#Guess who?: Walt Disney

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Creatore della “fabbrica dei sogni” che ha nutrito la fantasia dei bambini di tutto il mondo, mente che rivoluzionò per sempre la storia del cinema, dell’animazione e dell’intrattenimento, oggi parliamo di…Walt Disney!

1) “Ceci n’est pas un Disney”: il vero cognome di Walt era D’isigny, non Disney, cognome di origine francese e originario di un paesino chiamato Isigny-sur-Mer. Tutto ebbe inizio quando gli antenati di Walt immigrarono dalla Francia agli Stati Uniti e alla domanda di richiesta del cognome risposero D’isigny, che gli ufficiali americani, non conoscendo la lingua, fraintesero e trascrissero male e lo americanizzarono in Disney, cognome che venne tramandato alle successive generazioni.

2) Niente barba e capelloni: la policy di Disney e della corporation riguardo a chi decideva di farsi crescere la barba era assai severa e lo è stato fino a pochi anni fa: fino al 2012 era espressamente vietato agli impiegati di farsi crescere barba e baffi. Tale ‘invito’ era esteso anche agli ospiti del parco Disneyland, fino al 1970. Ancora oggi nei programmi di assunzione della Disney è espressamente richiesto ai candidati un look glabro.

3) Le ultime parole famose: le parole finali di Disney sono destinate a rimanere avvolte nel mistero. Sul letto di morte l’artista scrisse su di un foglio “Kurt Russell”, nome dell’allora giovanissimo attore che ai tempi aveva già lavorato per alcune film della Disney. Ma nessuno ha mai capito il perché di tutto questo.

4) L’uomo dei record: durante i suoi 34 anni di carriera, Walt Disney ha collezionato ben 59 nomination, 22 premi Oscar e ben 4 Oscar onorari alla carriera!


5) Prima che fosse Mickey Mouse…: il nome originale della creaturina dalle orecchie a parabola era originariamente ‘Mortimer Mouse’ ma, suonando troppo macabro, dietro saggio consiglio della moglie, Walt decise di cambiarlo in “Mickey Mouse”. Mortimer fu però “riciclato” per dare il nome a uno dei grandi rivali in amore di Topolino (in italiano “Topasio”), e al bisnonno di Minnie.

6) Accoppiata vincente: Nel 1945 due grandi artisti e visionari decisero di collaborare per creare qualcosa di unico. Erano Walt Disney e Salvador Dalì, che si misero al lavoro per realizzare una fiaba surreale in cartoni animati, intitolata “Destino”. Purtroppo rimangono solo alcune immagini del progetto, che fu bruscamente interrotto. Quando Dalì andò a trovare Disney nella sua magione, fu invitato a cavalcare assieme il trenino che attraversava tutto il perimetro dell’abitazione. Peccato non ci sia nessuna foto a testimoniare l’avvenimento…

7) Un doppiatore d’eccezione: dal 1928 (“data di nascita” di Mickey Mouse) al 1947, la voce di Topolino fu proprio quella del suo creatore, Walt Disney!

8) Il logo non è la vera firma: ebbene sì, il celeberrimo logo Disney non coincide con la firma reale del fondatore. Si tratta infatti dell’elaborazione gonfia e stilizzata della sua firma ufficiale, così come i suoi cartoni sono una rivisitazione ideale della tradizione fiabesca.

9) Walt Disney in Disney: forse non tutti sanno che il personaggio di “Macchia nera”, acerrimo nemico di Topolino, non è altro che la caricatura di Walt Disney.

10) Temuto boss: Forse non era poi così tirannico e capriccioso come venne ritratto dal biografo Marc Eliot, certo è che Disney non si risparmiava sfuriate e atteggiamenti da decisionista. Anche per questo era molto temuto dai suoi disegnatori e collaboratori, che avevano elaborato un’espressione in codice per annunciare che Walt si stava avvicinando e che si doveva riprendere subito a lavorare: “Man is in the forest“.

“If you can dream, you can do it!”

