra record di 181.000 casi nuovi registrati nella sola giornata del 13 novembre.

È di lunedì 16 novembre l’annuncio riportato anche dalla CNN di un vaccino sviluppato da Moderna – azienda statunitense di biotecnologie – che sta dimostrando un alto tasso di successo nelle prime sperimentazioni cliniche. Tuttavia, invece di ascoltare e mobilitare il suo team di esperti medici che avvertono che la pandemia si sta trasformando rapidamente in una crisi umanitaria, Trump persiste nell’avanzare accuse riferendosi a presunte irregolarità nei voti e, anzi, annuncia su Facebook e Twitter  “I won the election!”.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:
Why US ballot count livestreams became misinformation magnets disponibile su https://www.theguardian.com/us-news/2020/nov/17/ballot-counting-livestreams-misinformation-us-election, consultato il 17/11/2020
US election security officials reject Trump’s fraud claims disponibile su https://www.bbc.com/news/election-us-2020-54926084, consultato il 17/11/2020
US election 2020: what legal challenges is Trump planning? disponibile su https://www.bbc.com/news/election-us-2020-54724960, consultato il 17/11/2020
Exclusive : top official on U.S. election cybersecurity tells associates he expects to be fire disponibile su https://www.reuters.com/article/us-usa-cyber-officials-exclusive-idUSKBN27S2YI, consultato il 18/11/2020
Chris Krebs is gone but his firing may not be the last disponibile su https://www.bbc.com/news/world-us-canada-54984196, consultato il 18/11/2020
Trump emerges from White House to take credit for vaccine and leale open door for second term disponibile su https://www.independent.co.uk/news/world/americas/us-election-2020/donald-trump-joe-biden-coronavirus-vaccine-second-term-b1722778.html, consultato il 17/11/2020
Trump-appointed election official says president’s claims are ‘baffling’ and court evidence ‘laughable’ disponibile su https://www.independent.co.uk/news/world/americas/us-election-2020/trump-voter-fraud-election-biden-b1722941.html, consultato il 17/11/2020
Trump doubles down on claims of election fraud disponile su https://www.nytimes.com/2020/11/15/briefing/us-election-boris-johnson-nagorno-karabakh.html, consultato il 16/11/2020
Trump’s failure to work with Biden is becoming more urgent as Covid spreads disponibile su https://edition.cnn.com/2020/11/16/politics/election-2020-donald-trump-joe-biden-transition-coronavirus/index.html, consultato il 16/11/2020
Election 2020 live updates: Biden to deliver address on the economy as Trump insists he won the election disponibile su https://www.washingtonpost.com/elections/2020/11/16/joe-biden-trump-election-live-updates/, consultato il 13/11/2020

#UniversEAT

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Ciao a tutti gli amici di #UniversEat! Il freddo inizia a farsi sempre più intenso, perché allora non scaldarsi con la nostra ricetta di oggi? Direttamente dalla tradizione romagnola, oggi prepariamo i mitici passatelli in brodo.

Ingredienti per 4 persone:

  • brodo di carne (o vegetale);
  • 4 uova (1 uovo a persona);
  • 16 cucchiai di parmigiano (4 cucchiai per ogni uovo);
  • 8 cucchiai di pangrattato (2 cucchiai per ogni uovo);
  • Scorza di un limone q.b.;
  • Noce moscata q.b.

Ed ora mettiamoci all’opera! Per prima cosa prepariamo un tradizionale brodo di carne. I vegetariani sono sicura prepareranno un ottimo brodo vegetale. Io generalmente, quello di carne, lo preparo un giorno prima in modo che poi sarà più facile sgrassarlo. Lasciamo il brodo a riposo e mettiamo le mani in pasta! In una ciotola aggiungiamo il parmigiano, il pangrattato, la scorza di limone e la noce moscata. Mescoliamo un po’ e poi aggiungiamo le uova. Impastiamo fino ad ottenere una sfera compatta. Se risulta troppo morbida, possiamo aggiungere un piccolo cucchiaino di farina. Lasciamo riposare l’impasto per circa 30 minuti. Passato questo tempo mettiamo il brodo sul fuoco e raggiunto il bollore mettiamo il composto in uno schiacciapatate a fori larghi (in mancanza del tipico schiaccia-passatelli romagnolo). Schiacciare il composto sopra il brodo che bolle affinché i passatelli cadano direttamente nella pentola e si cuociano. Lasciar cuocere per un solo minuto, il tempo che i passatelli vengano a galla. Servirli accompagnati da un buon calice di vino rosso.

Siete pronti a mettere le mani in pasta? Tre, due, uno… Unint ai fornelli!!!

p.s. I passatelli sono tipici anche nelle Marche, ma nella variante asciutta e negli ultimi anni questa usanza è arrivata anche in Romagna. Dunque sbizzarritevi come volete nel riproporre questo piatto e mandateci le vostre creazioni, noi le riposteremo.

Ylenia Cossu

#FACCIAMOILPUNTO

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KAMALA HARRIS: IL V.P. DI CUI ABBIAMO BISOGNO O UN PACCHETTO BEN CONFEZIONATO?

We did it Joe, you’re gonne be the next President of the United States’: il video twittato da Kamala Harris, diventato in poche ore virale, lascia trasparire l’incredibile emozione della neo-eletta vicepresidente USA. Probabilmente si tratta della prima volta nella storia delle presidenziali a stelle e strisce in cui un vicepresidente ottiene così tanta visibilità, forse addirittura di più dello stesso Presidente. Mentre il mondo si congratula per la vittoria di Joe Biden, non può far altro che andare in visibilio per il team che il nuovo leader democratico propone; una squadra la cui frontwoman principale è proprio l’ex procuratrice generale della California. Figlia di due immigrati e della rivoluzione sessantottina, Kamala Harris sembra proprio rappresentare tutto ciò di cui il futuro degli States ha bisogno: una donna nera, indipendente, che parla chiaro ed è pronta a difendere i diritti dei più deboli; tutto quello che la presidenza Trump aveva dimenticato, o meglio, mai preso in considerazione.

Il messaggio che questa nuova elezione vuole inviare è quello di una donna forte, che ce l’ha fatta: se lei può, tutte noi possiamo. E’ incontestabile che questa nuova presidenza democratica abbia rivoluzionato lo scenario politico americano con una proposta nuova dopo i quattro anni dell’età di Donald Trump. Da procuratore distrettuale di San Francisco a ‘progressive prosecutor’ dello Stato della California e, infine, Vicepresidente, Kamala Harris ha compiuto un processo di ascesa ragguardevole, anche se è proprio all’interno di quest’ultimo che emergono le prime sfumature ambigue del suo personaggio. Donna sì, nera sì, asiatica e giamaicana sì, ma cos’ha davvero fatto questa donna per la propria comunità?

La biografia della Harris è facilmente ricostruibile, soprattutto perché le sue origini non-americane sono state ben pubblicizzate: la sua carriera politica comincia a San Francisco, distretto considerato dall’opinione pubblica come ‘super-progressive’ ed all’interno di questo quadro, la nostra protagonista si inserisce come una figura decisamente moderata. In molti, come il reporter di Mother Jones Jamilah King, hanno di fatto criticato il fatto che la neo V.P. si presenti come figlia di immigrati e di conseguenza protettrice della causa afroamericana, ma che di base sia cresciuta e abbia vissuto tutta la sua vita in un ambiente privilegiato; citando la madre: ‘she knows what forks to use at the dinner table’. Per di più, l’importanza che la Harris ha sempre dato alle questioni di legge e di polizia non hanno fatto altro che farle perdere una buona parte del sostegno di quella comunità afroamericana che di base, secondo il progetto democratico, dovrebbe rappresentare. Affermazioni e prese di posizione scomode che andrebbero approfondite, che non sono piaciute e che non piacciono tutt’ora, specialmente al BLM.

