#FACCIAMOILPUNTO

Pubblicato il

PUÒ UNA RIVOLUZIONE DAVVERO ESSERE LA NOSTRA SOLUZIONE?

Napoli, 23 ottobre. Quella che doveva nascere come una manifestazione pacifica di ristoratori ed imprenditori contro le nuove misure di contenimento imposte da De Luca, si trasforma in poco tempo in un vero e proprio caos. Lanci di bottiglie, petardi, fumogeni, auto e vetrine distrutte, poliziotti e giornalisti presi d’assalto: ‘ ‘a salute è ‘a primma cosa, ma senza sorde nun se cantano messe’. Le immagini che abbiamo visto di Napoli, un po’ ci hanno scosso, un po’ indignato, un po’ preoccupato: la verità è che, per quanto possiamo rigettare la violenza nella sua forma più primitiva, in quella situazione ci siamo sentiti un po’ tutti napoletani. Ci siamo sentiti il ristoratore arrabbiato con l’acqua alla gola che richiede aiuti allo Stato; ci siamo sentiti il poliziotto aggredito senza sapere bene il perché; ci siamo sentiti il cittadino rimasto a casa ad osservare la propria città in balia della violenza. A partire da quel venerdì sera, alcune cose sono cambiate. L’Italia, da Torino a Catania, si è accanita contro il coprifuoco, contro la possibilità di un nuovo lockdown e contro il proprio Governo. Alcune manifestazioni sono pacifiche, organizzate ed approvate dai Comuni, ma al contempo altre si trasformano in vere e proprie guerriglie, come l’episodio di Piazza Castello a Torino. I manifestanti ‘aventi diritto’ di Torino vengono oscurati nella notte del 26 ottobre da una banda di anarchici e ragazzetti; via Roma viene messa a ferro e fuoco e le vetrine di molti negozi distrutte. Sotto lo slogan ‘#italiasiribella’, il nostro Paese si rivolta.

Fare il punto, alla luce di quello che sta succedendo nelle ultime settimane, significa esaminare attentamente l’evoluzione delle circostanze che ci hanno portato alla situazione attuale. Da una parte, ci sono cittadini e lavoratori italiani che richiedono aiuti e sovvenzioni perché non possono fronteggiare l’imposizione di nuove restrizioni; dall’altra, c’è un Governo che si trova in difficoltà di fronte ad una questione di priorità. Il nuovo dilemma in seno allo stato sociale è legato al fatto che favorire  determinate politiche metta a dura prova il quadro economico del nostro Paese. Chiudere determinate attività, come i bar, i teatri ed i cinema, al fine di cercare di contenere la pandemia, va a colpire determinati settori. Gli imprenditori che fanno parte di queste categorie, si vedono da un giorno all’altro nel mirino delle nuove misure senza però alcun tipo di garanzia. Lo Stato moderno non può non mettere al primo posto la salute dei propri cittadini e non può nemmeno ignorare la situazione economicamente drammatica di questi ultimi.

Ed è proprio all’interno di questo dilemma che ci si trova a dover agire, ma gli ostacoli sembrano insormontabili. Ci sono gravi problemi di coordinamento tra comuni, regioni e governo centrale, grattacapi ai quali i principali attori politici non sembrano avere risposte certe. L’opposizione si fionda irreprensibile contro qualsiasi decisione presa dal Governo. Il pensiero della Destra italiana si riassume all’interno dell’ultimo tweet di Giovanni Toti: ‘solo ieri tra i 25 decessi della Liguria, 22 erano pazienti anziani, persone per lo più in pensione, non indispensabili allo sforzo produttivo del Paese’.

In breve, le violenze a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo sono il frutto di un Paese in ginocchio, un Paese abituato ad avere poca fiducia nei confronti della propria classe dirigente, ma non avvezzo a scendere in piazza e a manifestare. Il famoso droit de grève è uno dei pilastri della Costituzione francese: scendere in piazza al fine di esprimere il proprio dissenso è una pratica diffusa nell’Esagono. La rivoluzione, la rivolta popolare, ha storicamente sempre portato i suoi frutti, ma siamo sicuri che questo tipo di violenza che sta imperversando nel nostro Paese sia davvero la risposta ai nostri problemi? Distruggere locali di privati, aggredire la polizia, porterà davvero a delle soluzioni concrete? Le manifestazioni di Napoli hanno fatto fare dei passi indietro alla Regione Campania nell’immediato, ma al momento siamo in attesa di un nuovo DPCM che proporrà nuove chiusure. 

Mi rivolto, dunque siamo’ disse Albert Camus nei suoi Scritti Politici: l’uomo in rivolta è un uomo che rifiuta di subire, spinto da una forte volontà legata all’impazienza di agire. Quello che resta da stabilire per il nostro Paese è, in via definitiva, se si tratta davvero del momento giusto per rifiutare.

Martina Noero

#POLITICAFFÈ

Pubblicato il

La pesca “affonda” la Brexit?
Il divorzio dal continente inciampa in un ostacolo imprevisto

Stampa inglese

Perché la pesca è così importante nei negoziati commerciali sulla Brexit? Lo chiarisce la BBC.

Il Regno Unito ha lasciato l’Unione Europea il 31 gennaio, tuttavia ci sono ancora alcune norme vincolanti che lo tengono legato al contesto europeo. Una di queste è la politica comune della pesca (PCP), che dovrebbe pesare sugli interessi britannici fino alla fine di quest’anno. Per la precisione, la politica comunitaria consente alle flotte pescherecce dei vari Stati membri di accedere alle acque del Paese, a parte le prime 12 miglia nautiche dalla costa. Ecco perché i sostenitori della Brexit vedono la pesca come il simbolo di quella sovranità che verrà riconquistata. Ma l’UE vuole che l’accesso da parte delle sue imbarcazioni continui a essere garantito. Per questo motivo, i diritti acquisiti sulla gestione della pesca rappresentano una importante questione in sospeso nei negoziati. Complessivamente, oltre il 60% del tonnellaggio proveniente dalle acque britanniche viene raccolto dagli altri Paesi. Cioè, la maggior parte del pescato viene esportato e, circa i tre quarti venduti all’interno dell’UE. Con l’uscita dall’Unione, secondo il diritto internazionale, il Regno Unito diventando ‘Stato costiero indipendente’ potrà controllare la sua zona economica esclusiva (ZEE), che si allunga fino a 200 miglia nautiche nel Nord Atlantico. Quando un Paese è invece membro dell’UE, la propria ZEE è gestita appunto in modo congiunto assieme agli altri membri, proprio perché è considerata una risorsa comune. Inoltre, non si tratta solo di esercitare il controllo su chi può pescare nelle proprie acque, ma anche di dove si può pescare e verso quale luogo il pesce può essere venduto.

The Guardian spiega come la dimensione economica dell’industria della pesca nel Regno Unito rappresenti lo 0,1% dell’intera economia; ciò nonostante per le comunità costiere questa attività è vitale. Un esempio è fornito dalla città di Brixham, nel sud del Devon, che vanta la sua storia di pesca già dal XIV secolo. Brixham è diventata il centro più importante del mercato britannico in termini di valore del pesce venduto e, oltre il 70% del suo pescato viene esportato in Francia, Belgio, Paesi Bassi e Spagna. L’UE è dunque il suo principale cliente. Ma – prosegue il quotidiano – il settore della pesca è indubbiamente in contrazione e molti ritengono che l’adesione all’UE sia la causa principale di questo declino. Infatti, secondo i dati del governo, i pescherecci europei catturano fino a otto volte di più nelle acque del Regno Unito rispetto ai pescatori britannici nelle acque europee.

