#POLITICAFFÈ

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Attacco jihadista nel cuore dell’Europa. Prima la Francia, ora Vienna… è cominciata un’altra ondata di attentati?

Stampa statunitense

Nella giornata del 2 novembre scorso, il cuore di Vienna è stato colpito da un attacco di matrice jihadista, come rivendicato dall’ISIS. Secondo la ricostruzione del The New York Times, l’attacco è iniziato nei pressi della sinagoga della città quando il primo e forse unico attentatore, equipaggiato con una finta cintura esplosiva, un fucile automatico, una pistola e un machete, ha esploso più di un centinaio di colpi in ogni direzione. Non è ancora chiaro quanti fossero gli attentatori, perché i testimoni hanno riferito di aver sentito più colpi provenire da varie direzioni, il che ha fatto supporre in un primo momento che l’attentatore non agisse da solo.

Cinque persone sono morte, quattro civili e uno degli aggressori, mentre i feriti ammontano a 22. Questo è il bilancio dell’”attacco d’odio” come descritto dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz, in un discorso alla nazione, specificando che si è trattato di un attacco terroristico. La CNN sottolinea come le immagini registrate sia dalle telecamere di sorveglianza installate dove è avvenuta la strage sia dai cellulari dei testimoni mostrano i passanti correre alla ricerca di un rifugio tra le strade del quartiere preso d’assalto. Queste immagini ricordano gli attacchi di matrice terroristica che negli ultimi anni si stanno verificando sempre con maggiore frequenza nelle principali città europee. Infatti, la scorsa settimana a Nizza si è verificato un nuovo attacco di matrice jihadista presso la cattedrale di Notre Dame: tre persone sono state uccise e l’attentatore è stato arrestato dalla polizia.

Il ministro dell’Interno Nehammer ha confermato che il terrorista ucciso era un “simpatizzante dello Stato islamico radicalizzato”. Fejzulai Kujtim – questo il nome dell’attentatore – aveva 20 anni ed era già stato condannato a quasi 2 anni di carcere nel 2019 per aver tentato di recarsi in Siria e di entrare nella schiera dei combattenti dello Stato islamico. Era stato rilasciato in anticipo perché rientrava in un regime privilegiato previsto dalla legge a tutela dei giovani. L’attentatore aveva doppia cittadinanza: austriaca e macedone. Era nato e cresciuto a Vienna ma di etnia albanese poiché la famiglia è originaria della Macedonia del Nord, così riporta Abc News.

“È un attacco motivato dall’odio: l’odio per i nostri valori, per il nostro stile di vita, per la nostra democrazia dove tutte le persone hanno eguali diritti e dignità […] È chiaro che non ci faremo intimidire dai terroristi. Questa è una battaglia tra la civilizzazione e le barbarie, noi combatteremo questa battaglia con piena determinazione”. Queste sono le parole di Kurz che hanno accompagnato la diffusione della notizia dell’attentato nella capitale. The Washington Post riporta il tweet del Presidente francese Emmanuel Macron. Subito dopo la strage Macron ha scritto su Twitter un messaggio di solidarietà nei confronti degli austriaci affermando di condividere lo shock e la tristezza dopo l’attacco nella capitale austriaca: “È un paese amico quello sotto attacco. Questa è la nostra Europa. I nostri nemici devono sapere con chi hanno a che fare. Non cediamo”. 

Stampa inglese

Ciò che è accaduto a Vienna ha stimolato nuove riflessioni sulla minaccia jihadista in Europa.

Le squadre investigative della capitale austriaca, dopo l’attacco terroristico che ha causato la morte di alcuni cittadini e provocato diversi feriti, stanno lavorando per capire se altre persone sono coinvolte nella pianificazione e nella conduzione dell’atto violento – così il Financial Times. Infatti, il Ministro dell’Interno Karl Nehammer ha specificato che non è ancora chiaro se l’attentatore abbia agito da solo. Il Presidente francese Emmanuel Macron ha subito espresso la sua vicinanza alla nazione austriaca, dichiarando inoltre, che l’Europa sarà intransigente. Queste parole d’altronde, arrivano in un momento delicato anche per la Francia, dopo l’attentato avvenuto a Nizza pochi giorni or sono.

La BBC precisa che ora il livello di minaccia terroristica in Francia è alto. E l’esplosione di questa violenza islamista è in qualche modo, secondo il quotidiano britannico, più spaventosa rispetto alle ultime ondate di aggressività del 2015. Questo a causa della logica istantanea di azione-risposta, dello sfondo inquietante rappresentato dall’emergenza Covid e, soprattutto, dalla scelta precisa delle vittime, come testimoniato anche dalla decapitazione dell’insegnante Samuel Paty. Un preciso atto simbolico.

Tornando agli episodi di Vienna, sempre la BBC racconta che è stata messa in atto un’importante operazione antiterrorismo. Difatti, l’incidente è iniziato intorno alle 20.00 nei pressi della sinagoga in Seitenstettengasse e già alle 20.09 l’autore è stato colpito a morte. Polizia e forze speciali sono dunque arrivate sulla scena immediatamente. Il responsabile, è stato identificato come un terrorista islamista che aveva avuto una precedente condanna per associazione terroristica. Era stato rilasciato in anticipo a dicembre, dopo essere stato incarcerato per 22 mesi a seguito del suo sprovveduto tentativo di raggiungere la Siria per unirsi ai combattenti dello Stato Islamico.

Tra il 2012 e il 2017 l’Europa attraversava il suo periodo più buio della sfida estremista. In questi giorni dunque, ci si sta chiedendo se gli attentati delle ultime settimane siano il presagio di una nuova ondata di violenza terroristica. The Guardian ammonisce i suoi lettori: la diminuzione degli attacchi non esprime una distruzione della minaccia.

