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Armenia-Azerbaigian : il nuovo conflitto in Medio Oriente per lo stato che non c’e’

200 vittime, tra civili e soldati, è l’attuale bilancio degli scontri tra Armenia e Azerbaigian, anche se rischierebbero di essere molti di più. Il conflitto è riesploso nella notte della scorsa domenica 27 settembre 2020 per il controllo della regione autonoma del NagornoKarabakh, a seguito di alcuni bombardamenti mirati organizzati dalle forze azere in risposta ad altrettanti attacchi dei separatisti armeni. Le forze indipendentiste hanno poi dichiarato la legge marziale, seguite in un secondo momento dai governi di Baku ed Erevan: si tratta sicuramente di una delle peggiori crisi tra i due paesi mediorientali dai tempi della risoluzione del Consiglio di Sicurezza del 1994. Inoltre, ricordiamo che il provvedimento aveva posto una tregua alle ostilità già implose all’interno dell’Unione Sovietica nella seconda metà degli anni Ottanta.

Quello tra Armenia ed Azerbaigian è un conflitto in cui entrano in gioco fattori di tipo identitario, ma anche fattori di carattere economico; difatti, il Nagorno – Karabakh è un importante  snodo per alcuni dei principali gasdotti e oleodotti che riforniscono il continente europeo.

La regione è stata riconosciuta dal diritto internazionale come parte dello stato azero, ma di fatto si tratta di una zona popolata e controllata da una solida comunità armena, autoproclamatasi Repubblica, mai riconosciuta da nessun altro Stato e che rifiuta la dominazione di Baku. Le prime tensioni per il controllo dell’area scoppiano nel febbraio 1988, quando l’oblast’ armena indipendentista della regione (altresì conosciuta come NKAO) richiede l’annessione del Nagorno-Karabakh alla Repubblica sovietica armena. I contrasti e le proteste si inaspriranno a partire dal momento in cui l’assemblea del Soviet supremo dell’Unione dichiarerà che la regione dovrà rimanere parte della repubblica dell’Azerbaigian. La decisione e lo sgretolamento dell’URSS saranno il punto di partenza di una serie di scontri armati e di episodi violenti, come il ‘massacro di Khojali’, in cui perderanno la vita numerosi abitanti dell’area di etnia azera. Tra l’aprile del 1993 ed il maggio del 1994, il Consiglio di Sicurezza adotterà una serie di risoluzioni in cui imporrà il cessate il fuoco e la successiva smilitarizzazione dell’area. Nonostante l’intervento della comunità internazionale, non si troverà mai un punto di mediazione al fine di intavolare delle trattative di pace per attenuare le divergenze tra i due stati contendenti: da una parte l’Armenia, appellandosi a fattori religiosi e patriottici, continua a  rivendicare la propria podestà territoriale, mentre Baku sostiene la propria incapacità di farsi da parte di fronte alle continue provocazioni, sollecitando di fatto un’azione mirata da parte della comunità internazionale.

All’impasse degli organi ONU di fronte alla questione, si aggiungono le attuali problematiche che gli altri membri della comunità internazionale si trovano a fronteggiare: l’Europa si trova nuovamente a gestire una nuova ondata di contagi da Covid-19 e gli USA sono nel bel mezzo delle presidenziali. Gli unici attori che, al momento, sembrano destinati a giocare un ruolo importante all’interno del conflitto sono Russia e Turchia. La prima si è sempre rivelata come un interlocutore decisamente equivoco tra le due ex-repubbliche sovietiche, ma la corsia preferenziale con lo Stato armeno è consolidata attraverso un’alleanza denominata Organizzazione del Trattato di Sicurezza collettiva (CSTO). In una prima telefonata con il premier Armeno, Putin ha affermato di voler evitare in tutti i modi una possibile ‘escalation del conflitto’. Dall’altra parte, invece, sembra che ci siano tutti i presupposti per adottare una linea dura: Erdogan si è dimostrato pronto ad intensificare quelle che sono già solide relazioni con l’Azerbaigian inviando aiuti consistenti, soprattutto al fine di riabilitare la propria reputazione nello scacchiere internazionale. Denunciando deliberatamente gli atteggiamenti di USA, Francia e Russia, che hanno richiesto un cessate il fuoco immediato, la presa di posizione adottata da Istanbul rischia di sconvolgere i già fragili equilibri della zona. Per il premier turco si tratta dell’ennesima scoccata ‘occidentale’ ad un problema che fino a questo momento è stato decisamente ignorato dalle grandi potenze, anche se di fatto Parigi, Mosca e Washington sono parte dell’OSCE, un’organizzazione creata proprio per far fronte a questo conflitto.

