#PEOPLEOFUNINT

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Come ti descriveresti?
La costanza, l’impegno e la dedizione sono il mio punto forte. Sono una ragazza determinata, desiderosa di apprendere e sempre pronta a lanciarsi in nuove avventure. Sono nata in Puglia, terra del sole, del mare e del calore della gente. Ho da sempre avuto l’istinto a relazionarmi con il prossimo, a voler conoscere persone, luoghi nuovi, realtà con cui potermi confrontare. La mia terra rappresenta un insieme di culture differenti, le quali mi hanno sempre affascinata e spinta a studiare lingue, nello specifico l’inglese e il russo. Oggi sono una interprete e traduttrice e non vedo l’ora di potermi affermare al più presto.


La persona che sei oggi è chi sognavi di essere?
Il mio grande sogno è quello di diventare interprete di trattativa: amo gestire i flussi di parola, sapere di cosa si sta trattando, essere l’ago della bilancia in un certo senso. La persona che sono oggi rispecchia quello che avrei voluto essere perché ogni scelta che ho fatto, l’ho presa chiedendomi se fosse quella giusta per me. Grazie alla conoscenza delle lingue, ogni barriera, ogni muro, all’apparenza invalicabile, crolla. Nella vita dobbiamo essere consapevoli che a volte le scelte che intraprendiamo potranno non essere condivise da tutti, ma non dobbiamo mai perdere di vista i nostri obiettivi e continuare lungo la nostra strada. Io di per certo so che voglio creare ponti. Amo il mondo, rispetto le culture di ogni Paese, dato che siamo tutti cittadini del mondo.


Se tornassi indietro, cosa diresti alla te di un tempo?
Alle me di qualche anno fa consiglierei di essere un po’ più sicura di se stessa e meno titubante di quelle sono le mie capacità; che nella vita contano più i fatti delle parole; che non dobbiamo mai smettere di credere nei nostri sogni; che nessuno è perfetto; che possiamo sbagliare, ma non per questo ci è vietato di tornare sui nostri passi. Tempo al tempo, tutto arriva. For now, I made it!

Chi semina bene, raccoglie buoni frutti!

Costanza

#PEOPLEOFUNINT

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Il “multiculturalismo” viene definito nelle enciclopedie come “appartenenza o partecipazione a diverse culture”. Significa riconoscere il rispetto dell’identità linguistica, religiosa e culturale di tutte le altre etnie. Comprende quindi l’aspetto religioso e culturale ma soprattutto l’aspetto linguistico di un popolo. La lingua è una componente fondamentale di ogni società e, che sia scritta o orale, risulta vitale poiché se l’uomo non comunicasse con se stesso, con gli altri e con l’ambiente circostante, morirebbe.

Nella società di oggi, il plurilinguismo si inserisce nel quadro del “melting-pot”, termine utilizzato per definire la mescolanza di diverse etnie in un contesto geografico. Il plurilinguismo è una qualità che, se coltivata, può cambiare il nostro modo di vedere il mondo e la nostra percezione della realtà.

Mi chiamo Angela, ho 18 anni e sogno di essere plurilingue. In realtà potrei già definirmi tale, in un certo senso. Nonostante abbia solo 18 anni, ho un buon livello di inglese, francese e tedesco e il mio dialetto lucano è piuttosto fluente. Lo studio delle lingue mi ha senza dubbio cambiata: mi ha permesso di avvicinarmi a realtà che non conoscevo e mi ha portata ad essere una persona dalla mente aperta, sempre alla ricerca del nuovo e alla scoperta del diverso. Potrò essere di parte, ma credo che lo studio di almeno una lingua, oltre alla lingua madre, sia fondamentale per tutti gli individui. Anziché pensare ad una lingua solo ed esclusivamente come mezzo per comunicare con persone provenienti da un’altra nazione, bisognerebbe rivalutare il fine formativo dello studio di un nuovo codice e l’enorme ricchezza culturale che ogni lingua porta con sé. Dopo la maturità ho finalmente iniziato il percorso che mi porterà, spero presto, a diventare la versione migliore di me stessa. Tra i miei obiettivi c’è sicuramente la laurea, ma anche un’esperienza Erasmus e una prima esperienza lavorativa in campo linguistico.