Più esattamente, in quegli anni critici, dopo la rivendicazione degli atti da parte dell’ISIS – allora al culmine del suo potere – si cercava di capire se i simpatizzanti europei autori dei reati, fossero stati guidati o semplicemente ispirati dallo Stato Islamico. Anche oggi, le tragedie più recenti stanno riproponendo lo stesso schema di analisi. I funzionari dell’antiterrorismo dicono che è troppo presto per stabilire fino a che punto i recenti attacchi siano opera di alti leader dello Stato Islamico. È importante però tenere ben presente il fenomeno della radicalizzazione, che a volte risulta caratterizzata da un estremo dinamismo. L’Austria, per esempio, fino a questo momento era stata risparmiata dalla peggiore violenza, ma non dal fenomeno della radicalizzazione tra i giovani delle comunità musulmane, le quali spesso risultano isolate dal resto della società. I ‘lupi solitari’ che agiscono realmente da soli sono davvero pochi – prosegue il quotidiano. Nel caso di Vienna, ci sono rapporti secondo cui l’autore aveva comunicato all’inizio della giornata con due contatti per inviare una sorta di propaganda jihadista. Pertanto, sono ancora molti i dubbi che ruotano attorno alle dinamiche degli ultimi attacchi, e ovviamente, solo le successive indagini potranno fornire delle risposte. In buona sostanza, occorre precisare che ci sono diverse prove di continui tentativi, anche se sporadici, di condurre potenziali aggressori da parte dell’ISIS in Europa. Non a caso, in Spagna e in Polonia ci sono stati diversi arresti su questo fronte. Ha spiegato Gilles de Kerchove, coordinatore antiterrorismo dell’UE, che diverse condizioni sono cambiate rispetto a prima, soprattutto bisogna dire che oggi sono migliorate le capacità europee di individuare e smantellare i complotti terroristi. Basterà questo a fermare una possibile nuova impennata di violenza?

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

Vienna shooting: what we know about ‘Islamist terror’ attack disponibile su https://www.bbc.com/news/world-europe-54798508, consultato il 04/11/2020

France attack: three killed in ‘Islamist terrorist’ stabbings disponibile su https://www.bbc.com/news/world-europe-54729957, consultato il 04/11/2020

Does Vienna attack signal new wave of jihadist terrorism? disponibile su https://www.theguardian.com/world/2020/nov/03/does-vienna-attack-suggest-a-return-to-terrorist-violence, consultato il 04/11/2020

Army deployed after Vienna hit by terror attack disponibile su https://www.ft.com/content/25b36ad7-ebde-4491-9246-cde1417e8a5c, consultato il 04/11/2020

Terrorist Shooting in Capital of Austria, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/11/02/world/europe/vienna-shooting.html, consultato il 03/11/2020

Vienna on high alert as police raid gunman’s house with explosives after terror attack, disponibile su https://edition.cnn.com/2020/11/02/europe/vienna-shooting-intl/index.html, consultato il 03/11/2020

Vienna gun attack by Islamic State sympathizer shatters an evening of revelry, disponibile su https://www.washingtonpost.com/world/europe/austria-attacks-gunman-islamic-state/2020/11/03/cbb4e6ec-1d6f-11eb-ad53-4c1fda49907d_story.html, consultato il 03/11/2020

At least 4 dead, 15 wounded in ‘apparent terrorist attack’ in Vienna: Police disponibile su https://abcnews.go.com/International/persons-injured-vienna-shooting-police/story?id=73977726, consultato il 03/11/2020

#UniversEAT

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Ciao a tutti amici di #UniversEat, eccoci qui per una nuova ricetta.

Oggi voliamo (anche se solo con il pensiero) in Spagna. Proprio la domenica appena trascorsa era la giornata di Ogni Santi e in alcune regioni della Spagna (Catalunya, Comunitat Valenciana, Illes Balears), è tradizione mangiare i “Panellets”: dei semplici, ma gustosi dolcetti che ho imparato a cucinare durante il mio periodo Erasmus a Barcellona in una masterclass offerta da una pasticceria.

Per fare i Panellets, abbiamo bisogno di pochissimi ingredienti:

  • 500 g di mandorle crude in polvere;
  • 500 g di zucchero;
  • 1 uovo;
  • Acqua;
  • Pinoli.

Ed ora mettiamoci all’opera!

Per prima cosa prepariamo il marzapane: mescoliamo le mandorle in polvere con lo zucchero (in parti uguali); aggiungiamo l’acqua e la chiara di un uovo (100 ml di acqua per 50 ml di chiara).

Una volta ottenuto l’impasto e lavoratolo per bene, lo lasciamo riposare in frigorifero per 24 ore affinché lo zucchero si idrati e si fonda alle mandorle.

Lasciamo trascorrere un giorno: prendiamo l’impasto, facciamo delle palline e ricopriamole con i pinoli. Affinché questi ultimi aderiscano bene alla massa, li possiamo spennellare con un poco di chiara d’uovo (così avremo anche l’effetto lucido).

La cottura al forno è molto rapida: 3 minuti a 250°, più o meno finché non si dorano i pinoli. 

Siete pronti a replicare questi dolcetti sfiziosi? 3, 2, 1… Unint ai fornelli!!

P.S.

Potete provare molte varianti, come la farina di castagne al posto della farina di mandorle; oppure al posto dei pinoli guarnire con delle scaglie di mandorle, cocco grattugiato e perché no, delle gocce di cioccolato!

Ylenia Cossu

#CURIOSITÀDALMONDO

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Trick or treat, smell my feet, give me something good to eat…

Così inizia la filastrocca che i bambini recitano negli Stati Uniti in occasione della festa di Halloween, diffusasi ormai in tutto il mondo e celebrata il 31 ottobre. Quest’anno purtroppo sarà un anno insolito a causa della pandemia, un anno in cui non sarà possibile celebrare Halloween, una festività le cui tradizioni europee e irlandesi si sono consolidate negli Stati Uniti grazie al flusso migratorio verso il Nuovo Mondo. Ciò che non sentiremo pronunciare sono le famose parole “dolcetto o scherzetto” in inglese “trick or treat”. La rubrica di oggi vi informerà su tutto ciò che c’è da sapere su Halloween e in particolare vi svelerà i vari modi di pronunciare “trick or treat” in alcune lingue e le loro rispettive traduzioni.

Si è sempre pensato che la festa di Haloween fosse di origine americana, ma in realtà questa rinomata festività ha origini celtiche, in particolare trova la sua origine in una festa pagana denominata “Semhain”. Questa festa si svolgeva in occasione dell’ultimo raccolto prima dell’inverno, esso rappresentava la fine dell’estate e le famiglie si occupavano delle provviste per preparasi alla stagione rigida. Questo momento dell’anno era molto importante per i celti in quanto non solo rappresentava un nuovo inizio, ma anche un momento in cui i confini tra il mondo dei morti e quello dei vivi si assottigliava e ne rendeva possibile una comunicazione. Era solo travestendosi da streghe, vampiri, fantasmi, zombie che si poteva spaventare i morti.