Al momento sembra che ci sia stato un imponente cambio di vedute e che la Harris sia sempre di più coinvolta all’interno di quello che è sempre stato il suo campo con un approccio diverso, opponendosi agli abusi della polizia, alle etichette razziali. La nuova proposta democratica sembra davvero cadere al momento giusto: elezioni, pandemia, movimenti antirazzisti. Insomma, quello che stupisce (ma al contempo non stupisce affatto) è che il vicepresidente USA è davvero la figura giusta al momento giusto; ma se si approfondisce la vicenda con occhio critico, sembra soltanto una pedina del gioco del bastone e della carota. La Harris sembra un po’ un prodotto ben pensato e confezionato al fine di calmare gli animi, dare al popolo americano ciò che chiede e propinare al mondo quello che serve per affermare ancora una volta la superiorità USA.

Una donna come vicepresidente, rivoluzionario sì. Di fatto ci troviamo al momento zero di una nuova presidenza democratica, ma il dubbio che sorge spontaneo riguardo a Kamala Harris è se si tratta davvero di un bagliore rivoluzionario oppure soltanto della rappresentazione fisica di un ideale. A questo quesito, ovviamente, solo l’evoluzione della futura politica dei neo-eletti leader degli States saprà darci una risposta.

Martina Noero

#SaudadeDoTempo

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Da minha língua vê-se o mar” è una celebre citazione di Vergílio Ferreira, noto scrittore, il quale con una semplice frase riesce a sprigionare una forte carica simbolica che descrive perfettamente la cultura portoghese. Mi chiedo quali immagini ed emozioni riesca ad evocarvi… personalmente si spalanca davanti ai miei occhi una piccola finestra in legno che si affaccia sull’oceano Atlantico, immagino la fresca brezza marina che accarezza la pelle e riesco a sentire l’odore della salsedine… dipingo tra i miei pensieri i marinai lusitani che con le loro imbarcazioni sfrecciano tra le onde alla ricerca dell’inesplorato.

Ma torniamo a noi e iniziamo ad analizzare il termine “lusofonia”. Notiamo subito come sia composto da due elementi, “luso” e “fonia”; il primo designa il popolo portoghese (i lusitani furono una popolazione indoeuropea che si insediò nella parte più occidentale della penisola iberica), mentre il secondo proviene dal greco e significa “suono”. Dunque questo concetto unisce circa 210 milioni di persone che parlano il portoghese in tutto il mondo, ma in realtà si può interpretare il termine lusofonia in diverso modo: come un sentimento, come un desiderio di condivisione di un passato comune.

Naturalmente letteratura e storia sono due discipline che vanno a braccetto, per cui tenetevi forte e tuffiamoci insieme nel passato!

L’anima del popolo portoghese si contraddistinse per la sua vocazione marittima, così tanto tenace da averli spinti verso i “confini” del mondo e da averli permesso di scoprire odori e sapori di civiltà totalmente differenti: America, Africa e addirittura Asia! E pensare che questo grande impero ebbe inizio con la curiosità e con la sete di potere del giovane Henrique o Navegador il quale, nel corso del XV secolo, iniziò il suo viaggio di conquista occupando prima le Azzorre, per poi spingersi più a sud e successivamente sbarcare sulle spiagge capo verdiane, e da lì colonizzare le costiere africane.

L’esplorazione lusitana prosegue ancora oltre, giunge fino ai confini esotici dell’estremo Oriente, dove creerà importanti porti commerciali come Goa, Malacca, Nagasaki e Macao; il Portogallo dunque dominava il mercato tra Europa ed Asia. L’impero lusitano ha lasciato le tracce della sua presenza tra i quattro angoli del mondo, dal Mozambico al Timor-Est, dal Giappone al Brasile, dall’Angola a Macao! In tutti questi paesi si sono mescolate tradizioni, culture, sapori e lingue totalmente diverse tra loro; la lusofonia traduce dunque un sentimento di appartenenza che sfocia in una connessione fra popoli che si sentono legati da un senso comune. Parliamo di un’identità che trova le sue radici non solo nella lingua, ma anche nella musica, nella gastronomia e nella letteratura.

Insieme intraprenderemo questa esplorazione tra i poeti Capoverdiani, i letterati portoghesi e i musicisti brasiliani. Conosceremo la grande eredità lusofona che ci è stata lasciata nei diversi angoli del mondo.

Greta Accardi

#POLITICAFFÈ

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Egitto, il crollo del sistema sanitario. Le promesse non mantenute di Al Sisi rischiano di portare il Paese di nuovo sull’orlo del precipizio

Stampa del Qatar

La longeva fragilità del sistema sanitario egiziano doveva essere colmata dagli sforzi che erano stati promessi da Al Sisi all’inizio della sua presidenza. Eppure, l’emergenza pandemica da Covid-19 ha finito per accentuare la precarietà dell’equilibrio, stimolando addirittura una parziale implosione. La lotta al coronavirus, infatti, è stata portata avanti dal personale medico sotto una condizione di fortissimo stress, dovuta in gran parte al dialogo conflittuale che si è aperto con le istituzioni.

A maggio – come racconta Al Jazeera – l’Egyptian Medical Syndicate aveva avvertito sulla possibilità di collasso totale a cui stava andando incontro il sistema sanitario. In pratica, il sindacato egiziano aveva accusato il governo di essere irresponsabile. E questo perché era stata rilevata una certa negligenza, una mancanza di azione nei confronti del personale medico. Tutto ciò a causa delle crescenti infezioni e morti tra gli operatori sanitari. E il Ministro della Salute Hala Zayed si era difesa dicendo che il governo stava cercando di fornire la migliore assistenza possibile.   

Stampa egiziana

Successivamente, è stato il Primo Ministro Mostafa Madbouly a rendere ancora più rovente il dibattito. Perché con i suoi commenti ha praticamente accusato i medici di essere responsabili del peggioramento della situazione epidemiologica del Paese. Colpevoli a suo dire, di essere assenti in alcuni governatorati del Paese – così Egyptian Streets.

Ahram Online invece, sottolinea alcuni impegni sostenuti dall’area di governo. Poco tempo fa, si è svolto il sesto appuntamento del Forum regionale per l’assicurazione medica e l’assistenza sanitaria, un evento organizzato proprio per affrontare le sfide assistenziali dell’Egitto. Questo congresso, predisposto con il patrocinio del Ministro della Salute, ha avuto l’obiettivo di integrare gli sforzi del settore pubblico e privato per promuovere la trasformazione digitale della sanità egiziana, in particolare nel campo dell’assicurazione medica: un modo per rimarcare le riforme che l’Egitto vuole portare avanti. Inoltre, il Ministero della Cooperazione Internazionale ha reso noto che negli ultimi mesi l’Egitto ha beneficiato di 500 milioni di dollari per il finanziamento del settore sanitario per combattere il Covid. Una notizia che ha lo scopo di far sapere che l’Egitto si è coordinato con le istituzioni finanziarie internazionali – tra cui la Banca Mondiale, USAID e AFD – per portare supporto fondamentale al proprio sistema sanitario. Ciò nonostante, i malumori interni sono sempre più forti.

Stampa statunitense

In Egitto la pandemia di coronavirus ha offerto al Presidente Al-Sisi la possibilità di mostrare le profonde riforme sanitarie che aveva promesso nel 2014, all’inizio della sua presidenza. Riforme che tuttavia non sono state mai attuate. Infatti, la pandemia ha esposto le debolezze croniche di cui soffre l’Egitto.

