Armenia-Azerbaigian : il nuovo conflitto in Medio Oriente per lo stato che non c’e’
200 vittime, tra civili e soldati, è l’attuale bilancio degli scontri tra Armenia e Azerbaigian, anche se rischierebbero di essere molti di più. Il conflitto è riesploso nella notte della scorsa domenica 27 settembre 2020 per il controllo della regione autonoma del Nagorno–Karabakh, a seguito di alcuni bombardamenti mirati organizzati dalle forze azere in risposta ad altrettanti attacchi dei separatisti armeni. Le forze indipendentiste hanno poi dichiarato la legge marziale, seguite in un secondo momento dai governi di Baku ed Erevan: si tratta sicuramente di una delle peggiori crisi tra i due paesi mediorientali dai tempi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 1994. Inoltre, ricordiamo che il provvedimento aveva posto una tregua alle ostilità già implose all’interno dell’Unione Sovietica nella seconda metà degli anni Ottanta.
Quello tra Armenia ed Azerbaigian è un conflitto in cui entrano in gioco fattori di tipo identitario, ma anche fattori di carattere economico; difatti, il Nagorno – Karabakh è un importante snodo per alcuni dei principali gasdotti e oleodotti che riforniscono il continente europeo.
La regione è stata riconosciuta dal diritto internazionale come parte dello stato azero, ma di fatto si tratta di una zona popolata e controllata da una solida comunità armena, autoproclamatasi Repubblica, mai riconosciuta da nessun altro Stato e che rifiuta la dominazione di Baku. Le prime tensioni per il controllo dell’area scoppiano nel febbraio 1988, quando l’oblast’ armena indipendentista della regione (altresì conosciuta come NKAO) richiede l’annessione del Nagorno-Karabakh alla Repubblica sovietica armena. I contrasti e le proteste si inaspriranno a partire dal momento in cui l’assemblea del Soviet supremo dell’Unione dichiarerà che la regione dovrà rimanere parte della repubblica dell’Azerbaigian. La decisione e lo sgretolamento dell’URSS saranno il punto di partenza di una serie di scontri armati e di episodi violenti, come il ‘massacro di Khojali’, in cui perderanno la vita numerosi abitanti dell’area di etnia azera. Tra l’aprile del 1993 ed il maggio del 1994, il Consiglio di Sicurezza adotterà una serie di risoluzioni in cui imporrà il cessate il fuoco e la successiva smilitarizzazione dell’area. Nonostante l’intervento della comunità internazionale, non si troverà mai un punto di mediazione al fine di intavolare delle trattative di pace per attenuare le divergenze tra i due stati contendenti: da una parte l’Armenia, appellandosi a fattori religiosi e patriottici, continua a rivendicare la propria podestà territoriale, mentre Baku sostiene la propria incapacità di farsi da parte di fronte alle continue provocazioni, sollecitando di fatto un’azione mirata da parte della comunità internazionale.
All’impasse degli organi ONU di fronte alla questione, si aggiungono le attuali problematiche che gli altri membri della comunità internazionale si trovano a fronteggiare: l’Europa si trova nuovamente a gestire una nuova ondata di contagi da Covid-19 e gli USA sono nel bel mezzo delle presidenziali. Gli unici attori che, al momento, sembrano destinati a giocare un ruolo importante all’interno del conflitto sono Russia e Turchia. La prima si è sempre rivelata come un interlocutore decisamente equivoco tra le due ex-repubbliche sovietiche, ma la corsia preferenziale con lo Stato armeno è consolidata attraverso un’alleanza denominata Organizzazione del Trattato di Sicurezza collettiva (CSTO). In una prima telefonata con il premier Armeno, Putin ha affermato di voler evitare in tutti i modi una possibile ‘escalation del conflitto’. Dall’altra parte, invece, sembra che ci siano tutti i presupposti per adottare una linea dura: Erdogan si è dimostrato pronto ad intensificare quelle che sono già solide relazioni con l’Azerbaigian inviando aiuti consistenti, soprattutto al fine di riabilitare la propria reputazione nello scacchiere internazionale. Denunciando deliberatamente gli atteggiamenti di USA, Francia e Russia, che hanno richiesto un cessate il fuoco immediato, la presa di posizione adottata da Istanbul rischia di sconvolgere i già fragili equilibri della zona. Per il premier turco si tratta dell’ennesima scoccata ‘occidentale’ ad un problema che fino a questo momento è stato decisamente ignorato dalle grandi potenze, anche se di fatto Parigi, Mosca e Washington sono parte dell’OSCE, un’organizzazione creata proprio per far fronte a questo conflitto.
Lo scontro nella regione rischia di essere un nuovo teatro di contrapposizioni tra potenze internazionali e provvede ad acuire quelle che sono già delle palpabili tensioni tra Russia e Turchia in Eurasia. Quello che resta da capire è se, in questo caso, il Consiglio di Sicurezza riuscirà a mediare e a trovare una soluzione definitiva ad un conflitto che si porta avanti già da troppo tempo, a cui solo una soluzione comune e largamente condivisa potrà porre fine.
Martina Noero