Una successiva lettera di opinione, indirizzata al giornale britannico e pubblicata prontamente pochi giorni fa, chiarisce ulteriormente le dinamiche di tale peggioramento. In pratica, alla fine degli anni Ottanta, furono messe a disposizione alcune sovvenzioni dall’Europa per l’ammodernamento delle barche e delle attrezzature delle comunità dei pescatori. Tali sussidi, dovevano essere ad ogni modo erogati dai governi nazionali, e il Regno Unito non lo fece. Come conseguenza di tutto ciò, i pescatori britannici, non riuscendo a competere con l’efficienza dei pescherecci più moderni, vendettero le loro quote alle società di pesca francesi, olandesi o spagnole, per preservare gli stock ittici. Così si è espressa Veronica Hardstaff.

Stampa statunitense

Il tempo stringe. La Gran Bretagna sarà ufficialmente fuori dall’Unione Europea il 1° gennaio 2021, ossia tra poco meno di due mesi. Il Primo ministro Boris Johnson si trova ad affrontare una questione inaspettatamente complessa: il diritto dei Paesi comunitari di pescare nelle acque territoriali britanniche dopo l’uscita dall’UE. Politics sottolinea come questa questione possa potenzialmente mettere a rischio l’intera negoziazione post Brexit. Il tutto trova la sua origine nel lontano 1973, quando Londra concesse il diritto ai Paesi limitrofi di pescare nelle sue acque. Questo diritto trova la sua origine nell’entrata della Gran Bretagna nell’antenata dell’attuale Unione Europea, la Comunità Economica Europea.

Come riporta The New York Times, nonostante il mercato del pesce contribuisca per meno dello 0,5% del PIL nazionale, esso si è costruito nel corso degli anni delle solide fondamenta politiche, che sembrano inaspettatamente rappresentare l’ago della bilancia nel dibattito sull’addio all’Europa.

The Washington Post ricorda comeil governo di Boris Johnson ha ad oggi la responsabilità di gestire nelle modo più diplomatico e corretto possibile il rapporto con i cinque Stati europei più interessati alla possibilità di pescare nelle acque britanniche del canale della Manica, del mare del Nord e dell’oceano Atlantico: Francia, Irlanda, Danimarca, Belgio ed Olanda. Per la Danimarca in particolare, le decisioni che verranno prese nel breve futuro determineranno la sopravvivenza di un settore vitale per l’economia del Paese. Ma è la Francia di Macron il paese più deciso a raggiungere a breve degli accordi vincolanti. Infatti il Presidente francese chiede espressamente che dopo il 1° gennaio 2021 non ci siano più limitazioni all’accesso di pescherecci UE in acque britanniche, altrimenti ogni altro accordo con Londra perderà la sua valenza, spiega Foreign Policy.

Sono forse queste le premesse per una “guerra del pesce” tra Gran Bretagna ed Unione Europea? Non è ben chiaro chi abbia il coltello dalla parte del manico, ma le economie di entrambe dipendono l’una dall’altra. Quindi il rapido raggiungimento di un accordo è nell’interesse di tutti.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

Brixham’s fishermen hope Brexit will tip the scales for a shrinking industry disponibile su https://www.theguardian.com/business/2020/oct/17/brixhams-fishermen-brexit-tip-scales-shrinking-industry, consultato il 31/10/2020

Letters: Brtitain at fault for Brexit fishing woes disponbile su https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/oct/25/britain-at-fault-for-brexit-fishing-woes-letters, consultato il 31/10/2020

Fishing: why is fishing important in Brexit trade talks? disponibile su https://www.bbc.com/news/46401558, consultato il 31/10/2020

The Issue That Might Sink the Brexit Trade Talks: Fishing disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/28/world/europe/fishing-brexit-trade-deal.html, consultato il 31/10/2020

Why Fishing Could Sink Britain’s Brexit Deal With Europe disponibile su https://foreignpolicy.com/2020/10/06/why-fishing-could-sink-britain-brexit-deal-with-european-union/, consultato il 31/10/2020

Flanders will use charter from 1666 to guarantee post-Brexit fishing rights disponibile su https://www.politico.eu/article/flanders-waives-century-old-charter-to-guarantee-post-brexit-fishing-rights/, consultato il 31/10/2020

It’s all about the cod. Boris Johnson threatens a no-deal Brexit as Britain and France fight over fish disponibile su https://www.washingtonpost.com/world/europe/brexit-no-deal-fisheries/2020/10/16/2ec812c0-0f21-11eb-b404-8d1e675ec701_story.html, consultato il 31/10/2020

#UNINTSPEECHPRESSREVIEW

Pubblicato il

Il Signore degli Anelli, traduzioni italiane a confronto

Il 30 Ottobre del 2019 è uscita la nuova traduzione del Signore degli Anelli di Tolkien. Abbiamo raccolto pareri, considerazioni, confronti sulla rete per offrirvi una panoramica completa di quali sono stati i criteri delle due traduzioni e quali sono i rispettivi punti di forza e punti deboli.

Presentiamo innanzitutto i due principali protagonisti (per una volta non invisibili): i traduttori.

Vittoria Alliata è stata la prima traduttrice del Signore degli Anelli, libro che affrontò all’età di 15 anni. La sua traduzione de La compagnia dell’anello è stata pubblicata da Astrolabio nel 1967. Tuttavia, questa edizione vendette pochissimo e pochi anni dopo i diritti passarono alla Rusconi. La casa editrice si avvalse della traduzione di Vittoria Alliata, facendola tuttavia revisionare ampiamente da Quirino Principe, prima di pubblicarla nel 1970.

Nei cinquant’anni successivi, l’edizione del Signore degli Anelli sarebbe passata nelle mani della Bompiani e sarebbe stata sottoposta, ciclicamente, a ulteriori piccole revisioni. Quando, nel 1974, era ancora nelle mani della Rusconi l’opera avrebbe subito una revisione in cui si sostituiva la parola gnomo con elfo, per esempio. Invece, nel 2003 Bompiani pubblicherà una nuova edizione con l’aiuto della Società Tolkieniana Italiana, sempre con la traduzione Alliata-Principe, ma in cui erano stati corretti diversi refusi e orchetti veniva sostituito con orchi. Recentemente, la Bompiani ha ingaggiato un traduttore professionista, Ottavio Fatica, per ritradurre Il signore degli anelli.

Molti di voi ricorderanno la famosa poesia dell’Anello, presente anche all’inizio della versione cinematografica di Peter Jackson. Eccone i tre versi finali:

Poesia originale Traduzione Alliata Traduzione Fatica
“One Ring to rule them all.
One Ring to find them,
One Ring to bring them all and in the darkness bind them
In the Land of Mordor where the Shadows lie.”
Un Anello per domarli,
un Anello per trovarli,
Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli,
Nella Terra di Mordor, dove l’Ombra cupa scende.
Un Anello per trovarli,
Uno per vincerli,
Uno per radunarli e al buio avvincerli
Nella Terra di Mordor dove le Ombre si celano.

Nell’insieme, la traduzione della trilogia realizzata da Ottavio Fatica è tendenzialmente più vicina al testo originale rispetto a quella di Vittoria Alliata. Qui, però, si nota una certa libertà nell’inversione dei verbo “trovarli” e “vincerli”. Nonostante si crei un certo effetto da parte del lettore abituato alla versione di Alliata (così come a quello abituato alla versione cinematografica), estraneo alla musicalità della nuova traduzione, possiamo dire che il nuovo poema funzioni.