Lo scontro nella regione rischia di essere un nuovo teatro di contrapposizioni tra potenze internazionali e provvede ad acuire quelle che sono già delle palpabili tensioni tra Russia e Turchia in Eurasia. Quello che resta da capire è se, in questo caso, il Consiglio di Sicurezza riuscirà a mediare e a trovare una soluzione definitiva ad un conflitto che si porta avanti già da troppo tempo, a cui solo una soluzione comune e largamente condivisa potrà porre fine.

Martina Noero

#FACCIAMOILPUNTO

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Il virus che ha sorpreso l’Italia

In poche settimane abbiamo conosciuto il Covid-19. È come quando una terribile malattia si impadronisce del corpo di una persona portandola allo sfinimento, solo che questa volta nello stato patologico non ci sono solo le persone fisiche, ma è l’intero organismo-Paese che è in una condizione di sofferenza. Quotidianità stravolta, sistema sanitario che è sull’orlo dell’implosione, borse europee che hanno perso miliardi di euro e, soprattutto, piccole e medie imprese che a breve registreranno una mancanza di liquidità. Questi sono i principali disturbi funzionali che si manifestano con questo virus.                                                                                                                      
E mentre dai bilanci i numeri dei pazienti positivi e dei decessi continuano ad aumentare, noi cittadini dobbiamo farci carico delle nostre responsabilità, gli errori non sono più ammessi. In questi giorni abbiamo visto trionfare le istanze egoistiche dell’individuo, che come un cavaliere sguainava la spada dell’invincibilità, della sicurezza. Purtroppo nessuno è immune. E sfortunatamente non è stata percepita la giusta dimensione del pericolo. Bastava aprire i social network, perfetto misuratore del tessuto sociale, per vedere che gli abbracci, le cene e gli aperitivi non sono mai cessati. Ma durante queste settimane la classe dirigente italiana come si è mossa? È la fine di gennaio quando la positività di due turisti cinesi in vacanza a Roma fa scattare le prime misure: l’Italia blocca i voli diretti da e per la Cina, ma ahimè, continuano ad aver luogo i voli indiretti. A metà febbraio sembra tutto risolto, fino a quando dalla Lombardia arriva la notizia della positività del primo italiano, un uomo di trentotto anni residente a Codogno. Da questo momento in poi rimbalzeranno le notizie relative a continui contagi, inizia l’isolamento di alcuni paesi, scattano i primi obblighi di quarantena e le Regioni coinvolte emanano le loro ordinanze.  Il 4 marzo segna l’adozione del decreto-legge che suona come fortemente drastico, quello che in primis prevede la chiusura di scuole e Università di tutto il territorio nazionale fino alla metà del mese, e la sospensione di manifestazioni, eventi e spettacoli. Tali misure vengono accompagnate da un videomessaggio del premier Conte che chiama la nazione a fare la propria parte. Nella serata in cui i casi sono 5.883 emerge l’indiscrezione sul decreto con le nuove misure. L’8 marzo l’Italia si sveglia con l’isolamento della Lombardia e di altre 14 province. Ma è lunedì 9 marzo che gli italiani non possono far a meno di trovarsi incollati davanti al televisore, sono da poco trascorse le 21.30, il Presidente Conte da Palazzo Chigi annuncia la decisione relativa a “rinunce” e “misure più stringenti”. L’intera nazione diventa zona di contenimento, ciò implica il divieto di tutti gli spostamenti – eccezion fatta per situazioni comprovate di necessità -, restrizioni nei locali pubblici, la sospensione delle manifestazioni sportive e il prolungamento della chiusura dei luoghi di istruzione. L’Italia è in piena emergenza. E come va inquadrata