La rassegna stampa internazionale dell’UNINT
È ufficiale: Joe Biden è il 46° presidente degli Stati Uniti d’America.
Che aspetto avrà un mondo senza Trump?
In Francia 500€ di sussidi statali per i commercianti che decidono di digitalizzare la propria attività.
Il Ministro delle dotazioni religiose, in Egitto, ha assegnato ai predicatori di tutte le moschee il compito di tenere un discorso incentrato sul diritto alla diversità e all’accettazione dell’altro.
EUROPA
El País riporta che in Spagna le vittime di coronavirus hanno battuto un nuovo record: 411 decessi in un giorno, il dato più alto di questa seconda ondata. L’ultima volta che più di 400 decessi sono stati aggiunti alla statistica in un giorno è stato ad aprile, quando il Paese era in confinamento. Quel periodo infatti, fine marzo e inizio aprile, ha segnato i giorni peggiori nei quali si sono infatti registrati quasi mille decessi. Negli ospedali la pressione continua ad essere alta, sia nei normali ricoveri sia nei reparti di terapia intensiva, infatti il numero medio di posti letto occupati in quest’ultima è del 32%, ma ci sono otto comunità che superano il 40%, una situazione complicata perché comporta un sovraccarico del personale. Il ministro della Salute, Salvador Illa, prevede di avere 20 milioni di dosi del vaccino Pfizer contro il coronavirus entro l’inizio dell’anno, con cui potrebbero essere immunizzate 10 milioni di persone. La società farmaceutica statunitense e il suo partner tedesco Biontech hanno annunciato lunedì che il loro vaccino è “efficace al 90%” e che sono ben 43.538 le persone che hanno partecipato ai test annunciati dall’azienda. Dei diversi gruppi che hanno ricevuto sia il vaccino che il placebo, 94 sono stati infettati. I vaccini saranno gratuiti, verranno distribuiti attraverso il Sistema Sanitario Nazionale e verranno somministrati inizialmente agli anziani e al personale sanitario. Si calcola che verso maggio una percentuale sufficientemente rilevante della popolazione spagnola ed europea potrà essere vaccinata, perché i vaccini verranno distribuiti equamente in tutti i Paesi dell’Unione Europea.
A.C.
In Francia, il ministro dell’Economia e delle Finanze Bruno Le Maire
ha promesso un aiuto statale di 500€ per i commercianti che necessitano di
digitalizzare la loro attività. Questo è quanto riportato dai siti Le Figaro
e Parisecret.
Il ministro aveva infatti dichiarato per l’emittente della BFM TV che: “Oggi
c’è un’azienda su tre digitalizzata […]. Dobbiamo accelerare. I commercianti
possono cavarsela da soli per costruire i propri siti web? No”. Proprio in
virtù di questo, lo Stato sarebbe disposto a supportarli attraverso questa
misura. Inoltre, Bruno Le Maire ha aggiunto che ogni comune dovrà avere una
piattaforma in cui sono presenti tutte le attività commerciali che si svolgono
in città per permettere ai commercianti di godere di alcuni vantaggi derivanti
da una maggiore esposizione pubblicitaria. Per di più il ministro si è detto
favorevole ad un sistema di appuntamenti nei negozi ritenuti non essenziali, in
questo modo potrebbero essere riaperti perché non ci sarebbe una grande
circolazione di gente nelle stesse fasce orarie. Ha anche dichiarato che il
governo pensa ad un’estensione dell’orario di apertura dei negozi, in modo tale
da poter gestire al meglio il flusso di clienti che verrebbe dilazionato così
nelle diverse ore del giorno. Non si escludono degli aiuti anche a tutti quei
commercianti che hanno molte scorte invendute in magazzino a causa del Covid-19
e delle restrizioni imposte dal governo.
G.D.C.
Secondo quanto
riportato dal giornale The
indipendent in Inghilterra e in Galles, per la prima volta da giugno,
durante la scorsa settimana si è verificato un alto picco significativo nei
casi di coronavirus, con morti settimanali attribuiti a Covid-19 che superano
il migliaio.
Il Paese ha anche intensificato
i test per rintracciare i casi asintomatici in 67 località diverse in tutto il
Regno Unito. I nuovi picchi del coronavirus peggioreranno ulteriormente gli
impatti già gravi su posti di lavoro ed economia.
