#PeopleOfUNINT

Pubblicato il

Qual è la più grande aspirazione della tua vita?

Sono una studentessa del corso di laurea magistrale in Lingue per la comunicazione interculturale e la didattica. Quello che più mi piacerebbe fare nella vita è di rappresentare l’Italia all’estero, non tanto a livello politico, bensì a livello culturale. Sono convintissima che la cultura italiana sia una delle più belle al mondo, sia per la sua storia sia per la sua ricchezza. Infatti mi piacerebbe lavorare proprio in questo ambito. Sai, c’è una sezione in tutte le ambasciate del mondo che riguarda proprio questo: l’insegnamento della lingua italiana, nonché la promozione della nostra cultura. Oppure in alternativa potrei diventare docente universitario, ma si sa, anche in questo ambito la strada è lunga da fare!

Qual è secondo te l’elemento per eccellenza della cultura italiana che manca invece nelle altre culture?

La fantasia. E ne abbiamo tanta, eh!

Ilaria Violi

#PeopleOfUNINT

Pubblicato il

Qual è stata l’esperienza che ti ha influenzato di più nella vita?

Quando ero in quarto superiore ho partecipato a una simulazione di diplomacy nel Parlamento Italiano. In realtà all’inizio sono stata quasi costretta dall’insegnante di latino e greco, però contro ogni previsione è stata un’esperienza molto interessante. Mi ha cambiato totalmente la visione su quello che avrei voluto fare in futuro: mi sono avvicinata inaspettatamente al mondo della diplomazia e da lì ho iniziato a pensare che potesse essere una strada da percorrere durante la mia carriera universitaria, dato che di lì a poco avrei dovuto prendere una decisione. Ho scelto infatti di buttarmi in questo ambito, piuttosto che continuare un percorso più umanistico, non so lettere o lettere antiche. È stata sicuramente un’esperienza estremamente formativa per me, mi sono sentita adulta per la prima volta.

Quanto ha influito questa esperienza nella persona che sei adesso?

Sicuramente comprendere come poter lavorare con gli altri, quindi collaborare con altre persone per poter raggiungere uno scopo comune, che in quel caso era scrivere un disegno di legge. Non solo mi ha influito nella quotidianità o nello svolgere qualsiasi tipo di lavoro, ma mi ha avvicinato anche a un mondo apparentemente lontano da noi, quello delle carriere internazionali, dove in realtà le decisioni che vengono prese in questo ambito si riflettono sulle vite di tutti noi.

Elisabetta Lannuti

#PeopleOfUNINT

Pubblicato il

Quindi, se ho capito bene, da venticinque anni hai fatto tutto questo?

Sì, il primo pezzo è stato l’arrotino. E poi sai come sono queste cose, uno alla volta e siamo arrivati a tutto questo.

Quali altre esposizioni hai fatto? Immagino che questa non sia la prima.

No no assolutamente. Ormai sono 3 o 4 anni che allestisco il mio presepe qui a Garbatella grazie al comitato del quartiere. Poi durante il periodo delle feste spesso sono a casa di mia figlia, in Umbria dove sono nato. Un’esposizione molto importante sono riuscito a farla grazie a un’amicizia col parroco, quando già era diventato un presepe abbastanza grande, lì alla parrocchia di Santa Galla. Un parroco molto severo, non come quelli che ci sono adesso. Un giorno gli ho fatto la proposta del presepe e lui mi ha detto: “Non ti di dico subito di sì, perché se dico sì è sì davvero, non faccio false promesse”. Ha aspettato 2 giorni e mi ha richiamato subito. Ormai sono 12 anni che allestisco da loro, tant’è che l’ultima volta sono arrivato a circa 70 pezzi.

Che cosa hanno pensato i tuoi cari appena hanno visto il tuo primo pezzo?

Sono rimasti tutti sbalorditi! I miei nipoti che urlavano: “venite a vedere cosa ha fatto nonno!” Poi qualcuno lo voleva anche comprare, a mia nipote hanno proposto 150 euro, ma lei ha sempre risposto che era un’opera d’arte che ha fatto nonno per la propria famiglia. Poi da lì lo sai come vanno a finire queste cose. Si inizia con uno e si arriva a un presepe del genere. Poi io sono sempre stato una persona piuttosto pratica e manuale, quando sono arrivato a Roma infatti il primo lavoro che ho avuto era quello di riparare i televisori. Io non amo molto andare al centro anziani, cioè sì ci vado, ma non voglio rinchiudermi sempre e tutte le ore lì. Preferisco stare in cantina a volte. Lì ho il mio laboratorio, i miei strumenti. E passo il tempo a fare ‘ste cose. Piano piano visto che ho combinato?! Praticamente non c’entravo più in cantina per quanti pezzi c’erano.