un’emergenza dal punto di vista politico-istituzionale? A differenza di altri Paesi, il nostro ordinamento è privo di una disciplina sullo stato di emergenza, ciò nonostante l’Assemblea Costituente elaborò degli strumenti da mettere a disposizione del Governo. Uno di questi strumenti è l’art.77 Cost., che fa riferimento alla facoltà del Governo di emanare provvedimenti provvisori aventi forza di legge, esclusivamente in casi eccezionali. Sono appunto i cosiddetti decreti-legge che stiamo vedendo sul tavolo dell’Esecutivo in questi giorni. Ricordiamolo, anche quando sembrava non esserci via d’uscita – ad esempio negli anni di piombo – l’Italia è riuscita a risalire la china.                                                                           
In tutta questa vicenda poi, un paziente che sembra riversare in condizioni particolarmente difficoltose è l’Europa che per il momento ha lasciato alle sue spalle la voce «Unione» e ha assistito inerme al prevalere della ragion di Stato dei suoi membri. L’Italia si è ritrovata ad essere dipinta come l’untore dell’Occidente proprio dai suoi partner regionali. È proprio vero che a volte il colpo più duro viene inflitto da chi meno te lo aspetti, ed è senza dubbio quello più doloroso. Ma siamo certi che quella forte identità che nel passato è riuscita a stimolare il processo di integrazione sarà il catalizzatore di una riorganizzazione comune. L’Europa riprenderà il controllo del proprio destino e riuscirà ad imprimere una nuova sinergia fra i suoi membri.
C’è stato un tempo, quello del primo conflitto mondiale, in cui la guerra di posizione fece conoscere la trincea. Oggi, le nostre mura domestiche potrebbero diventare il luogo dove trincerarsi, noi però non siamo soldati sottoposti ad atroci sofferenze, a noi è richiesta solo pazienza, all’interno delle nostre “fortificazioni” ci sono i nostri affetti, ci sono i nostri indispensabili dispositivi tecnologici. Insomma, è sì un tempo scandito dall’incertezza, ma possiamo uscirne. E no, non ci sono nemmeno supereroi, ma ci sono persone con il camice bianco che ci stanno salvando anche senza i superpoteri. Fantastico, vero?  
L’Italia ormai indossa la corazza del combattente, ma è una nazione dalla scorza dura. Siamo l’Italia delle meraviglie!  Siamo il Paese del caffè caldo al mattino, della pasta al dente. Siamo il Paese del buon vino, dei tramonti sui vigneti e sul mare cristallino. Siamo il Paese dei celebri artisti, dei piccoli borghi e dei grandi monumenti. Siamo il Paese con la illustre laguna, con il Duomo, con gli incantevoli golfi e con la città eterna. Siamo il Paese dei magnifici stilisti, degli artigiani e delle vette mozzafiato. Noi siamo il Paese che “nel blu dipinto di blu” riesce a volare.                                         

Caro Belpaese ti promettiamo che ce la farai, ancora una volta!

Gaia Natarelli

  • Fonte: articolo “Il Foglio” 3 marzo 2020
  • Fonte: articolo “Corriere della Sera” 4 marzo 2020
  • Fonte: articolo “Corriere della Sera” 7 marzo 2020
  • Fonte: articolo “Corriere della Sera” 8 marzo 2020
  • Fonte: “governo.it – Notizie” del 9 marzo 2020

Edizione straordinaria di #FACCIAMOILPUNTO

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STORIE DALLA SIERRA LEONE

Nessun uomo è un’isola” questo verso di John Donne è recentemente diventato il mio motto.

Mi trovo in Sierra Leone, uno dei paesi più ricchi di risorse e più poveri al mondo.
Sono partita perché l’Africa da tanto tempo rappresentava il tassello mancante nel puzzle delle mie necessità esplorative e formative.
Sono partita perché volevo toccare con mano le tradizioni e le difficoltà di questo paese pieno di bambini, di colori e martoriato da una povertà dilagante.

