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Un’ondata iconoclasta travolge l’Occidente. Ma qualcuno dice basta…

Stampa inglese

Con la morte dell’afroamericano George Floyd il movimento Black Lives Matter ha ripreso notevolmente vigore, tanto da stimolare delle ondate di protesta globali contro la disuguaglianza razziale. Perturbanti, sono sicuramente gli atti devastatori rivolti verso i monumenti di gloriosi personaggi storici che stanno accompagnando queste rivolte.

La BBC racconta come le statue dei leader confederati siano state l’oggetto principale di una serie di atti vandalici. Statue decapitate, ridicolizzate, abbattute. Così è in corso la distruzione massiva di monumenti collegati al colonialismo e alla schiavitù. Sta crescendo infatti, la pressione sulle autorità per rimuovere tutta una serie di sculture commemorative. Negli Stati Uniti l’ira dei manifestanti si è scagliata principalmente contro Cristoforo Colombo: a St. Paul, Richmond e Boston le statue dell’esploratore sono state demolite. A Bristol, la statua di bronzo di Edward Colston è stata prima abbattuta e poi gettata nelle acque vicino al porto, il commerciante è responsabile di aver trasportato in America circa 80.000 schiavi africani. Nella capitale scozzese di Edinburgo, il busto di uno dei politici più influenti della nazione del diciottesimo secolo, Henry Dundas, è stato deturpato poiché aveva presentato un emendamento a un disegno di legge che avrebbe poi ritardato l’abolizione della schiavitù. E ancora, in Belgio ad esser preso di mira è stato il re Leopoldo II, che nel 1908 aveva trasformato il Congo nella sua colonia privata, affidandolo di fatto a delle compagnie concessionarie che avevano instaurato un regime brutale per sfruttare le ricchezze legate all’avorio e alla gomma.

Il Financial Times riporta le dichiarazioni di Boris Johnson in risposta alla vorticosa iconoclastia del momento. Una presa di posizione netta quella del Primo Ministro britannico. In primo luogo, ha dichiarato che è vergognoso che la statua di un eroe della patria come Winston Churchill debba essere considerata a rischio attacco. Poi ha aggiunto che il Regno Unito non deve censurare il suo passato, in quanto i monumenti che sono presenti oggi nel Paese sono state messe da generazioni passate che avevano differenti prospettive, abbatterle pertanto, vorrebbe dire alterare la verità storica e depauperare la visione educativa delle future generazioni.

Stampa statunitense

Il New York Times afferma che la rabbia esplosa nei giorni immediatamente successivi alla morte di George Floyd ora sta alimentando il movimento nazionale volto a rimuovere i simboli che richiamano il razzismo e l’oppressione negli Stati Uniti d’America. Il movimento ebbe inizio nel 2015 a seguito del massacro di Charleston avvenuto per mano di un suprematista bianco poco più che ventenne, il quale uccise nove fedeli della più antica chiesa per afroamericani della storia degli Stati Uniti. Adesso i manifestanti e gli attivisti del movimento Black Lives Matter chiedono a gran voce la rimozione di quei monumenti che fungono da promemoria della storia oppressiva che ha creato la realtà che stanno combattendo oggi. Si tratta di monumenti considerati un insulto alla libertà e alla democrazia. Ci si interroga sul dove verranno trasferiti questi monumenti, almeno quelli non rimossi con la forza e senza troppe accortezze. La maggior parte di essi verrà depositata in magazzini poiché impossibile da conservare in un museo date le dimensioni.

La CNN elenca alcuni nomi dei personaggi che in passato si sono macchiati di atti di razzismo oppure che hanno perpetrato massacri nei confronti della popolazione di colore o ancora che sono passati alla storia come brutali colonizzatori e schiavisti. La lista dei monumenti che sono stati rimossi e che verranno rimossi è particolarmente lunga perché vede coinvolti e sotto accusa monumenti che si trovano sparsi su tutto il territorio statunitense.

The Intelligencer sottolinea come la maggior parte dei Repubblicani non sia favorevole a questa ondata di proteste che sta scuotendo il Paese. In particolar modo, il giornale menziona la National Statuary Hall Collection che si trova a Washington D.C. poiché custodisce diverse statue che raffigurano personaggi importanti dei vari Stati Confederati. Collezione ora oggetto di discussione ed aspre critiche ed accuse, rigettate dai membri del Grand Old Party – ossia il Partito Repubblicano. Il Presidente – è sempre la CNN la fonte – è arrivato, in varie occasioni, a invocare il carcere per chi distrugge le statue.

Tuttavia, come nota Usa Today, non vi è unanimità tra i Repubblicani nel sostenere la posizione del Presidente Trump riguardo la conservazione di questi simboli. Il Presidente ha più volte sottolineato la necessità di conservare questa eredità mostrandosi non favorevole alla rimozione dei monumenti degli Stati Confederati. In queste settimane, diversi esponenti del partito hanno proposto di rinominare le basi militari che oggi portano il nome di alcuni leader del tempo della Confederazione. Sembra vi sia una spaccatura nel partito circa questo tema: da una parte troviamo chi sostiene che si stia attuando una sorta di “cancellazione della storia”, dall’altra chi dimostra un approccio più aperto e crede che sia ingiusto mantenere sulle insegne di scuole e basi militari il nome di coloro che richiamano a crudeltà e barbarie.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

Boris Johnson says it’s ‘shameful’ Churchill statue is at risk of attack disponibile su https://www.ft.com/content/3b728ba9-38e5-4020-8921-93bc9ccb71cb, consultato il 11/07/2020

Confederate and Columbus statues toppled by US protesters disponibile su https://www.bbc.com/news/world-us-canada-53005243, consultato il 11/07/2020

George Floyd protests: The statues being defaced disponibile su https://www.bbc.com/news/world-52963352, consultato il 11/07/2020

Honoring the unforgivable disponibile su https://edition.cnn.com/2020/06/16/us/racist-statues-controversial-monuments-in-america-robert-lee-columbus/index.html, consultato il 12/07/2020

Cities Want to Remove Toxic Monuments. But Who Will Take Them? Disponibile su https://www.nytimes.com/2020/06/18/us/confederate-statues-monuments-removal.html, consultato il 12/07/2020