The New York Times ricorda come nei primi mesi della crisi, gli ospedali egiziani sovraccarichi hanno lottato duramente per far fronte all’emergenza. Molti medici arrabbiati hanno scioperato e coloro che hanno osato criticare gli sforzi del governo sono stati incarcerati. Il Paese ha raggiunto presto uno dei più alti tassi di mortalità nel mondo arabo. Al-Sisi anziché finanziare e potenziare quindi il sistema sanitario che stava precipitosamente scivolando verso il baratro, ha stanziato ingenti finanziamenti – 12 miliardi di $ – per accordi militari per l’acquisto di armi per navi e aerei da guerra.

Nel corso dei mesi, si è visto come l’Egitto non sia stato colpito tanto quanto l’Europa o gli Stati Uniti d’America. Infatti, si contano 109.000 casi e 6.380 morti ad oggi (numero registrato al momento della stesura dell’articolo 14/11/2020). Tuttavia, il numero dei test rimane sorprendentemente basso, il che significa che un gran numero di casi probabilmente non viene rilevato. Gli esperti di salute si mostrano preoccupati perché questo approccio sta dando alla popolazione egiziana un falso senso di sicurezza.

La fragilità del sistema sanitario pubblico egiziano sottofinanziato, esposto nei primi giorni della pandemia, mette in evidenza un elemento centrale del duro governo del Presidente Al-Sisi: un sistema di privilegi a più livelli che perpetua la disuguaglianza e premia un esercito potente, a discapito di una popolazione sempre più impoverita.

Stampa turca

A fine maggio scorso, il quotidiano turco Daily Sabah ha dedicato una serie di articoli alla situazione che stava vivendo il sistema sanitario pubblico egiziano. In quel periodo si parlava già di un “collasso completo” del sistema sanitario del Paese. Infatti, il principale sindacato medico egiziano, l’Egyptian Medical Syndicate che conta più di 230.000 membri, aveva accusato il Ministero della salute di negligenza nel non aver adottato le misure adeguate per proteggere gli operatori sanitari dal coronavirus. Inoltre, il sindacato aveva affermato che il collasso del sistema sanitario avrebbe comportato gravi danni per l’intero paese.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:
Egypt under fire over coronavirus deaths among healthcare workers disponibile su https://www.aljazeera.com/news/2020/5/25/egypt-under-fire-over-coronavirus-deaths-among-healthcare-workers, consultato il 14/11/2020

Egypt obtained $500m in finance for the health sector in eight months to fight Covid-19: Minister disponibile su http://english.ahram.org.eg/NewsContent/3/12/378700/Business/Economy/Egypt-obtained-m-in-finance-for-the-health-sector-.aspx, consultato il 14/11/2020

Egypt to host 6th round of medical insurance, healthcare forum Sunday disponibile su http://english.ahram.org.eg/NewsContent/3/12/388014/Business/Economy/Egypt-to-host-th-round-of-medical-insurance,-healt.aspx, consultato il 14/11/2020

Egypt’s Medical Syndicate slams PM’s statement ‘blaming’ doctors for covdi-19 deaths disponibile su https://egyptianstreets.com/2020/06/24/egypts-medical-syndicate-slams-pms-statement-blaming-doctors-for-covid-19-deaths/, consultato il 14/11/2020

In Egypt, the government prioritizes its military over the pandemic disponibile su https://www.nytimes.com/2020/11/11/world/in-egypt-the-government-prioritizes-its-military-over-the-pandemic.html, consultato il 14/11/2020

Sisi Promised Egypt Better Health Care. Virus Exposed His True Priority disponibile su https://www.nytimes.com/2020/11/11/world/middleeast/egypt-sisi-coronavirus-healthcare.html, consultato il 14/11/2020

Egypt’s health system on verge of ‘collapse,’ says top medical union disponibile su https://www.dailysabah.com/world/mid-east/egypts-health-system-on-verge-of-collapse-says-top-medical-union, consultato il 14/11/2020

Egypt’s govt under fire over COVID-19 deaths among health care workers disponibile su https://www.dailysabah.com/world/mid-east/egypts-govt-under-fire-over-covid-19-deaths-among-health-care-workers, consultato il 14/11/2020

Egypt fails to cope with COVID-19 under el-Sissi’s regime disponibile su https://www.dailysabah.com/world/mid-east/egypt-fails-to-cope-with-covid-19-under-el-sissis-regime, consultato il 14/11/2020

At least 58 doctors reported dead due to COVID-19 in Egypt disponibile su https://www.dailysabah.com/world/africa/at-least-58-doctors-reported-dead-due-to-covid-19-in-egypt, consultato il 14/11/2020

#ATUTTOMONDO

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La rassegna stampa internazionale dell’UNINT

È ufficiale: Joe Biden è il 46° presidente degli Stati Uniti d’America.
Che aspetto avrà un mondo senza Trump?

In Francia 500€ di sussidi statali per i commercianti che decidono di digitalizzare la propria attività.
Il Ministro delle dotazioni religiose, in Egitto, ha assegnato ai predicatori di tutte le moschee il compito di tenere un discorso incentrato sul diritto alla diversità e all’accettazione dell’altro.

EUROPA

El País riporta che in Spagna le vittime di coronavirus hanno battuto un nuovo record: 411 decessi in un giorno, il dato più alto di questa seconda ondata. L’ultima volta che più di 400 decessi sono stati aggiunti alla statistica in un giorno è stato ad aprile, quando il Paese era in confinamento. Quel periodo infatti, fine marzo e inizio aprile, ha segnato i giorni peggiori nei quali si sono infatti registrati quasi mille decessi. Negli ospedali la pressione continua ad essere alta, sia nei normali ricoveri sia nei reparti di terapia intensiva, infatti il numero medio di posti letto occupati in quest’ultima è del 32%, ma ci sono otto comunità che superano il 40%, una situazione complicata perché comporta un sovraccarico del personale. Il ministro della Salute, Salvador Illa, prevede di avere 20 milioni di dosi del vaccino Pfizer contro il coronavirus entro l’inizio dell’anno, con cui potrebbero essere immunizzate 10 milioni di persone. La società farmaceutica statunitense e il suo partner tedesco Biontech hanno annunciato lunedì che il loro vaccino è “efficace al 90%” e che sono ben 43.538 le persone che hanno partecipato ai test annunciati dall’azienda. Dei diversi gruppi che hanno ricevuto sia il vaccino che il placebo, 94 sono stati infettati. I vaccini saranno gratuiti, verranno distribuiti attraverso il Sistema Sanitario Nazionale e verranno somministrati inizialmente agli anziani e al personale sanitario. Si calcola che verso maggio una percentuale sufficientemente rilevante della popolazione spagnola ed europea potrà essere vaccinata, perché i vaccini verranno distribuiti equamente in tutti i Paesi dell’Unione Europea.
A.C.

In Francia, il ministro dell’Economia e delle Finanze Bruno Le Maire ha promesso un aiuto statale di 500€ per i commercianti che necessitano di digitalizzare la loro attività. Questo è quanto riportato dai siti Le Figaro e Parisecret. Il ministro aveva infatti dichiarato per l’emittente della BFM TV che: “Oggi c’è un’azienda su tre digitalizzata […]. Dobbiamo accelerare. I commercianti possono cavarsela da soli per costruire i propri siti web? No”. Proprio in virtù di questo, lo Stato sarebbe disposto a supportarli attraverso questa misura. Inoltre, Bruno Le Maire ha aggiunto che ogni comune dovrà avere una piattaforma in cui sono presenti tutte le attività commerciali che si svolgono in città per permettere ai commercianti di godere di alcuni vantaggi derivanti da una maggiore esposizione pubblicitaria. Per di più il ministro si è detto favorevole ad un sistema di appuntamenti nei negozi ritenuti non essenziali, in questo modo potrebbero essere riaperti perché non ci sarebbe una grande circolazione di gente nelle stesse fasce orarie. Ha anche dichiarato che il governo pensa ad un’estensione dell’orario di apertura dei negozi, in modo tale da poter gestire al meglio il flusso di clienti che verrebbe dilazionato così nelle diverse ore del giorno. Non si escludono degli aiuti anche a tutti quei commercianti che hanno molte scorte invendute in magazzino a causa del Covid-19 e delle restrizioni imposte dal governo.