#UNINTSIGHTSEEING: CASTEL DI TORA

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Nel cuore dell’Italia, tra scenari lacustri e suggestivi scorci medievali, sorge Castel di Tora, un piccolo comune di circa 300 abitanti, situato all’interno della Riserva Naturale Monte Navegna e Monte Cervia.
Chi lo visita si innamora dei suoi paesaggi, da molti definiti i più belli del Lazio. Adagiato sulle sponde del lago artificiale del Turano, in cima a un alto colle, regala scenari incantevoli che si specchiano nelle acque del bacino, incorniciati dai fitti boschi del Monte Navegna, dalla cui sommità, nelle giornate più limpide, si può osservare persino la cupola di San Pietro a Roma. Passeggiando per le sue viuzze è impossibile non lasciarsi conquistare dalle atmosfere intime, accoglienti e cariche di storia: scenario perfetto per una passeggiata fuori città. Che si cammini sulle sponde del lago, o che si esplorino gli stretti vicoli di pietra, la bellezza di questa località riempirà di poesia ogni dolce fuga romantica con la propria metà.

Esplorando il borgo si gode della piacevole sensazione di fare un tuffo nel Medioevo. La torre poligonale della fortezza, che domina una roccia a strapiombo sul lago, risale all’XI secolo, mentre le quattrocentesche torrette di via Torano e di via Cenci svelano le vestigia dell’antica cinta muraria. L’intero borgo è un trionfo di case in pietra locale a vista con coperture in legno e manto in coppi di laterizio, in pieno stile rurale medievale, mentre nell’aria aleggia il profumo di timo e di ginestre. Magnifica la chiesa di San Giovanni Evangelista, con i suoi affreschi cinquecenteschi ed il pittoresco campanile su cui crescono violaciocca e mentuccia, così come il settecentesco palazzo adiacente la torre poligonale. Una volta giunti nella piazza principale, si è rapiti dalla sorprendente vista panoramica sul lago e dalle forme della fontana del Tritone, risalente alla fine del XIX secolo.

E per lasciarsi travolgere dalla sensazione di trovarsi in un luogo dal fascino surreale sospeso nel tempo e sulle placide acque del lago, vale la pena raggiungere l’incantevole Borgo di Antuni che sorge su una piccola penisola collegata alla terraferma da un istmo. Il piccolo borgo cinquecentesco custodisce il bel Palazzo del Drago, risalente al XV secolo, oltre allo scenografico eremo di San Salvatore che si erge su una parete a picco sul lago.

Prima di abbandonare questo piccolo angolo di paradiso, vale, infine, la pena sedersi al tavolo di una delle tradizionali trattorie vista lago e lasciarsi deliziare dai piatti preparati con i prodotti del territorio che spaziano dai particolari “fagioli a pisello”, coltivati solo da queste parti, ai formaggi, ai tartufi, ai funghi, sino al saporito pesce di lago. Tra le specialità da assaggiare, il Polentone condito con sugo di magro di baccalà, aringhe, tonno e alici, e gli stragliozzi, un particolare formato di pasta lavorata a mano.

#MONDAYABROAD

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Oggi conosciamo Krystal Hu Xuexin, direttamente da Pechino, una ragazza spumeggiante, allegra e solare.

Il suo Erasmus, svolto durante il primo semestre, è stato un mix esplosivo di “travelling, flying and party”: oltre a prendere la palla al balzo e visitare molti luoghi d’Europa e non (la nostra Krystal è approdata anche in Marocco per qualche giorno), quest’esperienza l’ha aiutata a crescere, conoscere e conoscersi.

“Ci sono grandi differenze tra la Cina e l’Italia: non voglio rimanere sul banale, ma anche solo a livello architettonico, sono due mondi totalmente diversi. Poi le persone, il cibo, le tradizioni e, per toccare il mio campo di studio, lo stile: in Cina si cerca di seguire una moda che è per tutti uguale, mentre in Italia ho notato che ogni persona ha la sua propria idea di fashion, che mantiene, modernizza, cambia, sviluppa col passare del tempo; dal casual allo sportivo, dall’elegante al retrò, ringrazio l’Italia per avermi insegnato che anche lo stravagante può essere fine… come si dice qui, il mondo è bello perché è vario e ora ne ho la prova.”