Allora come mai tanta controversia per la nuova traduzione?

Un aspetto chiave è quello dei nomi. Fatica segue con cura quella che è la Guide to the Names in The Lord of the Rings scritta personalmente da Tolkien per i traduttori.

Quelli che erano Grampasso, Samvise diventano Passolungo e Samplicio. In particolare, rimanendo incuriositi da quest’ultimo cambiamento, potremmo andare all’Appendice F per scoprire il nome hobbit di Sam: Banazîr, che significa half-wise, simple, reso da Tolkien con Samwise rifacendosi all’Anglosassone samwís. Quindi, con Samplicio Fatica riesce a rendere il significato e la sfumatura del nome (rimandando a un personaggio semplice), ma allo stesso tempo lo adatta nella lingua finale così come era desiderio di Tolkien. Al contrario, il nome Samvise della prima traduzione non avrebbe alcun legame con il significato originale e non indurrebbe il lettore a capirlo. Tuttavia, ricordiamo che la versione di Alliata era stata approvata dallo stesso Tolkien, che ne era rimasto soddisfatto.

Tra le scelte contestate ad Alliata da Fatica troviamo quella del “Gaffiere”, soprannome calco dell’originale Gaffer, però inesistente in italiano.

Inoltre, tra le due traduzioni c’è una differenza che si percepisce immediatamente: il registro linguistico. Leggendo la trilogia di Tolkien in lingua originale vediamo che gli hobbit parlano tra loro con un linguaggio molto colloquiale (vedi Sam, che però si sforza di parlare forbito con Frodo e Gandalf, con un risultato comico), ma il linguaggio diventa improvvisamente ricercato quando si rivolgono agli Elfi e così via.

Un esempio, quando nei libri Sam parla con il suo amato cavallino:

Originale Alliata Fatica
Bill, my lad,’ he said, ‘ you oughtn’t have took up with us. You could have stayed here and et the best hay till the new grass comes Bill, ragazzo mio», disse, «hai fatto male a venir con noi. Saresti potuto rimaner qui a masticare il miglior fieno del mondo fin quando spunta l’erba fresca   Bill, ragazzo mio,” disse, “non avresti dovuto metterti con noi. Potevi startene qui a manducare il meglio fieno fino a quando non rispunta l’erba fresca.

La versione di Fatica presenta un Sam giardiniere che parla un linguaggio più basso, senza pretese. Quella di Alliata invece trasmette l’immagine di un Sam colto, elegante.

Per concludere, non c’è dubbio che la traduzione di Alliata abbia offerto agli italiani una trilogia che ricorda il genere cavalleresco, con un registro costantemente elegante e ricercato, un lavoro di altissimo livello (ricordiamo che iniziò a tradurlo quando aveva solo 15 anni). Non siamo sicuri che sia sempre stata la scelta migliore, trovandoci a volte più vicini alla traduzione di Fatica, ma vi lasciamo il beneficio del dubbio.

Una curiosità: ecco i versi della poesia dell’Anello che avete trovato anche all’inizio dell’articolo, scritti nel linguaggio nero, la lingua di Mordor:

«Ash nazg durbatulûk, ash nazg gimbatul,
ash nazg thrakatulûk, agh burzum-ishi krimpatul.»

Nazg si traduce con anello, da qui i Nazgûl (nazg = anello; ûl = spettro).

Marco Riscica

Fonti:

#POLITICAFFÈ

Pubblicato il

La Spagna supera il milione di casi Dichiarato lo stato di emergenza

Stampa spagnola

Un’emergenza indica una situazione di difficoltà o di pericolo a carattere tendenzialmente transitorio. E la situazione giuridica che deriva dall’accertamento ufficiale di tale condizione di gravità assume denominazioni specifiche, a seconda dei presupposti e degli effetti giuridici.

Nell’ordinamento spagnolo, l’articolo 116 della Costituzione del 1978 invia a una ‘Ley Orgánica’ (varata pochi anni dopo, la 4/1981) la disciplina dei tre stati eccezionali previsti (alarma, excepción, sitio). Secondo questa legge, l’«estado de alarma» ˗ il più blando dei tre – è il migliore per fronteggiare una circostanza epidemica (su tali temi sì è tenuto un convegno alla UNINT, i cui atti sono consultabili su www.dpceonline.it).

Ebbene, il premier spagnolo Pedro Sánchez, ha dichiarato nel fine settimana tale stato di emergenza per fronteggiare la nuova ondata di contagi da coronavirus. Ad ogni modo, il decreto governativo ha una durata limitata di 15 giorni; per la proroga è necessaria, infatti, una successiva autorizzazione del Congresso dei Deputati.

El País specifica che il coprifuoco, stabilito dal nuovo decreto, si estenderà dalle 23:00 alle 06:00 del mattino in tutta la Spagna, ad eccezione delle Isole Canarie. Inoltre, i governi autonomi hanno la possibilità di limitare l’ingresso e l’uscita delle persone nei propri territori. Ancora poca chiarezza c’è riguardo alle leggi che verranno utilizzate per sanzionare il mancato rispetto delle nuove misure. Gli esperti legali del quotidiano ipotizzano che molto probabilmente si andrà a fare riferimento alla ‘Ley Orgánica 4/2015’, che ha come oggetto quello di tutelare la sicurezza dei cittadini, e a cui è stato fatto richiamo durante la prima ondata.

Ciò che ha spaventato di più i cittadini e che sta creando maggiore attrito nell’area decisionale, è la volontà del Governo di prolungare lo stato di emergenza per i prossimi sei mesi. Il Partido Popular (PP) si è fatto portavoce di questo dissenso. Il leader del movimento Pablo Casado ha, infatti, avanzato due richieste per sostenere la decisione governativa. La prima, che lo stato di emergenza venga protratto per un massimo di otto settimane. La seconda, che l’Esecutivo elabori un ‘piano B’, ossia una modifica normativa per approvare restrizioni sugli spostamenti senza che venga attivato questo strumento costituzionale. Anche gli altri partiti di opposizione stanno esercitando pressioni affinché la durata venga modificata. Ciudadanos ha definito eccessiva tale decisione: Inés Arrimadas ha dichiarato che procederà verso una negoziazione dei termini.

Dal canto suo, il Governo si dichiara fermo rispetto alla sua decisione. E la richiesta di autorizzazione per la durata dei sei mesi dovrebbe essere approvata proprio oggi 29 ottobre.  

El Mundo fa sapere che sul versante economico, Pablo Casado ha chiesto ancora una volta una riduzione generale delle tasse. Puntando in particolare, alla riduzione dell’IVA sulle mascherine. Casado ritiene, infatti, che per affrontare nel migliore dei modi le conseguenze della pandemia, sia necessario avere una certa flessibilità e pagare meno tasse.

Il giornale economico Expansión si preoccupa di porre l’accento sulle esigenze degli imprenditori. Durante il 23° Congresso Nazionale delle Imprese Familiari tenutosi a Madrid, i presenti hanno chiesto che il Governo proceda con importanti accordi politici e riforme strutturali. Non a caso, secondo un’indagine condotta dall’ente imprenditoriale IEF, il 53% degli industriali è convinto che recupererà i precedenti livelli di fatturazione non prima del primo o secondo trimestre del 2022.