G.D.C.

Secondo quanto riportato dal giornale The indipendent in Inghilterra e in Galles, per la prima volta da giugno, durante la scorsa settimana si è verificato un alto picco significativo nei casi di coronavirus, con morti settimanali attribuiti a Covid-19 che superano il migliaio.

Il Paese ha anche intensificato i test per rintracciare i casi asintomatici in 67 località diverse in tutto il Regno Unito. I nuovi picchi del coronavirus peggioreranno ulteriormente gli impatti già gravi su posti di lavoro ed economia.

Sempre rimanendo in tema, leggendo lo stesso giornale The indipendent scopriamo che agli studenti universitari dell’Inghilterra viene detto di tornare a casa per trascorrere il Natale con le loro famiglie non appena il lockdown terminerà il mese prossimo. Infatti, l’apprendimento face to face dovrebbe terminare entro il 9 dicembre. Questo consentirà ai giovani di viaggiare in un momento in cui il rischio di trasmissione di Covid-19 è più basso, dal momento che ci sono state le quattro settimane di restrizioni. Pertanto, a partire dal 3 dicembre una “finestra di viaggio studentesca” vedrà le università fissare date di partenza scaglionate, per allentare la pressione sui trasporti pubblici. Il governo ha inoltre promesso di “lavorare a stretto contatto con le università per stabilire test di massa” prima delle partenze.

Cambiando ora argomento, sempre secondo The indipendent il governo del Regno Unito sta per introdurre una nuova legge per impedire alle imprese di utilizzare prodotti legati alla deforestazione illegale. La norma che l’11 novembre è stata introdotta nel nuovo disegno di legge sull’ambiente richiederà alle aziende britanniche di utilizzare materie prime prodotte in linea con le leggi locali che proteggono le foreste e altri ecosistemi. Pertanto, le aziende dovranno essere più trasparenti sulla provenienza dei loro prodotti, afferma il governo.

Tuttavia, gli attivisti ambientalisti affermano anche che la nuova regola non sarà efficacemente sufficiente perché copre solo i prodotti legati alla deforestazione illegale piuttosto che i prodotti legati a tutti i tipi di deforestazione.

A.B.

Il presidente della Russia Vladimir Putin e il presidente della Bielorussia Alexander Lukashenko hanno avuto una conversazione telefonica il 4 novembre, come riportato sul sito del Cremlino. Entrambi hanno confermato la loro intenzione di rafforzare le relazioni russo-bielorusse e hanno discusso questioni legate alla sfera commerciale ed economica. Hanno successivamente rinnovato l’importante collaborazione tra Russia e Bielorussia per la diffusione del vaccino di produzione russa. Infine, Lukashenko ha informato il presidente Putin della situazione attuale nella repubblica bielorussa ed è stata affrontata anche la problematica del conflitto nel Nagorno-Karabakh: secondo il presidente Putin il conflitto potrebbe risolversi senza ricorrere alle armi, quindi grazie alla diplomazia.

Il 5 novembre, con un rapporto dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), è stata riconosciuta la falsificazione delle elezioni presidenziali in Bielorussia del 9 agosto 2020, riporta Besti.ru. Ad oggi le azioni di protesta non si sono fermate e il giorno successivo al rapporto, il 6 novembre, l’Unione Europea ha sanzionato ufficialmente il presidente dell’ex Paese sovietico. Lukashenko è stato infatti valutato responsabile di repressione nei confronti degli altri candidati alla presidenza e nei confronti dei manifestanti, oltre che di intimidazione nei confronti dei giornalisti, secondo quanto riportato da Ria.ru. Il 6 novembre il presidente della Bielorussia ha annunciato che le elezioni presidenziali si terranno nuovamente quando il popolo bielorusso lo vorrà, come si può leggere nell’articolo di Pravda.ru.

Per quanto riguarda la lotta al coronavirus, che al momento occupa la maggiore energia dei Paesi del mondo, la Russia annuncia di essere pronta a collaborare con l’Europa per la diffusione del suo vaccino Sputnik V. E non solo con l’Europa: come riportato da Vesti.ru, il presidente Putin e il presidente dell’Argentina, Alberto Fernández, si sono sentiti telefonicamente per discutere della collaborazione economica tra i due Paesi e della lotta al coronavirus tramite l’impiego di Sputnik V. Il Cremlino dà notizia della telefonata avvenuta per iniziativa del governo argentino il 6 novembre. All’Argentina sono stati mandati due campioni di Sputnik V, il vaccino sviluppo dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e microbiologica N.F. Gamaleja. Nel frattempo, il virus viaggia a una velocità spaventosa anche in Russia e per fermarlo sono state adottate varie soluzioni, tra cui quella obbligata e riportata da Regnum.ru per cui i pensionati sono ad oggi limitati nei loro spostamenti e nelle loro attività e quella consigliata dal sindaco di Saransk di non viaggiare sui mezzi pubblici se non per motivi di necessità, secondo un altro articolo di Regnum.ru. Al giorno 9 novembre, i casi registrati sono più di 1.700.000, con oltre 30.000 decessi.

Tornando indietro di qualche giorno, precisamente al 2 novembre, il mondo ha assistito ad un nuovo attacco terroristico e stavolta nel mirino dell’ISIS è finita la capitale dell’Austria, Vienna. Il 5 novembre l’ufficio stampa del Cremlino ha riferito che il presidente Putin ha avuto una conversazione telefonica con il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, in cui entrambi hanno sottolineato la loro determinazione a combattere il terrorismo. Kurz ha espresso gratitudine per il sostegno e le condoglianze rivolte al popolo austriaco da parte del governo russo. Anche l’Austria ha discusso con la Russia sulla questione vaccino contro il coronavirus.

Il presidente Putin ha ricevuto una telefonata anche dal presidente della Francia, Emmanuel Macron. Il 7 novembre il sito del Cremlino ha riportato i dettagli della loro conversazione: innanzitutto, è stata sottolineata la determinazione di entrambe le parti a combattere il terrorismo in tutte le sue manifestazioni. Per la situazione del Nagorno-Karabakh, il presidente Putin ha informato il presidente francese dei passi fatti dalla Russia nella direzione di un “cessate il fuoco” anticipato e di una ripresa dei negoziati volti a garantire una soluzione diplomatica e pacifica. I due presidenti hanno ribadito la loro disponibilità negli sforzi di mediazione dei rispettivi Paesi, anche nel quadro del Gruppo di Minsk dell’OSCE, una struttura di lavoro creata allo scopo di incoraggiare una soluzione pacifica e negoziata dopo la guerra del Nagorno-Karabakh del 1992. È stato inoltre espresso l’interesse ad approfondire la cooperazione nella lotta al coronavirus, compresa la realizzazione di collegamenti tra le strutture specializzate russe e l’Istituto Pasteur per lo sviluppo e la produzione di vaccini.