Krystal ha, difatti, frequentato le lezioni della Facoltà di Economia, corso di laurea magistrale in Economia e management internazionale – curriculum in Lusso, made in Italy e mercati emergenti: “un’altra differenza che ho riscontrato è il metodo di studio. In Cina siamo come fogli bianchi su cui scrivere il sapere: non importa capire, ma saperlo ripetere, quindi passiamo anni della nostra vita a imparare nozioni; qui è stato diverso perché ho potuto toccare con mano quello che potrebbe essere il mio futuro tramite attività particolari e invoglianti. È stato proprio quando ho capito che oltre a saper ripetere sapevo anche applicare che mi son sentita più orgogliosa di me stessa e del mio lavoro”.

Vista la sua provenienza, è stato comunque difficile sorvolare sull’argomento che a oggi è sulla bocca di tutti: il coronavirus. “Non ho paura di ritornare in Cina, anche perché quella è sempre casa mia. Il virus è un problema serio e da affrontare con la giusta cautela e la massima serietà… per il momento, ho sentito la mia famiglia e stanno tutti bene (e questo è ciò di cui più m’importa!).

Sono comunque fiduciosa: siamo cinesi, siamo veloci a far tutto (quindi spero anche a trovare una cura!)”.

Auguriamo il meglio alla nostra piccola Mulan, torna presto a trovarci, ti aspettiamo a braccia aperte!

Ilaria Violi

#PEOPLEOFUNINT

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Sono Diletta e sono al secondo anno magistrale del percorso di studi in Economia e Management Internazionale-Marketing Digitale. La mia scelta di studiare economia è stata totalmente diversa da quella fatta per la triennale quando avevo optato per un percorso di natura giuridica, nello specifico Diritto per le Imprese che ho frequentato a Torino, la mia città, perché ho sentito il bisogno di avere una conoscenza più profonda del mondo aziendale e di tutto ciò che lo caratterizza. L’inizio della magistrale ha comportato un grande cambiamento nella mia vita: mi sono dovuta trasferire qui a Roma e ho dovuto imparare ad ambientarmi in una nuova realtà. Ma l’ho fatto con coscienza, specie perché questo percorso di studi si trovava solo qui.

Sei felice della scelta che ti ha portato qui oggi?

Sì, sono contenta del percorso di studi che ho fatto, perché da un lato l’economia mi ha sempre appassionata, dall’altro ho anche superato dei miei limiti dal momento che ero abituata a un metodo di studio completamente differente. Per cui ti direi sì lo rifarei, rifarei questa scelta sia per esperienza personale che formativa.

Che tipo di ragazza sei? Come ti definiresti?

Sono una ragazza ambiziosa, determinata e testarda, perché tutto quello che voglio, cerco di ottenerlo anche se mi costerà fatica. Non so ancora chi voglio diventare, non so ancora dove mi porterà questo percorso di studi, se continuerò a studiare o se dopo la laurea potrò avviare la mia carriera lavorativa. So che il mondo del Digital Marketing mi affascina, cerco di rendermi sempre attiva dal punto di vista dei social, di apprendere quanto più posso dal punto di vista universitario. Fare marketing significa soddisfare il bisogno del cliente, quindi spero anch’io di riuscire nel mio lavoro ad aiutare il prossimo. Non so se questo comunque mi avvicinerà a una carriera bancaria che mi piacerebbe molto o piuttosto a un’impresa in cui occuparmi della gestione degli aspetti legali. In ogni caso sono molto fiduciosa.

Senti di stare procedendo nella giusta direzione?

Quello che sono oggi è quello che ho sognato di essere, nonostante le difficoltà che ho incontrato. Alla fine penso che tutti i nodi vengano al pettine e che quindi prima o poi tutte le soddisfazioni possano essere raggiunte, alcuni traguardi sono infatti già stati segnati, ma non mi posso ovviamente fermare qui.

Come dico sempre: Nonostante i periodi di pioggia, bisogna guardare la luce del sole in fondo al tunnel.