Some Republicans split with Trump, support removing Confederate statues and renaming military bases disponibile su https://eu.usatoday.com/story/news/politics/2020/06/11/confederate-statues-some-gop-lawmakers-break-president-trump/5343830002/, consultato il 12/07/2020

Republicans Defend Confederates in the U.S. Capitol disponibile su https://nymag.com/intelligencer/2020/06/republicans-defend-confederate-statues-in-the-capitol.html, consultato il 12/07/2020

Reconsidering the Past, One Statue at a Time disponibile su https://www.nytimes.com/2020/06/16/us/protests-statues-reckoning.html, consultato il 12/07/2020

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La Gran Bretagna aggiorna la sua blacklist dopo la Brexit

Stampa inglese

«Coloro che hanno le mani sporche di sangue, non saranno liberi […] in questo Paese»: così ha commentato il Primo Segretario di Stato Dominic Raab, all’indomani della decisione presa dalla Gran Bretagna di introdurre un regime sanzionatorio per chi viola i diritti umani.

In questo modo, spiega il quotidiano The Guardian, viene istituito un regime di sanzioni indipendente per la prima volta dopo la Brexit. In precedenza, infatti, i britannici dovevano attenersi ai regimi ONU e UE. Ovviamente, il regime sarà sfidato dalle misure legali con cui risponderanno gli altri Paesi – ad esempio l’ambasciata russa a Londra ha fatto sapere in una nota che verranno prese delle ritorsioni in seguito a questa decisione ostile – ma hanno dichiarato i ministri britannici, che queste misure hanno lo scopo di incoraggiare un atteggiamento migliore. Queste norme, che sono entrate in vigore immediatamente, includono il congelamento dei beni e il divieto di viaggio. 

Un articolo della BBC riporta nel dettaglio quelli che sono stati colpiti da sanzioni immediate. A fare i conti con tali misure punitive sono stati innanzitutto 25 cittadini russi, coinvolti nella morte di Sergei Magnitsky, un avvocato che aveva accusato alcuni funzionari russi di aver frodato la società britannica Hermitage Capital Management, e che è morto a Mosca a causa dei continui maltrattamenti subiti nel periodo sotto custodia della polizia. Seguono 20 cittadini sauditi coinvolti nella morte del giornalista Jamal Khashoggi, critico del governo saudita, e ucciso da una squadra di agenti sauditi, in quella che ufficialmente è stata descritta come un’operazione “canaglia” andata a male. A essere presi di mira, inoltre, sono stati due alti generali dell’esercito del Myanmar, individuati come responsabili di atti di repressione contro la minoranza Rohingya. Infine, troviamo due organizzazioni coinvolte in torture, lavori forzati e omicidi nei gulag della Corea del Nord.

A quanto pare, l’elenco sarà tenuto sotto esame costante.

Stampa canadese

La Gran Bretagna ha implementato la propria versione del Magnitsky Act statunitense, così commenta il Globe and Mail. In particolare, aggiunge che molti si sono interrogati sul perché non siano stati inclusi in tale legge funzionari cinesi, data la legge di sicurezza nazionale di Hong Kong e la repressione nella regione occidentale di Xinjjang. In questo territorio, infatti, oltre un milione di persone sono state rinchiuse in centri di detenzione, poiché appartenenti a diversi gruppi etnici – uiguri, kazaki, kirghisi.  

Ancora, La Presse parla di una lista nera pubblicata dal Ministero degli Affari Esteri, che Dominic Raab ha commentato come «uno strumento per colpire gli autori senza punire più ampiamente la popolazione dell’intera nazione». Il giornale di Montreal ha poi riportato come la diplomazia britannica sia convinta del fatto che ciò consentirà al Regno Unito di lavorare in modo indipendente con alleati come Stati Uniti, Canada e Australia.

Stampa statunitense

Il New York Times sottolinea che, sul piano pratico, la presenza nella blacklist britannica non comporterà importanti cambiamenti per le persone elencate, giacché si parla sostanzialmente di divieto di viaggio e congelamento dei beni di questi individui. Tuttavia, bisogna ricordare che Londra ha rappresentato a lungo una meta privilegiata per coloro che erano ritenuti persone “indesiderate” con mezzi a disposizione illimitati, in particolar modo di natura economica. Il governo britannico ha stilato una prima lista di nomi facendo riferimento ai personaggi già presenti nella blacklist statunitense. Il Segretario di Stato per gli affari esteri e del Commonwealth, Dominic Raab, auspica che l’Unione Europea segua l’esempio britannico. Questa dichiarazione si riferisce al fatto che ora la Gran Bretagna è ormai libera dal vincolo del consenso che, fino all’uscita dall’Unione a seguito della Brexit, portava al fallimento ogni tentativo di applicare tali sanzioni. Infatti, proprio la mancanza di consenso tra i 28 membri ha portato al blocco di diverse iniziative in tal senso.

The Hill in un suo articolo riporta l’elogio del Presidente statunitense Donald Trump circa le sanzioni imposte dal governo britannico nei confronti di coloro che sono sospettati di aver commesso gravi violazioni dei diritti umani, lodando «la leadership globale del Regno Unito sulla promozione e la protezione dei diritti umani». Inoltre, il giornale riporta le parole del Segretario di Stato Mike Pompeo, il quale afferma che tali sanzioni segnano l’inizio di una nuova era per la politica sanzionatoria e di cooperazione tra gli Stati Uniti e il Regno Unito. In aggiunta, Pompeo afferma che le azioni intraprese dal governo di Johnson saranno complementari agli sforzi degli Stati Uniti e del Canada, incrementando l’abilità di agire in sintonia.

La rivista Forbes evidenzia come la Gran Bretagna fino a questo momento si era dovuta attenere strettamente alle sanzioni approvate dall’Unione Europea. Nonostante abbia abbandonato formalmente l’Unione il 31 gennaio scorso, la Gran Bretagna sarà ancora trattata come uno Stato membro durante questo ultimo periodo di transizione che si concluderà verso la fine dell’anno.  