Stampa statunitense

Sono settimane difficili quelle che stanno affrontando i governi dei Paesi europei a causa del Covid-19. Domenica scorsa il Governo spagnolo ha dichiarato lo stato di emergenza dopo aver superato il milione di casi la settimana passata. In Francia, dove le morti stanno aumentando poiché gli ospedali stanno avendo difficoltà nel gestire un numero di pazienti costantemente e vertiginosamente in aumento, il governo si trova a dover studiare nuove misure per contenere questa seconda ondata. Allo stesso modo l’Italia, il primo paese europeo ad aver imposto un lockdown generale all’inizio dello scoppio di questa pandemia, sta andando incontro a nuove restrizioni volte ad evitare l’imposizione di una seconda chiusura.

Come riporta The New York Times, la Spagna, oltre ad aver dichiarato lo stato di emergenza, ha ordinato un coprifuoco esteso a tutto il territorio nazionale a partire dalle 23 fino alle 6, ad eccezione delle Isole Canarie, dove ad oggi si sono registrati pochi casi. La scorsa settimana la Spagna è divenuta il primo paese europeo ad aver superato il milione di casi confermati. Per questo motivo il Primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez, ha chiesto al Parlamento di approvare lo stato di emergenza fino a maggio 2021.

In Francia, i numeri continuano a crescere e si è raggiunto il record di più di 50 000 casi registrati in una sola giornata. Anche qui è stato imposto un coprifuoco per evitare lo spostamento dei cittadini almeno in orario notturno.

Racconta Bloomberg che l’Italia, che detiene ancora il triste primato di Paese con il numero maggiore di morti in Europa, ha aumentato le restrizioni e ha disposto la chiusura anticipata di bar e ristoranti e quella totale di palestre, piscine, teatri, cinema e discoteche. Per il prossimo mese bar, pub, gelaterie, pasticcerie e ristoranti potranno rimanere aperte al pubblico nei fine settimana, ma dovranno rispettare la chiusura alle 18. Il governo italiano ha raccomandato ai cittadini di aumentare il lavoro da casa e di non lasciare le proprie abitazioni se non per lo stretto indispensabile. 

Abc News riporta le parole di Sánchez il quale descrive la situazione spagnola come “estrema” e specifica che non è previsto alcun confinamento in casa dei cittadini durante lo stato d’emergenza. Il Primo ministro ha rinnovato il suo invito alla popolazione di rimanere in casa e, nel tentativo di stimolare la responsabilità collettiva, ha ribadito che tutti sanno come devono comportarsi in questa situazione di crisi. Le autorità vogliono evitare un secondo e completo lockdown perché ci sarebbero inevitabilmente delle ripercussioni severe sull’economia già in crisi. Infatti, la Spagna è entrata in una fase di recessione e sono centinaia di migliaia i posti andati persi a causa della pandemia. Il Primo ministro ha sottolineato la necessità di salvaguardare sia la salute dei cittadini sia l’economia del Paese.

Che cosa dice l’opposizione? Reuters riporta lo scontento del partito conservatore Partido Popular di Pablo Casado e del partito di centro-destra Ciudadanos di Inés Arrimadas. Il primo ha affermato che il suo partito è favorevole alla dichiarazione dello stato di emergenza ma per una durata di otto settimane e non di sei mesi. Nel suo messaggio a reti unificate, Sánchez ha specificato che lo stato di emergenza dovrà durare sei mesi perché è questo il tempo necessario secondo gli esperti per superare questa seconda ondata e la fase più pericolosa di questa pandemia. Evidentemente il Primo ministro faceva riferimento al fatto che al momento non esiste né un vaccino né un farmaco specifico per sconfiggere la malattia. Quindi, si può interpretare la dichiarazione dello stato di emergenza come un altro tentativo di vincere questa corsa contro il tempo, cercando di limitare la diffusione del virus tra la popolazione, sperando che la comunità scientifica riesca a trovare una cura o un vaccino nel minor tempo possibile. 

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti:

Casado se abre a apoda el estado de alarma si dura solo ocho semanas y se aprueba un plan b jurídico disponibile su https://elpais.com/espana/2020-10-26/casado-se-abre-a-apoyar-el-estado-de-alarma-si-dura-solo-ocho-semanas-y-se-aprueba-un-plan-b-juridico.html, consultato il 26/10/2020

Un estado de alarma que devuelve el protagonismo a la ‘ley mordaza’ disponibile su https://elpais.com/espana/2020-10-26/un-estado-de-alarma-que-devuelve-el-protagonismo-a-la-ley-mordaza.html, consultato il 26/10/2020

Pablo Casado propone un estado de alarma de ocho semanas per el Gobierno insiste en seis meses disponibile su https://www.elmundo.es/espana/2020/10/26/5f96b84ffdddffd3858b4616.html, consultato il 26/10/2020

Los empresario piden al Gobierno reformas de calado y acuerdos políticos para recuperar la confianza tras la crisis disponibile su https://www.expansion.com/economia/2020/10/26/5f969df5468aeb922c8b45e5.html, consultato il 26/10/2020

For Europe, the numbers keep climbing disponibile su  https://www.nytimes.com/live/2020/10/25/world/covid-19-coronavirus-updates/for-europe-the-numbers-keep-climbing, consultato il 28/10/2020

Spain’s COVID-19 state of emergency faces backlash disponibile su https://www.reuters.com/article/us-health-coronavirus-spain-idUSKBN27B1Q2, consultato il 28/10/2020

Europe Steps Closer to Lockdown-Level Curbs in Italy and Spain disponibile su https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-10-25/italy-spain-move-to-extend-restrictions-as-virus-cases-surge, consultato il 28/10/2020

Spain orders nationwide curfew to stem worsening outbreak disponibile su https://abcnews.go.com/Health/wireStory/spain-pm-works-state-emergency-curb-outbreak-73814670, consultato il 28/10/2020

#UniversEAT

Pubblicato il

MUFFIN ALLA GRICIA

Ciao ragazzi, sono di nuovo io, la vostra Sandra!

Oggi ci trasferiamo sul salato e vi porto una ricetta velocissima e perfetta per assaporare uno dei piatti tipici della cucina romana sotto un’altra forma.

Prima che arrivino commenti del tipo “SACRILEGIOOO LA GRICIA NON SI TOCCAAA!!” vi dico che sono romana anche io e anche che dovete provare per credere!

Bando alle ciance e ciancio alle bande: iniziamo subito!

  • 250g di farina 00
  • 2 uova
  • 200 ml di latte
  • 1 bustina di lievito per salati (sono 16g di solito)
  • 200g di guanciale
  • 60 ml di olio di semi di arachide
  • 30-60g di pecorino grattugiato (io sono andata a occhio e a gusto)
  • 20g di parmigiano grattugiato
  • q.b. di pepe
  • 2g di sale

Ottimo, adesso tutti con le mani in pasta!

  1. In una ciotola bella capiente mettete le uova, il latte, la farina e l’olio di semi;
  2. Mescolate il tutto con una frusta fino a che non vedrete più grumi;
  3. Unite quindi il lievito ed assicurativi sempre che non ci siano grumi;
  4. A questo punto unite il sale, il pepe, il parmigiano, il pecorino e mescolare bene. Assaggiate quello che è venuto e vedete se aggiustare di sapore (ricordatevi che c’è il lievito e che quindi avrà un sapore “strano”);
  5. Per ultimo aggiungete il guanciale e mescolate con un cucchiaio o una spatola in modo da non distruggere i pezzi di guanciale;
  6. Ungete uno stampo per muffin (a me ne sono usciti 10) e versate il composto fino a poco più della metà, non di più perché altrimenti straboccano;
  7. Infornate a 180° per 20 minuti (ricordatevi la prova dello stecchino!!);
  8. Fate intiepidire e togliete dallo stampo le vostre creazioni.