Sempre rimanendo
in tema, leggendo lo stesso giornale The
indipendent scopriamo che agli studenti universitari
dell’Inghilterra viene detto di tornare a casa per trascorrere il Natale con le
loro famiglie non appena il lockdown terminerà il mese prossimo.
Infatti, l’apprendimento face to face
dovrebbe terminare entro il 9 dicembre. Questo consentirà ai giovani di
viaggiare in un momento in cui il rischio di trasmissione di Covid-19 è più
basso, dal momento che ci sono state le quattro settimane di restrizioni. Pertanto,
a partire dal 3 dicembre una “finestra di viaggio studentesca” vedrà
le università fissare date di partenza scaglionate, per allentare la pressione
sui trasporti pubblici. Il governo ha inoltre promesso di “lavorare a
stretto contatto con le università per stabilire test di massa” prima
delle partenze.
Cambiando ora
argomento, sempre secondo The
indipendent il governo del Regno Unito sta per introdurre una nuova legge per impedire alle
imprese di utilizzare prodotti legati alla deforestazione illegale. La norma
che l’11 novembre è stata introdotta nel nuovo disegno di legge sull’ambiente
richiederà alle aziende britanniche di utilizzare materie prime prodotte in
linea con le leggi locali che proteggono le foreste e altri ecosistemi.
Pertanto, le aziende dovranno essere più trasparenti sulla provenienza dei loro
prodotti, afferma il governo.
Tuttavia, gli
attivisti ambientalisti affermano anche che la nuova regola non sarà
efficacemente sufficiente perché copre solo i prodotti legati alla
deforestazione illegale piuttosto che i prodotti legati a tutti i tipi di
deforestazione.
A.B.
Il presidente
della Russia Vladimir Putin e il presidente della Bielorussia Alexander
Lukashenko hanno avuto una conversazione telefonica il 4 novembre, come
riportato sul sito del Cremlino.
Entrambi hanno confermato la loro intenzione di rafforzare le relazioni
russo-bielorusse e hanno discusso questioni legate alla sfera commerciale ed
economica. Hanno successivamente rinnovato l’importante collaborazione tra
Russia e Bielorussia per la diffusione del vaccino di produzione russa. Infine,
Lukashenko ha informato il presidente Putin della situazione attuale nella
repubblica bielorussa ed è stata affrontata anche la problematica del conflitto
nel Nagorno-Karabakh: secondo il presidente Putin il conflitto potrebbe
risolversi senza ricorrere alle armi, quindi grazie alla diplomazia.
Il 5 novembre, con
un rapporto dell’OSCE (Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in
Europa), è stata riconosciuta la falsificazione delle elezioni presidenziali in
Bielorussia del 9 agosto 2020, riporta Besti.ru. Ad oggi le
azioni di protesta non si sono fermate e il giorno successivo al rapporto, il 6
novembre, l’Unione Europea ha sanzionato ufficialmente il presidente dell’ex
Paese sovietico. Lukashenko è stato infatti valutato responsabile di
repressione nei confronti degli altri candidati alla presidenza e nei confronti
dei manifestanti, oltre che di intimidazione nei confronti dei giornalisti, secondo
quanto riportato da Ria.ru.
Il 6 novembre il presidente della Bielorussia ha annunciato che le elezioni
presidenziali si terranno nuovamente quando il popolo bielorusso lo vorrà, come
si può leggere nell’articolo di Pravda.ru.
Per quanto
riguarda la lotta al coronavirus, che al momento occupa la maggiore energia dei
Paesi del mondo, la Russia annuncia di essere pronta a collaborare con l’Europa
per la diffusione del suo vaccino Sputnik V. E non solo con l’Europa: come
riportato da Vesti.ru, il
presidente Putin e il presidente dell’Argentina, Alberto Fernández, si sono
sentiti telefonicamente per discutere della collaborazione economica tra i due
Paesi e della lotta al coronavirus tramite l’impiego di Sputnik V. Il Cremlino
dà notizia della telefonata avvenuta per iniziativa del governo argentino il 6
novembre. All’Argentina sono stati mandati due campioni di Sputnik V, il
vaccino sviluppo dal Centro nazionale di ricerca epidemiologica e
microbiologica N.F. Gamaleja. Nel frattempo, il virus viaggia a una velocità
spaventosa anche in Russia e per fermarlo sono state adottate varie soluzioni,
tra cui quella obbligata e riportata da Regnum.ru per
cui i pensionati sono ad oggi limitati nei loro spostamenti e nelle loro
attività e quella consigliata dal sindaco di Saransk di non viaggiare sui mezzi
pubblici se non per motivi di necessità, secondo un altro articolo di Regnum.ru.