Per quanto riguarda il conflitto nel Nagorno-Karabakh, la situazione si fa sempre più complessa. I combattimenti iniziati il 27 settembre proseguono e i due Paesi coinvolti, Armenia e Azerbaigian, non riescono ad accordarsi per un cessate il fuoco poiché si accusano a vicenda di aver colpito civili. La situazione ha avuto vari sviluppi: il 7 novembre, come riporta Vesti.ru, il presidente turco Recep Erdoğan ha riferito che il leader azero Ilham Aliyev gli ha comunicato l’imminente vittoria. Il giorno dopo, l’Azerbaigian avrebbe preso il controllo della città di Şuşa in Karabakh, evento importantissimo di cui ci dà notizia Ria.ru, la quale però non è stata confermata dall’Armenia che continua a lottare per il controllo di una delle città chiave del Paese. Nel frattempo, durante il conflitto tra Baku e Yerevan, il 9 novembre è stato abbattuto un elicottero russo al confine tra i due paesi, un Mi-24, provocando la morte di due membri dell’equipaggio. Se ne è dichiarato subito colpevole l’Azerbaigian, scrive Vesti.ru, ma si è trattato un incidente. Un punto di svolta è avvenuto lo stesso giorno quando il presidente Putin ha dichiarato sul sito del Cremlino che lui, il presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Aliyev e il primo ministro della Repubblica di Armenia Pashinyan hanno firmato una dichiarazione di cessate il fuoco completo nella zona del conflitto a partire dalla mezzanotte (ora di Mosca) del 10 novembre. Si spera in una soluzione a lungo termine e su vasta scala della crisi intorno al Nagorno-Karabakh, crisi questa che mette a dura prova il popolo armeno e quello azero da troppo tempo.

S.P.

AFRICA

In Egitto il Ministero delle dotazioni religiose ha assegnato ai predicatori di tutte le moschee il compito di tenere, nel sermone di venerdì 13 novembre, un discorso incentrato sul diritto alla diversità e all’accettazione dell’altro. Decisione questa presa sullo sfondo di una furiosa ondata di indignazione che attraversa il mondo islamico a causa della pubblicazione di vignette offensive sul Profeta, con gente scesa nelle piazze a manifestare e ad invocare il boicottaggio dei prodotti francesi. Nel testo si fa riferimento all’invito, presente nel messaggio coranico, ad “accettare le diversità e a renderle un mezzo per la conoscenza e la convergenza. Un simile obiettivo” recita il testo, “può essere raggiunto solo attraverso un dialogo che avvicini i punti di vista e si rivolga alle menti con saggezza e buoni consigli.” Entrando nel vivo degli eventi recenti si menziona il diritto che l’Islam riconosce alla libertà di opinione alla luce della libertà di fede, purché “questa sia governata dalle regole della morale e dei valori umani, e rifugga istanze oscene o offensive.” Ciò avviene a ridosso delle forti accuse rivolte dal Gran Sceicco di Al-Azhar, al-Tayyib, alla Francia durante il suo incontro con il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian al Cairo. Durante l’evento, il decano ha dichiarato che “se insultare il Profeta è da intendersi come una libertà di espressione, allora la rifiutiamo nella forma e nella sostanza.” E ha continuato: “Il mio discorso è lontano dalla diplomazia quando si parla dell’Islam e del suo Profeta”. Fonti politiche avevano rivelato che il governo di al-Sisi aveva fatto pressioni su al-Tayyib affinché non intensificasse la questione riguardante gli insulti al Profeta, con l’obiettivo di preservare i rapporti con la Francia. A distanza di qualche ora, riporta Al-Araby Al-Jadeed, lo Sceicco è tornato sulla questione in occasione della celebrazione della nascita del Profeta: ha invitato la comunità internazionale ad approvare una legislazione globale che rendi penale l’islamofobia, sottolineando che “le vignette diffamatorie, oltre a ridicolizzare il Profeta, esprimono una piena ostilità nei confronti dell’Islam”.

L.D.

Nella giornata del 10 novembre 2020, le testate giornalistiche Jeune Afrique e Africa News hanno dato il triste annuncio: l’ex presidente del Mali Amadou Toumani Touré è deceduto all’età di 72 anni. Aveva già avuto diversi problemi di salute e proprio per queste ragioni era stato trasferito presso l’ospedale lussemburghese di Bamako dove era stato sottoposto ad un intervento al cuore. Amadou Toumani Touré era conosciuto anche semplicemente come ATT. È stato per molto tempo una figura di riferimento della democrazia nel Mali, soprattutto nei primi anni ’90. Infatti, ha diretto nel 1991 l’insurrezione del popolo nei confronti del regime di Moussa Traoré che durava da più di 20 anni. È divenuto presidente all’età di 54 anni e lo è stato fino ai 64. Non è riuscito a impedire l’insurrezione da parte dei ribelli del Tuareg e anche l’afflusso dei Salafiti di Al-Qaeda nel Maghreb islamico che ha fatto sprofondare il Paese in un vortice di violenza, colpendo anche quelli vicini come il Burkina Faso e il Niger. Il suo decesso ha sconvolto molti presidenti degli Stati vicini al Mali che si sono dichiarati vicini al popolo maliano. Su Twitter il presidente della Repubblica del Senegal Macky Sall ha posto le sue più sentite condoglianze alla famiglia del defunto, ma anche al popolo del Mali definito “amichevole e fraterno”. Allo stesso modo anche il presidente della Costa D’Avorio Alessane Outtara ha posto le sue condoglianze via Twitter e la sua vicinanza al popolo “fraterno” del Mali.

G.D.C.

MEDIO ORIENTE

Nella giornata di lunedì, gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni a parlamentari e militari siriani accusati di sostenere la produzione petrolifera per conto del governo di Bashar al-Assad, ma tali sanzioni, secondo gli economisti, avranno forti ripercussioni sulle condizioni di vita dei siriani. L’economista siriano Mahmoud Hussein, in un’intervista al giornale Al-Araby Al-Jadeed, ha indicato che in Siria i prezzi di merci e prodotti sono aumentati soprattutto dopo l’attuazione del Caesar Act nel mese di giugno. Hussein ha aggiunto che il governo siriano sta cercando di negoziare queste sanzioni, rivelando inoltre che Russia e Iran sono invece riuscite ad aggirarle, come dimostrano la continua fornitura di petrolio e armi e la firma di accordi, anche dopo l’emissione della Caesar Act. Lunedì sera, il Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato, sul suo sito ufficiale, l’aggiunta di undici enti e di otto personalità all’elenco delle sanzioni. Oltre al Ministero del petrolio e delle risorse minerarie figurano alcune compagnie fra cui la General Organization for Refining and Distribution of Petroleum Products (GORDPP) e la Coast Refinery Company. Lo studioso siriano Imad Al-Din Al-Musbah ha dichiarato al giornale che l’impatto delle sanzioni, soprattutto quelle americane, andranno ad accumularsi, nel tentativo di logorare il governo di Bashar al-Assad e limitare il flusso di fondi. Le sanzioni paralizzano anche i contratti e gli accordi relativi alla ricostruzione del Paese, che Al-Assad ha firmato prima dell’entrata in vigore del Caesar Act. Al-Musbah sottolinea anche l’impatto delle sanzioni sulla lira siriana, che dall’attuazione del Caesar Act è esposta ad un forte ribasso del suo potere d’acquisto, con immediate conseguenze sui prezzi delle materie prime e sulla loro disponibilità sul mercato. Al-Musbah ha aggiunto che gli effetti delle sanzioni sulla banca centrale sono ancora limitati, rivelando che i trasferimenti di denaro sono ancora in atto, nonostante la chiarezza della legge relativamente alle sanzioni da imporre a chiunque che collabori con il governo Assad. Il regime sanzionatorio attanaglia il governo siriano dalla metà del 2011; il Caesar Act, emesso cinque mesi fa, è stata la misura più severa fin qui adottata.

L.D.