I muffin verranno morbidissimi e il guanciale cotto a puntino (per questo non è stato precotto in padella prima di aggiungerlo al composto).

Siete pronti a pasticciare? 3…2…1… UNINT AI FORNELLI!

Ricordatevi di farci vedere le vostre creazioni, vi aspettiamo!!

Alessandra “Sandra” Alfano

#FAIRPLAY

Pubblicato il

Il gioco che affascina sempre di più: il PADEL

Oggi vi parlerò di uno sport particolare: il padel.

Anzitutto partiamo dalla nascita di questo sport che avvenne in Messico in quelli che sono ricordati come gli anni ’70. Qui, un abitante del posto (Enrique Corcuera) decise di sfruttare in qualche modo l’area che circondava la sua dimora in modo da poter giocare a Tennis; tuttavia si rese conto che lo spazio a disposizione era ridotto rispetto ad un campo regolamentare e dunque, questa riduzione e impiego di muri a ridosso del campo provocò la creazione di un campo del tutto particolare. Una volta costruito il campo, compose il gioco e lo chiamo Padel.

La diffusione iniziò a superare i confini messicani arrivando in Spagna, dove avvenne una propria espansione di questo sport grazie all’intervento di un principe che nel suo hotel di lusso di Marbella si fece costruire un campo con le stesse caratteristiche di quello fatto dal messicano. Da questo progetto di campo derivò un’ampia conoscenza e praticabilità dagli ospiti di tutto il mondo che permanevano lì.

Fino all’inizio degli anni ’80, il Padel era un gioco di élite e solo quando diversi viaggiatori presero l’iniziativa, una volta tornati nel loro paese di origine, di far costruire dei campi e garantire una maggiore visibilità in ampia scala internazionale. Si può affermare come vero sport a partire dagli anni ’80: successivamente all’espansione in Spagna, arrivò in Brasile, Argentina, Francia e USA. Questo dato è importante poiché, ci fa comprendere il perché nelle classifiche della World Padel Tour ci troviamo invasi di giocatori con nazionalità maggiormente spagnoli e latino-americani.

Arrivò nel nostro territorio nazionale solo nel 1991, con lo scopo di sensibilizzare e promuovere questa disciplina e solo nel 2008 venne riconosciuto dal C.O.N.I attraverso l’introduzione del settore Padel nel ramo della Federazione Italiana Tennis (FIT). Dal 2013, larga propagazione di campi nella capitale. Di recente, la piattaforma italiana Sky, ha acquistato i diritti televisivi per la trasmissione delle tappe del World Padel Tour.

Il campo è composto da pannelli di vetro, di rete metallica (da non confondere con la rete che divide le due parti del campo) e di due porte laterali. Questi elementi in campo rendono una maggior fluidità durante lo svolgimento del gioco facendo non uscire la pallina dal terreno (tranne qualche volta che può risultare andare fuori una volta che ha rimbalzato sul campo, ad esempio, dopo uno smash, e qui il giocatore deve essere abile nella lettura della pallina ed uscire dalla porta laterale nel tentativo di rimetterla in gioco). I pannelli colpiti risultano validi solo se prima la pallina ha rimbalzato prima sul terreno di gioco.

Si gioca tramite l’uso di una racchetta chiamata “pala”, più piccola rispetto ad una di tennis e con un piatto composito di forellini. In quanto alla pallina, è di minima differenza con quella del tennis, ovvero, quella usata per il Padel è con meno pressione al loro interno. Il punteggio è come nel tennis e occorrono 4 giocatori.

Ed ora, tu lettore se non hai ancora provato questo sport cosa aspetti a farlo?? Ti assicuro che il divertimento è assicurato.

#dontbelazybeactive

Aldo Landini

#MondayAbroad

Pubblicato il

#MondayAbroad se chiudo gli occhi sono a… San Pietroburgo!

Cari amici e colleghi,

continuano a essere tempi duri per chi, come noi, ha questo grande desiderio di evadere dalla realtà quotidiana disperdendosi in una delle infinite mete che il mondo ci offre.

Tra le nuove misure di contenimento e l’arrivo della stagione sempre più invernale, è sempre più prorompente la voce che riecheggia dentro alle nostre teste: quando torneremo a viaggiare con l’adeguata spensieratezza che un tempo ci caratterizzava?

Ovviamente, non so la risposta certa, ma so che se stringiamo i denti e ricordiamo l’importanza di pochi semplici gesti (tra questi l’utilizzo della mascherina e un corretto lavaggio delle nostre mani), i nostri occhi potranno meravigliarsi nuovamente e al più presto degli spettacoli che ci offre il nostro pianeta.

La mia vittima di oggi è Cristiana, la responsabile della nostra Radio d’ateneo.

Cristiana è una ragazza brillante e solare; chiacchierare con lei è sempre un gran piacere, sia per le sue capacità d’argomentazione, sia per la sua musicalità innata.

Quando le ho proposto di partecipare alla rubrica, non ha avuto dubbi sulla meta da prediligere: parliamo di San Pietroburgo, signori miei!

Il viaggio le è rimasto a tal punto nel cuore, che ha deciso di scrivere lei il suo #Monday e io, da emozionata spettatrice di un ricordo che più che questo mi ricorda un bellissimo sogno, non posso che lasciarvi alle sue preziose parole.

“Non so se sia stato un caso oppure il cosiddetto destino, ma un motivetto ridondante nella mia infanzia recitava così:

Sembra come un attimo, dei cavalli s’impennano.
Sento quella melodia nella memoria mia.
Forse un giorno tornerò; il mio cuore lo sente!
Ed allora capirò il ricordo di sempre.
Ed un canto vola via;
quando viene Dicembre“.

La domenica era una tappa fissa riguardare questo cartone con mia madre, è il nostro cartone! Quindi la Russia, la sua storia e la magia dei suoi luoghi credo mi abbiano sempre accompagnata.

Ivan il Tempestoso (perché è così che si traduce, signori miei!), Pietro il Grande, Caterina la Grande, Nicola II: tutti fantasmi, provenienti dalla Russia del passato, che hanno fatto da protagonisti nella stesura della mia prima tesi.

Tuttavia, è dalla canzone sopramenzionata che voglio iniziare a raccontarvi del mio viaggio a San Pietroburgo, in particolare rifacendomi all’immagine di quei “cavalli che s’impennano”.

Nella fotografia allegata all’articolo, al di là del soggetto principale assai discutibile, sullo sfondo si vede la statua dedicata a Pietro Il Grande, denominata “Medny Vsadnik” (cavaliere di rame) anche se in realtà è di bronzo!

Il cavallo, simbolo del vigore dei combattenti dell’antica Roma, si dirige verso la Svezia e questo perché a quel tempo era dagli svedesi che la città stava proteggendosi: e si dice persino che, finché quella statua resterà a San Pietroburgo, la città e la Russia tutta non subirà mai alcuna sconfitta!

Quella dei cavalli è un’immagine che si ripete e ripete a San Pietroburgo; persino ai lati di alcuni dei suoi ponti, sul Neva!

Ah…il Neva! Camminare sui ponteggi ti faceva raggelare anche le punte dei capelli, ma il freddo di San Pietroburgo riesce a scaldarti il cuore. Anche il tea e le vellutate di zucca fanno la loro parte!

È stato il mio primo viaggio in compagnia di quelle che, ancora oggi e da cinque anni a questa parte, considero le mie più care amiche; forse anche per questo le lunghe passeggiate, le cene da Gogol’ e all’Eliseevskij (due dei ristoranti più eleganti ed emblematici della città) e la visita alla residenza estiva dei Romanov, Carskoe Selo, mi sono sembrate ancora più belle!