Successivamente, i Romani fecero coincidere la festa di origine celtica con la festa dei morti, i cristiani invece la fecero coincidere con il 2 novembre, giorno di Ognissanti.  Il termine “Halloween” infatti, comparso per la prima volta nel XVI° secolo, è una variante del termine scozzese All-Hallows-Eve, che significa “vigilia di Ognissanti”.

Simboli e colori

Jack o’lantern, è la leggenda irlandese più famosa e uno dei simboli più spaventosi di Halloween. Essa narra che Jack, un fabbro ubriacone sia riuscito a ingannare il diavolo ben due volte dopo averci stretto un patto. Jack fu bandito dall’inferno e il diavolo lo costrinse a vagare nel mondo dei vivi con una rapa intagliata, al cui interno vi era la fiamma dell’inferno, che non solo fungeva da lanterna, ma serviva a fargli ricordare che lì non vi era posto per lui.

Nasce da qui la tradizione di tagliare rape e patate, il cui scopo era quello di utilizzarle come lanterne e lasciarle sull’uscio della porta per ricordare le anime bandite dal purgatorio. In seguito, si preferì utilizzare la zucca vista la sua facile malleabilità e la tradizione dell’intaglio di zucche risale al 1837.

Come già detto in precedenza, Halloween è una festività che in origine veniva celebrata in occasione anche dell’arrivo dell’inverno. L’idea dell’inverno pertanto era associata a quella della morte, il cui colore è il nero mentre il colore arancione simboleggia l’autunno.

Culture diverse, tradizioni diverse

È ovvio che ogni lingua abbia un suo modo di pronunciare “trick or treat” e risulta interessante analizzare i vari modi di pronunciare tale formula.

In Spagna, quando i bambini bussano alle porte dei vicini formulano la frase “truco o trato”, che letteralmente significa “o uno scherzo o un patto” e recentemente si è aggiunto all’espressione truco o trato caramelo o te mato (ti ammazzo). In russo si utilizza “сладость или гадость” “sladost’ ili gadost’”, letteralmente dolcezza o cattiveria”; in tedesco Süßes oder Saures, ovvero “i dolci o (per te) si mette male”; in francese friandises ou bêtises (“o le caramelle o [farò qualche] stupidaggine”).

Haloween, nonostante le varie correnti di pensiero per motivi etico-religiosi, resta una delle festività più amate e celebrate, infatti negli Stati Uniti si spendono ogni anno quasi 7 milioni di dollari tra decorazioni, costumi e dolciumi. Al contrario c’è chi non ama festeggiare Halloween o addirittura ha maturato una vera e propria paura irrazionale, in tal caso si soffre di Samhainophobia, nome che deriva dal modo originario di chiamare tale festività.

  Rosita Luglietto

#FACCIAMOILPUNTO

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PUÒ UNA RIVOLUZIONE DAVVERO ESSERE LA NOSTRA SOLUZIONE?

Napoli, 23 ottobre. Quella che doveva nascere come una manifestazione pacifica di ristoratori ed imprenditori contro le nuove misure di contenimento imposte da De Luca, si trasforma in poco tempo in un vero e proprio caos. Lanci di bottiglie, petardi, fumogeni, auto e vetrine distrutte, poliziotti e giornalisti presi d’assalto: ‘ ‘a salute è ‘a primma cosa, ma senza sorde nun se cantano messe’. Le immagini che abbiamo visto di Napoli, un po’ ci hanno scosso, un po’ indignato, un po’ preoccupato: la verità è che, per quanto possiamo rigettare la violenza nella sua forma più primitiva, in quella situazione ci siamo sentiti un po’ tutti napoletani. Ci siamo sentiti il ristoratore arrabbiato con l’acqua alla gola che richiede aiuti allo Stato; ci siamo sentiti il poliziotto aggredito senza sapere bene il perché; ci siamo sentiti il cittadino rimasto a casa ad osservare la propria città in balia della violenza. A partire da quel venerdì sera, alcune cose sono cambiate. L’Italia, da Torino a Catania, si è accanita contro il coprifuoco, contro la possibilità di un nuovo lockdown e contro il proprio Governo. Alcune manifestazioni sono pacifiche, organizzate ed approvate dai Comuni, ma al contempo altre si trasformano in vere e proprie guerriglie, come l’episodio di Piazza Castello a Torino. I manifestanti ‘aventi diritto’ di Torino vengono oscurati nella notte del 26 ottobre da una banda di anarchici e ragazzetti; via Roma viene messa a ferro e fuoco e le vetrine di molti negozi distrutte. Sotto lo slogan ‘#italiasiribella’, il nostro Paese si rivolta.

Fare il punto, alla luce di quello che sta succedendo nelle ultime settimane, significa esaminare attentamente l’evoluzione delle circostanze che ci hanno portato alla situazione attuale. Da una parte, ci sono cittadini e lavoratori italiani che richiedono aiuti e sovvenzioni perché non possono fronteggiare l’imposizione di nuove restrizioni; dall’altra, c’è un Governo che si trova in difficoltà di fronte ad una questione di priorità. Il nuovo dilemma in seno allo stato sociale è legato al fatto che favorire  determinate politiche metta a dura prova il quadro economico del nostro Paese. Chiudere determinate attività, come i bar, i teatri ed i cinema, al fine di cercare di contenere la pandemia, va a colpire determinati settori. Gli imprenditori che fanno parte di queste categorie, si vedono da un giorno all’altro nel mirino delle nuove misure senza però alcun tipo di garanzia. Lo Stato moderno non può non mettere al primo posto la salute dei propri cittadini e non può nemmeno ignorare la situazione economicamente drammatica di questi ultimi.

Ed è proprio all’interno di questo dilemma che ci si trova a dover agire, ma gli ostacoli sembrano insormontabili. Ci sono gravi problemi di coordinamento tra comuni, regioni e governo centrale, grattacapi ai quali i principali attori politici non sembrano avere risposte certe. L’opposizione si fionda irreprensibile contro qualsiasi decisione presa dal Governo. Il pensiero della Destra italiana si riassume all’interno dell’ultimo tweet di Giovanni Toti: ‘solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti anziani, persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese’.