Diletta

#CURIOSITÀDALMONDO: CHI È JOAQUIN PHOENIX?

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Non potevamo non lasciare spazio a questa notte così importante, la notte degli Oscar.

Un piccolo indizio..”run to the rescue with love and peace will follow”. Di chi stiamo parlando?

Di Joaquin Phoenix , attore vincitore dell’oscar come miglior attore protagonista con il film Jocker, il cui nome vero è Joaquin Rafael Bottom, ma per tutta la sua vita l’attore è sempre stato chiamato con alcuni soprannomi interessanti che includono Kitten, Joaq e Leaf, quest’ultimo perché nessuno sapeva pronunciare il suo nome e mentre rastrellava gli venne in mente questa idea, anche perché voleva un nome legato alla natura come i suoi fratelli più grandi..  

Joaquin Phoenix ha trascorso l’infanzia insieme ai genitori e ai suoi a fratelli River, Rain, Liberty, and Summer nella setta cristiana dei Children of God. Hanno vissuto per anni tra il Centro e il Sud America. Quando si sono accorti però di essere entrati in una setta, hanno deciso di andarsene. Per simboleggiare un nuovo inizio dopo la setta, i genitori di Joaquin Phoenix hanno scelto di cambiare il cognome. Dall’originale Bottom, sono passati a Phoenix, ovvero fenice, simbolo leggendario della rinascita.

Joaquin è tutt’ora un vegano convinto. Talmente convinto e in un certo senso estremista che si rifiuta di indossare dei costumi fatti di pelle animale nei suoi film. È da quando ha 3 anni che si rifiuta di mangiare carne e pesce e non vuole indossare capi in pelle.

Recitando dall’età di 6 anni, non è mai andato a scuola. Ma ha sempre avuto dei tutori esperti. Peccato che non si impegnasse molto, ma di questo si dice profondamente pentito.

È nato con una cicatrice sulle labbra. Molte persone hanno ipotizzato che fosse parte di un intervento chirurgico o di un incidente in gioventù. Tuttavia egli ha affermato che è semplicemente un segno che si porta dietro dalla nascita.

 Ha conquistato inoltre tre nomination  all’Oscar per i suoi ruoli in “The Master”, “Gladiator” e “Walk the Line”.

Non chiedete una foto a Joaquin Phoenix. Non poserà mai con voi. Ma se invece volete chiacchierare è più che disponibile.

#UNINTSIGHTSEEING: CASTEL GANDOLFO

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Tra il verde dei Castelli Romani sorge Castel Gandolfo adagiato sulle pendici del Lago Albano. Una residenza di proprietà pontificia da circa quattrocento anni, nonché il luogo in cui i papi passano tradizionalmente le ferie estive, Castel Gandolfo è uno degli ultimi resti dello Stato della Chiesa: l’unica altra residenza ufficiale fuori dal Vaticano è il Palazzo del Laterano, in piazza San Giovanni, a Roma. Prima dell’annessione di Roma al Regno d’Italia il papa abitava nel palazzo del Quirinale, dove ora c’è la residenza del presidente della Repubblica italiana. Castel Gandolfo (a volte scritto erroneamente Castelgandolfo) è un bellissimo comune di novemila abitanti sulle rive del lago Albano, a circa 25 chilometri dal centro di Roma, nella zona dei Castelli Romani.

Nell’area ci sono infatti i resti, scoperti solo negli anni Trenta, della grande residenza di campagna preferita dall’imperatore Domiziano, che regnò dall’81 al 96 dopo Cristo. Era un enorme insieme di costruzioni, su tre livelli scavati nel fianco di una collina, di cui facevano parte anche un circo, un santuario di Minerva e un teatro. Prima ancora, secondo alcuni, in quel luogo si trovava il centro della città di Albalonga: come ricorda l’Eneide, è quella città fondata da Ascanio, figlio di Enea, poi rasa al suolo dai romani nel settimo secolo avanti Cristo, nelle guerre dei re di Roma per il dominio sul Lazio.