Le ragioni principali che mi hanno spinta ad intraprendere un percorso linguistico-culturale sono tre: confronto, passione, viaggi. Quando si entra in contatto con una nuova lingua, si iniziano a rivalutare molti aspetti della propria cultura d’origine: noi italiani abbiamo il vizio di gesticolare molto quando parliamo; per noi è un’azione del tutto naturale, quasi innata. Se ci spostassimo in un’altra nazione come l’Inghilterra però, noteremmo subito una differenza: il distacco evidente tra gli interlocutori. Pertanto, confrontarsi con gli altri e in particolar modo con chi non parla la nostra stessa lingua e non ha la nostra stessa cultura, evidenzia quei tratti che ci contraddistinguono e che ci rendono in un certo senso “speciali”.
Il mio plurilinguismo è alimentato dalla passione e dalla curiosità insaziabile che mi insegnano ogni giorno qualcosa di nuovo. Mi stupisce quanto sia complesso il linguaggio umano e quanti aspetti nascosti ci siano. Fra le tante, l’aspetto etimologico del linguaggio e la conoscenza dell’evoluzione della lingua nel tempo sono sicuramente caratteristiche che spingono ad approfondire l’affascinante mondo della lingua.
I viaggi sono altrettanto importanti perché completano la formazione teorica. Bisognerebbe studiare una lingua e parlarla immergendosi nella cultura e nella mentalità di quel popolo, perché la lingua parlata è ben diversa da quella studiata sui libri di grammatica. Dietro una lingua c’è sempre una cultura, un modo di fare diverso, un modo di pensare alternativo al nostro. Viaggiare non significa solo migliorare la lingua, ma anche “partecipare” ad un’altra cultura.

Di viaggi ce ne sono stati tanti. Ricordo la mia prima volta a Londra, 5 anni fa. Ero incollata al finestrino dell’aereo impaziente di arrivare. Londra la definirei una “piacevole tempesta” perché quello, che è stato il mio primo viaggio fuori dall’Italia, mi ha cambiata profondamente. La realtà che ho sperimentato per una settimana circa era completamente diversa dalla realtà che vivevo tutti i giorni, nel mio piccolo paesino di provincia, che oramai mi stava stretto. Osservavo la gente camminare per strada in maniera disinvolta e indifferente. Chiunque sembrava libero di mostrare se stesso, senza filtri, senza maschere. Da lì è iniziato tutto: valigie, carte d’imbarco, aeroporti, sono diventati il mio modo di evadere la routine noiosa per scoprire aspetti di me stessa e del mondo che prima ignoravo o meglio, non riuscivo a vedere.

Per questo motivo, ho scelto di continuare i miei studi per diventare un’interprete e fare delle lingue un mestiere: decodificare realtà diverse e renderle comprensibili per me e per gli altri, riuscire a trasmettere anche solo una minima parte della mia passione per le lingue. Questo è ciò che sogno.

Essere plurilingue è come possedere un terreno: vi si piantano semi diversi e ci si prende cura del raccolto, si gode poi dei frutti che si condividono con gli altri. Sono Angela, e faccio parte dell’universo.

Angela Berteramo

#MONDAYABROAD: 5 CURIOSITÀ SU BRIGHTON

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Melting pot di stili e culture, la cittadina affacciata sulla Manica attira ogni anno milioni di turisti. Forse perché, come dicevano i Queen, “qui c’è ancora un po’ di magia nell’aria”. Oggi vi parliamo di cinque curiosità da scoprire sulla residenza estiva sul mare scelta dalla famiglia reale alla fine del XVIII secolo, nell’East Sussex. Da città di pescatori a vivido centro culturale, universitario, artistico e capitale del mondo L.G.B.T., ecco alcune curiosità su Brighton!