A proposito! Carskoe Selo… Un vero e proprio museo sia all’esterno che all’interno! Mentre ne percorrevo i chilometrici corridoi pensavo: “Dio mio, e pensare che qui Anastasia scorrazzava da una stanza all’altra persino a cavallo di un triciclo!”. Vi lascio immaginare quanto lunghi fossero quei corridoi!

E l’eleganza baroccheggiante delle immense sale, degli abiti esposti, dei vasi, delle rifiniture degli infissi, i giardini ampi a tal punto da far credere a qualunque visitatore di star perdendosi! La Russia è mastodontica e non mi riferisco alla sua estensione territoriale, ma alla grandiosità dei suoi palazzi! In merito posso dirvi questo: ognuno pompa il suo Ego come più ritiene opportuno! Non mi dilungo oltre su questo, magari ne parleremo in separata sede.

Tornando al nostro itinerario, voglio lasciare per ultimo il Palazzo d’inverno; anche se in realtà è stata la prima cosa che abbiamo visitato il giorno dopo essere arrivate!

L’Ermitage non è tanto meraviglioso quanto dicono; lo è molto di più. Già soltanto il fatto che si trovi all’interno del palazzo simbolo di una delle Rivoluzioni più trasformanti della storia lo rende ulteriormente affascinante.

Ma la conclusione del mio racconto di viaggio giunge con un ricordo così tangibile che, ad occhi chiusi, riesco a rivivere quelle immagini come se fossero concrete davanti a me

Avevamo appena finito di visitare una delle ultime sale, stavamo percorrendo i corridoi del museo; camminavamo l’una distante dall’altra perché, come sempre capita, qualcuna si sofferma di più e qualcun’altra di meno sull’una o l’altra opera d’arte.

La sento anche adesso la voce della mia amica Paola che esclama “Oddio, la neve!“. Ho corso: all’interno di un museo dove non si dovrebbe correre io ho fatto uno scatto di sì e no 4 metri per arrivare alla finestra da lei.

E nevicava. E ho versato forse un paio di lacrime perché per me era quella l’opera d’arte più bella; il palazzo d’inverno innevato, un’immagine che avevo sempre sognato.

Per me era quello “il ricordo di sempre”.

Cristiana Petrillo

#POLITICAFFÈ

Pubblicato il

USA: l’Iran e la Russia egemonizzano il dibattito presidenziale.
I due Paesi accusati di gravi interferenze nella campagna elettorale

La United States Intelligence Community (IC) – che comprende 17 agenzie – è stata istituita da Ronald Reagan nel 1981 e rappresenta la struttura che conduce attività di intelligence a sostegno della politica estera e della sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Una successiva riforma ha posto l’IC sotto la supervisione dell’Ufficio del Direttore dell’Intelligence Nazionale (ODNI) il quale è a sua volta amministrato dal Direttore dell’Intelligence Nazionale (DNI).

Stampa inglese

Il Direttore dell’Intelligence Nazionale John Ratcliffe, durante una conferenza stampa annunciata mercoledì 21 ottobre, ha affermato che Iran e Russia hanno ottenuto alcune informazioni sugli elettori statunitensi.

In particolare, l’Iran è responsabile di aver inviato alcune e-mail minacciose agli elettori democratici. Ma sia l’Iran che la Russia negano di aver esercitato interferenze di questo tipo – spiega la BBC. Il portavoce del Ministero degli Esteri iraniano Saeed Khatibzadeh ha dichiarato che per l’Iran è indifferente quale candidato riuscirà a emergere come il prossimo presidente degli Stati Uniti. E il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, che ha parlato proprio ai microfoni della BBC, ha commentato la vicenda dicendo che queste accuse sono tutte completamente infondate. Ratcliffe ha spiegato che le ‘e-mail contraffatte’ dell’Iran, in cui si intimava di votare per Trump, sarebbero state spedite agli elettori degli Stati oscillanti – tra cui Florida e Pennsylvania – in modo da creare disordini e danneggiare il Presidente Trump. Non a caso, le e-mail in questione sembravano provenire dal gruppo di estrema destra Proud Boys. 

The Telegraph spiega che l’Iran avrebbe potuto appropriarsi, molto semplicemente, degli indirizzi di posta elettronica ottenuti dagli elenchi di registrazione degli elettori statali. Che includono appunto, l’affiliazione al partito, gli indirizzi di casa e, ove possibile, gli indirizzi e-mail e i numeri di telefono. Per di più, sempre l’Iran sarebbe responsabile di aver diffuso un video che ammoniva gli americani sulla presenza di truffe nel voto. Ossia, hanno fatto credere che sarebbero giunte dall’estero schede fraudolente.  

Tuttavia, i democratici hanno criticato l’enfasi di Ratcliffe posta sul fatto che l’Iran stesse diffondendo disinformazione con lo scopo di danneggiare Trump – così The Guardian. Infatti, hanno prontamente etichettato il Direttore dell’Intelligence come un “partisan hack”, un termine solitamente utilizzato per disprezzare un membro affarista dell’apparato di un partito politico. 

Stampa statunitense

A poco più di una settimana dalla chiamata alle urne per i cittadini statunitensi, torna vivo il dibattito sull’influenza straniera sulle elezioni presidenziali. Il direttore dell’intelligence nazionale John Ratcliffe ha affermato che sia la Russia che l’Iran hanno ottenuto informazioni importanti riguardo la registrazione degli elettori statunitensi con l’obiettivo di interferire nelle elezioni presidenziali statunitensi. Così spiega The New York Times in seguito alla conferenza con la stampa che si è tenuta la scorsa settimana. In quell’occasione, affiancato da Chris Wray, il direttore della FBI, Ratcliffe ha sostenuto che l’Iran è responsabile di aver condotto e di condurre ancora una campagna e-mail spacciandosi per il gruppo di estrema destra Proud Boys (gruppo notoriamente visto di buon occhio da Trump). Sia Wray che Ratcliffe hanno affermato che l’obiettivo di queste operazioni è duplice: comunicare false informazioni agli elettori registrati e creare confusione per minare la fiducia nella democrazia statunitense.

ABC News riporta l’appello di Ratcliffe rivolto ad ogni americano: “Chiediamo ad ogni americano di fare la sua parte per difenderci da quelli che ci vorrebbero danneggiare”. Il direttore ha accusato in particolar modo l’Iran di condurre operazioni volte a compromettere il normale svolgimento delle elezioni presidenziali, diffondendo informazioni false che generano confusione e dubbi tra gli elettori circa la sicurezza e la democraticità delle elezioni. Ratcliffe ha accusato l’Iran di ottenere dati su coloro che andranno a votare per seminare confusione in vista delle elezioni di novembre. Le accuse di Ratcliffe rivolte alla Russia riprendono anche i fatti del 2016, ossia l’interferenza russa nelle elezioni presidenziali a favore dell’attuale Presidente Trump. Tuttavia, rispetto all’attività svolta dall’Iran, non si registra lo stesso livello di “attacchi” da parte russa.

La motivazione di Teheran a condurre tali attività è guidata dalla percezione diffusa che la rielezione del Presidente Trump potrebbe comportare il persistere della pressione statunitense sull’Iran con il fine di condurre ad un cambiamento di regime nel Paese, sottolinea USA Today.  Inoltre, Ratcliffe ha evidenziato come gli analisti di intelligence abbiano registrato un minor livello di attività da parte della Russia, ribadendo  che anche questo Paese è riuscito ad ottenere informazioni rilevanti sugli elettori. Il direttore ha aggiunto che queste azioni sono “disperati tentativi messi in atto da avversari disperati”, per sottolineare il fatto che l’intelligence statunitense ha la situazione sotto controllo.