Questi fatti andrebbero interpretati tenendo conto del contesto generale in cui agiscono i principali attori di questa storia. Tenendo a mente sia il vulnus inflitto all’Unione Europea con l’uscita della Gran Bretagna sia il costante riavvicinamento tra quest’ultima e gli Stati Uniti, si può azzardare l’ipotesi che stia acquisendo maggiore visibilità l’accordo UkUsa? Si tratta di un accordo che vede un rapporto privilegiato tra cinque paesi anglofoni, guidati da Stati Uniti e Regno Unito, per quanto concerne questioni di sicurezza internazionale. Forse la Gran Bretagna tornerà formalmente a “controllare” l’Europa da un punto di vista esterno, privilegiando i rapporti con gli altri membri dell’alleanza, ora che ha abbandonato l’Unione? Stati Uniti e Gran Bretagna continueranno a prendere scelte sempre più affini ora che quest’ultima dispone di maggior spazio di manovra?

Cos’è l’accordo UkUsa

Dal 1946 l’intelligence dei paesi anglofoni condivide informazioni sulla base di un’alleanza nota come Five Eyes – “cinque occhi” –, formalizzata con il nome accordo UkUsa. I membri dell’alleanza sono Stati Uniti d’America, Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda. Questi cinque paesi anglosassoni hanno sviluppato una rete per il controllo delle comunicazioni globali, usata dapprima nella Guerra Fredda, poi adattata con il tempo alle mutate esigenze del contesto internazionale – globalizzazione, terrorismo, tensioni geopolitiche e geoeconomiche. Per questa ragione, all’interno della più antica e consolidata alleanza di spionaggio mondiale vige una divisione di competenze per aree geopolitiche. Infatti, gli USA monitorano la maggior parte dell’America del Sud, Asia, Russia asiatica e nord della Cina continentale; la Gran Bretagna controlla Europa, Russia europea ed Africa; l’Australia si occupa dell’Indocina, Indonesia e sud della Cina; la Nuova Zelanda sorveglia la parte ovest dell’Oceano Pacifico; infine, il Canada vigila sulla parte settentrionale della Russia e conduce ricerche sul traffico di comunicazioni tra le ambasciate nel mondo.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti:

UK imposes sanctions against human rights abusers disponibile su https://www.bbc.com/news/uk-politics, consultato il 07/07/2020

UK on collision course with Saudis over new human rights sanctions disponibile su https://www.theguardian.com/law/2020/jul/06/dominic-raab-to-annouce-uk-sanctions-against-human-rights-abusers, consultato il 07/07/2020

Droits de l’homme: Londres sanctionne 49 entités disponibile su https://www.lapresse.ca/international/europe/2020-07-06/droits-de-l-homme-londres-sanctionne-49-entites.php, consultato il 07/07/2020

Britain announces economic sanctions against Russians, Saudis under new Magnitsky power disponibile su https://www.theglobeandmail.com/world/article-britain-announces-economic-sanctions-against-russians-saudis-under/, consultato il 07/07/2020

Britain, Charting Its Own Course on Human Rights, Imposes New Sanctions, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/07/06/world/europe/britain-human-rights-sanctions.html, consultato il 08/07/2020

Trump administration praises UK sanctions on human rights abusers, disponibile su https://thehill.com/policy/international/506049-trump-administration-praises-uk-sanctions-on-human-rights-abusers, consultato il 08/07/2020

London Targets Russians And Saudis In New Sanctions Regime, disponibile su https://www.forbes.com/sites/dominicdudley/2020/07/06/london-targets-russia-saudi-sanctions/#52d3b22b948a, consultato il 08/07/2020

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Hong Kong, Pechino usa il pugno di ferro: l’Europa “deplora”, gli USA invece attaccano il portafogli cinese

Stampa statunitense

Il 1° luglio 1997 la città di Hong Kong tornava sotto la sovranità cinese, ma la condizione della cessione era quella del rispetto da parte della Repubblica Popolare Cinese del “One country, two systems”. Stiamo parlando del principio che riconosceva all’ex colonia il privilegio di mantenere il proprio sistema economico ed amministrativo.

Le proteste che animano Hong Kong dal marzo 2019 sembrano essere arrivate ad un nuovo punto di svolta. Stiamo parlando delle proteste sorte contro il disegno di legge (poi ritirato) sull’estradizione verso la Cina continentale, interpretata come un attentato all’indipendenza dell’ex colonia britannica. Tuttavia, queste proteste rappresentano soltanto la punta dell’iceberg del latente e decennale contrasto tra Hong Kong e Pechino con l’avvicinarsi della data in cui l’autonomia di Hong Kong dalla Cina volgerà al termine. Infatti, nel 2047 Hong Kong cesserà di godere di standard politici ed economici diversi e autonomi rispetto alla Cina continentale. All’origine delle proteste vi era la preoccupazione da parte dei cittadini di Hong Kong circa il fatto che questa normativa potesse essere impiegata sia per attuare violazioni dei diritti umani sia per raggiungere i dissidenti politici fuggiti a Hong Kong proprio dal territorio cinese. Inoltre, questo strumento avrebbe portato ad una forma di legalizzazione dei rapimenti sul suolo di Hong Kong.

Il Politico riporta che il Primo ministro inglese Boris Johnson ha affermato che la Gran Bretagna offrirà a 3 milioni di hongkonghesi il visto britannico in risposta alla Legge sulla Sicurezza Nazionale imposta dalla Cina martedì 30 giugno. Da Pechino sono giunte accuse e proteste poiché secondo il governo cinese la Gran Bretagna non deve interferire nei suoi affari e minaccia di prendere contromisure adeguate.

Il New York Times parla delle azioni intraprese dagli Stati Uniti d’America in relazione alla delicata situazione di Hong Kong. In Senato è passata all’unanimità una legge che impone sanzioni ai funzionari cinesi che cercano di vietare manifestazioni di dissenso politico a Hong Kong. Questo documento rappresenta un segnale importante per la Cina perché indica “che gli Stati Uniti ed il mondo libero non sono più disposti ad ignorare alcuni dei peggiori comportamenti che si sono verificati”. Il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo, ha affermato che “gli Stati Uniti non rimarranno inerti a guardare mentre la Cina inghiotte Hong Kong nella suo autoritarismo”.