  1. Brighton Pier, l’unico rimasto. È stato anche uno degli ultimi moli ad essere costruiti in Inghilterra. Venne realizzato su progetto di R. St. George Moore, che lo disegnò per servire da area di piacere e divertimento locale. Ah..State attenti se mangiate qualcosa mentre siete lungo il molo! Potrebbe arrivare un attacco di gabbiani alla riscossa.
  2. Un Taj Mahal inglese. Brighton è sempre stata la meta turistica più ambita dai Londinesi, in particolare la  Regina Elisabetta, che trascorreva le sue vacanze estive al Royal Pavilion.
    Un palazzo che alcuni sostengono sia simile al Taj Mahal in India, esotico, orientaleggiante.
    Racchiude l’eccentricità britannica e le sinuosità cinesi con un’architettura indiana .
    Come studiavamo sui libri di scuola delle medie, fu costruito fra il XVII e il XIX per volere di Re Giorgio IV. 
  3. Bansky, all’asta il bacio dei poliziotti: venduto per 420mila euro. L’opera “Kissing coppers” è stata venduta alla Faam di Miami, la più importante casa d’aste della Florida. L’acquirente è anonimo. “Kissing coppers” è un fiore all’occhiello per la comunità di Brighton in Inghilterra che per 7 anni l’ha accolta su un muro accanto al pub Prince of Albert. Anche se molti vedevano quell’appassionato bacio tra due uomini in divisa come fumo negli occhi, il murale era comunque diventato una sorta di attrazione turistica. Negli anni, tuttavia, l’opera ha subito anche dei danneggiamenti, cosa che nel 2008, ha convinto il proprietario del pub a venderla ad una galleria newyorkese. Il bacio è stato così trasferito su tela e al suo posto è stato collocato un fac simile, suscitando molte critiche. In generale però graffiti di vario genere si trovano in tutta la città.
  4. Un luogo affascinante dove il vento la fa da padrone, in un paesaggio che più verde non si può: Seven Sisters. Bellissime e maestose, a pochi chilometri da Brighton, sono sette scogliere di gesso che occupano una superficie di 280 ettari, a picco sul mare. Lo sapevi che spesso sono state utilizzate in alcuni film, al posto delle note scogliere di Dover perché molto più bianche e più alte?
  5. Negozi da perderci la testa! Qui a Brighton potrete trovare questo negozio, Choccywoccydoodah, il cui nome è davvero un rompicapo . È sia un negozio che un bar. Choccywoccydoodah è un paradiso per gli amanti del cioccolato ed è situato nel quartiere dei South Lanes. Le sue incredibili vetrine vengono regolarmente aggiornate per adattarsi alla stagione o alla festività del momento e le sue cioccolate calde e le torte al cioccolato sono le migliori della città. Recentemente choccywoccydoodah è comparso in un programma televisivo, diventando così un simbolo della città: è sempre un tesoro ma non più così nascosto.

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Come ti descriveresti?

Mi descriverei come una persona intraprendente, sempre pronta ad imparare e ad accettare nuove sfide per migliorarsi e per scoprire nuovi lati di sé. Mi reputo una persona solare, aperta al dialogo e al confronto, ma anche una persona in grado di affermare le proprie idee. Sono una ragazza alla quale piace molto conoscere nuove persone e instaurare rapporti perché credo fermamente che il contatto con il prossimo permette di scoprire qualcosa di nuovo e di ampliare così la propria cultura e mentalità. Inoltre mi piace molto poter aiutare il prossimo e sono costantemente attenta alle esigenze delle persone che mi circondano e cerco, nel mio piccolo, di poter fare qualcosa per aiutarle: un gesto, una parola o un ritaglio del proprio tempo per qualcuno possono davvero fare la differenza. 

