UNINT Blog intervista Romina Maurizi, Direttrice Quotidiano Energia, in occasione del convegno “Climate Change”, tenutosi il 9 dicembre 2019.
Categoria: Archivio
– CLIMATE CHANGE – INTERVISTA AD ALESSANDRO DE NISCO
Pubblicato il NINT Blog intervista Alessandro De Nisco, Preside della Facoltà di Economia UNINT, in occasione del convegno “Climate Change” tenutosi il 9 dicembre 2019.
– CLIMATE CHANGE – INTERVISTA A FABRIZIO IACCARINO
Pubblicato ilUNINT Blog intervista Fabrizio Iaccarino, Responsabile Central Institutional Affairs ENEL Italia, in occasione del convegno “Climate Change” tenutosi il 9 dicembre 2019.
– CLIMATE CHANGE – INTERVISTA A ROBERTO MORABITO
Pubblicato ilUNINT Blog intervista Roberto Morabito, Direttore Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali ENEA, in occasione del convegno “Climate Change” tenutosi il 9 dicembre 2019.
#MondayAbr…oh oh oad! Speciale Natale
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Questa settimana ho avuto il piacere di passeggiare per le splendide vie del centro storico della nostra capitale e, il giorno dopo, sono salita sul treno e sono tornata nella mia prima casa: Carrù, un paesino in provincia di Cuneo (in Piemonte, per chi se lo stesse chiedendo).
Non torno spesso al nord, quindi per me è sempre un bel momento rientrare nella mia cameretta e rivivere uno a uno quei ricordi che sembrano così lontani.
In questi giorni comunque ho notato che dalla città più grande al paese più piccolo l’aria natalizia si sente ogni giorno di più: tra luci, decorazioni e Babbi Natale che rischiano la vita appesi ai balconi, non vi è persona che per almeno un istante non abbia sentito questo magico spirito avvicinarsi al suo cuore.
Ricordo che da bambina, poco dopo la cena della Vigilia, mi affacciavo alla finestra con mio nonno ed esclamavo “Nonno, nonno! Guarda, ho visto la slitta!” e quest’ultimo faceva finta di cercarla tra le stelle. Babbo Natale è stato sicuramente la figura più magica della mia infanzia: scrivevo sempre la letterina e lasciavo latte e biscotti davanti al caminetto del mio salotto ogni 24 dicembre. A essere sincera, ho continuato a sperare nella sua effettiva esistenza fino a 12 anni (da brava credulona quale sono) e quando, ahimè, ho aperto gli occhi, ho sentito un po’ di magone pesarmi nel petto.
Tutti conosciamo la sua storia: questo magico signorotto che, nel suo villaggio situato nel Circolo Polare Artico, si occupa di procurare i regali a tutti i bambini del mondo e consegnarli nella notte tra il 24 e il 25 dicembre.
Tuttavia, la figura di questo meraviglioso nonno non ha sempre avuto le stesse caratteristiche: Santa Claus, il Babbo Natale di oggi, è nato negli Stati Uniti verso il 1860, ed è stato chiamato così pronunciando male la parola olandese “Sinterklaas“ (San Nicola) che divenne “Santa Claus”. Il primo “donatore di regali” di cui si ha memoria fu appunto San Nicola nel 300 d.c. a Myra (l’attuale Turchia). Nato da una ricca famiglia rimase orfano quando i genitori morirono di peste. Fu allevato da un monastero e all’età di 17 anni divenne uno dei più giovani preti dell’epoca che regalò tutte le sue ricchezze alla gente povera. Quando divenne arcivescovo, assunse le sembianze del noto “Babbo Natale”, ovvero una lunga barba bianca e un cappello rosso in testa. Dopo la sua morte fu fatto Santo. Quando ci fu lo scisma tra la Chiesa Cattolica e quella Protestante questi ultimi non desiderarono più festeggiare San Nicola, troppo legato alla Chiesa Cattolica, così ogni nazione inventò il proprio “Babbo Natale”. Per i francesi era ” Père Noël”, in Inghilterra “Father Christmas” (sempre dipinto con ramoscelli di agrifoglio, edera e vischio) e la Germania aveva “Weihnachtsmann” (l’uomo del Natale). Tutte queste figure natalizie si differenziavano fondamentalmente per il colore delle proprie vesti – chi blu, chi nero, chi rosso -, ma le uniche cose che avevano in comune erano la lunga barba bianca e il loro regalare doni.
L’ultima e più importante incarnazione di Babbo Natale si ha dal 1931 al 1966 quando Haddon Sundblom disegnò la famosa immagine di Babbo Natale per la pubblicità della Coca Cola. Questo è quello che anche noi conosciamo, con la sua lunga barba bianca, il suo inconfondibile abito rosso, gli stivali, la cinta di cuoio e un immancabile sacco carico di doni.