In breve, le violenze a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo sono il frutto di un Paese in ginocchio, un Paese abituato ad avere poca fiducia nei confronti della propria classe dirigente, ma non avvezzo a scendere in piazza e a manifestare. Il famoso droit de grève è uno dei pilastri della Costituzione francese: scendere in piazza al fine di esprimere il proprio dissenso è una pratica diffusa nell’Esagono. La rivoluzione, la rivolta popolare, ha storicamente sempre portato i suoi frutti, ma siamo sicuri che questo tipo di violenza che sta imperversando nel nostro Paese sia davvero la risposta ai nostri problemi? Distruggere locali di privati, aggredire la polizia, porterà davvero a delle soluzioni concrete? Le manifestazioni di Napoli hanno fatto fare dei passi indietro alla Regione Campania nell’immediato, ma al momento siamo in attesa di un nuovo DPCM che proporrà nuove chiusure. 

Mi rivolto, dunque siamo’ disse Albert Camus nei suoi Scritti Politici: l’uomo in rivolta è un uomo che rifiuta di subire, spinto da una forte volontà legata all’impazienza di agire. Quello che resta da stabilire per il nostro Paese è, in via definitiva, se si tratta davvero del momento giusto per rifiutare.

Martina Noero

#LUXURYMOMENTS: #LUXURYJUICE

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Annalisa Queen, il nuovo fashion brand attento alla sostenibilità

È stata da poco inaugurata a Roma, nel quartiere Monti, la prima boutique monomarca del brand Annalisa Queen della giovane stilista romana Annalisa Caselli. Giovanissima e con un cv invidiabile tra cui le presenze alla Montecarlo Fashion week nel 2018 e la Fiera della Moda Italiana di Kiev nel 2019, la stilista del brand Ethical-Friendly si presenta con un contributo importante e concreto nel mondo green.

Il riciclo rappresenta la vera svolta nelle collezioni della stilista: innovazione, protezione dell’ambiente e la sua salvaguardia investendo sul presente prima ancora che sul futuro. Ogni dettaglio si configura come un’esecuzione perfetta e bilanciata; dai colori alle forme nulla è lasciato al caso persino l’etichetta interna è realizzata con materiale di riciclo. Inoltre, I capi vengono realizzati da un laboratorio, Onlus italiano, che si occupa di ridare lavoro e dignità a donne che provengono da storie difficili.

La collezione in boutique A/1 2020-2021 si presenta come un’iscrizione fiabesca, la breve descrizione di un progetto, un sogno realizzato: “C’era una volta un giardino incantato su un pianeta ancora sconosciuto, tra piante aliene e creature fantastiche, un luogo ancora incontaminato in cui l’uomo ancora non era giunto.”

La boutique, un luogo incantato dove regnano etica, sostenibilità e riciclo. Un luogo dove è possibile trovare qualità ed artigianalità senza dover rinunciare alle nuove tendenze. Un luogo dove i tessuti sono calzanti come una seconda pelle e frizzanti come la vita che portano dentro. Per la collezione F/W 2020 2021 sono stati scelti tre tessuti le cui colorazioni richiamano il cromatismo della stagione: russo ruggine di cotone biologico, un pile in poliestere riciclato con il disegno astratto dagli intrecci tropicali e un tessuto filamentoso con diverse variazioni di colorazione come a richiamare il presagio onirico della tendenza. Tra le altre nuance presenti possiamo trovare: il verde brillante, il viola, la terra bruciata che in boutique si oppongono elegantemente alle pareti soft Pink.

La collezione si compone sia di capi “classici” come pantaloni slim e gonne a ruota sia di capi innovativi e geometrici come i corti destrutturati o i capi in pile dal taglio irregolare fino a capi “composti” vera eccezionalità del brand nati da materiali di scarto di collezioni precedenti. La collezione è inoltre accompagnata da accessori in pelle biologica interamente realizzate attraverso gli scarti dell’ananas come le borse dal design contemporaneo e un bracciale realizzato con scarti di tessuto filamentoso con pochette in coordinato. Completano l’outfit i gioielli in bronzo dove ancora una volta la natura fa da musa ispiratrice con il suo essenzialismo e la sua grazia avvolgente.

La filosofia soggiacente del brand è l’utilizzo sempre maggiore di materiali ecologici e/o riciclati sia per gli abiti che per gli accessori oltre allo stesso arredamento della boutique romana, infatti, piccola oasi eco-sostenibile, è realizzata in materiali di riciclo: dalle vernici Airlite (pittura naturale antibatterica che purifica l’aria) al pavimento FSC (Forest Stewardship Council), marchio di certificazione che garantisce che i materiali legno-cartacei utilizzati derivino da una gestione forestale rispettosa dell’ambiente.

Fanny Trivigno

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Sources:
CS Stefania Vaghi Comunicazione “Annalisa Queen brand etico e sostenibile”;
Photo Credits: Justyna Pawlowska;
https://www.annalisaqueen.com;
https://www.facebook.com/AnnalisaQueen.mhf;
https://www.instagram.com/annalisaqueen/

#InRicordoDi: Gigi Proietti

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“Potrei esserti amico in un minuto, ma se nun sai ride mi allontano. Chi non sa ride, mi insospettisce”.

Ci lascia così, improvvisamente, nel giorno del suo ottantesimo compleanno uno dei più grandi attori di tutti i tempi, Luigi “Gigi” Proietti.

Personaggio poliedrico, grande uomo di spettacolo e intrattenitore; tra le sue chicche, ricordiamo i suoi famosi monologhi, anche visti come momenti di completa e intensa sublimazione e introspezione, per quello che raccontava e per come lo raccontava. 

Nato a Roma il 2 novembre del 1940, inizia la sua carriera nel 1964 ricoprendo piccoli camei con il Gruppo Sperimentale 101, mentre dal 1968 riesce a ottenere ruoli da protagonista in diversi spettacoli del Teatro Stabile de L’Aquila. Negli anni ’70 comincia il suo percorso nel mondo della TV, recitando come protagonista assoluto nel film Gli ordini sono ordini e partecipa, inoltre, ad alcuni film statunitensi di registi celebri come Lumet e Altman. L’apice del suo successo televisivo lo raggiunge con il film Febbre da Cavallo, nel 1976.

