Migrazioni, media e “immaginazione da spostamento”
Cosa spinge un individuo
a migrare, a insediarsi in una nuova comunità – affrontando tutte le sfide
dell’accettazione – e a radicarsi in un nuovo spazio urbano facendo nascere lì
i propri figli e nipoti?
Lo sforzo di spiegare il
fenomeno migratorio è piuttosto recente e si può far risalire agli anni ’70 e
al desiderio di elaborare modelli teorici secondo due principali prospettive:
una prospettiva macrosociologica, che considera tutte le cause economiche,
politiche e culturali, ed una prospettiva microsociologica che prende invece in
considerazione l’individuo, le sue pulsioni, i suoi desideri ed il benessere a
cui aspira.
La concezione comune del
fenomeno migratorio vede tra le cause principali la povertà del luogo di
appartenenza, la mancanza di lavoro, una sovrappopolazione crescente e – nello
specifico per le migrazioni attuali – una fuga quasi dovuta dalla guerra,
dall’oppressione e da una condizione di miseria. Accanto questi fattori centrali
ce n’è poi un altro, non particolarmente presente nell’opinione comune,
definito dall’antropologo Ugo Fabietti come “immaginazione da spostamento”, per
cui determinate aspettative derivanti dall’uso dei media rappresentano fattori
di spinta per i flussi migratori.
Nel sistema-mondo e col
fenomeno totalizzante della globalizzazione, le aree globali sono continuamente
interconnesse e culturalmente influenzate e, nel caso specifico dell’Italia,
come abbiamo visto anche in tutte le scorse puntate, perdura un rapporto
stretto con le ex colonie e con aree geograficamente e culturalmente vicine,
tra cui soprattutto l’Albania, dove la televisione italiana è sempre molto
presente nella società. L’influsso dell’industria culturale e degli scambi
umani, infatti, non rappresenta soltanto una modalità di evasione ma diventa
una parte determinante della vita quotidiana; un individuo, anche collocato in
una zona lontana da grandi snodi geografici, è connesso a una realtà globale
più ampia e può crescere a contatto con la letteratura, la storia e la
televisione di un dato Paese, sentendosi legato ad esso da una profonda
connessione culturale.
Il boom della tecnologia
– la diffusione capillare della televisione, della parola, della radio, delle
connessioni in ogni luogo del globo senza nessuna limitazione – ha consentito
l’accesso alla cultura in maniera veloce ed economica, raggiungendo ogni fascia
della popolazione e diffondendo importanti standard culturali. Ma la
televisione, oltre ad essere un semplice mezzo, rappresenta in primis essa
stessa la creatrice di una idea culturale e di aspettative che vengono
esportate su larga scala e trasmesse anche oltreoceano.
Questa immaginazione,
come teorizzato dall’antropologo Appadurai, arriva ad oggi addirittura ad
orientare i flussi migratori: l’immaginazione è una “palestra da azione”, porta
i migranti a raggiungere un Paese invece di un altro, a crearsi un panorama di
aspettative sulla propria vita futura.
Con la diffusione dei
media e della globalizzazione, dunque, si creano delle vere e proprie comunità
di sentimento e dei sodalizi collettivi, siti internet, blog, gruppi di persone
e super-comunità che condividono quell’interesse culturale per un Paese su cui
riversano le proprie ambizioni di vita; in questo modo l’immaginazione genera
azione, determinando flussi di individui che si spostano nel globo e che hanno
costruito la propria identità culturale e sociale con il contributo dei media e
delle interconnessioni della globalizzazione.
Evelyn De Luca