La persona che sei oggi è chi sognavi di essere?

La persona che sono oggi rispecchia quello che avrei voluto essere: sono felice di dove sono ora, sono laureata e sono soddisfatta sia del percorso di studi che ho portato a termine sia del modo in cui l’ho affrontato. Avrei voluto fare un percorso che mi permettesse di interagire con paesi e culture diverse e le lingue che ho scelto e studiato me lo permettono; avrei voluto fare un’esperienza Erasmus per potermi immergere in una realtà diversa da quella in cui sono cresciuta e l’ho fatto. La persona che sono oggi rispecchia quello che avrei voluto essere perché ogni scelta che ho fatto, l’ho presa chiedendomi se mi arricchisse e se mi permettesse di diventare chi volevo essere. Consapevole di ciò, so di potermi sempre migliorare e lavoro ogni giorno per questo.

Se tornassi indietro, cosa diresti alla te di un tempo? 

Di non aver mai paura di mostrarsi per quello che si è, anche se è difficile, perché chi ti vuole bene veramente resta, nonostante tutto, nonostante i nostri limiti e difetti. Di non aver paura di amare e di mostrare i propri sentimenti, sia che si tratti di una relazione che di amicizia, perché non dovremmo mai dare nulla per scontato, tanto più l’amore!

Spread the love!

Eleonora

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Riflettere sul proprio rapporto con la lingua significa operare una vera e propria indagine su sé stessi ed è proprio questo che tenterò di fare ripercorrendo le tappe più significative della mia vita. Prima di procedere con l’analisi delle scelte che mi hanno portato ad approfondire la conoscenza delle lingue straniere, fondamentale è riflettere sul rapporto con la mia lingua madre, ovvero l’italiano.

Sono nata a Bologna da genitori bolognesi per cui fin da subito sono entrata in contatto con una realtà linguistica ben definita: in casa si è sempre parlato infatti un italiano corretto. Per quanto riguarda invece il mio rapporto con il dialetto bolognese vero e proprio, posso dire di poterlo comprendere ma non parlare: nonostante mio padre lo utilizzi spesso, soprattutto rivolgendosi ai suoi parenti, il bolognese non mi è stato mai realmente insegnato. Trovo che sia un peccato trascurare un valore fondante di Bologna com’è il suo linguaggio storico e per questo mi sarebbe piaciuto coltivarlo maggiormente.

II mio rapporto con l’italiano si potrebbe definire armonioso: mi sento davvero in sintonia con la lingua italiana e con tutte le sue innumerevoli sfumature. Si tratta di una lingua musicale, aperta e ricca che tutto il mondo ci invidia per la sua unicità. Allo stesso tempo è considerata molto complessa, tanto è vero che gli stessi italiani spesso hanno difficoltà ad utilizzarla correttamente.
Sapere l’italiano è per me di vitale importanza soprattutto in virtù di quello che mi piacerebbe diventare in futuro: mi sono sempre impegnata per avere la massima padronanza dell’italiano e continuerò di certo a farlo perché trovo che sia questo il presupposto fondamentale per un successivo studio e approfondimento delle lingue straniere.

La passione per le lingue straniere è nata 7 anni fa quando iniziai a seguire con ammirazione Olga Fernando, interprete conosciuta nel mondo televisivo: ciò che ammiravo e tuttora ammiro di questa donna è la passione con cui svolge il suo lavoro e il suo essere sempre all’altezza della situazione, ma sempre con estrema discrezione. La sua facilità nel passare da una lingua all’altra senza la minima esitazione mi ha spinto ad intraprendere lo stesso tipo di percorso.
Studiare le lingue non significa trascorrere anni e anni ad impararne la grammatica: se fosse stato realmente così non so se avrei scelto questo indirizzo di studio.
Al contrario è importante conoscere tutto quello che si trova attorno alla lingua stessa: la cultura, gli usi, i costumi e tutto ciò che permette in qualche modo di arricchire il proprio bagaglio culturale.