Ricordiamo, inoltre, il suo impegno nell’ideazione e nella costituzione del Silvano Toti Globe Theatre, costruito nel 2003 in 3 mesi nei giardini di Villa Borghese a Roma e, proprio a luglio scorso, ha inaugurato l’apertura della stagione estiva di spettacoli dedicati al celeberrimo drammaturgo e scrittore inglese, William Shakespeare.

Impossibile elencare tutti i suoi lavori, che più che tali, possono essere definiti come vere e proprie opere d’arte che formano parte della cultura e della storia Italiana. 

Attore, comico, cabarettista, doppiatore, conduttore televisivo, regista, cantante, direttore artistico e insegnante italiano: un unico volto riusciva a personificare così tanti ruoli e personaggi. 

Un genio, in poche parole, di nome e di fatto (tanti lo ricorderanno sicuramente nel ruolo da doppiatore del Genio di Aladdin nel film d’animazione Disney del 1992), tanto da essere considerato uno dei massimi esponenti della storia del teatro italiano, soprattutto per le sue doti da affabulatore e trasformista. 

Ci stringiamo alla famiglia nel dolore per la perdita del grande Maestro.

Ciao Gigi, stavolta c’hai fatto proprio ‘na Mandrakata.

                                      Alessia Cacace e Ilaria Violi

#POLITICAFFÈ

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La pesca “affonda” la Brexit?
Il divorzio dal continente inciampa in un ostacolo imprevisto

Stampa inglese

Perché la pesca è così importante nei negoziati commerciali sulla Brexit? Lo chiarisce la BBC.

Il Regno Unito ha lasciato l’Unione Europea il 31 gennaio, tuttavia ci sono ancora alcune norme vincolanti che lo tengono legato al contesto europeo. Una di queste è la politica comune della pesca (PCP), che dovrebbe pesare sugli interessi britannici fino alla fine di quest’anno. Per la precisione, la politica comunitaria consente alle flotte pescherecce dei vari Stati membri di accedere alle acque del Paese, a parte le prime 12 miglia nautiche dalla costa. Ecco perché i sostenitori della Brexit vedono la pesca come il simbolo di quella sovranità che verrà riconquistata. Ma l’UE vuole che l’accesso da parte delle sue imbarcazioni continui a essere garantito. Per questo motivo, i diritti acquisiti sulla gestione della pesca rappresentano una importante questione in sospeso nei negoziati. Complessivamente, oltre il 60% del tonnellaggio proveniente dalle acque britanniche viene raccolto dagli altri Paesi. Cioè, la maggior parte del pescato viene esportato e, circa i tre quarti venduti all’interno dell’UE. Con l’uscita dall’Unione, secondo il diritto internazionale, il Regno Unito diventando ‘Stato costiero indipendente’ potrà controllare la sua zona economica esclusiva (ZEE), che si allunga fino a 200 miglia nautiche nel Nord Atlantico. Quando un Paese è invece membro dell’UE, la propria ZEE è gestita appunto in modo congiunto assieme agli altri membri, proprio perché è considerata una risorsa comune. Inoltre, non si tratta solo di esercitare il controllo su chi può pescare nelle proprie acque, ma anche di dove si può pescare e verso quale luogo il pesce può essere venduto.

The Guardian spiega come la dimensione economica dell’industria della pesca nel Regno Unito rappresenti lo 0,1% dell’intera economia; ciò nonostante per le comunità costiere questa attività è vitale. Un esempio è fornito dalla città di Brixham, nel sud del Devon, che vanta la sua storia di pesca già dal XIV secolo. Brixham è diventata il centro più importante del mercato britannico in termini di valore del pesce venduto e, oltre il 70% del suo pescato viene esportato in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Spagna. L’UE è dunque il suo principale cliente. Ma – prosegue il quotidiano – il settore della pesca è indubbiamente in contrazione e molti ritengono che l’adesione all’UE sia la causa principale di questo declino. Infatti, secondo i dati del governo, i pescherecci europei catturano fino a otto volte di più nelle acque del Regno Unito rispetto ai pescatori britannici nelle acque europee.

Una successiva lettera di opinione, indirizzata al giornale britannico e pubblicata prontamente pochi giorni fa, chiarisce ulteriormente le dinamiche di tale peggioramento. In pratica, alla fine degli anni Ottanta, furono messe a disposizione alcune sovvenzioni dall’Europa per l’ammodernamento delle barche e delle attrezzature delle comunità dei pescatori. Tali sussidi, dovevano essere ad ogni modo erogati dai governi nazionali, e il Regno Unito non lo fece. Come conseguenza di tutto ciò, i pescatori britannici, non riuscendo a competere con l’efficienza dei pescherecci più moderni, vendettero le loro quote alle società di pesca francesi, olandesi o spagnole, per preservare gli stock ittici. Così si è espressa Veronica Hardstaff.

Stampa statunitense

Il tempo stringe. La Gran Bretagna sarà ufficialmente fuori dall’Unione Europea il 1° gennaio 2021, ossia tra poco meno di due mesi. Il Primo ministro Boris Johnson si trova ad affrontare una questione inaspettatamente complessa: il diritto dei Paesi comunitari di pescare nelle acque territoriali britanniche dopo l’uscita dall’UE. Politics sottolinea come questa questione possa potenzialmente mettere a rischio l’intera negoziazione post Brexit. Il tutto trova la sua origine nel lontano 1973, quando Londra concesse il diritto ai Paesi limitrofi di pescare nelle sue acque. Questo diritto trova la sua origine nell’entrata della Gran Bretagna nell’antenata dell’attuale Unione Europea, la Comunità Economica Europea.

Come riporta The New York Times, nonostante il mercato del pesce contribuisca per meno dello 0,5% del PIL nazionale, esso si è costruito nel corso degli anni delle solide fondamenta politiche, che sembrano inaspettatamente rappresentare l’ago della bilancia nel dibattito sull’addio all’Europa.