Quanti pezzi hai fatto in totale?

Mi sembra una settantina di pezzi, qui ne abbiamo allestiti cinquanta.

Qual è il pezzo di cui vai più fiero?

Be’ sì, l’arrotino è comunque stato il primo, quindi sono particolarmente legato a questo. Soprattutto perché è quello che ha dato il via a tutto. Infatti io da quando allestisco non faccio un presepe senza metterlo, come se fosse un porta fortuna. Poi c’è anche questo con il telaio. Questo mi ricorda mia nonna, quando ero piccolo e le facevo compagnia mentre lei stava al telaio perché doveva fare il corredo a tutte e cinque le figlie. Santa donna! Che poi dal seme eh! E poi la battitura e il telaio. Me la ricordo ancora mentre metteva tutte le cose sull’arcolaio. Be’ diciamo che questi due mi hanno riportato in famiglia. Quindi ecco perché sono particolarmente legato a questi.

Hai mai dedicato un pezzo a qualcuno che non fosse della tua famiglia, invece?

Questa qui l’ho dedicata a un mio carissimo amico. Ama molto l’antiquariato, infatti spesso io gli riparo le cose che compra ai vari mercatini o su internet. Roba buona eh! Mica cianfrusaglie. Poi lui di mestiere fa il chirurgo, e gli ho regalato questa statuina quando mi sono fatto operare da lui per un’ernia. Soprattutto guarda la lampada, perché sono quelle vecchie che ormai non si usano più. Infatti anche lui l’ha presa a ridere perché non si capacita di come mi sia venuta in mente.

Dove prendi l’ispirazione? Non so ti ha mai ispirato qualcuno semplicemente per strada o cose così?

Sì, alla fine sì. Soprattutto nel quotidiano. Che ne so, in televisione, per strada. Cose così. Per esempio guarda questa, il salumiere. Quella l’ho dedicata a due sorelle che hanno la pizzicheria in un campeggio nel Gargano, dove vado io ogni estate da circa 20 anni. Siamo grandi amici, infatti ogni volta che vengono a Roma, perché hanno le sorelle qui, mi vengono a salutare, come se fossero parenti. Infatti guarda: “Gina e Maria” ho messo anche i nomi, perché volevo regalargliela. Ma hanno preferito che la mettessi nel presepe.

E la prossima?

Eh, che ne so. In realtà adesso le riparo o modifico quelle che ho già fatto. Ci vuole tanta pazienza e precisione soprattutto.

Diciamo che 92 anni non sono pochi, ci puoi raccontare qualche episodio della tua vita che per vari motivi hanno influenzato la persona che sei adesso?