Verso il 1200, nei pressi dell’antica villa imperiale romana si costruì il castello fortificato della famiglia genovese dei Gandolfi: Castrum Gandulphi, da cui prende il nome l’odierna Castel Gandolfo. La rocca era una fortezza quadrata posta al culmine della collina con alte mura merlate ed un piccolo cortile ancora esistente, circondata da un possente bastione che la rendeva pressoché inespugnabile. Dopo alcuni decenni, passò in proprietà dei Savelli che, con alterne vicende, la tennero per circa tre secoli.

Che cos’è?
Le Ville Pontificie di Castel Gandolfo sono un insieme di palazzi e giardini su un’area molto vasta appartenente al Vaticano stesso: circa 55 ettari, cioè 0,55 chilometri quadrati, più della Città del Vaticano nel centro di Roma. È una delle più grandi zone extraterritoriali della Santa Sede in Italia. Ne fanno parte il palazzo pontificio propriamente detto e tre ville storiche (Giardino del Moro, Villa Cybo e Villa Barberini), oltre a giardini, statue, fontane. All’interno dei palazzi ci sono diverse opere d’arte e una biblioteca di circa 22 mila volumi; nell’ala settentrionale del palazzo principale c’è anche la Specola Vaticana, ovvero l’osservatorio astronomico pontificio, che fu spostato a Castel Gandolfo da Roma – si trovava dietro la basilica di San Pietro – negli anni Venti, dato che le luci della città disturbavano troppo l’osservazione.

#MONDAYABROAD: 10 CURIOSITÀ SULLA SCOZIA

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Terra di lande sterminate ed atmosfere gotiche, tra verdi pascoli e castelli arroccati, protagonista di mille e più leggende, oggi andiamo alla scoperta della Scozia e di alcune curiosità che la riguardano e che, forse, non conoscete ancora.


1. Noi italiani abbiamo sicuramente qualcosa in comune con i nostri amici scozzesi: riguarda la capitale Edimburgo. Infatti, questa città gotica è stata costruita su sette colli proprio come la capitale italiana!

2. Dati i fantastici paesaggi, ricchi di vegetazione e di alberi rigogliosi, la Scozia è stata in passato protagonista di tantissimi incendi. Proprio per questo motivo la Scozia è stata una delle prime nazioni al mondo ad “inventare” il corpo dei vigili del fuoco!

3. Un altro elemento che ci accomuna alla Scozia riguarda le case dell’isola di Orkney, definite la “Pompei scozzese”. Oggi è patrimonio dell’Unesco!

4. La Scozia è rinomata per la cordialità e la simpatia dei suoi abitanti. Per celebrare la convivialità ogni anno, a Braemar, si svolgono numerose gare tradizionali come il tiro alla fune, il lancio del masso, e il famoso lancio del tronco, gara a cui la famiglia reale assiste con piacere.

5. “La notte di Robbie Burns” è una tipica festività appartenente alla tradizione scozzese: ogni gennaio le famiglie scozzesi si riuniscono a tavola con il kilt che contraddistingue la propria famiglia. Un membro della famiglia è chiamato a recitare una poesia e ad incidere l’haggis (un insaccato di interiora di pecora)!

6. La rete ferroviaria metropolitana e regionale più grande della Gran Bretagna, dopo Londra, è proprio quella di Glasgow, in Scozia!

7. L’inglese non è l’unica lingua parlata in Scozia! Quali sono le altre? Il gaelico e lo scozzese! Il gaelico è parlato soprattutto nelle isole Ebridi esterne, ha origini celtiche e linguisticamente è molto lontano dall’inglese. Lo scozzese è parlato soprattutto nelle Lowlands Scozzesi ed è una lingua del ceppo germanico, affine all’inglese!

8. Il famosissimo Sherlock Holmes è nato ad Edimburgo. Sapevate questa curiosità? Doyle si trovava proprio in Scozia quando, colto dall’ispirazione, ha iniziato a scriverlo!

9. Anche Harry Potter è nato in Scozia! Il simpatico maghetto della scuola di Hogwarts che ha incuriosito adulti e piccini è stato inventato proprio nella città di Edimburgo!