Al giorno 9 novembre, i casi registrati sono più di 1.700.000, con oltre 30.000
decessi.
Tornando indietro
di qualche giorno, precisamente al 2 novembre, il mondo ha assistito ad un
nuovo attacco terroristico e stavolta nel mirino dell’ISIS è finita la capitale
dell’Austria, Vienna. Il 5 novembre l’ufficio stampa del Cremlino
ha riferito che il presidente Putin ha avuto una conversazione telefonica con
il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, in cui entrambi hanno sottolineato la
loro determinazione a combattere il terrorismo. Kurz ha espresso gratitudine
per il sostegno e le condoglianze rivolte al popolo austriaco da parte del
governo russo. Anche l’Austria ha discusso con la Russia sulla questione
vaccino contro il coronavirus.
Il presidente
Putin ha ricevuto una telefonata anche dal presidente della Francia, Emmanuel
Macron. Il 7 novembre il sito del Cremlino ha
riportato i dettagli della loro conversazione: innanzitutto, è stata
sottolineata la determinazione di entrambe le parti a combattere il terrorismo
in tutte le sue manifestazioni. Per la situazione del Nagorno-Karabakh, il
presidente Putin ha informato il presidente francese dei passi fatti dalla
Russia nella direzione di un “cessate il fuoco” anticipato e di una ripresa dei
negoziati volti a garantire una soluzione diplomatica e pacifica. I due
presidenti hanno ribadito la loro disponibilità negli sforzi di mediazione dei
rispettivi Paesi, anche nel quadro del Gruppo di Minsk dell’OSCE, una struttura
di lavoro creata allo scopo di incoraggiare una soluzione pacifica e negoziata
dopo la guerra del Nagorno-Karabakh del 1992. È stato inoltre espresso
l’interesse ad approfondire la cooperazione nella lotta al coronavirus,
compresa la realizzazione di collegamenti tra le strutture specializzate russe
e l’Istituto Pasteur per lo sviluppo e la produzione di vaccini.
Per quanto
riguarda il conflitto nel Nagorno-Karabakh, la situazione si fa sempre più
complessa. I combattimenti iniziati il 27 settembre proseguono e i due Paesi
coinvolti, Armenia e Azerbaigian, non riescono ad accordarsi per un cessate il
fuoco poiché si accusano a vicenda di aver colpito civili. La situazione ha
avuto vari sviluppi: il 7 novembre, come riporta Vesti.ru, il
presidente turco Recep Erdoğan
ha riferito che il leader azero Ilham Aliyev gli ha comunicato l’imminente
vittoria. Il giorno dopo, l’Azerbaigian avrebbe preso il controllo della città
di Şuşa in Karabakh, evento
importantissimo di cui ci dà notizia Ria.ru,
la quale però non è stata confermata dall’Armenia che continua a lottare per il
controllo di una delle città chiave del Paese. Nel frattempo, durante il
conflitto tra Baku e Yerevan, il 9 novembre è stato abbattuto un elicottero
russo al confine tra i due paesi, un Mi-24, provocando la morte di due membri
dell’equipaggio. Se ne è dichiarato subito colpevole l’Azerbaigian, scrive Vesti.ru,
ma si è trattato un incidente. Un punto di svolta è avvenuto lo stesso giorno
quando il presidente Putin ha dichiarato sul sito del Cremlino
che lui, il presidente della Repubblica dell’Azerbaigian Aliyev e il primo
ministro della Repubblica di Armenia Pashinyan hanno firmato una dichiarazione
di cessate il fuoco completo nella zona del conflitto a partire dalla
mezzanotte (ora di Mosca) del 10 novembre. Si spera in una soluzione a lungo
termine e su vasta scala della crisi intorno al Nagorno-Karabakh, crisi questa
che mette a dura prova il popolo armeno e quello azero da troppo tempo.
S.P.