The Washington Post ricorda comeil governo di Boris Johnson ha ad oggi la responsabilità di gestire nelle modo più diplomatico e corretto possibile il rapporto con i cinque Stati europei più interessati alla possibilità di pescare nelle acque britanniche del canale della Manica, del mare del Nord e dell’oceano Atlantico: Francia, Irlanda, Danimarca, Belgio ed Olanda. Per la Danimarca in particolare, le decisioni che verranno prese nel breve futuro determineranno la sopravvivenza di un settore vitale per l’economia del Paese. Ma è la Francia di Macron il paese più deciso a raggiungere a breve degli accordi vincolanti. Infatti il Presidente francese chiede espressamente che dopo il 1° gennaio 2021 non ci siano più limitazioni all’accesso di pescherecci UE in acque britanniche, altrimenti ogni altro accordo con Londra perderà la sua valenza, spiega Foreign Policy.

Sono forse queste le premesse per una “guerra del pesce” tra Gran Bretagna ed Unione Europea? Non è ben chiaro chi abbia il coltello dalla parte del manico, ma le economie di entrambe dipendono l’una dall’altra. Quindi il rapido raggiungimento di un accordo è nell’interesse di tutti.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

Brixham’s fishermen hope Brexit will tip the scales for a shrinking industry disponibile su https://www.theguardian.com/business/2020/oct/17/brixhams-fishermen-brexit-tip-scales-shrinking-industry, consultato il 31/10/2020

Letters: Brtitain at fault for Brexit fishing woes disponbile su https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/oct/25/britain-at-fault-for-brexit-fishing-woes-letters, consultato il 31/10/2020

Fishing: why is fishing important in Brexit trade talks? disponibile su https://www.bbc.com/news/46401558, consultato il 31/10/2020

The Issue That Might Sink the Brexit Trade Talks: Fishing disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/28/world/europe/fishing-brexit-trade-deal.html, consultato il 31/10/2020

Why Fishing Could Sink Britain’s Brexit Deal With Europe disponibile su https://foreignpolicy.com/2020/10/06/why-fishing-could-sink-britain-brexit-deal-with-european-union/, consultato il 31/10/2020

Flanders will use charter from 1666 to guarantee post-Brexit fishing rights disponibile su https://www.politico.eu/article/flanders-waives-century-old-charter-to-guarantee-post-brexit-fishing-rights/, consultato il 31/10/2020

It’s all about the cod. Boris Johnson threatens a no-deal Brexit as Britain and France fight over fish disponibile su https://www.washingtonpost.com/world/europe/brexit-no-deal-fisheries/2020/10/16/2ec812c0-0f21-11eb-b404-8d1e675ec701_story.html, consultato il 31/10/2020

#LOSAPEVATECHE

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Il latte è buono: il primo impatto con Roma di un ex colonizzato

Qual è la prima impressione che hai avuto di Roma? E qual è la prima impressione che Roma ha avuto di te?

Il romanzo Il latte è buono di Garane Garane, pubblicato nel 2005, racconta proprio le difficoltà di integrazione, quei piccoli e grandi ostacoli in una metropoli così variegata e fervida. Il semplice titolo di questo romanzo indica poi il desiderio più caro nella vita di un nomade del Corno d’Africa, «poiché quando c’è la pace, piena e intera, il latte è più dolce, più schiumoso del solito».

Il protagonista del romanzo è Gashan, discendente di Kenadit, futuro sindaco di Mogadiscio e Ministro dei Trasporti dopo il colpo di Stato somalo di Siad Barre. L’autore Garane e il suo personaggio Gashan condividono una educazione improntata sul sistema scolastico italiano, sulla sua letteratura e la sua lingua; il personaggio, infatti, decide di abbandonare la Somalia per emigrare in Italia con cui sente una forte connessione culturale e identitaria.

La permanenza di Gashan in Italia – che non durerà a lungo, poiché il personaggio prediligerà la Francia come spazio di ricerca della propria identità – mostra fin dai primi passi la difficoltà di integrazione sotto uno sguardo italiano spesso ostile. L’arrivo in Italia del protagonista è ricolmo di speranze, principalmente dovute all’immagine di una Italia studiata e mistificata:

Era felicissimo! Roma l’eterna era lì con le sue eccelse mura, di fronte ai suoi umili occhi […] Ma già nell’aeroporto si sentiva solo, in un posto chiuso e inospitale. C’erano facce che assomigliavano più agli arabi che ai Romani che lui si era immaginato attraverso letture storiche. […] Cominciò a frugare nella sua borsa. Trovò il passaporto in cui era scritto Repubblica di Somalia. Lo guardò assorto. Era somalo, ma bianco dentro. Era un bianco dalla maschera nera. Il problema era che aveva sempre creduto che ciò che è interno può essere esterno anche.

L’ambiente che accoglie Gashan si caratterizza per una forte debolezza sociale, non all’altezza della formazione sia culturale sia linguistica del personaggio. L’Italia è un Paese che Gashan pensa di conoscere e a cui sente di appartenere.

Il primo impatto con la realtà rivela però subito agli occhi di Gashan come la realtà gli sia ostile; non vi è nessuna corrispondenza tra lo spazio in cui si inserisce e quello immaginato. Gashan viene accolto con sospetto già dal momento in cui mostra il passaporto ad un poliziotto romano: come fa ad essere scritto in italiano? E come fa Gashan a parlare così perfettamente italiano?

Gashan nel momento in cui arriva, smette di riconoscersi in una duplice identità somala e italiana; non percepisce più questa condizione come una ricchezza ma la percepisce – e viene percepita anche dallo spazio esterno con cui si rapporta – come una identità difettosa e incompleta. Invece di sentirsi a tutti gli effetti italiano per la conoscenza perfetta della cultura e della lingua, smette di sentirsi sia somalo sia italiano. Il poliziotto che incontra ulteriormente mette in discussione il senso di appartenenza di Gashan dimostrando un razzismo velato e una immediata emarginazione che gettano il protagonista nella disillusione.

L’emigrazione di Gashan, dunque, risulta fondamentale per osservare le modalità con cui l’identità nazionale italiana viene immaginata. Questo ed altri testi della diaspora somala consentono di sviluppare una visione critica della storia e della cultura italiana evidenziando come il legame tra i due Paesi non possa arrestarsi alla fine del protettorato italiano in Somalia (1960); la connessione tra le due società e le due culture permane infatti nelle menti degli ex colonizzati attraverso l’industria culturale, l’educazione e la rappresentazione nei media.