10. La Scozia è il paese con la più alta percentuale di gingers, persone dai capelli rossi, al mondo; si stima che la media sia del 2%, mentre qui tocca ben il 13%. Inoltre gli scozzesi hanno la possibilità più alta di nascere con gli occhi blu rispetto al resto degli abitanti del Regno Unito.

#UNINTSPORT: LE PAGELLE IGNORANTI. LA PARTITA DEL 6 FEBBRAIO 2020

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Lorenzo Pizzuti: 10. Che meraviglia vederlo tra i pali. Se è vero che “altezza è mezza bellezza” allora lui è incredibilmente brutto, ma forte. MOSTRICCIATTOLO

Carmine Caputo: 10. Sempre una certezza in difesa. Si lancia su tutti i palloni nonostante qualche linea di febbre, 36 sigarette pre-partita e 6 gin-tonic ancora da smaltire. MOSTRO

Silvio Negretto: 7. Qualche minuto anche per lui. La storia della mezza bellezza con lui vale, però è scarso. Un giusto compromesso. CARINO

Sofian Ayoub: 6. Agli allenamenti scopre che a calcetto bisogna anche correre. Prima o poi riuscirà ad avere un’autonomia di 300 metri, ma sicuramente non è stato questa volta. CHE FATICA

Davide D’Amore: 8. Il nuovo arrivato è una piacevole sorpresa. Sa già cosa deve fare. Non ci sarà una foto per lui, venite a scoprire chi è alla prossima partita. INDOVINA CHI

Alessandro Alaia: 6. Ha la possibilità di mettersi in mostra ma preferisce inciampare su una zolla che solo lui vede. Prevista un’altra doccia fredda. QUE CALOR

Maxim Burac: 8. Il Burac Yilmaz più bello della storia del calcio. Zitto zitto riesce a litigare senza motivo con gli avversari. Mezzo punto in più solo per questo motivo. DAI SEMPRE IL MAXIMO

Walter Caruso: 9,5. L’ex dirigente appende la cravatta al chiodo e indossa gli scarpini. E meno male. È già un punto di riferimento andando a segno 3 volte. Mezzo punto in meno per il nervosismo e le proteste. ARRABBIATO NERO

Alessandro Putano: 10. Gli effetti della dieta si vedono. 3 assist e 2 gol di cui uno di tacco. Che serata. È forte e magro… ah no, aspettate, questa era la pagella di Sandrone, ho sbagliato. BUON APPETITO

Valentin D’Amico: 1000. Ha segnato 3 gol, sì, proprio lui (che tra l’altro sono io, ndr). Che giocatore, che potenza, che piedi. L’università gli permette ancora di scrivere la pagelle, tanto Vale auto-celebrarsi. U-MILLE

Vanni Nicolì: 8. Mister al ritorno dalle vacanze alle Maldive…du Salentu. Concede carta bianca ai suoi, che gli regalano la prima importantissima vittoria in casa. BELLA VITA

Tifosi: 10. Prima causa del riscaldamento globale. Che caldi (e calde). La vittoria è per loro. BELLISSIM-I/E

Valentin D’Amico 

#PEOPLEOFUNINT:

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Molte persone che mi vedono qui pensano che ormai faccia parte del sistema universitario stesso, poiché sono sempre in Ateneo e amo vivere la vita universitaria: è un po’ come stare a casa mia. Adesso sono quasi alla fine del mio percorso magistrale in Interpretariato e Traduzione inglese e cinese.

Perché hai scelto di studiare le lingue?

All’inizio, nel 2014 ho provato un po’ di tutto: la scuola di preparazione ai test di medicina, per poi capire che quella non fosse la mia strada; poi ho fatto il test alla Sapienza per lingue orientali: volevo fare Giapponese, per me era una fissa. Faccio parte della generazione dei cartoni, dei manga giapponesi, ecco spiegato il mio desiderio di studiarlo. La scelta di iscrivermi a una facoltà linguistica nasce anche dal fatto che mia mamma è insegnante di inglese e in casa si è sempre respirato questo clima.