AFRICA
In Egitto il Ministero delle dotazioni religiose ha assegnato ai predicatori
di tutte le moschee il compito di tenere, nel sermone di venerdì 13 novembre,
un discorso incentrato sul diritto alla diversità e all’accettazione
dell’altro. Decisione questa presa sullo sfondo di una furiosa ondata di indignazione che attraversa il mondo
islamico a causa della pubblicazione di vignette offensive sul Profeta, con gente
scesa nelle piazze a manifestare e ad invocare il boicottaggio dei prodotti
francesi. Nel testo si fa riferimento all’invito, presente nel messaggio
coranico, ad “accettare le diversità e a renderle un mezzo per la conoscenza e
la convergenza. Un simile obiettivo” recita il testo, “può essere raggiunto
solo attraverso un dialogo che avvicini i punti di vista e si rivolga alle
menti con saggezza e buoni consigli.” Entrando nel vivo degli eventi recenti si
menziona il diritto che l’Islam riconosce alla libertà di opinione alla luce
della libertà di fede, purché “questa sia governata dalle regole della morale e
dei valori umani, e rifugga istanze oscene o offensive.” Ciò avviene a ridosso
delle forti accuse rivolte dal Gran Sceicco di Al-Azhar, al-Tayyib, alla
Francia durante il suo incontro con il ministro degli Esteri francese Jean-Yves
Le Drian al Cairo. Durante l’evento, il decano ha dichiarato che “se insultare
il Profeta è da intendersi come una libertà di espressione, allora la
rifiutiamo nella forma e nella sostanza.” E ha continuato: “Il mio discorso è
lontano dalla diplomazia quando si parla dell’Islam e del suo Profeta”. Fonti
politiche avevano rivelato che il governo di al-Sisi aveva fatto pressioni su
al-Tayyib affinché non intensificasse la questione riguardante gli insulti al
Profeta, con l’obiettivo di preservare i rapporti con la Francia. A distanza di
qualche ora, riporta Al-Araby
Al-Jadeed, lo Sceicco è tornato sulla questione in occasione
della celebrazione della nascita del Profeta: ha invitato la comunità
internazionale ad approvare una legislazione globale che rendi penale
l’islamofobia, sottolineando che “le vignette diffamatorie, oltre a
ridicolizzare il Profeta, esprimono una piena ostilità nei confronti
dell’Islam”.
L.D.
Nella giornata del 10
novembre 2020, le testate giornalistiche Jeune Afrique
e Africa News
hanno dato il triste annuncio: l’ex presidente del Mali Amadou Toumani Touré è deceduto all’età di 72 anni. Aveva già avuto
diversi problemi di salute e proprio per queste ragioni era stato trasferito
presso l’ospedale lussemburghese di Bamako dove era stato sottoposto ad un
intervento al cuore. Amadou Toumani Touré era conosciuto anche semplicemente
come ATT. È stato per molto tempo una figura di riferimento della democrazia
nel Mali, soprattutto nei primi anni ’90. Infatti, ha diretto nel 1991
l’insurrezione del popolo nei confronti del regime di Moussa Traoré che durava
da più di 20 anni. È divenuto presidente all’età di 54 anni e lo è stato fino
ai 64. Non è riuscito a impedire l’insurrezione da parte dei ribelli del Tuareg
e anche l’afflusso dei Salafiti di Al-Qaeda nel Maghreb islamico che ha fatto
sprofondare il Paese in un vortice di violenza, colpendo anche quelli vicini
come il Burkina Faso e il Niger. Il suo decesso ha sconvolto molti presidenti
degli Stati vicini al Mali che si sono dichiarati vicini al popolo maliano. Su
Twitter il presidente della Repubblica del Senegal Macky Sall ha posto le sue
più sentite condoglianze alla famiglia del defunto, ma anche al popolo del Mali
definito “amichevole e fraterno”. Allo stesso modo anche il presidente della
Costa D’Avorio Alessane Outtara ha posto le sue condoglianze via Twitter e la
sua vicinanza al popolo “fraterno” del Mali.
G.D.C.
