Il latte è buono: il primo impatto con Roma di un ex colonizzato

Qual è la prima impressione che hai avuto di Roma? E qual è la prima impressione che Roma ha avuto di te?

Il romanzo Il latte è buono di Garane Garane, pubblicato nel 2005, racconta proprio le difficoltà di integrazione, quei piccoli e grandi ostacoli in una metropoli così variegata e fervida. Il semplice titolo di questo romanzo indica poi il desiderio più caro nella vita di un nomade del Corno d’Africa, «poiché quando c’è la pace, piena e intera, il latte è più dolce, più schiumoso del solito».

Il protagonista del romanzo è Gashan, discendente di Kenadit, futuro sindaco di Mogadiscio e Ministro dei Trasporti dopo il colpo di Stato somalo di Siad Barre. L’autore Garane e il suo personaggio Gashan condividono una educazione improntata sul sistema scolastico italiano, sulla sua letteratura e la sua lingua; il personaggio, infatti, decide di abbandonare la Somalia per emigrare in Italia con cui sente una forte connessione culturale e identitaria.

La permanenza di Gashan in Italia – che non durerà a lungo, poiché il personaggio prediligerà la Francia come spazio di ricerca della propria identità – mostra fin dai primi passi la difficoltà di integrazione sotto uno sguardo italiano spesso ostile. L’arrivo in Italia del protagonista è ricolmo di speranze, principalmente dovute all’immagine di una Italia studiata e mistificata:

Era felicissimo! Roma l’eterna era lì con le sue eccelse mura, di fronte ai suoi umili occhi […] Ma già nell’aeroporto si sentiva solo, in un posto chiuso e inospitale. C’erano facce che assomigliavano più agli arabi che ai Romani che lui si era immaginato attraverso letture storiche. […] Cominciò a frugare nella sua borsa. Trovò il passaporto in cui era scritto Repubblica di Somalia. Lo guardò assorto. Era somalo, ma bianco dentro. Era un bianco dalla maschera nera. Il problema era che aveva sempre creduto che ciò che è interno può essere esterno anche.

L’ambiente che accoglie Gashan si caratterizza per una forte debolezza sociale, non all’altezza della formazione sia culturale sia linguistica del personaggio. L’Italia è un Paese che Gashan pensa di conoscere e a cui sente di appartenere.

Il primo impatto con la realtà rivela però subito agli occhi di Gashan come la realtà gli sia ostile; non vi è nessuna corrispondenza tra lo spazio in cui si inserisce e quello immaginato. Gashan viene accolto con sospetto già dal momento in cui mostra il passaporto ad un poliziotto romano: come fa ad essere scritto in italiano? E come fa Gashan a parlare così perfettamente italiano?

Gashan nel momento in cui arriva, smette di riconoscersi in una duplice identità somala e italiana; non percepisce più questa condizione come una ricchezza ma la percepisce – e viene percepita anche dallo spazio esterno con cui si rapporta – come una identità difettosa e incompleta. Invece di sentirsi a tutti gli effetti italiano per la conoscenza perfetta della cultura e della lingua, smette di sentirsi sia somalo sia italiano. Il poliziotto che incontra ulteriormente mette in discussione il senso di appartenenza di Gashan dimostrando un razzismo velato e una immediata emarginazione che gettano il protagonista nella disillusione.

L’emigrazione di Gashan, dunque, risulta fondamentale per osservare le modalità con cui l’identità nazionale italiana viene immaginata. Questo ed altri testi della diaspora somala consentono di sviluppare una visione critica della storia e della cultura italiana evidenziando come il legame tra i due Paesi non possa arrestarsi alla fine del protettorato italiano in Somalia (1960); la connessione tra le due società e le due culture permane infatti nelle menti degli ex colonizzati attraverso l’industria culturale, l’educazione e la rappresentazione nei media.

L’opera di Garane Garane può essere interpretata come una denuncia del problematico rapporto tra città metropolitana e diversità, tanto che Gashan decide di abbandonare l’Italia e la Francia per tornare in Somalia – durante gli anni della guerra civile – e riuscire finalmente ad accettare la propria identità multiculturale ed ibrida mai realmente integrata nelle comunità a cui aveva pensato di appartenere.

Evelyn De Luca