Avevo passato il test ed ero pronto a iscrivermi, quando mia madre mi ha parlato della UNINT e ho deciso di informarmi. Dopo aver prenotato un colloquio di orientamento per vedere l’ateneo e avere delucidazioni sul mio possibile percorso di studi,m ho deciso che questa era l’università fatta apposta per me nonostante non si studiasse il giapponese, ma solo il cinese. Poiché molti aspetti del giapponese derivano dal cinese, ho pensato che non sarebbe stato poi così male studiare la radice, la lingua da cui ha avuto origine, appunto il cinese.

Nel mio percorso universitario ci sono stati alti e bassi, ma la UNINT e il rapporto con i miei docenti mi ha fatto crescere molto. Quasi alla fine di questi 5 anni, mi sento un po’ Gulliver, un survivor se ci riferiamo allo studio della lingua cinese, che non cambierei per nulla al mondo.

Sei mai stato in Cina e quale aspetto ami della cultura cinese?

Sì, dopo la laurea triennale, nel 2017, ho trascorso 6 mesi in Cina, i più belli della mia vita. Ho incontrato un sacco di persone provenienti da ogni parte del mondo e con molte siamo diventati amici. I primi mesi di vita lì sono stati i più difficili. Quando però dovevo andar via, non avrei più voluto staccarmi da quella realtà. Però ho pesato alla mia istruzione, a quello che poi mi avrebbe permesso di inserirmi al meglio nel mondo lavorativo; ed ecco che ho deciso di proseguire con la magistrale qui alla UNINT. Della cultura cinese mi affascina il fatto che la Cina va scoperta. Ho avuto una forte cultura letteraria fantasy a partire da Tolkien, poi mi sono spostato verso l’esoterismo, verso le cose più assurde e diverse, e nella Cina ho ritrovato proprio questo. Qui vivono in modo diverso, hanno un senso del rispetto e dell’aiutare il prossimo diverso, ci si sente un po’ tutti parenti dell’altro. Amo la cucina cinese, la loro letteratura molto provocatoria, affiancata ad uno scrivere elegante e non scontato. Mi sono innamorato della Cina a 360 gradi, per la mia voglia di scoprire tutto ciò che è nuovo, diverso e particolare;  e lo  è sempre, pertanto ho questa voglia di continuare ad arricchirmi di questa cultura.   

Cosa farai dopo la laurea? Programmi per il futuro?

Nonostante il lavoro da interprete sia molto difficile, io non mollerò, anche se so che sarà dura: pian piano arriverò a conseguire il mio sogno, con la mia “cazzimma” che mi contraddistingue. Dopo la laurea però voglio subito ripartire per la Cina, voglio scoprire se effettivamente è un posto con cui ho voglia di averci a che fare, lavorare lì come insegnate di italiano perché no. Sento il bisogno di spostarmi verso altri luoghi e di parlare le lingue.

Massimo Carchedi

#PEOPLEOFUNINT:

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Mi chiamo Francesca. Sono nata in Italia e posso dire che la mia lingua madre é l’italiano. Nonostante questo, da sempre, le lingue sono state parte integrante della mia vita.
Sono figlia di italiani e anche la loro lingua è l’italiano. O almeno, per mio padre che ha sempre vissuto in Italia lo è stata, anche perché non ha avuto la possibilità di avvicinarsi ad altre lingue; nonostante ciò questo non gli ha impedito di viaggiare e entrare a contatto con altre culture. Invece, mia madre ha avuto la possibilità di vivere, da ragazza, per necessità lavorative dei suoi genitori, in Brasile. Questo gli ha permesso di imparare come seconda lingua, il portoghese. Purtroppo però, la conoscenza parziale e anche poco specifica del portoghese è arrivata a me solo più tardi e questa lingua non mi è stata parlata da bambina, esclusivamente qualche ninna nanna o canzone semplice che mi ha consentito, non di imparare le basi grammaticali, bensì di avvicinarmi a nuovi suoni.
Le lingue straniere mi hanno sempre affascinata , da che no ho memoria, anche l’italiano stesso che per me è sempre stato punto di riferimento perché mia lingua madre, ha sempre qualcosa di interessante e nuovo da scoprire.
Da bambina ho iniziato a parlare molto presto, ero molto loquace e nonostante la mia timidezza e introversione incombenti, alle persone che conoscevo e con cui mi sentivo a mio agio non davo un attimo di respiro con i miei discorsi e chiacchierate infantili.
Potrei definire l’italiano la lingua della mia infanzia ma, entra in gioco un altro elemento fondamentale: mio zio, fratello di mia madre, vive in Inghilterra da quando è un bambino. E cosa poteva fare una bambina curiosa e affascinata dal mondo se non voler imparare un nuovo modo di comunicare? L’inglese per questo è stata la seconda lingua che ho imparato, e fin da subito l’ho utilizzata non tanto per qualcosa di funzionale, ma piuttosto per un po’ di divertimento, perché dopotutto ero molto piccola.
Se penso alla mia infanzia penso alle parole come “cioccolata” e “aereo”, parole tanto semplici e quotidiane quanto, per una bambina piccola difficili da pronunciare. Ricordo le ore passate con mio nonno a fare giochi , o per così dire esercizi, di pronuncia delle mie parole preferite, di quei momenti ricordo tanto affetto e anche tanto divertimento.
Ma quando penso ad una me piccola ricordo, anche, vividamente di aver cantato “Happy Birthday Moon” fino all’ esaurimento dei miei genitori. Non so neanche cosa mi spingesse a cantare la canzone di auguri alla luna.Tuttavia ricordo le risate e gli sguardi divertiti che suscitavo negli adulti della mia famiglia che vedevano una bambina di tre o quattro anni che si impegnava in qualcosa di così apparentemente sciocco ma allo stesso tempo che la faceva ridere così tanto.
I miei genitori avendo notato il mio desiderio di conoscere l’inglese mi hanno dato la possibilità di studiarlo privatamente fin dall’asilo e io non gliene sarò mai abbastanza grata.
Essendo molto curiosa, appena ho imparato a leggere ho cominciato a divorare libri di qualsiasi genere, sia in italiano che in inglese. Il problema era che leggevo così tanto che ho finito presto i libri per ragazzi e ho iniziato a leggere libri per adulti quando già facevo il primo anno di scuole medie. Questo però ha implicato che mia madre dovesse attuare una censura perché alcuni argomenti non erano adatti ad una bambina ancora troppo piccola. Questo pero non mi ha impedito di appassionarmi alle parole più strane: ricordo che per molto tempo la mia parola preferita è stata il verbo ‘defenestrare”. Ricordo che amavo l’idea che qualcuno avesse trovato una parola che a me sembrava così raffinata per dire semplicemente “buttare giù dalla finestra”. O per esempio in inglese trovavo molto affascinante la parola “corpse” che pur significando cadavere per me aveva veramente un bel suono.
Alle scuole medie ho studiato lo spagnolo, ma date esperienze negative con gli insegnanti non sono appassionata più di tanto alla lingua in se, piuttosto alla cultura. E si unì al mio grande amore per la Gran Bretagna anche una grande ammirazione per il Sud America, soprattutto dopo aver letto “La casa degli spiriti” di Isabel Allende. Affascinata dal Sud America ho cominciato ad interessarmi al portoghese, parlato da mia madre,i miei nonni mio zio e sua moglie che è brasiliana.
Quando arrivo il momento di scegliere il liceo optai non per la scelta più ovvia quindi il linguistico, ma decisi di prendere il liceo classico, perché la mia curiosità non si limitava alle lingue moderne, conoscere il latino ma soprattutto il greco antico mi interessava molto.
Ed arrivando ad oggi non ho altro da dire se non che penso proprio di aver trovato la mia strada, studio con passione e interesse e la mia curiosità è sempre più grande, cresce ogni momento di più e a volte mi trovo a desiderare come quando ero bambina di poter parlare tutte le lingue del mondo, perché a mio parere conoscere più lingue è quasi come vivere più vite.

Francesca Merola