MEDIO ORIENTE
Nella
giornata di lunedì, gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni a parlamentari
e militari siriani accusati di
sostenere la produzione petrolifera per conto del governo di Bashar al-Assad,
ma tali sanzioni, secondo gli economisti, avranno forti ripercussioni sulle
condizioni di vita dei siriani. L’economista siriano Mahmoud Hussein, in
un’intervista al giornale Al-Araby
Al-Jadeed, ha indicato che in Siria i prezzi di
merci e prodotti sono aumentati soprattutto dopo l’attuazione del Caesar Act
nel mese di giugno. Hussein ha aggiunto che il governo siriano sta cercando di
negoziare queste sanzioni, rivelando inoltre che Russia e Iran sono invece
riuscite ad aggirarle, come dimostrano la continua fornitura di petrolio e armi
e la firma di accordi, anche dopo l’emissione della Caesar Act. Lunedì sera, il
Tesoro degli Stati Uniti ha annunciato, sul suo sito ufficiale, l’aggiunta di
undici enti e di otto personalità all’elenco delle sanzioni. Oltre al Ministero
del petrolio e delle risorse minerarie figurano alcune compagnie fra cui la
General Organization for Refining and Distribution of Petroleum Products
(GORDPP) e
la Coast Refinery Company. Lo studioso siriano Imad Al-Din Al-Musbah ha
dichiarato al giornale che l’impatto delle sanzioni, soprattutto quelle americane,
andranno ad accumularsi, nel tentativo di logorare il governo di Bashar
al-Assad e limitare il flusso di fondi. Le sanzioni paralizzano anche i
contratti e gli accordi relativi alla ricostruzione del Paese, che Al-Assad ha
firmato prima dell’entrata in vigore del Caesar Act. Al-Musbah sottolinea anche
l’impatto delle sanzioni sulla lira siriana, che dall’attuazione del Caesar Act è esposta ad un forte ribasso del
suo potere d’acquisto, con immediate conseguenze sui prezzi delle materie prime
e sulla loro disponibilità sul mercato. Al-Musbah ha aggiunto che gli effetti
delle sanzioni sulla banca centrale sono ancora limitati, rivelando che i
trasferimenti di denaro sono ancora in atto, nonostante la chiarezza della
legge relativamente alle sanzioni da imporre a chiunque che collabori con il
governo Assad. Il regime sanzionatorio attanaglia il governo siriano dalla metà
del 2011; il Caesar Act, emesso cinque mesi fa, è stata la misura più severa
fin qui adottata.
L.D.
Stando a quanto riferisce Al-Araby
Al-Jadeed, il membro del governo iracheno, Qasim Al-Araj, inviato nella città di Sinjar, nel
governatorato di Ninive, nell’ambito di un accordo che Baghdad ha concluso con
il governo del Kurdistan, non è ancora raggiunto una chiara intesa con i leader
delle fazioni armate presenti nella città per quanto riguarda il loro ritiro.
Nel mezzo della chiara intransigenza dei leader delle fazioni, il governo curdo
ha espresso al governo di Baghdad il proprio disappunto per la mancata
attuazione delle condizioni stabilite nell’accordo. Quest’ultimo, firmato il 9
ottobre scorso, prevede la normalizzazione della situazione nella città contesa
tra le due parti al fine di rimpatriare gli sfollati e l’allontanamento delle
fazioni del PKK e delle Forze di Mobilitazione Popolare. Il governo curdo, in
virtù della mancata attuazione dell’accordo, ha cercato di ridurre l’importanza
dei negoziati che Al-Araji e la sua delegazione stanno conducendo con le
fazioni che controllano Sinjar. Il comandante delle forze Peshmerga a Sinjar,
Haider Shushu, ha dichiarato su un sito web locale che la metà dei partecipanti
all’incontro con Al-Araji erano collegati al PKK. Ha sottolineato che i
negoziati non hanno importanza in assenza di coloro che sono coinvolti nel
fascicolo Sinjar, aggiungendo che l’unico punto positivo nell’azione di
Al-Araji è l’invito fatto ai membri del Partito a lasciare la città. La
presenza di elementi del PKK nella città è legata alle fazioni armate
appartenenti alla “folla popolare”, legate da intese e coordinamento
reciproci. Il portavoce del Joint Operations Command, il maggiore generale
Tahsin al-Khafaji, ha confermato che Al-Araji è stato informato durante la sua
visita a Sinjar della presenza concordata delle forze di sicurezza e di
supervisione della città, sostenendo che la missione di Al-Araji mira anche a
suscitare interesse per Sinjar al fine di rimpatriare gli sfollati. Ha
sottolineato la volontà di Al-Araji di incontrarsi con i cittadini, cercando di
estendere la portata dell’accordo anche sull’opinione pubblica. Una visita
molto importante nell’attuale contesto.
L.D.