L’anima e la guida di questo mio viaggio è Daniel Sillah, un “black Italian” come si lascia scherzosamente chiamare.
Daniel era appena adolescente quando scoppiò la guerra civile in Sierra Leone e nei suoi racconti è ancora molto vivido il ricordo delle atrocità vissute in quel periodo.
L’esercito dei ribelli era solito prendere i ragazzi giovani come lui e farne degli “scudi umani”, per fermare l’avanzata delle forze governative.
Daniel però riuscì a salvarsi grazie ad un prete italiano, che lo portò con sé in Italia garantendogli istruzione e formazione.
Ma dopo aver studiato e lavorato per dieci anni, scoprì che la sua famiglia era sopravvissuta allo sterminio condotto dalle forze ribelli nel suo villaggio e decise di tornare.

Il rientro a casa per Daniel fu allo stesso tempo gioioso e doloroso, le immagini legate alle violenze vissute durante la guerra affollavano la sua mente. Ritrovare i suoi cari però gli diede la forza di riconoscersi fra i pochi “fortunati” e da qui nacque il desiderio di impegnarsi nei confronti della maggioranza della popolazione sierraleonese, in estrema difficoltà.
In particolare, da diversi anni Daniel e la moglie, Lucy, si battono per garantire un luogo sicuro e una vita serena ai bambini orfani e abbandonati delle zone più povere del paese.

Se c’è una cosa che ho imparato finora è che la parola “fortuna” è estremamente volubile e facilmente manipolabile a seconda dei contesti.
E in questo risiede forse l’apprendimento più prezioso maturato in queste settimane: la relatività dei valori e delle cose che possediamo.

Mi sono riscoperta molto fragile, una volta scardinate le tante e comode certezze materiali che do per scontate.
Mi sono riscoperta fortunata, nel momento in cui ho capito che la mia felicità è relativa allo spazio e al tempo che mi è concesso di vivere.
Mi sono scoperta incompleta, quando ho percepito la vastità dei problemi che avevo finora ignorato.

Poi un giorno ho giocato con delle macchinine con un bambino che non ne aveva mai avute.. e a quel punto tutto è diventato relativo, ed io completa.

Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
” (John Donne)

Sara

#FACCIAMOILPUNTO

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Cosa, quando, dove e perché è successo. Nelle ultime settimane (nell’ultimo anno, in questo caso).

UNINT

Dalla metà di dicembre in poi è tempo di bilanci: si sa.
Si riflette, si valuta, si indaga, ci si interroga su cosa potremmo cambiare e su cosa invece dobbiamo cambiare.
Una cosa ad oggi, è certa: da brava “programmatrice seriale” quale sono, gli ultimi dodici mesi del 2019 si sono rivelati pieni di cambiamenti e di sorprese assolutamente non-da-me-programmate.
UNINT Blog, è indubbio, rientra fra queste.

Ricordo ancora il giorno in cui, in una già fin troppo calda pausa pranzo di maggio, una mia cara amica e collega mi accennò di voler dare nuova vita ad alcuni progetti universitari già esistenti, ma erano arenati nel corso del tempo.
Si parlò in particolare del “giornale universitario” e del dover rispolverare questo spazio online – degli studenti e per gli studenti- rendendolo attuale e pieno di contenuti.
Il mio istinto in quel momento, senza nemmeno consultarmi, mi fece dire “Posso occuparmene io!”.
Da lì è iniziata una grande avventura, che ci ha visti protagonisti di diversi momenti al limite fra il tragico e il comico.

Ciò che è certo è che, come buona parte delle cose non programmate, UNINT Blog ha rappresentato sia una sfida, che una grande risorsa.
Ci ha messo di fronte ad alcune difficoltà e allo stesso tempo ci ha messo in contatto con tutte le sfere che dirigono l’Ateneo e con la realtà che ci aspetta fuori dalle mura universitarie.
Per questo motivo ringrazio tutti gli studenti che hanno finora contribuito alla sua realizzazione, ai colleghi di Unintraprendenza, ai ragazzi dell’Ufficio Comunicazione e alle figure istituzionali dell’UNINT che ci hanno dato piena fiducia e appoggio da quel caldo giorno di maggio, ad oggi.