A tal proposito, la CNN riprende la dichiarazione rilasciata la scorsa estate da William Evanina, il direttore del Centro nazionale di controspionaggio e sicurezza degli USA. Quest’estate la stampa internazionale ha spesso parlato di Cina, Iran e Russia riferendosi alla minaccia che questi tre Stati stavano ponendo alle elezioni presidenziali del 2020. Lo scorso agosto, Evanina aveva affermato che quasi certamente l’Iran aveva adottato un comportamento simile per paura di una seconda rielezione di Trump, poiché potrebbe avere ripercussioni sul regime iraniano. Il direttore riferendosi poi alla Russia aveva sottolineato che il Paese aveva messo in campo una serie di tecniche per denigrare l’ex Vicepresidente Joe Biden e il suo establishment apertamente anti-russo, giacché durante l’amministrazione Obama offrì supporto all’Ucraina e all’opposizione contro Putin all’interno del Paese.

A poco più di una settimana dal voto e conclusosi anche l’ultimo dibattito tra l’attuale Presidente in carica ed il suo sfidante, ci si domanda quanto queste strategie possano effettivamente influenzare gli elettori al momento del voto. Iran e Russia riusciranno ad avere l’impatto desiderato e condizionare i risultati? Attraverso e-mail false e attacchi informatici riusciranno a minare la fiducia del cittadino medio statunitense nel sistema democratico del suo Paese?

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI:

FBI says Iran and Russia have US voter information disponbile su https://www.bbc.com/news/election-us-2020-54640405, consultato il 23/10/2020

Iran and Russia are trying to influence the US election, FBI warns disponibile su telegraph.co.uk/news/2020/10/22/us-intelligence-officials-sayiran-sent-emails-intimidating-american/, consultato il 23/10/2020

Russia and Iran obtained US voter data in bid to sow unrest before election, FBI warns disponibile su https://www.theguardian.com/us-news/2020/oct/21/russia-iran-us-voter-data-security-fbi-election, consultato il 23/10/2020

Feds say Russia and Iran have interfered with the presidential election disponibile su https://edition.cnn.com/2020/10/21/politics/fbi-election-security/index.html, consultato il 22/10/2020

FBI announces Russia, Iran have obtained US voter information and are attempting to influence the 2020 election disponibile su https://www.abc.net.au/news/2020-10-22/fbi-russia-iran-influence-2020-election/12801440, consultato il 22/10/2020

Iran, Russia obtained voter registration info to sow confusion in presidential election, US officials say disponibile su https://eu.usatoday.com/story/news/politics/elections/2020/10/21/john-ratcliffe-iran-russia-interfering-presidential-election/3721622001/, consultato il 22/10/2020

Iran and Russia Seek to Influence Election in Final Days, U.S. Officials Warn disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/21/us/politics/iran-russia-election-interference.html, consultato il 22/10/2020

#UNINTSpeechPressReview

Pubblicato il

L’incredibile storia di Richard Simcott

Parlare decine di lingue, saper interagire fluentemente in inglese, finlandese o cinese, imparando (quasi) senza sforzo: è il sogno di ogni studente di lingue. Naturalmente, per la maggior parte degli studenti, ottenere dei risultati richiede grande sforzo e costanza. Ma cosa significa davvero “padroneggiare una lingua, e quante se ne possono imparare?

L’intelligenza umana, si sa, ha un potenziale enorme, ma quello che forse non tutti sanno è che nel mondo esistono delle menti geniali, capaci di far invidia anche ai linguisti più affermati: gli iperpoliglotti. Il termine iperpoliglotta viene introdotto dal linguista Richard Hudson per indicare un individuo che padroneggia almeno undici lingue. Tra gli iperpoliglotti più famosi della storia ricordiamo l’archeologo Heinrich Schliemann, scopritore delle rovine della città di Troia che parlava circa 15 lingue e Ludwig Lejzer Zamenhof, medico e linguista polacco nonché padre dell’esperanto. La domanda sorge spontanea: (iper)poliglotti si nasce o si diventa? Dal punto di vista neurologico, recenti studi hanno aperto nuove possibilità per decifrare i processi cerebrali coinvolti nell’apprendimento linguistico.

È stata ormai appurata l’esistenza del cosiddetto “periodo critico”, ovvero la fase di massima plasticità neurale in cui il bambino riesce ad acquisire una o più lingue in modo inconscio e spontaneo, poiché in età infantile il cervello umano è in grado di sfruttare al massimo le sue potenzialità. Una volta superata questa fase, l’apprendimento rallenta e diventa intenzionale. Non è quindi ben chiaro come sia possibile che gli iperpoliglotti imparino decine di lingue in età adulta.

Il britannico Richard Simcott è ad oggi uno degli iperpoliglotti più famosi al mondo. Nato nel 1977 in Gran Bretagna da una famiglia monolingue, sin da bambino mostra una grande predisposizione per le lingue, arrivando nel corso degli anni a studiarne oltre 50. Oggi ne parla correttamente 30 tra cui turco, polacco, ebraico, cinese, islandese, macedone ed esperanto, mentre dichiara di riuscire a passare per madrelingua in sei di queste.

Studenti di lingue, non disperate! Alla fatidica domanda “Esiste un metodo per imparare le lingue così bene?” Simcott risponde, naturalmente in perfetto italiano, che la cosa più importante è non avere paura di sbagliare. Gli adulti sentono il peso del giudizio altrui, mentre i bambini imparano più velocemente perché non hanno paura dell’errore. Un altro aspetto fondamentale è avere un obiettivo preciso e realizzabile, non memorizzare inutili liste di parole senza contesto, ma piuttosto imparare a dire ciò che si vuole realmente dire.

Per aiutare poliglotti e amanti delle lingue a incontrarsi, qualche anno fa Richard ha dato il via alla Polyglot Conference, un ciclo di conferenze che si svolgono ogni anno in una città diversa del mondo. “Prima di internet e dei social media – si legge sul sito ufficiale – i poliglotti erano creature solitarie che dedicavano moltissimo tempo allo studio per raggiungere un obiettivo che a molti sembrava bizzarro o insensato. Poi è arrivato internet e tutto è cambiato, la distanza non è più un ostacolo e finalmente poliglotti e amanti delle lingue sono riusciti a riunirsi”.

Oggi Simcott vive a Skopje, nella Macedonia del Nord, con la figlia e la moglie, che parla 11 lingue ed era trilingue già a tre anni. In casa Simcott si parlano quotidianamente francese, inglese, spagnolo, tedesco e macedone. In una recente intervista Richard ha dichiarato: “Parlare una lingua significa capire una cultura diversa, è qualcosa di magico”.

Vanessa Iudicone

Fonti

https://multilinguismoprocessineurologici.files.wordpress.com/2015/06/tesi-di-laurea-paola-ferraiuoli.pdf, consultato il 19/10/2020.

https://www.youtube.com/watch?v=MEv0bAeGylI, consultato il 19/10/2020.

https://www.ilpost.it/2018/09/09/iperpoliglotti/, consultato il 19/10/2020.

https://www.sbs.com.au/language/italian/audio/richard-simcott-iperpoliglotta, consultato il 19/10/2020.