Stando a quanto riferisce Al-Araby Al-Jadeed, il membro del governo iracheno, Qasim Al-Araj, inviato nella città di Sinjar, nel governatorato di Ninive, nell’ambito di un accordo che Baghdad ha concluso con il governo del Kurdistan, non è ancora raggiunto una chiara intesa con i leader delle fazioni armate presenti nella città per quanto riguarda il loro ritiro. Nel mezzo della chiara intransigenza dei leader delle fazioni, il governo curdo ha espresso al governo di Baghdad il proprio disappunto per la mancata attuazione delle condizioni stabilite nell’accordo. Quest’ultimo, firmato il 9 ottobre scorso, prevede la normalizzazione della situazione nella città contesa tra le due parti al fine di rimpatriare gli sfollati e l’allontanamento delle fazioni del PKK e delle Forze di Mobilitazione Popolare. Il governo curdo, in virtù della mancata attuazione dell’accordo, ha cercato di ridurre l’importanza dei negoziati che Al-Araji e la sua delegazione stanno conducendo con le fazioni che controllano Sinjar. Il comandante delle forze Peshmerga a Sinjar, Haider Shushu, ha dichiarato su un sito web locale che la metà dei partecipanti all’incontro con Al-Araji erano collegati al PKK. Ha sottolineato che i negoziati non hanno importanza in assenza di coloro che sono coinvolti nel fascicolo Sinjar, aggiungendo che l’unico punto positivo nell’azione di Al-Araji è l’invito fatto ai membri del Partito a lasciare la città. La presenza di elementi del PKK nella città è legata alle fazioni armate appartenenti alla “folla popolare”, legate da intese e coordinamento reciproci. Il portavoce del Joint Operations Command, il maggiore generale Tahsin al-Khafaji, ha confermato che Al-Araji è stato informato durante la sua visita a Sinjar della presenza concordata delle forze di sicurezza e di supervisione della città, sostenendo che la missione di Al-Araji mira anche a suscitare interesse per Sinjar al fine di rimpatriare gli sfollati. Ha sottolineato la volontà di Al-Araji di incontrarsi con i cittadini, cercando di estendere la portata dell’accordo anche sull’opinione pubblica. Una visita molto importante nell’attuale contesto.

L.D.

AMERICA

DW riporta che, nonostante la vicinanza geografica e i legami economici, culturali e sociali dovuti a una forte immigrazione latina negli Stati Uniti, la potenza nordamericana e i Paesi a sud del suo confine hanno subito un forte allontanamento negli ultimi anni, segnato da un chiaro disinteresse delle autorità di Washington per i destini di quello che un tempo era considerato il loro “cortile di casa”. Parte di questa negligenza dovrebbe essere sanata con l’arrivo al potere di Joe Biden negli Stati Uniti, dato che durante il governo di Donald Trump l’America Latina “è stata una priorità solo per scopi ideologici”. L’ex presidente non si è preoccupato di coltivare relazioni costruttive, profonde e utili con la regione e si è piuttosto dedicato a sviluppare una campagna contro il governo venezuelano, aumentando le sanzioni che sono state dichiarate illegali dalle Nazioni Unite.

Tranne una brevissima visita in Messico, quando era ancora un candidato, e un fugace viaggio al G20 in Argentina, Donald Trump non ha prestato attenzione alla regione se non per parlare del Venezuela o di Cuba. Fino ad ora non ci sono stati piani che implichino una vera e propria stabilità politica ed economica ma sicuramente ora ci sarà un cambiamento importante. In effetti, lo stesso Joe Biden ha promesso durante un dibattito che invierà un progetto per legalizzare gli 11 milioni di irregolari e questo è quindi un primo segnale potente per l’America Latina che sarà nuovamente parte integrante nell’agenda delle autorità di Washington.

A.C.

In Messico, nelle settimane scorse le autorità del Ministero della Salute avevano annunciato che in diverse località del Paese i casi di coronavirus stavano iniziando ad aumentare, cosi riporta Infobae. Durante la quotidiana conferenza serale sullo stato della pandemia, il direttore dell’Epidemiologia, José Luis Alomía, ha annunciato che un totale di nove stati hanno presentato un aumento del numero di casi, ma sette di loro hanno superato il primo e il secondo picco epidemiologico, definendo questo momento come “effetto ricrescita”. I sette stati che rientrano in questa categoria sono Chihuahua, Durango, Città del Messico, Querétaro, Aguascalientes, Coahuila e Zacatecas, poiché presentano un aumento sia delle infezioni che dei ricoveri. Inoltre, il funzionario ha sottolineato che nelle ultime settimane gli stati di Durango e Chihuahua hanno nuovamente superato il semaforo epidemiologico rosso a causa dei loro dati sul coronavirus, chiarendo però che classificare le entità in questo modo non significa che riflettano un rischio massimo dovuto alla pandemia. Per fare ciò, è necessario considerare 10 indicatori che compaiono nella curva di contagio. Inoltre, nonostante José Luis Alomía abbia sottolineato la presenza di una diminuzione nei casi del 18% a livello nazionale, ha anche chiarito che ancora non si è raggiunto un controllo della situazione. In più, il funzionario ha avvertito che, con il periodo natalizio e il gran numero di migranti che entrano nel Paese nelle stagioni di dicembre, potrebbe esserci un aumento dei casi negli stati di confine. Pertanto, ha chiamato a seguire le raccomandazioni locali e nazionali per prevenire la pandemia.

A.C.

DW riporta che una serie di chat pubblicate mostrerebbero uno stretto rapporto tra il presidente del Perù, Martín Vizcarra, e coloro che lo accusavano di aver ricevuto tangenti milionarie per aver agevolato la concessione di un’opera di irrigazione e di un ospedale nella sua provincia, quando era governatore della regione di Moquegua (2011-2014).  Diversi media peruviani hanno divulgato il contenuto del telefono dell’ex ministro dell’Agricoltura José Hernández (2016-2018), vicino a Vizcarra e sospettato di essere uno degli aspiranti collaboratori effettivi che ha accusato il presidente davanti alla Procura. Queste conversazioni sono state trasmesse poche ore prima che il congresso iniziasse un processo di impeachment (posto vacante) contro Vizcarra, accusato di “incapacità morale” a seguito di queste denunce. In una dichiarazione rilasciata poco dopo la diffusione delle chat, Vizcarra ha denunciato la loro pubblicazione come un tentativo di “danneggiare la fiducia che il popolo peruviano ha in lui” e ha sottolineato che si tratta di testi curati e tendenziosi che rifiuta categoricamente.

A.C.

Lunedì 9 novembre lo stile streetwear diffuso negli Stati Uniti subisce una rivoluzione. Secondo quanto riportato dal New York Times, il gruppo americano VF Corporation ha annunciato l’acquisto del 100% dell’azienda streetwear Supreme, la quale è stata valutata 2,1 miliardi di dollari (circa 1,7 miliardi di euro).

VF, proprietaria anche di NorthFace, Timberland e Vans, acquisterà quindi anche le quote che appartengono ai fondi di investimento Goode Partners, il quale aveva fatto una piccola acquisizione nel 2014, e Carlyle, che ne aveva invece acquistato il 50% nel 2017 per 500 milioni di dollari.

Secondo il gruppo americano, l’azienda Supreme, fondata nel 1994 da James Jebbia a Manhattan, genera attualmente più di 500 milioni di dollari di ricavi annuali, rispetto ai circa 200 milioni nel 2017. Oltre il 60% delle entrate di Supreme proviene da ordini online.

La società VF ha detto di aspettarsi che la Supreme aumenterà le sue entrate di almeno 500 milioni di dollari entro il 2022. Ovviamente il fondatore di Supreme, Jebbia, rimarrà a far parte della nuova azienda.

A.B.