La scelta di studiare inglese, francese e tedesco deriva principalmente dal legame che sento con queste specifiche culture e, più in generale, con questi Paesi. Personalmente trovo che studiare una lingua importante dal punto di vista lavorativo senza però apprezzarne direttamente la cultura sia sostanzialmente inutile. Ognuno di noi è diverso e ciascuno ha le proprie idee: per quanto mi riguarda, nonostante riconosca il prestigio via via crescente della lingua cinese, confesso che in generale la cultura orientale non mi attrae a tal punto da intraprenderne lo studio. Uno dei motivi principali che mi ha spinto a scegliere questa università è stata proprio la libertà di scelta delle lingue, libertà che in altri atenei invece non c’è.

Accompagnandomi per circa 13 anni di vita, l’inglese ha assunto progressivamente un ruolo sempre più importante: è passata dall’essere una semplice materia di studio a diventare parte integrante di me stessa.

Al contrario, il rapporto con la lingua francese è stato in passato molto travagliato: mi è stata imposta alla scuola media superiore come materia obbligatoria ed è per questo motivo che l’ho sempre vissuta come una sorta di costrizione. Ciò che ha fatto mutare l’approccio nei confronti di questa lingua è stato senza alcun dubbio la scoperta dell’arte e dell’architettura francese: è un mondo che fin da subito ha suscitato in me grande curiosità tanto da spingermi a coltivare la conoscenza della lingua.

Molto particolare è stato il mio avvicinamento alla lingua tedesca, da tutti sconsigliata in quanto lingua eccessivamente dura, utilizzata da un popolo autore dei crimini più efferati nella storia dell’umanità.
Tre anni fa ho avuto la possibilità di partecipare a uno scambio culturale organizzato dal mio istituto con una scuola tedesca di Darmstadt. Questa esperienza, che mi ha permesso la immersione totale in una cultura a me prima sconosciuta, ha fatto maturare in me una nuova consapevolezza: prima di giudicare e di sputare sentenze nei confronti di una lingua e di una cultura è necessario viverla e sperimentarla a pieno.

Il punto di arrivo del processo di apprendimento di una lingua straniera è iniziare a pensare proprio in quella lingua: questo è il traguardo che mi piacerebbe prima o poi raggiungere.

Per concludere, è tuttavia importante sottolineare che l’apprendimento di una o più lingue straniere non deve determinare un progressivo processo di silenziamento della lingua materna: per quanto mi riguarda, l’unica certezza che ho è che ciò che il futuro mi riserverà non andrà assolutamente ad intaccare il mio particolare legame con la lingua italiana.

Luce Beccari

# MONDAYABROAD: 5 curiosità sulla Francia

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1) La Francia è il più grande paese dell’Unione Europea: il suo territorio misura circa 551.000 km².
2) La lingua francese è più parlata in Africa che in Francia! Tra Marocco, Tunisia, Costa d’Avorio, Camerun e tanti altri paesi, i francofoni africani sono quasi 400 milioni, mentre la Francia non raggiunge i 70 milioni di abitanti.
3) Con 87 milioni di turisti accolti ogni anno, la Francia detiene il primato per il paese più visitato al mondo. Al secondo e al terzo posto figurano la Spagna e gli Stati Uniti, mentre l’Italia si piazza quinta, con 58 milioni di turisti l’anno.
4) Dovuti ai territori coloniali sparsi in tutto il mondo, in Francia si contano ben 12 fusi orari, più di qualsiasi altro paese al mondo.
5) Il confine terrestre più lungo della Francia è condiviso con… il Brasile! Questo grazie al Guyana Francese, regione d’oltremare del Sud America.

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Come ti descriveresti?