Be’, ne vorrei raccontare soprattutto uno che per me è stato importantissimo. Soprattutto perché grazie a quello sono diventato nonno Dante oggi e posso divertirmi a fare i personaggi di questo presepe. Fino a quando ero giovane lavoravo in campagna con mio padre, poi lo sai com’era una volta, a un certo punto dovevi formare una famiglia, perché funzionava così. Infatti io mi sono sposato che avevo 24 anni. Io volevo dare una vita migliore a mia moglie e soprattutto costruire un futuro con lei. Quindi abbiamo deciso di trasferirci a Roma dato che tutti venivano qui per lavorare. Però c’era un problema, perché per lavorare qui dovevi avere il libretto del lavoro, per avere il libretto del lavoro a Roma dovevi avere la residenza e per avere la residenza bisognava avere lavoro o almeno avere un certo tipo di reddito. Altrimenti tutti potevano mettersi la residenza a Roma e prendere benefici, era anche giusto sì. Almeno prima c’erano più controlli. Sono venuto qui da alcuni parenti e ho iniziato a lavorare a Porta Portese, riparavo cose, biciclette, motorini, di tutto. Per arrangiarmi insomma. Un giorno volevo ritornare al paese per salutare i parenti. Parte il treno dalla stazione Termini, io ero dentro uno scompartimento dove un signore aveva occupato un sacco di spazio con cesti e altre valigie. A un certo punto entra una bella signora che chiede se può sedersi al posto occupato dall’altro signore con le sue cose. Glielo chiede più volte ma lui non risponde e nessuno le presta attenzione. Sai, sui treni una volta si chiacchierava molto, si urlava, poi i treni facevano un sacco di confusione. Poi io sono sempre una persona che ci tiene a ‘ste cose. Quindi le ho detto: “Signora! Si accomodi, tanto io scendo a Orte”. Lei mi racconta di lei, che veniva da Genova, era piena di bagagli e aveva corso per prendere il treno. Mentre eravamo in viaggio di fianco a noi ma verso l’altra direzione passa uno di quei treni moderni, una littorina, un pendolino, non mi ricordo come se chiamavano. Va be’, quei treni moderni per l’epoca. E uno dentro lo scompartimento dice: “quello è il treno dei papponi! Perché solo i ricchi lo prendono e non pagano mai il biglietto, invece noi siamo qui ammassati e lo paghiamo anche a loro il treno”.  La signora allora indispettita gli risponde: “non è vero! Perché io sono la moglie del vice prefetto di Terni e quando mio marito non è in servizio e non si sposta per lavoro, lo paga eccome il treno!”. Non potevo crederci! Mi sono sentito offeso io per le parole del signore, soprattutto davanti a una signora di classe come lei. Allora le ho chiesto: “senta scusi, sa’ siamo una famiglia umile, viviamo in campagna in Umbria. Siamo cinque figli e sono anche sposetto. Non è che potrebbe aiutarmi in qualche modo a ottenere il libretto di lavoro a Roma? Visto che qui è molto complicato. Sai cosa mi ha risposto lei? Mi rispose: “non si preoccupi. Lei è stato davvero educato comunque, vedo quello che posso fare”. Qualche giorno dopo mi è arrivata una lettera a casa ed era lei che diceva che il marito aveva preso in carico la cosa e che vedeva quello che si poteva fare, anche se non era molto semplice. Dopo qualche settimana è arrivata un’altra lettera che diceva: vada al municipio per ritirare il libretto del lavoro. Questo mi ha fatto capire che restare umili ripaga sempre. Perché non sai mai chi puoi avere di fronte. Da quel giorno la mia vita è stata in completa evoluzione tant’è che ho fatto tantissimi lavori.

Nonno Dante

#PeopleofUNINT

Pubblicato il

Quando ti sei sentita per la prima volta adulta? Che sensazione hai provato?

La prima volta che mi sono sentita adulta è stato da bambina. E io adulta da bambina mi ci sono sentita tante volte. Quando d’estate dopo cena mi piaceva vincere il sonno per restare in giardino ad ascoltare i discorsi dei ‘grandi’.

Quando ho scelto di salire sul palco da sola perché le mie compagne di danza hanno smesso a poche settimane dal saggio. E quando poco tempo dopo ho iniziato a correre in punta di piedi nella classe delle ‘grandi’.

Quando alle feste mi trattenevo al tavolo dei bimbi solo per poco e poi andavo ad ascoltare i grandi perché li trovavo più interessanti e perché io ferma in una situazione che mi annoiava proprio non ci sarei rimasta.

Quando al ristorante al momento delle ordinazioni il cameriere mi proponeva un menu a base di premure, pasta al sugo, cotoletta e patatine fritte e io rispondevo indispettita che avrei preferito un risotto.

Quando nel ’98 (e io sono del ’92) ho chiesto a mia madre di portarmi al cinema a vedere La leggenda del pianista sull’oceano.

Quando ho preparato il primo sugo di pomodoro a mio fratello.

Quando fantasticavo su come sarebbe stata la mia casa. E la immaginavo come una magione ottocentesca. Con un giardino così grande che a stento mi avrebbe consentito di scorgere l’entrata di casa, con un porticato sorretto da colonne bianche dove avrei sorseggiato il tè, con finestre in stile inglese che mi avrebbero regalato più luce, con soffitti alti oltre 3 metri che mi avrebbero fatto sentire come all’aperto, con una grande pista per ballare, una sala da pranzo dove avrei portato in tavola la colazione tutte le mattine e un tetto trasparente per guardare le stelle nelle sere serene.