AMERICA
DW riporta che, nonostante la vicinanza
geografica e i legami economici, culturali e sociali dovuti a una forte
immigrazione latina negli Stati Uniti, la potenza nordamericana e i Paesi a sud
del suo confine hanno subito un forte allontanamento negli ultimi anni, segnato
da un chiaro disinteresse delle autorità di Washington per i destini di quello
che un tempo era considerato il loro “cortile di casa”. Parte di
questa negligenza dovrebbe essere sanata con l’arrivo al potere di Joe Biden
negli Stati Uniti, dato che durante il governo di Donald Trump l’America
Latina “è stata una priorità solo per scopi ideologici”. L’ex
presidente non si è preoccupato di coltivare relazioni costruttive, profonde e
utili con la regione e si è piuttosto dedicato a sviluppare una campagna contro
il governo venezuelano, aumentando le sanzioni che sono state dichiarate
illegali dalle Nazioni Unite.
Tranne una brevissima visita in Messico,
quando era ancora un candidato, e un fugace viaggio al G20 in Argentina, Donald
Trump non ha prestato attenzione alla regione se non per parlare del Venezuela
o di Cuba. Fino ad ora non ci sono stati piani che implichino una vera e
propria stabilità politica ed economica ma sicuramente ora ci sarà un
cambiamento importante. In effetti, lo stesso Joe Biden ha promesso durante un
dibattito che invierà un progetto per legalizzare gli 11 milioni di irregolari
e questo è quindi un primo segnale potente per l’America Latina che sarà
nuovamente parte integrante nell’agenda delle autorità di Washington.
A.C.
In Messico, nelle settimane scorse le autorità del Ministero della Salute avevano annunciato che in diverse località del Paese i casi di coronavirus stavano iniziando ad aumentare, cosi riporta Infobae. Durante la quotidiana conferenza serale sullo stato della pandemia, il direttore dell’Epidemiologia, José Luis Alomía, ha annunciato che un totale di nove stati hanno presentato un aumento del numero di casi, ma sette di loro hanno superato il primo e il secondo picco epidemiologico, definendo questo momento come “effetto ricrescita”. I sette stati che rientrano in questa categoria sono Chihuahua, Durango, Città del Messico, Querétaro, Aguascalientes, Coahuila e Zacatecas, poiché presentano un aumento sia delle infezioni che dei ricoveri. Inoltre, il funzionario ha sottolineato che nelle ultime settimane gli stati di Durango e Chihuahua hanno nuovamente superato il semaforo epidemiologico rosso a causa dei loro dati sul coronavirus, chiarendo però che classificare le entità in questo modo non significa che riflettano un rischio massimo dovuto alla pandemia. Per fare ciò, è necessario considerare 10 indicatori che compaiono nella curva di contagio. Inoltre, nonostante José Luis Alomía abbia sottolineato la presenza di una diminuzione nei casi del 18% a livello nazionale, ha anche chiarito che ancora non si è raggiunto un controllo della situazione. In più, il funzionario ha avvertito che, con il periodo natalizio e il gran numero di migranti che entrano nel Paese nelle stagioni di dicembre, potrebbe esserci un aumento dei casi negli stati di confine. Pertanto, ha chiamato a seguire le raccomandazioni locali e nazionali per prevenire la pandemia.
A.C.
DW riporta che una serie di chat pubblicate mostrerebbero uno
stretto rapporto tra il presidente del Perù, Martín Vizcarra, e coloro
che lo accusavano di aver ricevuto tangenti milionarie per aver agevolato la
concessione di un’opera di irrigazione e di un ospedale nella sua provincia,
quando era governatore della regione di Moquegua (2011-2014). Diversi media peruviani hanno divulgato il
contenuto del telefono dell’ex ministro dell’Agricoltura José Hernández
(2016-2018), vicino a Vizcarra e sospettato di essere uno degli aspiranti
collaboratori effettivi che ha accusato il presidente davanti alla Procura.
Queste conversazioni sono state trasmesse poche ore prima che il congresso
iniziasse un processo di impeachment (posto vacante) contro Vizcarra, accusato
di “incapacità morale” a seguito di queste denunce. In una
dichiarazione rilasciata poco dopo la diffusione delle chat, Vizcarra ha
denunciato la loro pubblicazione come un tentativo di “danneggiare la
fiducia che il popolo peruviano ha in lui” e ha sottolineato che si tratta di
testi curati e tendenziosi che rifiuta categoricamente.
A.C.
Lunedì 9 novembre
lo stile streetwear diffuso negli Stati Uniti subisce una rivoluzione.