Il Washington Post aggiunge che Carrie Lam, leader del governo di Hong Kong, ha annunciato che la nuova legge sulla sicurezza nazionale non pregiudicherà la rinomata indipendenza giudiziaria del Paese. In particolar modo, non metterà a rischio i diritti e le libertà legittime delle persone.

Stampa inglese

Il governo cinese ha redatto a porte chiuse il disegno di legge sulla sicurezza nazionale – contro secessione, terrorismo, sovversione, collusione con forze straniere – di Hong Kong, che poi il 30 giugno è stato trasformato in legge. Dal momento in cui quella normativa di 18 pagine è entrata in vigore, è stato compiuto uno dei più grandi assalti a una società liberale dalla seconda guerra mondiale, così ha commentato l’Economist, essendo una imposizione che mette fine al modello «un Paese due sistemi». Ciò permette ai dirigenti cinesi di imporre l’ordine a proprio piacimento in uno dei centri finanziari più importanti del mondo. Già, perché al partito poco gli importa della sua reputazione, gli interessa piuttosto distruggere l’opposizione, come aveva dimostrato nel 1989 con lo spargimento di sangue di piazza Tienanmen.

Il quotidiano britannico I si occupa invece, di considerare le dure reazioni di casa propria. Boris Johnson ha infatti aperto una “via d’uscita” ai detentori hongkonghesi del passaporto British National Overseas (BNO): costoro potranno ottenere assistenza consolare e protezione dalle sedi diplomatiche britanniche. Non solo, Downing Street potrebbe intraprendere ulteriori azioni contro la Cina: i Tories, per esempio, hanno chiesto al governo di eseguire un cambiamento di indirizzo sulla sua decisione di consentire a Huawei di fornire parte della rete 5G – circa il 20% del sistema – del Regno Unito.

Per quel che riguarda il quotidiano The Guardian, si mette in rilievo la situazione che rischia di compromettere la posizione dei giganti bancari, HSBC e Standard Chartered, che rischiano di essere attanagliate nella lotta geopolitica di Cina e Stati Uniti, giacché, avendo sostenuto l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale, subiranno sanzioni qualora venisse approvata definitivamente la legge statunitense, che tra l’altro va a colpire le banche che intrattengono rapporti commerciali con i funzionari cinesi coinvolti nella legge sulla sicurezza.

Oltre all’Hong Kong Autonomy Act, Washington ha iniziato a eliminare lo status speciale di Hong Kong, arrestando le esportazioni nel settore della difesa e limitando l’accesso al territorio ai prodotti di alta tecnologia.

La BBC inoltre, ci fa sapere anche le posizioni degli altri Paesi. Il Presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha definito deplorevole la decisione cinese, dichiarando che essa “ha avuto un effetto dannoso sull’indipendenza dello stato di diritto e della magistratura”. Ma non tutti sono stati critici, durante una sessione delle Nazioni Unite difatti, Cuba ha accolto con favore la legge, parlando a nome di 53 nazioni. La draconiana legge cinese dunque, intreccia sempre di più i rapporti dello scacchiere geopolitico, sullo scenario dell’alta tensione tra USA e Cina.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

Hong Kong: US passes sanctions as nations condemn new law disponibile su https://www.bbc.com/news/world-asia-china, consultato il 03/07/2020

Hong Kong: HSBC and Standard Chartered caught between US and China disponibile su https://www.theguardian.com/business/2020/jul/02/hong-kong-hsbc-and-standard-chartered-caught-between-us-and-china, consultato il 03/07/2020

What is a BNO passport? The Hong Kong residents eligible to settle in the UK after China security law introduced disponibile su https://inews.co.uk/news/world/bno-passport-hong-kong-uk-china-security-law-what-eligible-explained, consultato il 03/07/2020

Downing Street risks being outflanked by Labour over China, as Beijing threatens reprisals for offering support to Hong Kong disponibile su https://inews.co.uk/news/analysis/downing-street-outflanked-labour-china-beijing-threatens-reprisals-hong-kong, consultato il 03/07/2020

China’s draconian security law for Hong Kong buries one country, two systems disponibile su https://www.economist.com/leaders/2020/07/02/chinas-draconian-security-law-for-hong-kong-buries-one-country-two-systems, visitato il 03/07/2020

Senate Sends Trump a Bill to Punish Chinese Officials Over Hong Kong disponibile su https://www.nytimes.com/2020/07/02/us/politics/senate-china-hong-kong-sanctions.html, consultato il 03/07/2020

China’s security law sends chill through Hong Kong, 23 years after handover, disponibile su https://www.washingtonpost.com/world/asia_pacific/hong-kong-national-security-law-ends-freedom-democracy-china/2020/06/30/c37e5a4a-ba8b-11ea-97c1-6cf116ffe26c_story.html, consultato il 03/07/2020

UK triggers Hong Kong citizenship offer, disponibile su https://www.politico.eu/article/uk-triggers-hong-kong-citizenship-offer-china-national-security-law/, consultato il 03/07/2020

China slams UK ‘interference,’ pledges retaliation over Hong Kong citizenship offer, disponibile su https://www.politico.eu/article/china-slams-uk-interference-hong-kong-citizenship-offer-retaliation/, consultato il 03/07/2020

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Elezioni municipali in Francia: tra risultati storici e record di astensionismo   

Stampa francese

Il 28 giugno in Francia si è svolto il secondo turno delle elezioni municipali e i risultati elettorali non sono stati per niente scontati: interessanti novità percorrono ora la politica d’oltralpe.

Astensione record e ondata verde. Questi i due fattori più importanti delle municipali 2020, così commenta Le Figaro. Secondo diversi istituti di votazione, circa il 58,4% degli elettori non è andato alle urne, la massima astensione dal 1958. Ma questo round elettorale, segnato dalle eccezionali misure precauzionali dovute all’emergenza Covid, verrà ricordata senza dubbio per l’onda verde che si è sollevata e ha attraversato le principali città francesi come Lione, Marsiglia, Strasburgo e Bordeaux. Un vero successo elettorale per il partito ecologista EELV nato nel 2010.