In Europa e Nord America, di solito, le tradizioni legate a Babbo Natale coincidono, anche se in alcuni paesi possono variare nel nome, in alcune caratteristiche e nella data di consegna dei doni: in Spagna, per esempio, la consegna doni è rimandata al 6 gennaio con l’arrivo dei Re Magi; in America Latina si parla, invece, di Papà Noël; in Estremo Oriente, in particolare nei paesi che hanno adottato i costumi occidentali, si festeggia il Natale non in senso cristiano, ma integrando alle religioni orientali tradizioni simili sui portatori di doni dell’Occidente; le popolazioni cristiane dell’Africa e del Medio Oriente che celebrano il Natale, in generale, riconoscono le tradizioni dei paesi europei da cui hanno importato la festività, di solito tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, e anche i discendenti dei coloni che abitano ancora in quei luoghi seguono le tradizioni dei loro antenati.
Detto ciò, cari amici, vi faccio tanti auguri di “Buon Natale e Felice Anno Nuovo”: che sia il nostro anno, brindo ai successi e alla speranza.
Un besito, amici, ci vediamo l’anno prossimo!
Ilaria Violi
#PeopleofUNINT
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Quando ti sei sentita per la prima volta adulta? Che sensazione hai provato?
La prima volta che mi sono sentita adulta è stato da bambina. E io adulta da bambina mi ci sono sentita tante volte. Quando d’estate dopo cena mi piaceva vincere il sonno per restare in giardino ad ascoltare i discorsi dei ‘grandi’.
Quando ho scelto di salire sul palco da sola perché le mie compagne di danza hanno smesso a poche settimane dal saggio. E quando poco tempo dopo ho iniziato a correre in punta di piedi nella classe delle ‘grandi’.
Quando alle feste mi trattenevo al tavolo dei bimbi solo per poco e poi andavo ad ascoltare i grandi perché li trovavo più interessanti e perché io ferma in una situazione che mi annoiava proprio non ci sarei rimasta.
Quando al ristorante al momento delle ordinazioni il cameriere mi proponeva un menu a base di premure, pasta al sugo, cotoletta e patatine fritte e io rispondevo indispettita che avrei preferito un risotto.
Quando nel ’98 (e io sono del ’92) ho chiesto a mia madre di portarmi al cinema a vedere La leggenda del pianista sull’oceano.
Quando ho preparato il primo sugo di pomodoro a mio fratello.
Quando fantasticavo su come sarebbe stata la mia casa. E la immaginavo come una magione ottocentesca. Con un giardino così grande che a stento mi avrebbe consentito di scorgere l’entrata di casa, con un porticato sorretto da colonne bianche dove avrei sorseggiato il tè, con finestre in stile inglese che mi avrebbero regalato più luce, con soffitti alti oltre 3 metri che mi avrebbero fatto sentire come all’aperto, con una grande pista per ballare, una sala da pranzo dove avrei portato in tavola la colazione tutte le mattine e un tetto trasparente per guardare le stelle nelle sere serene.
Avrei scoperto più tardi che nelle sere serene è bello anche starsene ad ascoltare la pioggia. Che basta veder rifiorire le tue piante a prescindere dalla grandezza dello spazio che le ospita, che del tè mi piacciono solo le tazze, che la luce si diffonde più spesso dall’interno, che ci si può sentire come all’aperto anche in soffitta, che si può ballare stando fermi, e che a volte si può stare insieme anche senza sedersi alla stessa tavola.
Non so quanto fossi bambina e quanto adulta quando progettavo la mia magione. In fondo cercavo di progettare la mia vita. Avrei scoperto più tardi che la vita inizia quando smetti di progettarla.
La prima volta che mi sono sentita bambina è stato da adulta. E io bambina da adulta mi ci sono sentita tante volte. Quando ero la più piccola del gruppo, quando avevo desiderio di protezione pur essendo capace di proteggermi da sola, quando cercavo ripetutamente conferma del certo.
C’è stata però una volta in cui sono stata davvero una bambina. Ed è stato quando ho pensato che da adulta non sarei mai più stata bambina. E una in cui sono diventata davvero adulta. Ed è stato quando ho realizzato che sarei rimasta per sempre anche bambina.
Federica Granata
#MondayAbroad: Danzica
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“The best experience in your life that helps you to discover not only another country but the whole world and your own identity😉”: Tatiana Grygorieva
Direttamente da Danzica, seppur ucraina (esattamente di Kiev), oggi conosciamo Tatiana, una dei tanti splendidi Erasmus che ha il piacere di trascorrere insieme a noi il suo periodo italiano.