Sempre rimanendo negli Stati Uniti, sabato Joseph Robinette Biden Jr. è stato eletto 46° presidente. La sua vittoria alle elezioni sancisce il rifiuto di milioni di americani nei confronti di Donald Trump e di una gestione politica confusionaria, oltre che tesa a instaurare divisioni nel Paese. Una vittoria frutto di un’insolita alleanza fatta di donne, persone di varia etnia, vecchi e giovani nonché repubblicani delusi. Il risultato annuncia per di più un traguardo storico: la senatrice Kamala Harris sarà la prima donna a ricoprire la carica di vicepresidente. Pilastro di Washington, eletto per la prima volta al Senato durante lo scandalo Watergate, Biden sarà alla guida di un Paese e di un Partito Democratico che dal suo arrivo nella capitale nel 1973 hanno assunto una fisionomia ancor più ideologica. La corsa alla Casa Bianca, conclusasi dopo lo spoglio dei voti negli Stati cruciali, è stato un referendum sulla figura politica di Trump. In effetti, come suggerisce il NY Times, l’elezione di Biden è apparsa piuttosto l’apice di un’ondata politica sorta dalle elezioni del 2016 anziché il successo di un portabandiera. Eppure, anche con Trump estromesso, il responso delle urne ha rivelato nondimeno l’insicurezza degli elettori nei confronti del programma del centro sinistra sposato da Biden, dal momento che i Demo hanno perso seggi alla Camera e hanno ottenuto solo modesti risultati al Senato. Pur uscendo sconfitto, Trump ha tuttavia dimostrato di continuare ad attecchire su una larga fetta dell’elettorato, segno delle profonde divisioni che tra l’altro Biden ha promesso di sanare. In tutto questo, il coronavirus ha inciso in maniera decisiva. Di fronte a un elettorato già stremato dalla sua condotta aberrante, Trump ha di fatto sancito la sua sconfitta minimizzando una pandemia che ha dato luogo allo stesso tempo a crisi sanitarie ed economiche. Biden, al contrario, ha cercato di canalizzare lo sgomento di quanti sono rimasti sconvolti dalla cattiva gestione della pandemia. Oltre al coronavirus, la campagna 2020 si è svolta sullo sfondo di un tumulto nazionale senza eguali nella storia recente: l’impeachment della Camera nei confronti di Trump meno di un anno fa, un’ondata di proteste nazionali per l’ingiustizia razziale la scorsa primavera e focolai di disordini civili per tutta l’estate. Lungo la campagna, Trump ha lusingato le inclinazioni dell’ala conservatrice, cercando di dividere la nazione su punti di infiammabilità razziali e culturali. Biden, in risposta, ha fatto causa comune invitando gli americani di ogni schieramento a instaurare un patto di reciproca fiducia. In tempi brevi, Biden sarà sollecitato a garantire e distribuire un vaccino sicuro per il coronavirus, a rilanciare un’economia sull’orlo del tracollo e ad affrontare le questioni di giustizia razziale. E lo farà con un Congresso molto polarizzato dove molti repubblicani hanno abbracciato la dottrina nativista e populista di Trump e in cui democratici sono sempre più inclini a dar nuovo vigore alla sinistra. Qualora non dovesse riuscire a colmare questa divisione, Biden dovrà affrontare la pressione dell’ala progressista del suo partito che tenterà di farlo desistere dalla conciliazione. Uno dei test più significativi della presidenza di Biden verterà sul modo in cui gestirà le divisioni in espansione all’interno suo partito.

L.D.

ASIA

Secondo quanto riportato dall’Asia Times, la mattina del 6 novembre per la Cina inizia la corsa nello spazio, è così che Pechino annuncia il lancio del primo satellite 6G. Tale tecnologia dovrebbe essere oltre 100 volte più veloce del 5G, consentendo una trasmissione a lunga distanza senza perdite nello spazio. È così che la nazione lancia il guanto di sfida a USA ed Europa nella corsa alla tecnologia, con l’utilizzo di un satellite che testa le prime comunicazioni con il 6G, una rete che è ancora in via di definizione.

Tuttavia, prima di diventare disponibile sul mercato la tecnologia 6G deve superare diversi ostacoli tecnici relativi alla ricerca di base, alla progettazione dell’hardware e al suo impatto ambientale. Alcuni scienziati temono addirittura che la nuova infrastruttura del 6G, la maggiore integrazione delle tecnologie di comunicazione spazio-aria-terra-mare, e l’uso di una nuova gamma di frequenze per trasmettere dati potrebbero influenzare la salute pubblica, o essere troppo costosi o insicuri per i ricercatori, motivo per cui Wang Ruidan annuncia che “La condivisione, l’analisi e la gestione dei dati della ricerca sono fondamentali per l’innovazione scientifica e tecnologica nell’era dei big data di oggi”.

Cambiando argomento, sempre a Pechino, meglio conosciuta anche come la Silicon Valley cinese, secondo il China Daily, le aziende high-tech stanno guidando l’innovazione mentre il Paese continua a promuovere uno sviluppo di alta qualità.

Fondata nel 2014, la piattaforma cinese di ‘cloud computing’ EasyStack è ora uno dei principali innovatori nello Zhongguancun Science Park.

“Non è stato facile ricominciare da zero”, ha affermato Chen Xilun, fondatore e CEO di EasyStack. La società ha costruito la sua reputazione nel settore contribuendo con progetti internazionali e più di una volta è arrivata tra le prime 10 liste di contributi di codice core. Attualmente fornisce soluzioni di cloud computing a governi e settori chiave tra cui finanza, telecomunicazioni ed energia, sia in patria che all’estero.

Parlando ora di economia, sempre secondo quanto riportato dal China Daily, l’aumento degli IDE annuncia un miglioramento dell’ambiente imprenditoriale per la nazione. Gli investimenti diretti esteri in Cina hanno infatti raggiunto 103 miliardi di dollari nei primi nove mesi di quest’anno, con un aumento del 2,5% su base annua.

Nonostante l’epidemia, gli afflussi di investimenti esteri verso la Cina sono diminuiti solo del 4%. A confermare ciò sono i gestori di portafogli esteri, i quali stanno spostando fondi sui mercati cinesi perché i loro tassi di crescita nazionali sono più alti che altrove e perché la politica monetaria costante della Cina sta creando rendimenti più elevati di quelli che possono essere ottenuti in altri mercati. Inoltre, il 14° piano quinquennale della Cina (2021-25) incoraggerà le aziende e gli investitori stranieri a raddoppiare il loro impegno per l’economia cinese. Ci sono stati infatti oltre 400 miliardi di dollari di nuovi investimenti esteri dal 2017 al 2019, con gli afflussi di IDE al secondo posto nel mondo per tre anni consecutivi, nonostante gli attriti commerciali in corso.

A.B.

Rassegna stampa a cura di:
Alessandra Semeraro (responsabile inglese, cinese, portoghese, arabo)
Alissa Bianconi & Livio D’Alessio (lingua inglese)
Alissa Bianconi (lingua cinese)
Livio D’Alessio (lingua araba)
Veronica Battista (responsabile spagnolo, tedesco, francese, russo)
Angelica Chimienti (lingua spagnola)
Gaia De Gandia (lingua francese)
Simona Piergiacomo (lingua russa)
Claudia Lorenti (coordinatrice del progetto)

#POLITICAFFÈ

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Vertice europeo sulla sicurezza: “Rafforziamo i confini”. Ma l’Italia non c’è.

Stampa tedesca

I leader dell’Unione Europea hanno chiesto maggiore sicurezza alle frontiere dell’Unione a seguito degli attacchi terroristici islamici, che si sono rivelati mortali sia in Francia sia in Austria. Il Presidente francese Emmanuel Macron ha chiesto una “risposta rapida e coordinata”.

Deutsche Welle riporta le proposte avanzate da alcuni leader europei durante un colloquio svoltosi a Parigi martedì scorso. Perché proprio Parigi? Perché nelle scorse settimane la Francia ha subito diversi attacchi di matrice terroristica nel tuo territorio. L’incontro è stato ospitato a Parigi dal Presidente Emmanuel Macron e dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz, i cui paesi hanno entrambi subito attacchi terroristici islamici recentemente. Sono stati raggiunti digitalmente dalla Cancelliera tedesca Angela Merkel, dal Primo Ministro olandese Mark Rutte, dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e dal Presidente del Consiglio europeo Charles Michel. Nel corso di questo incontro virtuale il Presidente francese ha affermato che ogni interruzione della sicurezza alla frontiere esterne o in un Paese membro rappresenta un rischio per la sicurezza di tutti gli Stati membri. La Cancelliera ha aggiunto che è di fondamentale importanza sapere chi entra e chi esce dallo spazio Schengen.