Avrei scoperto più tardi che nelle sere serene è bello anche starsene ad ascoltare la pioggia. Che basta veder rifiorire le tue piante a prescindere dalla grandezza dello spazio che le ospita, che del tè mi piacciono solo le tazze, che la luce si diffonde più spesso dall’interno, che ci si può sentire come all’aperto anche in soffitta, che si può ballare stando fermi, e che a volte si può stare insieme anche senza sedersi alla stessa tavola.

Non so quanto fossi bambina e quanto adulta quando progettavo la mia magione. In fondo cercavo di progettare la mia vita. Avrei scoperto più tardi che la vita inizia quando smetti di progettarla.

La prima volta che mi sono sentita bambina è stato da adulta. E io bambina da adulta mi ci sono sentita tante volte. Quando ero la più piccola del gruppo, quando avevo desiderio di protezione pur essendo capace di proteggermi da sola, quando cercavo ripetutamente conferma del certo.

C’è stata però una volta in cui sono stata davvero una bambina. Ed è stato quando ho pensato che da adulta non sarei mai più stata bambina. E una in cui sono diventata davvero adulta. Ed è stato quando ho realizzato che sarei rimasta per sempre anche bambina.

Federica Granata

#PeopleOfUNINT

Pubblicato il
  • Dove ti immagini tra 10 anni?
  • Dove mi immagino tra 10 anni? Beh non è una domanda del tutto semplice. Ognuno di noi avrà immaginato, almeno una volta nella vita, il proprio futuro. Io sono una grande sognatrice, mi piace viaggiare con la fantasia ma rimanere con i piedi per terra. Quando da piccola mi chiedevano “Cosa vuoi fare da grande?” avevo sempre tremila risposte in mente, ma non ho mai avuto un’idea chiara e precisa di chi sarei voluta diventare nel tempo. Certo, una cosa l’ho sempre saputa: nel mio futuro prima di ogni altra cosa vorrei una famiglia. E quando penso ad una famiglia penso anche ad una stabilità economica, una stabilità lavorativa. Ecco! Vorrei essere indipendente a livello economico, vorrei avere dei figli e vivere altrove. Chissà magari in Spagna o in Francia. Non per allontanarmi dal resto della mia famiglia, non per “abbandonare” la mia terra, ma semplicemente perché, data la situazione attuale, in Italia è difficile fare progetti a lungo termine. Al momento, spero di finire presto i miei studi e spero questi mi portino lontano. Voglio viaggiare, fare nuove esperienze, voglio girare il mondo, scoprire nuove cose perciò mi auguro tanta serenità, tanto affetto e spero di realizzarmi presto nell’ambito lavorativo.

Viviana Sestito

#PeopleOfUNINT

Pubblicato il

Nella mia vita ho sempre cercato di comprendere da cosa derivi la mia
ammirazione verso l’apprendimento di una nuova lingua e cosa esattamente mi affascini di più di questa: se la cultura o la grammatica in sé. Sin dagli anni delle elementari, quando la maestra ci faceva giocare a
bingo per memorizzare i vocaboli in inglese, è sempre spiccata la mia
propensione verso lo studio delle lingue.

Credo che l’infanzia sia una fase importante della vita, poiché mette in luce le abilità e spesso e volentieri anche gli interessi di una persona. Durante questo periodo infatti il bambino non ha sviluppato una consapevolezza tale da poter dire cosa vuole fare della sua vita ma è proprio da questo suo limite di irrazionalità che riesce ad esprimere molto di più della sua persona. Quando si diventa grandi si avverte spesso l’influenza dei genitori o della società sulle proprie scelte; mentre da bambino tutto scorre in maniera più naturale.


Ricordo ancora quel giorno a tavola con mamma e papà: stavamo
cenando e come ogni sera decisero di accendere la tv per ascoltare le
notizie del giorno al telegiornale. Io ero affascinata dalla parte dell’inviato
speciale che appariva per testimoniare sul luogo dell’accaduto. Dissi a
mamma che quello era il lavoro che volevo fare ma feci una precisazione: “lo voglio fare in una lingua diversa dall’italiano!” Mamma scoppiò a ridere ed iniziò a farmi centinaia di domande sul perché scelsi proprio quel mestiere (che poi “scelsi” è un parolone dal momento in cui a quei tempi l’unica certezza che avevo era che frequentavo la prima media e avevo soli undici anni!). Io amavo viaggiare e soprattutto nei viaggi cimentarmi nelle mie ancora limitate abilità linguistiche. Forse vedevo nel ruolo dell’inviato ciò che potesse soddisfare questi miei interessi.