NEL FRATTEMPO, NEL MONDO

Le annate con il numero “9” come ultima cifra, si sono dimostrate, nei decenni passati, fra le più dense di eventi e avvenimenti.
Per esempio, nel 2009, Barack Obama veniva eletto primo presidente afroamericano nella storia degli Stati Uniti D’America e vinceva il Nobel per la Pace.
Nel 1999, nasceva l’euro e l’Onu istituiva la giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
Nel 1989 invece, cadeva il muro di Berlino. Ma di questo ne abbiamo già parlato.

“L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quelle che andò e la prima di quella che viene. Così il tempo presente.” (Leonardo da Vinci)
Ciò che c’è di più significativo è tuttavia, che la cifra “9” segna la chiusura prossima di un decennio. E quindi, questo dicembre, i bilanci non andranno fatti solo sull’anno appena passato, ma sull’ennesimo ciclo che volge a concludersi.

Quanto è cambiato il mondo? Oppure non è cambiato affatto?
Cosa potremmo cambiare? E cosa invece dobbiamo cambiare?

Ne riparliamo nel 2020, ciao!

#FACCIAMOILPUNTO 29novembre

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Edizione speciale…. #VALE LA PENA

Il tempo sta volando e anche novembre volge al termine.
Si inizia a parlare di esoneri e appelli d’esame, ma mancano solo cinque venerdì a Natale quindi, consoliamoci. Nel frattempo, il mondo è diviso.
Una buona parte va a fuoco, è in rivolta. Mentre l’Italia annega sotto le incessanti piogge.

Martedì 19 Novembre l’UNINT ha avuto l’opportunità di partecipare ad un momento conviviale nell’ambito della Terza Missione.
Per chi non lo sapesse: si parla di “terza missione” dell’Università, per sottolineare che gli atenei devono assumere un nuovo fondamentale obiettivo accanto a quelli della didattica e della ricerca scientifica: il dialogo con la società.
In particolare, in questa occasione, l’UNINT si è messa in contatto con il mondo del disagio carcerario incontrando i dipendenti e i coordinatori della birreria artigianale “Vale la pena”.

Può creare indipendenza” è il loro motto e nasce nel 2014 all’interno della Onlus Semi di Libertà con l’obiettivo di contrastare le recidive delle persone in esecuzione penale. All’interno di questo progetto, detenuti ammessi al lavoro esterno vengono formati ed avviati all’inclusione professionale nella filiera della birra artigianale.

Noi di UNINT Blog e Radio UNINT abbiamo avuto l’opportunità di intervistare Oscar La Rosa, fondatore di Economia carceraria e Massimo, che ha vissuto in prima persona da un lato il disagio carcerario e dall’altro le opportunità date dal progetto.

Oscar, raccontandoci di “come siamo arrivati fin qui” ci ha detto che:

“Il carcere, è un luogo che esiste effettivamente in Italia, ed è un luogo di cui spesso e volentieri ci dimentichiamo. Lì dentro vivono delle persone, quindi c’è una componente umana che va ricordata in qualche maniera.
E in Italia, il carcere non funziona.
Qual è il fattore per vedere se una politica pubblica funziona oppure no? Si va a prendere il dato sulla “recidiva”. Si va a vedere se queste persone, una volta uscite dal carcere, tornano a commettere reato oppure no. Se tornano in galera significa che quegli anni spesi nel carcere non sono serviti a tanto, se invece non tornano significa che in quegli anni è stato fatto un buon lavoro.
Ecco, questo dato, in Italia, al 2005, è del 70%. Ovvero il 70% dei detenuti usciti dal carcere nel 1998 ci è rientrato nel 2005. Questo dato è molto alto, e la cosa che ancora più fa impressione è che da 20 anni non si hanno statistiche ufficiali sulla recidiva.
Parliamo quindi di dati vecchi, che il Ministero non ha più analizzato, e quindi ad oggi non sappiamo se siano aumentati o diminuiti. Ma da quello che possiamo vedere la situazione non è buona.