Secondo quanto riportato dal New
York Times, il gruppo americano VF Corporation ha annunciato
l’acquisto del 100% dell’azienda streetwear Supreme, la quale è stata valutata
2,1 miliardi di dollari (circa 1,7 miliardi di euro).
VF, proprietaria
anche di NorthFace, Timberland e Vans, acquisterà quindi anche le quote che appartengono ai fondi di investimento Goode Partners, il
quale aveva fatto una piccola acquisizione nel 2014, e Carlyle, che ne aveva
invece acquistato il 50% nel 2017 per 500 milioni di dollari.
Secondo il gruppo americano, l’azienda Supreme, fondata nel 1994 da
James Jebbia a Manhattan, genera attualmente più di 500 milioni di dollari di
ricavi annuali, rispetto ai circa 200 milioni nel 2017. Oltre il 60% delle
entrate di Supreme proviene da ordini online.
La società VF ha detto di aspettarsi che la
Supreme aumenterà le sue entrate di almeno 500 milioni di dollari entro il
2022. Ovviamente il fondatore di
Supreme, Jebbia, rimarrà a far parte della nuova azienda.
A.B.
Sempre rimanendo negli Stati Uniti, sabato
Joseph Robinette Biden Jr. è stato eletto 46° presidente. La sua vittoria alle
elezioni sancisce il rifiuto di milioni di americani nei confronti di Donald
Trump e di una gestione politica confusionaria, oltre che tesa a instaurare
divisioni nel Paese. Una vittoria frutto di un’insolita alleanza fatta di
donne, persone di varia etnia, vecchi e giovani nonché repubblicani delusi. Il
risultato annuncia per di più un traguardo storico: la senatrice Kamala Harris
sarà la prima donna a ricoprire la carica di vicepresidente. Pilastro di
Washington, eletto per la prima volta al Senato durante lo scandalo Watergate,
Biden sarà alla guida di un Paese e di un Partito Democratico che dal suo
arrivo nella capitale nel 1973 hanno assunto una fisionomia ancor più
ideologica. La corsa alla Casa Bianca, conclusasi dopo lo spoglio dei voti
negli Stati cruciali, è stato un referendum sulla figura politica di Trump. In
effetti, come suggerisce il NY
Times, l’elezione di Biden è apparsa piuttosto l’apice di
un’ondata politica sorta dalle elezioni del 2016 anziché il successo di un
portabandiera. Eppure, anche con Trump estromesso, il responso delle urne ha
rivelato nondimeno l’insicurezza degli elettori nei confronti del programma del
centro sinistra sposato da Biden, dal momento che i Demo hanno perso seggi alla
Camera e hanno ottenuto solo modesti risultati al Senato. Pur uscendo
sconfitto, Trump ha tuttavia dimostrato di continuare ad attecchire su una
larga fetta dell’elettorato, segno delle profonde divisioni che tra l’altro
Biden ha promesso di sanare. In tutto questo, il coronavirus ha inciso in
maniera decisiva. Di fronte a un elettorato già stremato dalla sua condotta
aberrante, Trump ha di fatto sancito la sua sconfitta minimizzando una pandemia
che ha dato luogo allo stesso tempo a crisi sanitarie ed economiche. Biden, al
contrario, ha cercato di canalizzare lo sgomento di quanti sono rimasti
sconvolti dalla cattiva gestione della pandemia. Oltre al coronavirus, la
campagna 2020 si è svolta sullo sfondo di un tumulto nazionale senza eguali
nella storia recente: l’impeachment della Camera nei confronti di Trump meno di
un anno fa, un’ondata di proteste nazionali per l’ingiustizia razziale la
scorsa primavera e focolai di disordini civili per tutta l’estate. Lungo la
campagna, Trump ha lusingato le inclinazioni dell’ala conservatrice, cercando
di dividere la nazione su punti di infiammabilità razziali e culturali. Biden,
in risposta, ha fatto causa comune invitando gli americani di ogni schieramento
a instaurare un patto di reciproca fiducia. In tempi brevi, Biden sarà
sollecitato a garantire e distribuire un vaccino sicuro per il coronavirus, a
rilanciare un’economia sull’orlo del tracollo e ad affrontare le questioni di
giustizia razziale. E lo farà con un Congresso molto polarizzato dove molti
repubblicani hanno abbracciato la dottrina nativista e populista di Trump e in
cui democratici sono sempre più inclini a dar nuovo vigore alla sinistra.