All’età di diciannove anni le mie idee ed i miei sogni si sono piano piano trasformati ed in parte esauditi. Innanzitutto ho avuto la possibilità di frequentare un liceo che mi ha insegnato tanto, non solo sulla base delle lingue, ma soprattutto a livello umanistico. Con questo mi riferisco alle acquisizioni di materia filosofica, storica e letteraria che reputo di estrema importanza per sviluppare la propria personalità individuale. Una più consapevole introspezione mi ha permesso quindi di riscoprire i miei desideri, che seppur in linea con quelli che coltivavo da bambina, risultano in parte cambiati. Nel corso degli studi superiori ho iniziato ad interessarmi maggiormente sul tema politico-economico, tanto da voler capire sempre di più la realtà che mi circonda. Nonostante questo però la mia passione per le lingue non è svanita ma anzi si è plasmata intorno a quest’ambito più specifico. Ho maturato così l’idea di sfruttare e coltivare le mie conoscenze linguistiche in un contesto più ampio legato all’ambiente politico internazionale.

Questa è la strada che ho deciso di intraprendere oggi, con la scelta di un’università che mi permette di lavorare sulle lingue e allo stesso tempo sulle materie di carattere politico-economico. Spesso mi fermo a pensare quali siano i fondamenti di una passione così forte che mi accompagna dall’età dell’infanzia, addirittura per lingue che non hanno alcuna affinità con l’italiano. Reputo che sia stato molto influente per me l’ambiente familiare dove sono cresciuta. Mamma mi lasciava spesso con la nonna quando andava a lavorare ed io passavo lunghe giornate insieme a lei nell’hotel di famiglia. Ho sempre ammirato sia mia nonna che i miei zii perché sapevano parlare in ben tre lingue diverse fluidamente. Probabilmente è da qui che ho incominciato a maturare il mio sentimento nei confronti delle lingue che mi hanno sempre dato tanta soddisfazione nel metterle in pratica.


La lingua che considero attualmente la mia preferita è il russo ed in tanti mi chiedono come faccia a piacermi una lingua così complicata dal punto di
vista dell’alfabeto, della grammatica e dell’articolazione dei suoni. Io non trovo mai la spiegazione giusta da fornire: mi piace e basta. Mi piace perché
le parole scorrono fluide, perché così come in tedesco dove sono presenti i
casi, mi viene semplice comporre le frasi ma soprattutto mi affascina tanto
quella loro cultura, che seppur rigida, è fatta di tradizioni che mi ispirano un senso di tranquillità e calore. Quando penso alla Russia mi appare alla mente l’immagine di un dolce momento di serenità con amici e parenti mentre si sorseggia una tazza di tè, guardando fuori dalla finestra la neve che ricopre di bianco gli alberi del giardino.


Apparentemente sembra la scena di un tipico film natalizio ma in realtà è una tradizione culturale del Paese; così come quella della sauna all’interno delle abitazioni di campagna, luogo prediletto per un weekend fuori città.
Mi piace venire a contatto con altre culture ed integrarmi al meglio
all’interno di un Paese diverso dal mio ma ci tengo altrettanto a diffondere le mie tradizioni e la mia cultura che difendo con tanto orgoglio.
Vorrei che in un futuro questo mio legame che sento e nutro sin da bambina nei confronti delle lingue, possa realizzarsi un giorno in un lavoro che metta in comune esse con la mia lingua madre.
Questo è il mio sogno ed il mio obiettivo che senza pretese per la mia vita mi impegnerò a raggiungere in ogni modo.