Uno degli strumenti fondamentali per contrastare questa tendenza, e il più efficace a mio avviso, è il lavoro carcerario. Questo assicura una pena dignitosa, perché il lavoro permette di avere un reddito e di continuare a contribuire in qualche maniera alla famiglia che è rimasta fuori, considerato anche che il 95% dei detenuti è di sesso maschile.
Il lavoro in carcere per come lo intendiamo noi, ovvero il lavoro alle dipendenze di una cooperativa, quindi all’esterno del carcere e non verso l’amministrazione carceraria, è fondamentale per far capire al detenuto le regole del mondo libero. Ovvero l’avere diritti e doveri nei confronti di un’altra persona, il datore di lavoro.

Lo stigma è un’altra questione preoccupante: chi esce dal carcere è socialmente segnato da questa esperienza, quindi un’azienda sarà sempre portata a compiere scelte alternative nel momento delle assunzioni.
Da qua nasce l’idea di economia carceraria, e di questo luogo.
Ci siamo chiesti: come combattiamo questo stigma? È la risposta più naturale è stata creare un posto dove possiamo parlare di questi temi. Partecipare a fiere, eventi, con i ragazzi che provengono dalla realtà carceraria e mettendoli in contatto, senza filtri, con la società civile.

Economia carceraria nasce un anno fa, con il primo Festival che si è svolto il 2 giugno 2018 a Roma. Ed è nata da un’idea molto semplice, forse banale. Ci siamo incontrati io e Paolo Strano (il fondatore della Onlus Semi di Libertà che ha curato e lanciato il progetto di “Vale la pena birra” ndr.) e ci siamo detti “Invitiamo le varie cooperative coinvolte nell’economia carceraria e creiamo una tavola rotonda per capire meglio com’è la situazione carceraria in Italia e quali sono le politiche pubbliche a riguardo”. In questo modo volevamo dimostrare alla società civile che all’interno del carcere esisteva una realtà produttiva, e anche accademica, dal grande potenziale.
Questo festival ha avuto un grande successo, soprattutto dal punto di vista mediatico, e quindi abbiamo sentito la necessità di iniziare a pubblicizzare e a vendere i beni prodotti all’interno delle varie carceri in Italia.
L’idea di base è che anche la vendita di un semplice pacco di biscotti può garantire ad una cooperativa la possibilità di assumere un nuovo detenuto.
Per questo, da un anno lavoriamo per vendere questi prodotti, sia nel nostro pub, ma anche all’interno di negozi equo-solidali.
Mai come in questo caso è vero il detto: “L’unione fa la forza”.
Perché poi, la vera sfida per noi è “integrare” e non ghettizzare, fondere insieme persone libere e persone detenute, per fare in modo che le une esaltino le altre.”

Come è nata l’idea della produzione di birra?

“L’idea della birra nasce da Paolo, il fondatore di questa Onlus.
È un fisioterapista, per motivi di lavoro va al Regina Coeli a curare i detenuti ed è rimasto colpito dal fenomeno delle “porte scorrevoli” ovvero, appunto, della recidiva.
Paolo ha individuato nel lavoro lo strumento migliore per contrastare questa tendenza ma era il 2012, ovvero il punto più alto della crisi occupazionale in Italia. Si accorge però che un settore occupazionale in crescita c’era, ed era quello della produzione di birra artigianale.
Basti pensare che nel 2012 i birrifici artigianali in Italia erano 300, mentre ad oggi abbiamo superato i 1400. Questo ha permesso di dare vita ad un progetto non solo formativo, ma soprattutto auto-sostenibile. Questa estate Birra Vale la pena è diventata un’azienda vera e propria con l’obiettivo di crescere e di assumere sempre più detenuti, ed ex detenuti.

Il momento più critico per un detenuto infatti non è quando è in carcere, ma quando sta per uscire.
Molte persone che sono passate da qui, dalla Onlus, erano spaventate dal “fine pena” perché a quel punto non avrebbero più potuto lavorare con noi. Per questo motivo abbiamo fortemente voluto lavorare “fuori dal carcere” per poter accompagnare questi ragazzi nel momento più tragico dell’intera esperienza, ovvero il momento dell’uscita.”