A quanto pare il vero sconfitto di questa tornata elettorale è stato proprio il Presidente Emmanuel Macron, che secondo Le Monde sta affrontando in questo momento una tripla crisi: l’indebolimento della democrazia rappresentativa dovuto all’astensionismo, il crollo del “macronismo” stesso che non è riuscito ad affermarsi in nessuna grande città e lo strappo rispetto al gioco tradizionale incarnato dal voto ecologico. Possiamo dire che lo scandalo che aveva travolto il suo candidato Benjamin Griveaux, costretto a ritirarsi dalla corsa per la Capitale, ha avuto ripercussioni negative sullo stesso En Marche! A Parigi infatti, nove distretti su diciassette sono stati ottenuti da Anne Hidalgo, e i restanti otto dagli esponenti di destra. Quanto a Marine Le Pen, che si ritiene soddisfatta della sua vittoria a Perpignan – 120.000 abitanti – perché dimostra che RN è in grado di governare anche grandi comunità, non si registrano altre vittorie particolarmente rimarcabili. Vittoria importante è quella del primo ministro Édouard Philippe, che a Le Havre raccoglie il 58,83% dei consensi. Ad ogni modo, gli ambientalisti, che escono da queste elezioni come una forza politica leader, complice probabilmente anche il periodo che richiede una svolta più ecologica, rappresentano una energica opposizione. Tant’è che Macron ha subito ascoltato le proposte della Convenzione per il clima e, successivamente, prospettato l’ipotesi di un duplice referendum per l’ambiente. Il quotidiano però ammonisce sul fatto che il referendum possa trasformarsi a volte in voto sanzionatorio, citando i casi di Charles De Gaulle e Matteo Renzi. 

Stampa inglese e statunitense

È ad oggi a tutti evidente l’“onda verde” che ci sta travolgendo. Intendendo con essa il burrascoso movimento di stampo politico-ecologista che sta acquistando consistenza ed appeal mediatico. Caso emblematico ed estremamente attuale è quello che ha coinvolto la Francia negli ultimi giorni a seguito delle ultime elezioni municipali; una Francia che oggi rappresenta la “nuova frontiera” dell’ecologismo continentale.

Come riporta il New York Times, il principale vincitore di queste elezioni locali è risultato essere il partito ecologista dei Verdi, Europe Ecologie-Les Verts (EELV), il quale ha ottenuto i maggiori consensi nelle città di Lione, Bordeaux, Strasburgo, Poitiers, Besançon e Annecy. Queste elezioni hanno infranto le aspettative del presidente francese Emmanuel Macron, rappresentante del partito La République En Marche. Infatti, la candidata che correva per il ruolo di sindaco di Parigi, Agnès Buzyn, ha perso contro la socialista Anne Hidalgo. Dunque si può parlare di una vera e propria disfatta per Macron giacché è riuscito a conquistare solo Le Havre. La perdita così consistente di consenso manifesta lo sgretolamento di En Marche. The Guardian evidenzia che un altro partito che non può giudicarsi soddisfatto dei risultati delle elezioni è sicuramente il Rassemblement National, capitanato da Marine Le Pen; tantoché l’unica città rilevante, ovvero sopra i 100mila abitanti, ad essere guidata dal suo partito è Perpignan.

Il quadro presentato evidenzia l’inizio di una nuova fase storico-politica che ha visto i partiti favoriti essere travolti da, più che un’“onda verde”, uno “tsunami verde”.  

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

Municipales 2020: un scrutin au bilan mitigé pour le Rassemblement National disponibile su https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/06/29/municipales-2020-un-scrutin-au-bilan-mitige-pour-le-rassemblement-national, consultato il 30/06/2020

Municipales: Paris, Marseille, Lyon… Les résultats du second tour dans les principaux points chauds disponibile su https://www.lefigaro.fr/elections/municipales/municipales-nbsp-paris-marseille-lyon-les-resultats-du-second-tour-dans-les-principaux-points-chauds, consultato il 30/06/2020

Après les élections municipales, Emmanuel Macron face à une crise démocratique disponibile su https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/06/29/apres-les-elections-municipales-emmanuel-macron-face-a-une-crise-democratique, consultato il 30/06/2020

Municipales 2020: avec EELV, une vague verte historique déferle sur les grandes villes françaises disponibile su https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/06/29/municipales-2020-une-vague-verte-historique-deferle-sur-les-grandes-villes-francaises, consultato il 30/06/2020

Elections municipales 2020: Paris plus que jamais coupée en deux disponibile su https://www.lemonde.fr/politique/article/2020/06/30/municipales-paris-plus-que-jamais-coupee-en-deux, consultato il 30/06/2020

Municipales: une abstention record disponibile su https://www.lefigaro.fr/politique/municipales-une-abstention-record, consultato il 30/06/2020

Greens surge in French local elections as Anne Hidalgo holds Paris, disponibile su https://www.theguardian.com/world/2020/jun/28/voters-stay-away-from-second-round-french-local-elections, consultato il 01/07/2020


France’s Macron Takes Drubbing in Local Elections, Greens Surge, disponibile su https://www.nytimes.com/reuters/2020/06/28/world/europe/28reuters-france-election.html, consultato il 01/07/2020

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Cina-Usa ai ferri corti. Perché il caso dei due cittadini canadesi incriminati da Pechino per spionaggio potrebbe essere la goccia che fa traboccare il vaso.                                           

Stampa americana 

Michael Kovrig e Michael Spavor, i due cittadini canadesi arrestati in Cina nel 2018 accusati di aver condotto operazioni volte a carpire segreti di stato, sono stati ufficialmente incriminati con l’accusa di spionaggio. Questo evento porta ad una intensificazione della campagna punitiva condotta dalla Cina contro il Canada, per l’arresto di Meng Wanzhou, la direttrice finanziaria e figlia del fondatore di Huawei. Fin da subito si è ritenuto che la Cina avesse arrestato i due cittadini canadesi come atto di ritorsione per l’arresto di Wanzhou, richiesto dagli Stati Uniti. La direttrice è stata arrestata in quanto Huawei avrebbe violato l’embargo commerciale imposto all’Iran, commerciando prodotti che riportavano brevetti statunitensi.