#PeopleOfUNINT: Flavia Zollo

Pubblicato il

Le lingue sono come fiumi: maestose e dirompenti. Bisogna lasciarsi travolgere e viverle appieno. Le lingue, infatti, non devono essere solo studiate, ma devono anche essere vissute. Bisogna immergersi in esse. Con la propria “materna lingua”, come la chiamavano i latini, è più facile nel momento in cui si cresce in un Paese in cui si parla tale lingua. Più complesso è lasciare entrare lingue straniere. Sono appunto dei fiumi che arrivano dentro di noi, rendendo la nostra vita infinitamente più ricca, ma anche più complessa. Me ne sto accorgendo sempre di più grazie al nuovo percorso di studi che ho intrapreso. Scegliere una facoltà di lingue è una presa di posizione in qualche modo. Tutti dicono che sia molto importante conoscere le lingue per entrare nel mondo del lavoro e quindi i giovani cercano di affiancarle alle abilità che costruiscono grazie ai percorsi universitari scelti. Ma il tempo non è mai abbastanza. Scegliere lingue all’università vuol dire rendere il loro studio centrale nella propria vita e chi lo fa deve imparare a conoscerle nel profondo se vuole fare la differenza.


Ma cominciamo dall’inizio di questa mia biografia linguistica. Non ho la fortuna di essere bilingue, ma ognuno ha la propria storia e sono tutte uniche.

La lingua con cui sono nata, la mia lingua madre, è l’italiano. È dentro di me e prima ancora è sempre stata anche intorno a me. È ben radicata ed è istintivo utilizzarla. Il processo di apprendimento è stato da una parte naturale, dall’altra guidato dalla scuola e dalla grammatica. Ma una lingua è molto di più. Essendo madrelingua italiana, posso andare oltre la struttura linguistica, oltre il parlato. Penso che sia molto affascinante e interessante apprendere la storia della propria lingua, scoprire le etimologie, i perché che si celano dietro i suoni che pronunciamo. Le parole ci parlano e io voglio ascoltarle.


I miei genitori sono italiani, di Roma, così come i miei nonni materni. Invece, dalla parte di mio padre, mia nonna è marchigiana e mio nonno campano. Avendo vissuto fin da giovani a Roma, hanno perso molto la loro cadenza, soprattutto mia nonna. Hanno cresciuto i loro figli senza un accento particolare. Il dialetto campano, però, è rimasto in tutta quella parte della famiglia che ha continuato a vivere vicino ad Avellino. Ed è lì che l’ho sempre sentito, dai miei parenti “di giù”. Quando ci troviamo in loro compagnia, si verifica un incontro a metà strada: loro parlano in italiano senza termini tipicamente dialettali ma con una forte inflessione e mio padre tende ad assumere il loro “spirito linguistico”. Infatti, pur avendo sempre vissuto a Roma, da ragazzo trascorreva l’estate in Irpinia e quindi in queste occasioni di ritrovo riemerge una sua parte linguistica che di solito è latente. È questo che avviene con i dialetti. Io rimango particolarmente neutrale proprio perché non ho quella parte linguistica che possa rispondere a questo tipo di richiamo.


Con mia madre apriamo un altro capitolo. Parla, oltre all’italiano che è la sua unica lingua madre, l’inglese, lo spagnolo e il francese. Per tutta la sua vita ha usato queste quattro lingue quotidianamente nel suo lavoro. Fin da piccola sono stata colpita da queste sue capacità linguistiche e lei mi ha sempre trasmesso il suo amore per le lingue. Mi ha donato solo l’italiano come lingua madre, ma fin da quando ho memoria mi parlava spesso anche in inglese, spagnolo e francese, anche solo per giocare. Mi ha permesso così di affacciarmi su quei mondi apparentemente lontani, che per la me bambina facevano parte del mio unico mondo. Crescendo, mi divertivo a parlare con lei in una delle tre lingue straniere, soprattutto durante viaggi di famiglia all’estero per fingere di essere del luogo.


Ritornando alla mia scelta universitaria, ho deciso di studiare proprio queste tre lingue: l’inglese, lo spagnolo e il francese.
L’inglese è il mio fedele compagno di vita dall’età di cinque anni. Non mi ha mai lasciata. È stato amore a prima vista e l’ho accolto dentro di me nel corso degli anni. Non essendo una lingua romanza, è abbastanza diverso dall’italiano e questo, ho sempre pensato che fosse un vantaggio per non confonderla con l’italiano stesso. L’ho imparato alle elementari come la maggior parte dei bambini italiani e ho continuato a studiarlo alle medie e al liceo, affiancando corsi pomeridiani per intensificarne lo studio scolastico limitato. Negli ultimi anni ho trovato un grande alleato in YouTube per ascoltare persone madrelingua inglesi che parlano della loro vita vera. Questo mi ha permesso di entrare nella realtà inglese pur rimanendo in Italia.