Massimo invece, ci ha raccontato della sua esperienza personale:
“L’uscita è il momento più critico ma dipende anche da chi ha i mezzi e da chi non. E non parlo di quelli esclusivamente materiali, economici.
All’uscita dall’istituto ho trovato delle amiche che mi hanno parlato della Onlus Semi di Libertà, per la quale ho subito iniziato a fare il volontario, per un certo periodo. Poi le nostre strade si sono dovute dividere perché io ho trovato lavoro, ma non appena è nato l’idea (Vale la pena) ho sentito il bisogno di farne parte, perché me ne ero innamorato.
Ad oggi stiamo cercando di destinare una parte di questo progetto al finanziamento del Pub e un’altra parte alla valorizzazione dei prodotti che vengono da Economia carceraria.
A me piaceva l’idea che qualcuno si dedicasse, senza interessi economici, a persone che avevano bisogno di abituarsi nuovamente all’ambiente esterno. Poi è ovvio, non possiamo aiutarne 100 mila, ma anche se ne aiutiamo 5, io sono felice.”

Alla nostra domanda “In che modo il mondo universitario da cui proveniamo potrebbe aiutarvi?”
La loro risposta è stata: “Da clienti, innanzitutto!”.
quindi andiamo a trovarli, numerosi, al Pub Vale La Pena Birra in VIA EURIALO 22.

Anche perché la birra è davvero buona… Parola di UNINT Blog!

#FacciamoIlPunto 1novembre 2019

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Cosa, quando, dove e perché è successo. Nelle ultime due settimane.

UNINT

Volge al termine il primo, nonché super impegnativo mese di questo nuovo anno accademico. Finora la vita universitaria è stata costellata di attività, nuove iniziative, eventi e conferenze.

L’Ateneo ha inoltre ospitato la decima edizione del Festival della Diplomazia, a conferma della sua forte vocazione internazionale e della volontà di aprirsi (ed aprirci) al mondo.

Nel frattempo, nelle aule, per i corridoi e all’Ufficio Comunicazione prendeva vita la prima associazione studentesca dell’UNINT: ATHENA. L’associazione è nata con l’obiettivo di creare una rete tra gli studenti e di rafforzarne il legame reciproco, proponendosi di contribuire, mantenere, e migliorare lo stimolante ambiente universitario. La mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere” è il suo motto e rispecchia lo spirito guida dell’associazione.

I membri di Athena vi aspettano Martedì 5 novembre alle ore 10 in Aula 18 per conoscervi, ascoltare le vostre proposte e arricchire la vita studentesca. Detto questo, Natale è ancora lontano e noi siamo già stanchi morti.

NEL FRATTEMPO, NEL MONDO

È tempo di proteste e di stato d’emergenza.

Si protesta in Iraq, in Cile, ad Hong Kong e in Catalogna mentre in Sud America è il momento di rivoluzioni politiche con le elezioni in Argentina, in Uruguay e in Bolivia.

Barcellona sta vivendo una forte ondata di proteste indipendentiste, a seguito delle condanne pronunciate contro i leader catalani; in Cile, Pinera ha annunciato la fine dello stato d’emergenza e ha chiesto la rinuncia di tutti i suoi ministri preannunciando ampie riforme all’interno dell’organo di governo.

In Iraq è stato dichiarato lo stato d’emergenza ma si continua a protestare in piazza, nonostante il coprifuoco e i già, purtroppo, numerosi morti.

Nel frattempo, la California è in fiamme e con oltre 200.000 evacuati: il governatore ha dichiarato lo stato d’emergenza.

In Europa il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, ha annunciato che i 27 paesi membri dell’Unione Europea hanno accettato di rinviare la decisione sulla Brexit al 31 gennaio 2020.

Mentre gli Stati Uniti hanno confermato di aver condotto un raid in Siria che ha procurato la morte del Califfo dell’Isis Abū Bakr al-Baghdadi.