Come riporta il New York Times, i due cittadini canadesi si trovano al centro di una accesa disputa internazionale che vede contrapposta la Cina al Canada e agli Stati Uniti, in un momento in cui le loro relazioni sembrano abbiano raggiunto il punto più basso degli ultimi decenni. La pronuncia del tribunale cinese è successiva alla sentenza del mese scorso da parte di un tribunale canadese secondo cui i pubblici ministeri avevano soddisfatto un requisito legale necessario per l’estradizione della Weng negli Stati Uniti, dove si trova ad affrontare gravi accuse di frode.

Il Politico riporta il commento del Primo ministro canadese Trudeau riguardo i recenti avvenimenti: «È stato chiaro fin dall’inizio che questa fosse una decisione politica presa dal governo cinese e noi continueremo a condannarlo come abbiamo fatto fin dall’inizio». Inoltre, il Segretario di Stato statunitense Pompeo giudica la decisione presa dal governo cinese «politicamente motivata e completamente infondata» e sollecita il rilascio dei due cittadini canadesi che da oltre 18 mesi si trovano in stato di arresto.

Proprio la posizione dei vicini Stati Uniti risulta particolarmente interessante da analizzare. The Diplomat in un suo recente articolo offre un punto di vista interessante sulla situazione geopolitica e geoeconomica che vede coinvolti questi tre Paesi. Sembra che il Canada si trovi tra il fuoco incrociato di Cina e Stati Uniti e il terreno dove si trova a muoversi è quello delle telecomunicazioni. Per questo motivo, la decisione espressa dal tribunale canadese costituisce probabilmente un punto di non ritorno nelle crescenti tensioni tra gli Stati Uniti e la Cina, con il Canada nel mezzo.

È necessario aspettare ancora per conoscere quali scelte adotteranno questi tre Paesi alla luce degli avvenimenti delle ultime settimane. 

Stampa canadese

La questione dei “Two Michaels” – come sono ormai noti alle cronache – ha visto un crescendo questa settimana con la resa formale della loro accusa da parte della Cina. Un atto di rappresaglia secondo il Globe and Mail, dopo che un giudice di Vancouver ha respinto le richieste di Meng Wanzhou, facendo così proseguire il suo processo di estradizione. Il giornale canadese prosegue dicendo che Pechino si sta comportando alla pari di una organizzazione terroristica che rapisce innocenti per forzare uno scambio di prigionieri. Ricorda che Trudeau ha affermato di non voler cedere a questa estorsione, sia perché il sistema canadese deve rimanere libero da pressioni politiche interne e straniere, sia perché non deve passare il messaggio che sul Canada si può utilizzare come leva di ricatto l’arresto casuale dei propri cittadini. Cedere a queste pressioni vorrebbe dire acconsentire alla nascita di una politica estera cinese che utilizza tecniche estremistiche per ottenere ciò che vuole, ed esporre tutti i cittadini stranieri a possibili rapimenti statali in Cina.

Le Journal de Montréal parla dei due canadesi come persone sfortunate che si sono trovate al posto sbagliato nel momento sbagliato, sottolineando dunque la politicizzazione del fatto, che si configura come un ricatto travestito da processo. Si ravvisa, inoltre, la possibilità da parte del Ministro della Giustizia, contenuta nella sezione 23 del Canadian Extradition Act, di annullare in qualsiasi momento la richiesta di estradizione.

Il National Post infine, evidenzia come tale questione particolarmente delicata abbia causato una tensione considerevole nelle relazioni sino-canadesi e abbia posto il Canada tra il Presidente Trump e il Segretario generale del Partito Comunista Cinese Xi Jinping. Aggiunge, inoltre, che gli Stati Uniti appoggiano apertamente la linea politica adottata dal Canada in questa situazione e sollecitano il rilascio dei due cittadini canadesi.

Ebbene, una lotta rovente quella del 5G, che viene portata avanti con qualsiasi strumento del potere. L’arresto della manager Huawei come simbolo di Washington che non vuole cedere il suo primato tecnologico a Pechino, anche se a finire nel mezzo di questo scontro strategico sono due cittadini canadesi.

Stampa cinese

Dalla Repubblica popolare cinese il China Daily fa sapere che la coppia canadese, dopo essere stata arrestata nel dicembre 2018 con il sospetto di coinvolgimento in attività pericolose per la sicurezza nazionale, è stata accusata formalmente di spionaggio, spiegando nello specifico le accuse rivolte ai singoli uomini.

Da un lato, a Michael Kovrig è stata rivolta l’accusa di aver acquisito illegalmente segreti di Stato e informazioni di intelligence per un Paese estero, e per questo sarà portato davanti al Tribunale popolare intermedio N. 2 di Pechino. Dall’altro, Michael Spavor è stato incriminato per aver rubato e fornito illegalmente segreti di Stato a una nazione straniera, e sarà giudicato dal Tribunale popolare intermedio di Dandong.

Durante una conferenza stampa, il portavoce del Ministro degli esteri, Zhao Lijian, ha aggiunto che il comportamento dei due uomini ha violato l’articolo 111 della legge penale cinese, che prevede la reclusione da cinque a dieci anni, fino ad arrivare, nelle circostanze “estremamente gravi”, alla pena dell’ergastolo.