Qualora non dovesse riuscire a colmare questa divisione, Biden dovrà affrontare
la pressione dell’ala progressista del suo partito che tenterà di farlo
desistere dalla conciliazione. Uno dei test più significativi della presidenza
di Biden verterà sul modo in cui gestirà le divisioni in espansione all’interno
suo partito.
L.D.
ASIA
Secondo quanto
riportato dall’Asia
Times, la mattina del 6 novembre per la Cina inizia la corsa nello spazio, è così che Pechino annuncia il lancio del primo
satellite 6G. Tale tecnologia dovrebbe essere oltre 100 volte più veloce del
5G, consentendo una trasmissione a lunga distanza senza perdite nello spazio. È
così che la
nazione lancia il guanto di sfida a USA ed Europa nella corsa alla tecnologia,
con l’utilizzo di un satellite che testa le prime comunicazioni con il 6G, una
rete che è ancora in via di definizione.
Tuttavia, prima di
diventare disponibile sul mercato la tecnologia 6G deve superare diversi
ostacoli tecnici relativi alla ricerca di base, alla progettazione
dell’hardware e al suo impatto ambientale. Alcuni scienziati temono addirittura
che la nuova infrastruttura del 6G, la maggiore integrazione delle tecnologie
di comunicazione spazio-aria-terra-mare, e l’uso di una nuova gamma di
frequenze per trasmettere dati potrebbero influenzare la salute pubblica, o
essere troppo costosi o insicuri per i ricercatori, motivo per cui Wang Ruidan
annuncia che “La condivisione, l’analisi e la gestione dei dati della ricerca
sono fondamentali per l’innovazione scientifica e tecnologica nell’era dei big
data di oggi”.
Cambiando
argomento, sempre a Pechino,
meglio conosciuta anche come la Silicon Valley cinese, secondo il China
Daily, le aziende high-tech stanno guidando l’innovazione mentre
il Paese continua a promuovere uno sviluppo di alta qualità.
Fondata nel 2014,
la piattaforma cinese di ‘cloud computing’
EasyStack è ora uno dei principali innovatori nello Zhongguancun Science Park.
“Non è stato
facile ricominciare da zero”, ha affermato Chen Xilun, fondatore e CEO di
EasyStack. La società ha costruito la sua reputazione nel settore contribuendo
con progetti internazionali e più di una volta è arrivata tra le prime 10 liste
di contributi di codice core. Attualmente fornisce soluzioni di cloud computing a governi e settori
chiave tra cui finanza, telecomunicazioni ed energia, sia in patria che
all’estero.
Parlando ora di
economia, sempre secondo quanto riportato dal China
Daily, l’aumento degli IDE annuncia un miglioramento
dell’ambiente imprenditoriale per la nazione. Gli investimenti diretti esteri
in Cina hanno infatti raggiunto 103 miliardi di dollari nei primi nove mesi di
quest’anno, con un aumento del 2,5% su base annua.
Nonostante l’epidemia, gli afflussi di investimenti esteri verso la Cina sono diminuiti solo del 4%. A confermare ciò sono i gestori di portafogli esteri, i quali stanno spostando fondi sui mercati cinesi perché i loro tassi di crescita nazionali sono più alti che altrove e perché la politica monetaria costante della Cina sta creando rendimenti più elevati di quelli che possono essere ottenuti in altri mercati. Inoltre, il 14° piano quinquennale della Cina (2021-25) incoraggerà le aziende e gli investitori stranieri a raddoppiare il loro impegno per l’economia cinese. Ci sono stati infatti oltre 400 miliardi di dollari di nuovi investimenti esteri dal 2017 al 2019, con gli afflussi di IDE al secondo posto nel mondo per tre anni consecutivi, nonostante gli attriti commerciali in corso.
A.B.
Rassegna stampa a cura di:
Alessandra Semeraro (responsabile inglese, cinese, portoghese, arabo)
Alissa Bianconi & Livio D’Alessio (lingua inglese)
Alissa Bianconi (lingua cinese)
Livio D’Alessio (lingua araba)
Veronica Battista (responsabile spagnolo, tedesco, francese, russo)
Angelica Chimienti (lingua spagnola)
Gaia De Gandia (lingua francese)
Simona Piergiacomo (lingua russa)
Claudia Lorenti (coordinatrice del progetto)