Solare ed estroverso, anche se confesso che spesso la mia esuberanza è soltanto una forma di timidezza e che dietro la maschera del simpaticone nascondo una forte emotività e sensibilità. Diciamo anche che il me “bambino” esce spesso fuori e questo un po’ mi piace, perché è bello godersi la vita e sorridere!

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

Ho cominciato questo lavoro subito dopo le scuole superiori, su spinta dei miei genitori, ma col tempo me ne sono innamorato. Lavorare al bancone significa incontrare ogni giorno persone diverse, a volte nuove, a volte le stesse, e di conseguenza anche mondi diversi! Ad esempio, la cosa che più mi entusiasmò quando mi venne proposto di venire a lavorare in questa Università fu l’idea di “internazionale”, ovvero di avere l’opportunità di conoscere anche studenti Erasmus, provenienti da altri paesi, lingue e culture. Ma in generale, credo che ogni incontro mi arricchisca, cambiando il mio modo di pensare e di vedere il mondo. Una fortuna da non poco!

La persona che sei oggi è chi sognavi di essere da bambino?

Diciamo che sono in dirittura d’arrivo, ci stiamo lavorando su. Credo che chi incontriamo e ciò che viviamo lungo la nostra vita ci insegni tante cose e ci formi molto come persone, e che a volte cambino anche quelle che sono le nostre prospettive e quelli che erano gli obiettivi che ci eravamo prefissati. Ad esempio, da piccolo ho sempre pensato che un giorno avrei voluto essere una di quelle persone sagge a cui tutti si rivolgono per avere consigli, ma dal desiderarlo all’esserlo ce ne vuole!

E in futuro, chi vorresti essere?

Vorrei continuare a crescere come persona e riuscire a trovare il modo di mettere quelli che sono i miei talenti a servizio degli altri. In passato ho sempre ricercato cose che mi facessero star bene e mi dessero piacere, ora sto cercando di essere più attento ed in ascolto dell’altro e in questo il mio lavoro è un’opportunità che mi è dato di cogliere ogni giorno.

Simone

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Mi chiamo Maria Panatta, ho diciannove anni e frequento il primo anno della facoltà di Interpretariato e Traduzione, presso l’Università degli Studi Internazionali di Roma – UNINT.

La scelta di questo percorso universitario è stata il risultato di una lunga crescita, al termine della quale ho maturato un rapporto sempre più stretto e intenso con le lingue straniere e le rispettive culture.

Sono sempre stata affascinata dalle lingue e dalle culture diverse dalla mia e, fin dalla tenera età, sono stata introdotta a diversi codici linguistici. Mio nonno paterno era originario di Olevano, mentre quello materno era calabrese; mia nonna materna ha lavorato come insegnante di lingua italiana, presso una scuola primaria; mia zia, di origini emiliane, è cresciuta in Inghilterra, dove, attualmente, vive con le sue figlie; mio padre, avendo lavorato in un negozio gestito da giapponesi e, avendo dovuto interagire con clienti della stessa nazionalità, è in grado di parlare fluentemente la lingua nipponica.

Essendo nata e cresciuta a Roma, il mio codice linguistico ha inglobato sempre più termini legati al dialetto romano; tuttavia, mia madre, insegnante di sostegno alla scuola primaria e, dunque, italofona sia per professione, sia per pura passione, ha educato i miei fratelli e me a parlare un italiano di registro medio-alto, introducendoci anche a termini desueti, attraverso i quali, ormai, sappiamo esprimerci con facilità e correttezza.

Ho sempre avuto una passione per la mia lingua madre, l’Italiano, che ritengo elegante e vigorosa, attraverso la quale mi piace esprimermi sia attraverso la scrittura, sia attraverso la comunicazione verbale. Infatti, dopo aver frequentato un corso per risolvere precedenti problemi di balbuzie, ho maturato una vera e propria passione per l’arte oratoria, che mi ha portato al desiderio di diventare una interprete.