Tutto questo per ribadire la conformità delle azioni delle autorità cinesi al proprio ordinamento giuridico.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti:

China Indicts 2 Canadians on Spying Charges, Escalating Dispute, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/06/19/world/asia/china-canada-kovrig-spavor.html, consultato il 26/06/2020

Trudeau points to ‘direct link’ between detained Canadians and arrest of Huawei executive, disponibile su https://www.politico.com/news/2020/06/22/trudeau-canadians-arrest-huawei-333773, consultato il 26/06/2020

Canada and the US-China Geopolitical Tug of War, disponibile su https://thediplomat.com/2020/05/canada-and-the-us-china-geopolitical-tug-of-war/ consultato il 26/06/2020

U.S. senators demand release of Michael Kovrig and Michael Spavor, disponibile su https://nationalpost.com/news/canada/u-s-senators-demand-release-of-michael-kovrig-and-michael-spavor, consultato il 26/06/2020

Sortir du piège chinois disponibile su https://www.lapresse.ca/debats/editoriaux/2020-06-25/sortir-du-piege-chinois, consultato il 26/06/2020

Justin Trudeau says he can’t give in to China’s hostage-taking. He’s right disponibile su https://www.theglobeandmail.com/opinion/editorials/article-justin-trudeau-says-he-cant-give-in-to-chinas-hostage-taking-hes/, consultato il 26/06/2020

Canadian pair formally charged with espionage disponibile su https://global.chinadaily.com.cn/a/202006/20/WS5eed6a63a31083481725450d.html, consultato il 26/06/2020

#POLITICAFFÈ

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Il coronavirus e le restrizioni sull’attività propagandistica delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti

La stampa inglese

L’Economist individua come miglior soluzione pratica allo svolgimento delle elezioni presidenziali ai tempi del Covid-19, il voto per posta. Alternativa, però, fortemente criticata dal Presidente Trump, il quale ritiene al contrario che tale via costituisca un invito alla frode e che per di più non sia la metodologia di voto giusta per i repubblicani. 

A riprova delle sue intenzioni, come riporta The Guardian, Trump ha espresso il desiderio di essere nominato da un congresso nazionale repubblicano con tutte le caratteristiche degli eventi simili a quelli pre-Covid19. Biden ed altri esponenti del partito democratico sono invece decisamente propensi ad optare per un evento virtuale al fine di evitare assembramenti.


La stampa statunitense

 Come sottolinea Harper’s Bazaar, questa presa di posizione dei due candidati alla Casa Bianca riflette bene la spaccatura degli stati facenti parte della federazione statunitense, riguardo le modalità ed i tempi delle ormai prossime elezioni. Ad oggi, sembra che le elezioni politiche abbiano imboccato un vicolo cieco. È necessario ricordare che, oltre alle elezioni primarie presidenziali, gli elettori statunitensi quest’anno sono chiamati alle urne per decidere circa i 435 seggi alla Camera dei rappresentanti, 35 seggi al Senato, 13 cariche di governatori e numerose altre elezioni di carattere sia statale che locale. Dunque, le elezioni sembrano essere un’altra “vittima” sia della pandemia sia dell’incapacità del Paese di occuparsi di questa crisi. La proposta avanzata da alcuni legislatori è quella di ricorrere al voto anticipato o per corrispondenza. Per questa ragione si invitano i cittadini a verificare sul sito web del proprio stato la possibilità di richiedere il voto anticipato o per corrispondenza, dato che decisioni certe ed unanimi non sono ancora state ufficializzate. Per concludere, viene ribadito che nessuna variazione coinvolgerà la data delle elezioni presidenziali – 3 novembre 2020 – in quanto essendo stabilita dallo statuto federale, sarebbe necessario l’intervento da parte del Congresso.

Scientific American evidenzia come il voto per corrispondenza favorirebbe i candidati democratici perché il bacino di elettori su cui contano è costituito da individui, come giovani, immigrati e minoranze, tendenzialmente più favorevoli a questa modalità di voto, mentre i sostenitori dei repubblicani mostrano molta più diffidenza e scetticismo al riguardo. Per tale ragione, Trump si mostra totalmente in disaccordo con la proposta di un voto per corrispondenza che va evidentemente a mettere a rischio la sua rielezione.

Bisogna ancora aspettare per vedere se prevarranno gli interessi politici o le questioni di sicurezza sanitaria nazionale.

La stampa francese

La stampa d’oltralpe evidenzia soprattutto come sia cambiata la campagna elettorale per il secondo turno delle municipali dell’Hexagone, che sono state rinviate a fine giugno a causa del coronavirus. Ad esempio su Le Figaro si parla di una campagna senza precedenti, in cui le restrizioni sanitarie hanno portato i candidati a dover eliminare le riunioni pubbliche, e a dover prediligere al contrario chiamate telefoniche e utilizzo dei mezzi di informazione. Per quel che riguarda strettamente le presidenziali negli Stati Uniti, il giornale francese pone l’accento sull’operato del colosso dei social media, riportando la notizia che vede Mark Zuckerberg impegnato nel lancio della più grande campagna di informazione elettorale della storia americana. Facebook, infatti, vuole contribuire a mettere quattro milioni di votanti nella lista elettorale, registrazioni che sono fondamentali per le presidenziali. Inoltre, vuole creare un Centro di Informazioni sulla homepage per garantire a tutti la visualizzazione delle notizie, e intende ingaggiare una lotta alla disinformazione, controllando e bloccando gli annunci pubblicitari.

Il quotidiano Le Monde, invece, si occupa di sottolineare come il Covid-19 impatterà sul risultato della scelta del nuovo Presidente americano, facendo particolare riferimento all’approccio di Donald Trump agli affari internazionali. In altre parole, questa pandemia – che ha danneggiato già di per sé l’immagine degli Stati Uniti come nazione potente – ha contribuito a enfatizzare l’unilateralismo aggressivo di Donald Trump, infliggendo dunque un duro colpo al soft power americano. Quella capacità di attrazione e persuasione, che Washington esprime dal secondo dopoguerra principalmente attraverso il suo contributo finanziario alle istituzioni internazionali, ha infatti subito una battuta d’arresto, soprattutto in relazione alla diatriba ingaggiata con l’OMS. Diversamente, il partito democratico promette di rinvigorire il concetto di soft power. Chi beneficerà di questa insolita campagna elettorale? La sfida è aperta.