Il francese è arrivato in prima media. A quel tempo non amavo lo spagnolo (non lo aveva ancora osservato bene) e quindi scelsi il francese, lingua che trovavo alquanto musicale. Tre anni, anche se intensi e con validi risultati, non sono stati sufficienti a far sì che rimanesse in me, non continuandolo al liceo. Lo sto ora riscoprendo all’università.


Per quanto riguarda lo spagnolo, il discorso si fa più complesso e appassionante. Non l’ho mai studiato a scuola, ma durante il mio primo anno di liceo me ne sono innamorata guardando una serie tv argentina. Non volevo guardarla in italiano perché il doppiaggio, pur essendo un’arte, toglie molta veridicità alle storie che vengono raccontate e in più volevo sentire di star facendo qualcosa di utile. E così scoprii una delle lingue più belle al mondo. Capivo praticamente tutto, aiutata anche dal fatto che l’accento argentino è più semplice rispetto ad altri accenti del mondo ispano-americano. Si può dire, quindi, che io abbia imparato l’argentino con la sua pronuncia e il suo lessico. Mi sono follemente innamorata di questa lingua e non ho più smesso di scoprirla. La scorsa estate, l’estate del 2019, sono andata a studiare in Spagna, soprattutto per avere un primo approccio alla grammatica e costruire delle basi solide, e sono rimasta colpita dalle grandi differenze con l’argentino, ma pian piano ho imparato a calarmi nel mondo spagnolo di Spagna e questo mondo mi ha conquistata. Vivendo lì, anche se per poco, mi sono resa conto di quanto sia importante andare all’estero per imparare le lingue e cercare di parlare sempre in quella lingua senza ritornare all’italiano per tutto il periodo della permanenza nel Paese straniero.


Questo studio intenso delle lingue, che si intensificherà sempre di più, è arrivato così prepotente solo nell’ultimo periodo. Infatti, avendo frequentato il liceo classico, negli ultimi anni ho continuato a studiare l’inglese, ma nessun’altra lingua moderna. In compenso, mi sono dedicata al latino e al greco, due lingue che purtroppo si stanno mettendo sempre più da parte. Una delle ragioni è che non possiedono più la sfera orale (a meno che non si tratti di percorsi più specifici e di livello molto elevato). Sono addirittura definite “lingue morte”, quando invece sarebbe più corretto dire “eterne”.


Le lingue sono il mezzo di comunicazione più potente che ci sia, uno strumento fondamentale per entrare in contatto con gli altri in qualsiasi situazione ci si trovi, da un viaggio a un lavoro. Quello che si fa è uno sforzo per andare incontro a coloro che parlano una lingua diversa dalla nostra. È un modo per fare amicizia, per trovarsi in ambienti internazionali, per scoprire le altre culture. Un momento parliamo una lingua e quello successivo passiamo ad un’altra. È sorprendente come il nostro cervello ci consenta tutto questo e come arrivi addirittura a permetterci di pensare nella nostra quotidianità in un’altra lingua, di fare discorsi con noi stessi in un’altra lingua. È una delle cose che preferisco di più al mondo.

#PeopleOfUNINT

Pubblicato il

Ciao! Mi chiamo Elena, ho 25 anni, sono abruzzese e frequento il secondo anno del corso di laurea magistrale in Lingue per la comunicazione interculturale e la didattica.

Come ti descriveresti in poche parole?

Intraprendente, energetica, empatica e forse, a volte, troppo impulsiva.

Perché hai scelto questo percorso di studi e non un altro?

La scelta di specializzarmi in questo ambito è nata principalmente dal mio desiderio di diventare un giorno insegnante di lingua e letteratura inglese e dalla mia passione per i viaggi. Vengo infatti da una famiglia di insegnanti che mi hanno trasmesso la loro passione per l’istruzione ed il mondo della scuola in generale, e di cui mi piacerebbe seguire le orme. Inoltre amo moltissimo entrare a contatto con altre culture e prendere e partire appena possibile! Cerco infatti di farmi almeno un viaggio al mese!