“Ho scelto Roma per il mio programma Erasmus perché è sempre stata il mio sogno. Mia madre è una fan di Adriano Celentano e a lungo la musica e la lingua, che secondo me è molto melodiosa, mi hanno ispirata. In più, Roma è il cuore dell’Italia! Inoltre, gli italiani sono persone allegre e rispettose, soprattutto per quanto riguarda l’arte, l’amore, la bellezza e la vita in generale. Questa visione mi fa impazzire! Così come i colori che usate nel vestirvi. L’Italia mi sta insegnando ad apprezzare ciò che ho e ciò che è effettivamente presente per me (e ciò che mangio, ossia non un semplice bisogno, bensì un piacere fisico).
Tatiana studia International Business Management e ha deciso di dedicare una buona parte del suo lavoro universitario al mercato italiano della moda poiché spinta dalla grande storia che caratterizza il nostro splendido paese. Chiacchierare con lei è stato molto divertente e stimolante: è una persona molto vivace e attiva, sente veramente ogni parola che pronuncia e, soprattutto dal mio punto di vista, non sapete quanto sia entusiasmante poter avere l’occasione di colloquiare con una forza della natura com’è lei.
Ciò che più mi ha incuriosito è questa sua “doppia” provenienza, dunque ho provato a giocare sui tre paesi protagonisti di quest’intervista: l’Italia, la Polonia e Ucraina.
Secondo Tatiana, ci sono grandi differenze tra i tre Stati: primo fra tutti, il modo di veder la vita. Il motto italiano è “la vita è meravigliosa e talmente tanto corta che non abbiamo tempo per i cattivi pensieri e il pessimo cibo!”, quello polacco “l’attenzione ai dettagli e il sarcasmo sono quanto di più importante ci sia”, mentre quello ucraino è “amiamo la libertà, ma non abbiamo idea di come usarla” (questo dovuto soprattutto agli eventi storici; per chi non lo sapesse, l’Ucraina nasce 28 anni fa e sono ancora un grande work in progress per quanto riguarda la loro identità nazionale).
La seconda grande differenza sono i colori: in Italia usiamo colori smaglianti e floreali (soprattutto sulle vetrine dei negozi), in Polonia utilizzano molto colori pacati come il marrone e il verdone e, infine, l’Ucraina risplende di colori brillanti quali il giallo e il rosso, per esempio.
Un’altra differenza è il rumore “pubblico”: in Polonia, a differenza di Italia e Ucraina, non è appropriato parlare a voce alta in un luogo pubblico, difatti sin da bambini si insegna il rispetto per la quiete altrui.
Infine, l’istruzione: Tatiana racconta che nei suoi due “paesi” l’attenzione dello studente ricade molto più sugli argomenti imparati a memoria, piuttosto che quelli effettivamente compresi. I docenti sono molto severi e ci tengono che i loro allievi imparino bene a memoria i concetti teorici da loro insegnati. Tant’è che mi ha svelato che loro conoscono già le domande che verranno sottoposte in sede d’esame, visto che, appunto, il loro lavoro è semplicemente quello di rispondere alle domande. “Non è il caso italiano! Ho grandi professori che mi dedicano le attenzioni che merito in caso non capisca un determinato argomento e, secondo me, il metodo utilizzato qua è più efficace.”
Concludo l’intervista allontanandomi dalle differenze sopracitate: domando a Tatiana cosa le piace di Roma: “premetto che è la mia prima volta in questa splendida città e in Italia in generale… pensare di andare a vivere un periodo nella capitale mi spaventava e mi continua a spaventare non poco (e i mezzi pubblici non sono proprio la cosa più semplice da capire qua…), ma quando vedi la ricca architettura che il panorama ti offre e senti lo spirito della città, dimentichi ogni pensiero negativo (anche quelli legati al traffico! Ahah) E soprattutto, la gente è così simpatica, aperta, gioviale, emozionale… hanno un grande cuore caldo simbolo della loro cultura e io mi chiedo come faccia a non piacere tutto ciò.
#PeopleOfUNINT
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- Dove ti immagini tra 10 anni?
- Dove mi immagino tra 10 anni? Beh non è una domanda del tutto semplice. Ognuno di noi avrà immaginato, almeno una volta nella vita, il proprio futuro. Io sono una grande sognatrice, mi piace viaggiare con la fantasia ma rimanere con i piedi per terra. Quando da piccola mi chiedevano “Cosa vuoi fare da grande?” avevo sempre tremila risposte in mente, ma non ho mai avuto un’idea chiara e precisa di chi sarei voluta diventare nel tempo. Certo, una cosa l’ho sempre saputa: nel mio futuro prima di ogni altra cosa vorrei una famiglia. E quando penso ad una famiglia penso anche ad una stabilità economica, una stabilità lavorativa. Ecco! Vorrei essere indipendente a livello economico, vorrei avere dei figli e vivere altrove. Chissà magari in Spagna o in Francia. Non per allontanarmi dal resto della mia famiglia, non per “abbandonare” la mia terra, ma semplicemente perché, data la situazione attuale, in Italia è difficile fare progetti a lungo termine. Al momento, spero di finire presto i miei studi e spero questi mi portino lontano. Voglio viaggiare, fare nuove esperienze, voglio girare il mondo, scoprire nuove cose perciò mi auguro tanta serenità, tanto affetto e spero di realizzarmi presto nell’ambito lavorativo.
