STORIE DALLA SIERRA LEONE

Nessun uomo è un’isola” questo verso di John Donne è recentemente diventato il mio motto.

Mi trovo in Sierra Leone, uno dei paesi più ricchi di risorse e più poveri al mondo.
Sono partita perché l’Africa da tanto tempo rappresentava il tassello mancante nel puzzle delle mie necessità esplorative e formative.
Sono partita perché volevo toccare con mano le tradizioni e le difficoltà di questo paese pieno di bambini, di colori e martoriato da una povertà dilagante.

L’anima e la guida di questo mio viaggio è Daniel Sillah, un “black Italian” come si lascia scherzosamente chiamare.
Daniel era appena adolescente quando scoppiò la guerra civile in Sierra Leone e nei suoi racconti è ancora molto vivido il ricordo delle atrocità vissute in quel periodo.
L’esercito dei ribelli era solito prendere i ragazzi giovani come lui e farne degli “scudi umani”, per fermare l’avanzata delle forze governative.
Daniel però riuscì a salvarsi grazie ad un prete italiano, che lo portò con sé in Italia garantendogli istruzione e formazione.
Ma dopo aver studiato e lavorato per dieci anni, scoprì che la sua famiglia era sopravvissuta allo sterminio condotto dalle forze ribelli nel suo villaggio e decise di tornare.

Il rientro a casa per Daniel fu allo stesso tempo gioioso e doloroso, le immagini legate alle violenze vissute durante la guerra affollavano la sua mente. Ritrovare i suoi cari però gli diede la forza di riconoscersi fra i pochi “fortunati” e da qui nacque il desiderio di impegnarsi nei confronti della maggioranza della popolazione sierraleonese, in estrema difficoltà.
In particolare, da diversi anni Daniel e la moglie, Lucy, si battono per garantire un luogo sicuro e una vita serena ai bambini orfani e abbandonati delle zone più povere del paese.

Se c’è una cosa che ho imparato finora è che la parola “fortuna” è estremamente volubile e facilmente manipolabile a seconda dei contesti.
E in questo risiede forse l’apprendimento più prezioso maturato in queste settimane: la relatività dei valori e delle cose che possediamo.

Mi sono riscoperta molto fragile, una volta scardinate le tante e comode certezze materiali che do per scontate.
Mi sono riscoperta fortunata, nel momento in cui ho capito che la mia felicità è relativa allo spazio e al tempo che mi è concesso di vivere.
Mi sono scoperta incompleta, quando ho percepito la vastità dei problemi che avevo finora ignorato.

Poi un giorno ho giocato con delle macchinine con un bambino che non ne aveva mai avute.. e a quel punto tutto è diventato relativo, ed io completa.

Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso;
ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto.
” (John Donne)

Sara