#POLITICAFFÈ

Pubblicato il

Ancora un fallimento dell’Occidente in Africa: il Burkina Faso precipita nel caos

Stampa statunitense

Il Burkina Faso, Paese dell’Africa occidentale senza sbocco sul mare, una volta considerato un esempio di successo nella storia degli aiuti militari statunitensi, oggi si trova a fronteggiare un crescente livello di insicurezza dovuta da sempre più frequenti insurrezioni, una crisi umanitaria in atto e un apparato di sicurezza che, anziché proteggere, colpisce i civili. La situazione viene presentata in modo chiaro da The New York Times. Il Burkina Faso ha lottato a lungo con le difficoltà quotidiane tipiche di un Paese posizionato nella regione subsahariana. Infatti, siccità, desertificazione, colonialismo, colpi di Stato, corruzione, povertà e conflitti etnici sono temi costantemente presenti nell’agenda di Governo. Tuttavia, negli ultimi decenni, mentre i conflitti affliggevano diversi Paesi nella regione – come Liberia, Sierra Leone, Costa d’Avorio e Mali –, il Burkina Faso ha rappresentato un fulcro di stabilità. Prima dell’attuale crisi, la capitale era conosciuta anche perché ospita il più grande e prestigioso film festival di tutto il continente africano, Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou. Per decenni, gli Stati Uniti d’America hanno dimostrato scarso interesse nei confronti di questo Paese oltre all’invio di volontari membri dei Peace Corps e modeste quantità di aiuti umanitari.

In un report sul Burkina Faso Human Rights Watch ha documentato più di 60 uccisioni di civili per mano di Islamisti armati tra la fine del 2017 e l’inizio del 2019 senza includere le 130 uccisioni extragiudiziali delle forze di sicurezza del Burkina Faso avvenute nello stesso periodo di tempo. Queste esecuzioni e altri abusi perpetrati dalle truppe governative hanno avuto luogo in circa 19 occasioni diverse. La direttrice e referente della regione dell’Africa occidentale di Human Rights Watch, Corinne Dufka, ha affermato che non ci sono dubbi circa il fatto che quelle atrocità siano state commesse dai membri delle forze di difesa e sicurezza del Paese. Tra l’altro, il Ministro della Difesa, Chérif Sy, si è rifiutato di rispondere alle ripetute domande circa la sicurezza nazionale.

Alla luce degli eventi appena riportati, il panorama del Paese non sembra prospettare progressi significativi nel futuro prossimo. Che impatto avranno le elezioni presidenziali in Burkina Faso di novembre 2020? Si avranno dei miglioramenti concreti se dovesse cambiare il Presidente?

Stampa inglese

Nell’ultimo decennio il Burkina Faso ha sperimentato una intrinseca fragilità, tanto che l’emergenza umanitaria di questo Paese è diventata tra le più preoccupanti al mondo.

Aumento dei conflitti, insicurezza, governance debole e mancanza di sviluppo sono per The Independent le cause profonde che hanno consentito il rapido deterioramento della situazione. E il sottosegretario generale delle Nazioni Unite Mark Lowcock, ha dichiarato che la condizione allarmante in Burkina Faso, Mali e Niger è il sintomo dell’incapacità di affrontare tutte queste cause di problemi. Lo stato inquietante di questa nazione è dovuto ad alcune problematiche che attanagliano in linea generale, la regione africana del Sahel. Non a caso, un numero record di persone – oltre 13 milioni – necessita di assistenza sanitaria, e tale esigenza è concentrata nelle aree di confine di questi tre Paesi. Peraltro, la maggior parte di loro sono bambini.  

Per comprendere meglio, occorre spiegare che l’insicurezza nella regione del Sahel è iniziata nel 2012 quando un’alleanza di militanti separatisti e islamisti ha preso il controllo del nord del Mali. Da quel momento in poi, le aree centrali e occidentali della regione sono diventate un importante fronte di combattimento nella guerra contro la militanza islamista, a cui hanno partecipato gli statunitensi e gli europei – soprattutto francesi. Tuttavia, dal 2016 la regione del Sahel è stata protagonista di una crescente violenza islamista, perché in quel periodo sono emersi nuovi gruppi armati legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico. Questi militanti hanno approfittato dei confini colabrodo per raccogliere finanziamenti attraverso estorsione e traffico di armi e di esseri umani. Così si sono espansi in Burkina Faso, Mali centrale e Niger. E nell’ultimo periodo si sono verificati diversi scontri tra questi affiliati dello Stato Islamico e di al-Qaeda. In particolare, durante la scorsa primavera, lo Stato Islamico aveva detto di essere stato oggetto di pesanti attacchi da parte del JNIM proprio in Burkina Faso e in Mali. Precisamente, il JNIM è emerso come uno dei rami più letali di al-Qaeda, insieme ad al-Shabab in Somalia – spiega la BBC.

Questa violenza avrebbe raggiunto il suo apice in Burkina Faso nel periodo di tempo compreso tra novembre 2019 e giugno di quest’anno, soprattutto a danno dei civili. Gruppi di decine di cadaveri sono stati trovati legati e bendati lungo le autostrade, sotto i ponti e nei campi – così The Guardian che enuncia un rapporto del Human Rights Watch. Dunque, un Paese trasformato in un campo di sterminio a cielo aperto. In buona sostanza, tale aggressività si è diffusa progressivamente dal nord e dal centro verso l’est del Paese, dove una serie di ripetuti attacchi ha rafforzato l’afflusso degli sfollamenti di massa di migliaia di famiglie.

Sempre il quotidiano britannico, afferma che l’Institute for Economics and Peace (IEP) ha realizzato uno studio secondo cui la crisi climatica e il rapido aumento della popolazione produrranno entro il 2050 un aumento dei flussi migratori verso i Paesi più sviluppati. Il Burkina Faso rientra nella categoria dei Paesi che saranno oggetto di questa fuoriuscita di cittadini, proprio per la combinazione tra alto rischio per le minacce ecologiche e crescita degli abitanti.  

Tralasciando i disastri naturali, su tale crisi umanitaria pesano anche le responsabilità dei Paesi occidentali, il cui marcato interventismo ha finito per esacerbare alcune vicende. Per esempio, le operazioni di Francia e Stati Uniti hanno contribuito a indirizzare i militanti di al-Qaeda verso i confini del Burkina Faso.   

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

Climate crisis could displace 1.2bn people by 2050, report warns disponibile su https://www.theguardian.com/environment/2020/sep/09/climate-crisis-could-displace-12bn-people-by-2050-report-warns, consultato il 21/10/2020

At least 180 civilians killed in Burkina Faso town, says rights group disponibile su https://www.theguardian.com/world/2020/jul/09/at-least-civilians-killed-burkina-faso-town-says-rights-group, consultato il 21/10/2020

Africa’s Sahel becomes latest al-Qaeda-IS battleground disponibile su https://www.bbc.com/news/world-africa-52614579, consultato il 21/10/2020

France summit: Macron and Sahel partners step up jihadist fight disponibile su https://www.bbc.com/news/world-africa-51100511, consultato il 21/10/2020

UN hopes meeting will raise $1 billion for key Sahel nations disponibile su https://www.independent.co.uk/news/un-hopes-meeting-will-raise-1-billion-for-key-sahel-nations-sahel-mark-lowcock-countries-un-nations-b1142756.html, consultato il 21/10/2020

How One of the Most Stable Nations in West Africa Descended Into Mayhem, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/15/magazine/burkina-faso-terrorism-united-states.html, consultato il 20/10/2020

Burkina Faso: Residents’ Accounts Point to Mass Executions, disponibile su https://www.hrw.org/news/2020/07/08/burkina-faso-residents-accounts-point-mass-executions, consultato il 20/10/2020