Qualche desiderio in particolare?

Il mio sogno nel cassetto è visitare l’Australia, in particolar modo Melbourne, dove spero in futuro di potermi trasferire ed insegnare, poiché è un mondo che mi affascina e che mi piacerebbe conoscere più da vicino. Mi incuriosisce poi il fatto che vi sia una nutrita comunità di italiani, tra cui alcuni miei parenti, i cui racconti australiani hanno alimentato la mia voglia di raggiungerli e di entrare a far parte di questa grande “family”.

Quali pensi debbano essere le caratteristiche di un bravo insegnante?

Credo che un insegnante, non dovendo formare l’alunno solo dal punto di vista professionale, ma anche come persona, debba essere oltre che ben formato, anche estremamente umano ed empatico, capace di instaurare un dialogo ed entrare in sintonia con chi si trova di fronte. Tutte capacità che spero di perfezionare e di acquisire ulteriormente nel corso della mia formazione.

Elena Santella

#PeopleOfUNINT

Pubblicato il

Che cosa hai provato la prima volta che sei entrata in cabina?

Ero emozionata! Ma soprattutto agitata perché era una cosa del tutto nuova per me. Il primo pensiero che ho avuto era di non essere all’altezza, ma in realtà la professoressa mi ha rassicurato dicendomi che c’era del potenziale. Ricordo ancora la prima volta che mi sono seduta in cabina pensando a quanto tempo fosse trascorso rispetto al primo giorno che ho messo piede in questa Università. Ricordo ancora quel momento come se fosse ieri. E ho pensato tra me e me: “Quante cose sono cambiate?”, “Quante ancora ne cambieranno?” E poi: “Guarda dove sei arrivata!”.

Nonostante l’incertezza che ti sale ogni volta che si prova qualcosa di nuovo, ho capito che buttarsi e provarci nonostante la paura di sbagliare è la scelta giusta. Proprio questa filosofia di vita mi ha spinto durante la mia triennale a diventare rappresentate degli studenti per due anni e all’inizio della magistrale fondare insieme ai miei colleghi il progetto UNINTSpeech che quest’anno ci sta portando in giro per l’Italia. Quella che era la mia incertezza iniziale si è trasformata nella mia forza.

Lucia Capriglione

#PeopleOfUNINT

Pubblicato il

Mi chiamo Nisrine, ma per tutti ormai sono Nis. Ho 26 anni (direi che mi sto facendo vecchia), sono un’italiana di origine tunisina, ma a dire il vero sono un bel misto di entrambi i mondi.

Cosa amo fare? Partiamo dal fatto che sono una malata della precisione, tanto che mi son ritrovata a fare la Rappresentante del Corso di laurea magistrale in Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale.
Amo viaggiare, ma ho visto molto poco di questo strano mondo! Sono stata in Erasmus in Marocco, a Casablanca, e me ne sono innamorata follemente. Subito dopo la laurea triennale in Lingue Orientali, son partita alla volta di Tunisi per fare un Master in Diritto dell’immigrazione e mediazione interculturale (titolo talmente lungo che ci ho messo un po’ ad impararlo tutto). Sicuramente penserete “Beh giocavi in casa”, invece no, ho riscoperto una Tunisia che nel bene e nel male mi ha aperto un mondo.
Ed è stato grazie al Master che poi ho capito cos’era quello che avrei voluto fare: Investigazione, criminalità e sicurezza internazionale.

Quello che mi interessava e che tuttora mi interessa di più è il campo migratorio. Vuoi un po’ per le mie origini, vuoi gli studi approfonditi che ho fatto sui migranti, in particolare donne e bambini, la mia lotta per la tutela dei diritti umani si è fatta sempre più viva.
Così ho iniziato questo percorso, senza sapere in realtà quali strade mi aprirà.

Forse sarà la mia testardaggine, la mia organizzazione quasi ossessiva e la mia disponibilità ad aiutare sempre l’altro a darmi un aiuto in più.
Tutti pregi o difetti che mi hanno portato oggi a essere oltre alla Rappresentante anche la Responsabile della Radio, la Segretaria di Athena (l’associazione Studentesca) e dulcis in fundo la Social Media Manager di alcuni dei progetti Unintrapredenza!