In realtà, prima del corso di cui ho appena parlato, il mio sogno professionale era quello di diventare una guida turistica, poiché sono affascinata da qualsiasi tipo di arte: musica, storia dell’arte, letteratura. Infatti, al termine della scuola superiore di primo grado, ho scelto di frequentare il liceo linguistico, non solo per approfondire la grammatica delle lingue straniere, ma anche per studiare ed entrare in contatto con le rispettive culture letterarie.

Sono grata alle mie professoresse di lingua del liceo, poiché sono state in grado di trasmettermi un forte interesse per le letterature straniere, integrando lo studio

mnemonico con materiale multimediale, come la visione di film in lingua originale. Inoltre, ci hanno permesso di partecipare a soggiorni internazionali, durante i quali siamo stati ospitati da famiglie native del posto.

Escludendo l’Italiano, il primo codice linguistico con il quale ho avuto a che fare è stato l’Inglese. In principio, attraverso la visione di cartoni animati in lingua originale in formato VHS (il famoso “Magic English”), mi divertivo a ripetere parole e canzoni; in seguito, spronata dai miei genitori e dalla mia prima insegnante di lingua inglese della scuola elementare, ho messo alla prova la mia capacità di apprendere facilmente la corretta pronuncia e la grammatica, rafforzata da quel senso di curiosità, che tutt’ora mi appartiene. A tale scopo, ho sostenuto diversi esami di certificazione di lingua (cinque livelli Trinity alla scuola primaria e secondaria di primo grado; PET e DELE alla scuola superiore di secondo grado).

Personalmente, ritengo che la pura conoscenza teorica non sia sufficiente per l’apprendimento di un qualsiasi codice linguistico, bensì è necessaria una totale immersione linguistico-culturale. Infatti, all’età di quattordici anni, ho compiuto il mio primo viaggio internazionale diretta a Londra, ospite da mia zia: da quell’anno in poi, l’ho resa una tradizione da vivere ogni estate.

I primi anni di soggiorno nel territorio britannico non sono stati particolarmente facili, poiché il patriottismo e l’orgoglio dei nativi sminuivano le mie basilari conoscenze della lingua inglese: spesso mi sono lasciata scoraggiare dal pensiero di “essere solo un’ospite”, di “non poter mai appartenere a quell’ambiente, che, tutt’ora, mi affascina”. Tuttavia, hanno prevalso la mia curiosità e la mia voglia di fare, portandomi, oggi, ad avere un alto livello della lingua e un’ottima capacità di orientamento all’interno della città londinese.

Durante le prime estati passate in Inghilterra, ho frequentato scuole di lingua per rafforzare le mie competenze, che, una volta solidificate, mi hanno portata a svolgere attività più interessanti e formative. Per esempio, ho prestato volontariato presso il Whittington Hospital, interagendo con i pazienti e, attraverso le loro storie, ho arricchito non solo la mia terminologia linguistica, ma anche la mia persona. Inoltre, ho collaborato con la squadra regionale di ginnastica ritmica, sport da me praticato fin dalla tenera età, imparando non solo nuove tecniche di allenamento, ma anche la corretta terminologia per poter parlare del mio sport preferito.

Il mio rapporto con la lingua inglese è stato rafforzato da quattro anni di laboratorio teatrale gestito da una regista internazionale di origini inglesi, che mi spronava a recitare le mie parti proprio in questa lingua. In questi ultimi mesi, ho lavorato, con questa regista, come attrice in uno spettacolo per bambini, andato in scena dal 14 al 17 novembre presso il Teatro India – Teatro di Roma.

Il secondo idioma con cui ho avuto a che fare è stato lo spagnolo, il cui studio è iniziato alle medie e portato avanti fino al quinto superiore. La mia passione per questa lingua è stata spronata da mio cugino, il quale ha vissuto in Spagna per diversi anni e che, attualmente, a seguito del conseguimento della laurea magistrale in Lingue e Letterature Straniere, svolge la professione di insegnante di lingua spagnola e letteratura italiana presso un liceo scientifico.