L’opera di Garane Garane può essere interpretata come una denuncia del problematico rapporto tra città metropolitana e diversità, tanto che Gashan decide di abbandonare l’Italia e la Francia per tornare in Somalia – durante gli anni della guerra civile – e riuscire finalmente ad accettare la propria identità multiculturale ed ibrida mai realmente integrata nelle comunità a cui aveva pensato di appartenere.

Evelyn De Luca

#UNINTSpeechPressReview

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El Día de la Hispanidad

Nella giornata dello scorso lunedì avrete sicuramente notato su social come Instagram, Twitter o Facebook tantissimi hashtag interessanti che parlavano del Día de la Hispanidad. Ma cosa si festeggia veramente in questo giorno, come si festeggia e perché? Cosa succede in Spagna?

Ogni 12 ottobre il cielo di Madrid si tinge dei colori della bandiera spagnola, i musei statali sono tutti eccezionalmente aperti, gli aerei militari solcano lo stesso cielo mentre i viali della capitale sono gremiti di persone che si accalcano per ammirare la parata militare alla quale partecipano le massime cariche del paese. Questi sono i festeggiamenti che ricorrono in questa giornata così particolare ogni anno. Sono festeggiamenti regolati dalla legge del 1987 n. 18, che si verificano in occasione della festa nazionale spagnola, festa dedicata all’orgoglio spagnolo. Questa ricorrenza, considerata una delle più importanti in Spagna, rivendica l’ispanità nei suoi vari aspetti, tanto linguistici quanto culturali. Ma perché si festeggia proprio il 12 ottobre?

Facendo un passo indietro scopriamo che è una giornata in ricordo della scoperta dell’America, evento che fu per la Spagna motivo di contatto tra il Nuovo e il Vecchio Mondo e che diede inizio alla colonizzazione delle nuove terre. Il 12 ottobre del 1492, infatti, Colombo approdò nell’isola delle Bahamas, scoprendo così il “Nuovo Mondo”; da lì avverrà lo sbarco, dando inizio alla colonizzazione europea. Né Colombo né i suoi uomini sapevano che quello sarebbe stato il primo passo verso un evento che avrebbe cambiato il mondo. Il 12 ottobre è una ricorrenza importante anche in alcuni paesi del Sud America, poiché l’arrivo dei conquistadoressegnò profondamente la storia di tali paesi con lo sterminio delle popolazioni indigene. Per questa ragione, in America la festa ha una denominazione differente: in Messico si chiama “Giorno della razza”, in Argentina “Giorno del rispetto e della diversità culturale” e in Bolivia “Giorno della decolonizzazione”.

Ma consideriamo adesso un aspetto piuttosto importante: sui social network emerge chiaramente l’immagine di una Spagna profondamente divisa, una divergenza marcata da hashtag del tipo: #Eldíadetodos (il giorno di tutti), #DíaDeLaHispanidad (giorno dell’Ispanità) o #NadaQueCelebrar (nulla da festeggiare). Senza ombra di dubbio si tratta di una velata critica da parte di coloro che non si sentono integrati nel concetto di Spagna: la divisione territoriale e la forte identità delle varie regioni autonome indeboliscono il patriottismo spagnolo. Prendiamo come esempio la Catalogna: alcune istituzioni hanno deciso di non considerare il 12 ottobre come festa nazionale, considerandolo piuttosto come un giorno feriale qualunque. Un caso particolare è quello di Barcellona il cui sindaco, Ada Colau, nel 2015 ha chiaramente espresso la sua posizione riguardo alla festività su Twitter dicendo: “È una vergogna uno Stato che celebra un genocidio, per di più con una parata militare da 800.000 €”.

Tuttavia, la capitale continua a far sognare i suoi abitanti con strabilianti spettacoli, balli e sfilate.

Francesca Vannoni

Fonti:
https://www.itagnol.com/2015/10/12-ottobre-festa-nazionale-in-spagna-a-madrid-parata-militare-e-musei-gratis/, consultato il 12/10/2020.


https://www.itagnol.com/2019/10/12ottobre-parata-militare-madrid-festa-nazionale/, consultato il 12/10/2020.


https://www.idealista.com/it/news/lifestyle-spagna/2019/09/30/6152-il-12-ottobre-si-celebra-la-festa-nazionale-spagnola, consultato il 12/10/2020.

#POLITICAFFÈ

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Fine di un mito: il flop dello Stato sociale in Svezia.
La crisi pandemica ha portato alla luce una drammatica crisi in corso da anni.

Stampa statunitense

La pandemia ha portato alla luce una drammatica crisi in corso da anni in Svezia. Di quale crisi si tratta? Si tratta della crisi che sta interessando lo stato sociale svedese – comunemente denominato in inglese welfare state. La Svezia è nota per essere il prototipo di welfare state socialdemocratico, un meccanismo nel quale sembra che gli ingranaggi funzionino a perfezione. La sicurezza sociale del cittadino svedese si basa su una combinazione tra diversi elementi: diritti sociali uguali per tutti, principio della conservazione del reddito – in base al quale chi non può continuare a lavorare mantiene un adeguato tenore di vita. Con un’aliquota fiscale personale superiore al 57%, gli svedesi pagano alcune delle tasse più alte al mondo in cambio di notevoli servizi erogati dal Governo. Si fa riferimento alla assistenza sanitaria, all’istruzione, al congedo parentale con durata superiore ad un anno, all’assegno di disoccupazione per coloro i quali perdono il lavoro.

In un suo recente articolo The New York Times sottolinea l’impatto del Coronavirus sul sistema sociale. Con una popolazione di poco più di 10 milioni di persone, la Svezia ha registrato circa 98000 casi di Coronavirus e fra questi quasi 6000 decessi. Tra queste 6000 persone la cui morte è collegata al virus, circa la metà è rappresentata da quella fetta di popolazione più vulnerabile che vive in case di cura. Questa tragedia in parte è dovuta a come il sistema svedese abbia gradualmente ma costantemente ridotto i servizi governativi per poter tagliare le tasse.