Una settimana fa un uomo che in passato aveva provato ad imbracciare le armi all’interno dello Stato Islamico ha sparato ed ucciso quattro persone a Vienna. Lo scorso mese in Francia, un estremista islamico ha ucciso tre persone in una chiesa a Nizza, mentre un altro estremista ha decapitato un insegnante nei pressi di Parigi dopo che il docente aveva mostrato delle vignette sul Profeta Maometto. Infine, le autorità tedesche hanno ritenuto un accoltellamento avvenuto nella città di Dresda come un attacco estremista islamista. Gli attacchi hanno galvanizzato le richieste nei rispettivi Paesi di un rafforzamento della repressione dell’estremismo islamico e dei controlli alle frontiere esterne dell’Unione Europea.

The Local sottolinea come il leader francese si sia soffermato sul tema del diritto di asilo in Europa. Macron ha infatti asserito che in Europa si sta assistendo ad un abuso del diritto di asilo da parte di trafficanti, organizzazioni criminali o persone provenienti da Paesi che non sono in stato di guerra. Macron ha fatto riferimento alla questione del diritto d’asilo perché la sparatoria nel cuore della capitale austriaca è avvenuta per mano di un cittadino austro-macedone, la decapitazione dell’insegnante vicino a Parigi è stata ad opera di un islamista radicale ceceno e l’attacco nella chiesa di Nizza è stato effettuato da un tunisino.

Stampa francese

Il Presidente francese Emmanuel Macron ha invitato martedì all’Eliseo il Cancelliere austriaco Sebastian Kurz, per un pranzo di lavoro. Più tardi in videoconferenza, si sono uniti la Cancelliera tedesca Angela Merkel, il Primo ministro dei Paesi Bassi Mark Rutte, nonché il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel e la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen. Argomento del mini-vertice europeo: la lotta al terrorismo. Questione che ha ripreso nuovamente vigore in seguito ai recenti attentati che hanno colpito la Francia e l’Austria.

La Croix rivela che in realtà Macron avrebbe dovuto recarsi in Austria lunedì 9 novembre, ma alla fine è stato il Cancelliere Kurz a fare il viaggio per giungere a Parigi. Dunque, i leader hanno discusso della necessità di un programma congiunto per combattere la minaccia terroristica sul continente, partendo dal fatto che gli ultimi episodi hanno riconfermato una certa dimensione europea. Essa è stata resa ancor più evidente dall’attacco di Vienna, nel momento in cui è stato scoperto che il terrorista, prima di agire, aveva incontrato un gran numero di persone, provenienti dalla Germania e dalla Svizzera, appartenenti al movimento islamista. 

Questa “risposta rapida e coordinata” per il Presidente francese, deve riguardare in particolare lo sviluppo di banche dati comuni, lo scambio di informazioni, il rafforzamento delle politiche penali e l’attuazione completa dell’arsenale di misure che l’Europa ha già acquisito, così L’Express. Tra le priorità elencate, quella del completamento della disciplina PNR – il sistema che regola il trasferimento dei dati sui passeggeri raccolti dai vettori aerei, alle autorità di contrasto degli Stati membri – che dovrebbe puntare a implementare il rapido collegamento dei diversi database.

In buona sostanza – spiega Le Figaro – Macron ha denunciato l’abuso del diritto d’asilo che viene commesso in tutti i Paesi europei da parte di reti e trafficanti. Per questa ragione, il Presidente francese ha rinnovato la sua richiesta di una profonda e rapida revisione dell’area Schengen, che deve indirizzarsi verso il rafforzamento delle frontiere esterne. È importante cioè “guardare lucidamente ai legami” che esistono tra i fenomeni dell’immigrazione clandestina e del terrorismo. E a tal proposito ha ricordato che l’attacco commesso nelle Alpi Marittime è stato compiuto da un migrante tunisino che era sbarcato a Lampedusa. Il Presidente ha inoltre auspicato la creazione di “un vero Consiglio di Sicurezza Interna”, ossia una sorta di consiglio congiunto dei Ministri dell’Interno.

Le Monde invece, ha reso noto che la presidenza tedesca dell’Unione ha elaborato un progetto di testo specificatamente orientato a contrastare la propaganda islamista online, per garantire un accesso più rapido ai sistemi di messaggistica crittografata. Il testo iniziale menzionava inoltre la necessità di “proteggere gli europei dall’islamismo”. Questa formula è stata prontamente rivista. In una seconda versione, infatti, è stato chiarito che la lotta al terrorismo “non è diretta contro l’islam ma contro l’estremismo fanatico e violento”. Per di più, se tale testo dovesse essere approvato, verrà chiesto a coloro che hanno ottenuto il diritto di asilo, di compiere degli ‘sforzi attivi’, come conformarsi ai valori europei e imparare la lingua del Paese ospitante. Ma molti esperti ammoniscono: una migliore applicazione delle regole di Schengen consentirebbe sicuramente di fronteggiare meglio le minacce, tuttavia la loro messa in discussione, ridurrebbe la responsabilità condivisa degli Stati, e quindi si limiterebbe la capacità generale di smantellare le cellule terroristiche.

Sicuramente è stato notato che l’Italia è rimasta estromessa dalle discussioni. Anche se Macron si è detto determinato a condividere nei prossimi giorni le sue volontà con tutti gli altri colleghi europei, per poter avanzare velocemente sulla questione. Non a caso, il dossier sul terrorismo è in cima all’agenda dei leader europei per il prossimo incontro che si terrà il 10 e l’11 dicembre. Eppure, questa ennesima riunione organizzata da Macron ha sottolineato sia come il Presidente francese prediliga coordinare incontri ufficiosi con i vertici europei, sia come l’Italia non appartenga alla cerchia ristretta dei suoi interlocutori privilegiati. 

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:
Islamisme: Macron appelle à «regarder lucidement les liens qui existent» entre immigration clandestine et terrorisme disponibile su https://www.lefigaro.fr/politique/islamisme-macron-appelle-a-regarder-lucidement-les-liens-qui-existent-entre-immigration-et-terrorisme-20201110, consultato l’11/11/2020

L’Union européenne veut «accélérer» les projets visant à lutter contre le terrorisme disponibile su https://www.lemonde.fr/international/article/2020/11/10/l-union-europeenne-veut-accelerer-les-projets-visant-a-lutter-contre-le-terrorisme_6059299_3210.html, consultato l’11/11/2020

Macron appelle à “une réponse rapide et coordonnée” contre le terrorisme (mini-sommet européen) disponibile su https://www.lexpress.fr/actualites/1/societe/macron-appelle-a-une-reponse-rapide-et-coordonnee-contre-le-terrorisme-mini-sommet-europeen_2138374.html, consultato l’11/11/2020

Un mini-sommet européen contre le terrorisme islamiste disponibile su https://www.la-croix.com/Monde/mini-sommet-europeen-contre-terrorisme-islamiste-2020-11-10-1201123870, consultato l’11/11/2020

EU weighs tighter border controls after Paris terrorism summit disponibile su https://www.dw.com/en/eu-weighs-tighter-border-controls-after-paris-terrorism-summit/a-55553916, consultato l’11/11/2020

European Union mulls tighter external borders in fight against terror attacks disponibile su https://www.thelocal.de/20201110/european-union-mulls-tighter-borders-in-jihadist-fight, consultato l’11/11/2020