La mia fluenza dello spagnolo è migliorata soprattutto attraverso uno stage nella città spagnola di Valencia, propostoci dalla professoressa di lingua, al fine di completare il percorso di alternanza scuola-lavoro richiesto; infatti, ho avuto la possibilità di immergermi nel contesto lavorativo spagnolo dedito al commercio, visitando e parlando con i dipendenti di diversi supermercati. Inoltre, durante tale soggiorno, ho avuto modo di parlare costantemente la lingua spagnola, sia nella scuola, che frequentavo la mattina, sia nella famiglia che mi ha ospitato e con la quale, tutt’ora, mantengo i contatti.

Anche i divertenti e piacevoli incontri con la collaboratrice legale di mio zio avvocato, nativa di Oviedo nelle Asturie, mi hanno aiutato a correggere molti difetti di pronuncia dei quali neanche mi accorgevo.

Uno dei vantaggi più grandi dello studiare una lingua straniera è l’arricchimento interiore, che deriva dalla conoscenza di persone che entrano nella tua vita, quasi per caso, per poi rimanere sempre con te, seppur a chilometri di distanza. Ho molti “amici di penna virtuale” (giapponesi, turchi, indiani, arabi, americani, rumeni e polacchi), conosciuti nel corso dei miei viaggi, con i quali ci aggiorniamo sulle nostre vite tramite videochiamate e incontri, quando possibile.

Le lingue mi hanno sempre accompagnato fin dall’infanzia, permettendomi di crescere con una mente più aperta e curiosa; volendo far sì che possano continuare a far parte della mia vita, mi sono iscritta a questo corso di laurea, con una gran voglia di imparare cose nuove. Desidero approfondire maggiormente l’inglese e, soprattutto, imparare una nuova lingua: l’arabo, che mi affascina molto e tramite la quale potrò conversare con il mio amico Badr che vive in Arabia Saudita.

Inoltre, mi piacerebbe tanto apprendere anche altri tipi di codici linguistici, come il linguaggio dei segni e quello dell’audiovisivo. Quest’ultimo mi permetterebbe di aprire le porte a un altro mondo da cui sono sempre stata attratta: il doppiaggio.

Maria Panatta

MONDAYABROAD: 5 CURIOSITÀ DA SCOPRIRE SULL’INGHILTERRA

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Ecco 5 curiosità, storiche e non, sulla patria del tè e della Regina che forse ancora non conoscevate:

  1. L’inno nazionale britannico, “God save the Queen“, sarebbe l’inno nazionale ufficiale più antico al mondo, risale infatti al 28 settembre 1745, ma il suo utilizzo non è sancito da alcuna legge o proclama reale. Inoltre, è, ancora oggi, l’inno di alcune nazioni del Commonwealth, come Canada, Australia e Nuova Zelanda e quando il monarca è un uomo, l’inno viene trasformato in “God save the King“.
  2. Il Big Ben non è un orologio. Il nome infatti è proprio della campana da 13 tonnellate contenuta all’interno della torre dell’orologio, il cui nome è invece, St. Stephen’s Tower.
  3. Dal 1066 al 1362 il francese fu la lingua ufficiale dell’Inghilterra.
  4. L’alcol è un problema sociale serio in Inghilterra. A riprova di ciò basti sapere che, al momento dell’iscrizione al Nhs, l’equivalente del nostro Sistema Sanitario Nazionale, viene richiesto di compilare un modulo contente una sfilza di domande che vanno da quanti bicchieri di birra bevi al giorno a quante persone hai ferito nella tua vita a causa dell’alcol, per capire che tipo di bevitore sei.
  5. Acqua tiepida, questa sconosciuta. Nei bagni inglesi non esiste il concetto di “miscelatore“: i rubinetti dell’acqua calda e fredda sono separati, il che vi obbligherà a destraggiarvi con le mani in rapidità tra l’acqua gelida e quella bollente.