Gaia Natarelli e Chiara Aveni

FONTI:

How the Coronavirus Pandemic Affects this year election, disponibile su https://www.harpersbazaar.com/culture/politics/a31981703/coronavirus-pandemic-2020-us-presidential-election/, consultato il 23/06/2020

Trump hankers for roar of the crowd while Biden takes campaign virtual, disponibile su  https://www.theguardian.com/us-news/2020/jun/04/trump-biden-campaign-virtual-rallies, consultato il 24/06/2020

America should prepare now for voting by mail in November election, disponibile su https://www.economist.com/leaders/2020/04/18/america-should-prepare-now-for-voting-by-mail-in-novembers-election, consultato il 23/06/2020

Trump vs. Biden: How COVID-19 Will Affect Voting for President, disponibile su https://www.scientificamerican.com/article/trump-vs-biden-how-covid-19-will-affect-voting-for-president1/, consultato il 24/06/2020

Le “soft power” américain, fin de partie?,  disponibile su https://www.lemonde.fr/international/article/2020/05/22/le-soft-power-americain-fin-de-partie, consultato il 23/06/2020

Municipales: un mois de campagne inédit, disponibile su https://www.lefigaro.fr/politique/municipales-un-mois-de-campagne-inedit, consultato il 23/06/2020

Facebook se fixe un objectif de 4 millions d’inscriptions d’electeurs, disponibile su https://www.lefigaro.fr/secteur/high-tech/facebook-se-fixe-un-objectif-de-4-millions-d-inscriptions-d-electeurs-americains, consultato il 23/06/2020

#POLITICAFFÈ

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La situazione libica nella stampa francese e statunitense

La stampa francese

Il 5 giugno le forze del maresciallo Khalifa Haftar, dissidenti dal Governo di accordo nazionale (Gna) di Fayez al-Sarraj, hanno perso l’ultimo baluardo vicino alla capitale. Così appare l’epilogo dell’ennesima fase del conflitto interno libico, iniziato il 4 aprile 2019 quando Haftar ha intrapreso l’assalto contro Tripoli.

Come riporta Le Figaro, le truppe di Haftar hanno annunciato la propria ridistribuzione fuori dalla capitale purché l’altra parte rispetti un cessate il fuoco, pena la ripresa delle attività militari e l’interruzione della propria presenza ai negoziati del comando militare delle Nazioni Unite, avviati per ottenere una sospensione definitiva delle azioni di guerra.                                   

Le Monde invece, che definisce il generale libico come un maestro del petrolio e – ironicamente – dell’antiterrorismo, pone l’accento sul fatto che il risultato più concreto di questa campagna militare sia stato quello di avere un’egida turco-russa in una importante regione a sud del Mediterraneo. Il quotidiano francese aggiunge inoltre, che la presenza imperante di Mosca e Ankara mira all’ottenimento di un “conflit gelé” vale a dire che il loro interesse è di congelare lo scontro piuttosto che risolverlo.                                                                                                                                        

Questa ulteriore ostilità della terza fase della guerra civile libica avviata nel 2011, che sullo sfondo di una tensione crescente ha visto al-Sarraj bloccato nell’esercizio della sua autorità in ragione del dinamismo strategico di Haftar, dunque, non solo non determinerà in Libia un ritorno allo status quo precedente, ma finirà per mettere in difficoltà gli attori occidentali che già faticano ad affermare una incisiva partnership di carattere geopolitico nell’area.

La stampa statunitense

Bloomberg News ricorda come fin dalla rivolta supportata dalla NATO in Libia nel 2011, il paese nordafricano sia scosso da continui disordini a livello nazionale. È importante sottolineare che la centralità assunta dalla Libia nella regione del Maghreb e nei labili rapporti tra le due sponde del Mediterraneo rende questo paese un perno geopolitico fondamentale per la definizione dei futuri equilibri internazionali dell’area.

Per quanto riguarda la questione libica, gli Stati Uniti hanno sempre mantenuto un comportamento ambivalente: il Dipartimento di Stato si è mostrato filoeuropeo mentre la Casa Bianca ed i servizi di intelligence hanno portato avanti il dialogo con il generale Haftar. Le ambivalenze degli Usa si sono palesate in concomitanza con l’offensiva della Lna (Esercito nazionale libico) su Tripoli a partire da aprile 2019. Infatti, un susseguirsi di vicende e di dichiarazioni ha portato a ritenere che per Trump l’ago della bilancia penda verso Haftar e non più verso al-Sarraj, primo ministro del Gna (Governo di accordo nazionale).

Giugno 2020 si prospetta essere un mese ricco di novità che segneranno il futuro dello scacchiere libico. Infatti, è notizia di questi giorni che le forze fedeli al governo di Tripoli hanno respinto il tentativo di colpo di stato da parte dell’Esercito nazionale libico ed i suoi alleati, guidati dal generale Haftar.

Come sottolinea Associated Press, questi recenti sviluppi sembrano portare all’inaugurazione di una nuova fase, caratterizzata da scontri più localmente circoscritti e scarsi cambiamenti circa il controllo della regione da parte dei diversi contendenti. Per evidenziare quanto l’atteggiamento di al-Sarraj sia intransigente, riportiamo le sue parole in riferimento ad Haftar “Non gli daremo in alcun modo l’opportunità per negoziare. Continueremo questa lotta finché il nemico non sarà completamente eliminato”.

Gli Stati Uniti mantengono altissimo il livello di attenzione sulla regione, a causa anche della presenza di attori geopolitici di rilevante importanza come Turchia e Russia.

Gaia Natarelli e Chiara Aveni

Fonti:

La paix incertaine en Libye malgré la fin de la «bataille de Tripoli» disponibile su https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/06/05/la-paix-incertaine-en-libye-malgre-la-fin-de-la-bataille-de-tripoli, consultato il 18/06/2020

Libye: les pro-Haftar confirment un «redéploiement» hors de Tripoli disponibile su  https://www.lefigaro.fr/flash-actu/libye-les-pro-haftar-confirment-un-redeploiement-hors-de-tripoli-, consultato il 18/06/2020

What’s Behind Nine Years of Turmoil in Libya, By Samer Khalil Al-Atrush | Bloomberg May 31, 2020 at 3:31 p.m. disponibile su https://www.kyivpost.com/world/bloomberg-whats-behind-9-years-of-turmoil-in-libya.html (consultato il 18/076/2020).

Tripoli forces say they have ended siege of Libyan capital by NOHA ELHENNAWY June 4, 2020  disponibile su https://www.haaretz.com/middle-east-news/tripoli-forces-say-they-have-ended-siege-of-libyan-capital-1.8896921 consultato il 18/06/2020.