La veridicità di queste affermazioni sembra indiscussa ma, fun fact: la sua morte era già stata dichiarata nel 2014, due volte nel 2015 e altre ben due volte nel 2016. Sette volte morto, insomma.

Intanto in India si è festeggiato il Diwali, il festival delle luci. In particolare, una città dell’Uttar Pradesh (regione nel Nord dell’India) ha battuto ogni record illuminandosi con più di 600.000 candeline.

Questo purtroppo mi costringe a concludere con una notizia pessima ed una ottima. La pessima è che, purtroppo, ora esiste un evento più fotogenico del nostro UNINT Holi Festival. L’ottima notizia invece è che abbiamo già il tema per la prossima festa di inizio anno accademico.

#FACCIAMOILPUNTO 18 ottobre

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Cosa, quando, dove e perché è successo. Nelle ultime due settimane.

UNINT

È iniziato l’anno accademico (in caso non ve ne foste ancora accorti…) ed è cominciato alla grande. Giovedì 3 ottobre l’UNINT ha accolto importanti ospiti ad una tavola rotonda dal titolo: “FUTUNINT: in sintonia con quale futuro?” Ebbene, noi di UNINT BLOG li abbiamo intervistati, senza scrupoli e soprattutto: senza ansia.

Antonio di Bella, direttore di Rai News 24; Eugenio Coccia, rettore del Gran Sasso Science Institute, nonché fisico astroparticellare e premio nobel (2017); Alberto Negri giornalista e reporter di guerra.

I loro interventi e le loro risposte ci hanno lasciato importanti spunti su cui riflettere, fra i tanti: la ribalta e l’uso dei social media, l’intelligenza artificiale e la scoperta dell’Universo, la libertà di espressione e di stampa, i nuovi orizzonti internazionali.

In caso non abbiate ancora visto le interviste (ed è quasi impossibile) le trovate a questo link: https://www.youtube.com/user/luspiotv/videos, oppure su Google, o su Facebook, o su Instagram o un po’ dappertutto, insomma.

Sempre giovedì 3 ottobre, finita la cerimonia, ha preso vita la più fotogenica ed originale delle feste universitarie finora, al mondo, esistite: L’UNINT Holi Festival. È stata una bellissima occasione di ritrovo, di condivisione.Per questo ringraziamo tutti quelli che hanno contribuito alla sua realizzazione e ringraziamo, ancor di più, il vento gelido che ci ha accompagnato per tutta la serata e che ha permesso uno spettacolare spargimento di polveri colorate, e di influenze.

Sicuramente, successivamente al 3 ottobre, sono successe tantissime altre cose all’UNINT, ma noi responsabili di progetto dobbiamo ancora riprenderci da questo inizio “in quarta” dunque passo, e chiudo.

NEL FRATTEMPO, NEL MONDO

In Europa, come sempre, poche buone notizie e una grave notizia: la Turchia ha invaso la Siria.

La Germania ha dichiarato lo stop alla vendita delle armi all’esercito di Ankara, poi anche la Francia e poi anche Zingaretti, mentre di Maio ne chiacchierava con l’Unione Europea.

La pronta risposta turca però è stata: “Quelli che evitano persino di rimpatriare i propri cittadini che sono terroristi foreign fighter di Daesh non hanno il diritto di dare lezioni alla Turchia sulla lotta all’Isis”. (ANSA)

Dunque ci ha pensato Trump, con un’acutissima osservazione, dichiarando che: “Le guerre senza fine devono finire”, fine.

Le buone notizie arrivano invece dall’Africa, dove il premier etiope Abiy ha vinto il premio Nobel per la pace, “per i suoi sforzi per raggiungere la pace e la cooperazione internazionale, e in particolare per la sua decisiva iniziativa per risolvere il conflitto di confine con la vicina Eritrea” nella motivazione.

In Francia nel frattempo è stato catturato il mostro di Nantes, anche se non era lui.

Mentre in Corea del Nord, un Kim Jong-un decisamente più rilassato, passeggia a cavallo sulle nevi. E dico sul serio, cercate su internet.

Sara Nardi