Viviana Sestito
#RadioUNINT: RadioSport – news dal mondo – 6 puntata
Pubblicato il#Mondayabroad: Aperilingua, l’internazionale in una stanza
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“Quando ero a Napoli partecipavo spesso a tandem linguistici. Una volta arrivato alla UNINT, mi sono sentito immerso in quest’atmosfera internazionale, ma non ero soddisfatto: l’internazionale non si studia solo sui libri e la mia esperienza me lo aveva insegnato molto bene. Internazionale è cultura, tradizioni, lingue… l’Internazionale siamo noi. L’aperilingua è un evento creato per tutti: studenti UNINT ed Erasmus. Credo molto in questo progetto e nei ragazzi che mi stanno supportando (e sopportando), così come ringrazio l’Università per aver lasciato spazio (e fondi) alla mia idea.” – Flavio Aniello, Responsabile dell’Aperilingua UNINT
MondayAbroad oggi rimane a casa: da brava cittadina del mondo, oggi voglio raccontarvi questa preziosa iniziativa che si ripete a giovedì alterni e che ci permette di vivere l’internazionalità e l’intercultura a km 0.
Il 21 Novembre 2019, dalle 20:00 alle 22:15, si è tenuto nella mensa della nostra cara Università il primo Aperilingua UNINT: i nostri amati colleghi (me compresa!) hanno indossato una bellissima maglietta bianca personalizzata per ogni lingua e si sono calati nel ruolo di “insegnanti” di lingue. Ognuno a un tavolo diverso ha pensato, organizzato e creato giochi in lingua per interessare, incuriosire e appassionare i ragazzi che hanno deciso di cimentarsi in questa grande nuova avventura, il tutto accompagnati da un piatto di paella, una fetta di tortilla de patatas e un allegro bicchiere di sangria. Sì, perché il 21 Novembre è stato il giorno dedicato alla Spagna, dunque, quale miglior modo di imparare, se non con la pancia piena di cibi così… calienti?
A ogni serata viene, difatti, associato come tema un diverso paese del mondo: come già detto, abbiamo iniziato con la Spagna, mentre il prossimo appuntamento (il 5 dicembre 2019) ci catapulterà in terra tedesca e insieme brinderemo “Ein Prosit” a suon di birra e Würstel (e musica, che non guasta mai!)
Nove tavoli in tutto: inglese, spagnolo, francese, tedesco, portoghese, russo, cinese, arabo e… LIS (Lingua Italiana dei Segni). Ognuno con tanta voglia di fare, imparare, divertirsi e con una grande sete di… conoscenza! La partecipazione al tavolo non è obbligatoria per l’intero corso dell’evento: diamo ai ragazzi la massima libertà di saltare di tavolo in tavolo ogni qualvolta lo decidano.
In più, raga, vi parlo da studentessa, amica, collega e “aperilinguista” impegnata al tavolo ispanofono: buttatevi nelle lingue senza paura di un possibile errore, siamo qui per divertirci insieme, non per correggervi, tantomeno per giudicarvi.
Detto ciò, spero di avervi incuriosito e che possiate partecipare al prossimo appuntamento: per iscriversi, basta correre in mensa, chiedere delle card per l’aperilingua e pagare l’importo previsto per partecipare alla serata. Mi raccomando, però: non dimenticate di riportare la card la sera dell’evento! Questa serve, difatti, per ritirare il proprio piatto e la propria bevanda.
Concludo con una piccola riflessione, forse un po’ troppo sentimentale, ma senza dubbio veritiera: Gino Paoli cantava “Il cielo in una stanza” e, con splendide parole e una dolce melodia, spiegava come l’amore lo portasse a ritrovare l’infinito cielo in quattro pareti. Noi, sicuramente, non siamo Gino Paoli, ma è pazzesco come il nostro lavoro e le nostre teste siano riuscite a ricreare l’internazionalità all’interno di una mensa universitaria.
Alla fine, Flavio ha ragione: “Internazionale è cultura, tradizioni, lingue… l’Internazionale siamo noi.”, difatti non potremmo essere più orgogliosi di aver un responsabile come lui.
Vi aspettiamo a mensa, Giovedì 5 Dicembre 2019, dalle 20:00 alle 22:15!
Un besito, Amici Internazionali!
Ilaria Violi