Il Foreign Policy riporta come durante la prima ondata di Coronavirus, la Svezia sia stata citata allo stesso tempo, da un lato, come il Paese che ha saputo gestire la pandemia nel migliore dei modi e, dall’altro lato, come quello che ha deciso di lasciare che il virus si diffondesse liberamente anche nelle case di ricovero per anziani, portando dunque ad un gran numero di vittime. Foreign Policy afferma che l’errore commesso dallo Stato svedese risiede in uno dei maggiori punti di forza e di debolezza del Paese: la Svezia è una società che ripone molta fiducia nel comportamento dei suoi cittadini. Infatti, generalmente il popolo svedese si è dimostrato capace di comportarsi in modo esemplare seguendo le disposizioni emanate dal Governo. Tuttavia, in questa situazione di emergenza, probabilmente la fiducia che il Governo svedese ripone nei suoi cittadini non è stata tradita. Molto più plausibilmente è stato il taglio dei finanziamenti ai servizi statali a determinare questa criticità nelle case di cura.

The Nation propone un interessante parallelismo tra “l’esperimento di gestione della pandemia” tra Svezia e Stati Uniti d’America, evidenziando la presenza di un robusto welfare state e di un’ottima sanità pubblica presente in Svezia e la mancanza di tale sistema negli Stati Uniti. Tuttavia, anche The Nation pone l’accento sul declino che sta attraversando il sistema di protezione sociale svedese.

In queste settimane si sta vivendo la già preannunciata seconda ondata di Coronavirus e ci si chiede quali strumenti adotteranno i Paesi per far fronte sia al Covid-19 sia all’influenza stagionale. Purtroppo, sono ancora le categorie più vulnerabili ad essere esposte maggiormente al rischio. Infatti, si parla in particolar modo dei ricoverati nella case di cura o di riposo. Visti i risultati ottenuti nel corso della prima ondata, la Svezia provvederà ad aumentare i finanziamenti verso queste strutture per evitare una nuova crisi?

Stampa francese

Le Monde racconta che a partire dagli anni Novanta, la Svezia ha iniziato a sviluppare un sistema di privatizzazione per i settori della sanità e dell’istruzione. Un meccanismo che ha mostrato però tutte le sue debolezze negli ultimi mesi: la pandemia da Covid-19 ha infatti finito per riaccendere il dibattito sulla rilevanza dello stato sociale.

Erik Andersson, che è alla guida municipale dell’elegante città di Täby, non utilizza il termine “privatizzazione”, piuttosto preferisce la definizione “valfrihet” che si traduce con “libertà di scelta”. In pratica, questo concetto si è affermato già negli anni Novanta proprio per giustificare l’imponente trasformazione del welfare state che si stava realizzando in Svezia. E, spiega il sindaco di Täby, la valfrihet è un modo per distaccarsi dal ricordo delle imposizioni socialiste del passato e per promuovere, al contrario, la determinazione personale. Per quel che riguarda il settore dell’istruzione, sono iniziate ad apparire alcune imponenti aziende scolastiche: la più importante è AcadeMedia, fondata nel 1996 e quotata anche in borsa. Non tutti però sono favorevoli a supportare il settore privato. E nel marzo 2019, quando l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato un rapporto in cui emergeva l’aumento delle disuguaglianze tra gli studenti, alcuni hanno iniziato a insistere sul fatto che quel sistema scolastico stesse incoraggiando una sorta di segregazione nelle scuole, ovvero un raggruppamento tra studenti dello stesso background sociale. Ad ogni modo in questi mesi, il settore scolastico è stato semplicemente una piccola parte della più generale riflessione sugli eccessi delle privatizzazioni. Il vero focus su questo dibattito ha riguardato infatti un altro ambito: a essere messo sotto accusa è stato principalmente il settore sanitario, specialmente in ragione dei disservizi che sono emersi nelle case di riposo.

La socialdemocratica Aida Hadzialic ha affermato che le privatizzazioni hanno permesso di aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria grazie all’avvio di nuove pratiche; tuttavia ha sottolineato che per aumentare i profitti si è avuto un relativo aumento dei costi per le regioni, il quale è andato a scapito degli ospedali pubblici, che di conseguenza sono stati costretti a risparmiare. Il ricercatore John Lapidus ha invece voluto parlare di un altro fenomeno, quello delle polizze assicurative: gli operatori privati per migliorare le tempistiche dell’accesso ai servizi sanitari, hanno stipulato convenzioni con le compagnie di assicurazione sanitaria. Ora per lo studioso, l’aumento di tali polizze assicurative costituisce la prova della trasformazione del welfare state svedese a favore di un meccanismo ‘a due livelli’, che non promuove quindi un sistema egualitario.   

Stampa svedese

The Local.se parla dell’investimento nel welfare annunciato a settembre dal Primo Ministro Stefan Löfven. Il settore dell’assistenza agli anziani riceverà complessivamente 7,4 miliardi di corone nel 2021 e altri 4 miliardi confluiranno direttamente nel settore sanitario, per sostenere le cure mediche relative al Coronavirus e per contribuire al deficit sanitario provocato dalla posticipazione di tutti gli interventi che sono stati rimandati a causa della pandemia. Nel complesso, nel 2021 lo stato sociale svedese dovrebbe beneficiare di un importo di 19,7 miliardi di corone, che nello specifico andranno alle autorità locali e regionali.

Basterà questo nuovo piano economico per allontanare le critiche dell’ultimo periodo?

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

What Sweden’s new coronavirus cash boost means for healthcare services disponibile su https://www.thelocal.se/20200907/coronavirus-budget-sweden-pledges-20-billion-kronor-to-boost-welfare-state, consultato il 14/10/2020

Le modèle suédois n’en est plus vraiment un disponibile su https://www.lemonde.fr/m-le-mag/article/2020/10/09/mine-par-la-pandemie-le-modele-suedois-face-aux-exces-du-liberalisme_6055443_4500055.html, consultato il 14/10/2020

Sweden, U.S. Election, French Open: Your Friday Briefing disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/08/briefing/sweden-us-election-french-open-your-friday-briefing.html, consultato il 14/10/2020


Sweden and the World-Historical Power of Conformity, disponibile su https://foreignpolicy.com/2020/10/05/sweden-and-the-world-historical-power-of-conformity/, consultato il 14/10/2020


Focused Protection, Herd Immunity, and Other Deadly Delusions, disponibile su https://www.thenation.com/article/society/covid-jacobin-herd-immunity/, consultato il 14/10/2020