#MondayAbroad: Leo Dossini

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Nato da mamma francese e papà italiano, oggi conosciamo Leo, studente Erasmus proveniente dalla Facoltà di Interpretariato e Traduzione dell’Université de Lille.


Chiacchierare con Leo è molto divertente: è un ragazzo molto simpatico e solare, allegro e scherzoso, che non fa fatica ad aprirsi con me sulla sua esperienza.
“Sono qua con la mia fidanzata, anche lei è in Erasmus, ma in un altro ateneo. Ci stiamo divertendo molto in quest’avventura: stiamo crescendo e stiamo capendo ogni giorno di più cosa vuol dire essere adulti, dunque, cosa significa doversi occupare anche della casa, per esempio… è comunque bello avere responsabilità alla pari con la nostra età.”
Leo rimarrà con noi tutto l’anno, arrivando a dare un totale di otto materie: “non ho trovato grossi ostacoli nella compilazione del mio Learning Agreement e, per fortuna, sia i miei docenti francesi che questi italiani si sono sempre resi molto disponibili per aiutarmi in caso non riuscissi a completare qualche passaggio.”


Come già detto, Leo ha una buona percentuale di italianità che scorre nelle sue vene: “amo l’Italia e sono molto fiero delle mie origini. Mio papà ci portava spesso a Bologna e qualche volta è capitato che visitassimo anche altre città italiane, infatti non è la prima volta che venivo nella Capitale.”
Incuriosita, comunque, dagli elogi che Leo continuava a rivolgere alla sua cittadina francese, ho deciso di continuare l’intervista spostandomi dall’obiettivo principale per parlare di… cibo e feste! (Quindi occhio alle prossime righe, lettori viaggiatori e buongustai!).


Lille è, infatti, conosciuta come una città universitaria, capoluogo della regione Alta Francia, ma è anche famosa per la Braderie de Lille, nella quale 10.000 espositori, fra cui 300 venditori professionisti di oggetti di brocantage, offrono un centinaio di chilometri di bancarelle a quasi 3 milioni di visitatori per vendere e comprare di tutto, dando vita a uno dei mercati delle pulci più grandi d’Europa e che consente alla città di Lille di trasformarsi in un’immensa isola pedonale dove commercianti, rigattieri e appassionati di antiquariato di ogni genere portano avanti una tradizione commerciale e di festa, mangiando cozze, patatine e moules-frites, e per Lille 3000, una gigantesca sfilata che cambia ogni anno tema e che attrae turisti da tutto il mondo (gli eventi si svolgono rispettivamente a settembre e aprile/maggio).


In più, per i nostri amici buongustai, Leo consiglia la carbonnade (à la) flamande, un piatto tradizionale belga composto da uno spezzatino di manzo stufato e cipolla, bagnato con la birra e condito con timo e alloro… una delizia per il palato!
Concludiamo l’intervista tornando a focalizzarci su Roma: alla domanda “Leo, come descriveresti ciò che hai vissuto fino a ora?”, ci pensa un attimo e poi afferma: “sicuramente entusiasmante… ma la vera particolarità è che ognuno di noi può venire a Roma infinite volte nella sua vita, ma la città avrà sempre qualcosa di nuovo da insegnargli o da fargli scoprire!”.

#UNINTSport: Le pagelle ignoranti. La partita del 14 novembre

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Lorenzo Pizzuti: 8. Il migliore dei suoi anche oggi, fino a quando scivola su una buccia di banana e concede un gol osceno. MARIO KART

Ludovico Vagnarelli: 7. Forte, ma fatica a trovare spazi. Esce prematuro per un infortunio al ginocchio che in realtà si scopre essere la scusa per ricevere la standing ovation dal suo fan club. IDOLO DELLE FOLLE

Carmine Caputo: 7,5. Trova finalmente la via del gol, e viene poi chiamato a sostituire il centrale, dove non sfigura affatto. La domanda che tutti si fanno è: se non fumasse, chi lo fermerebbe? TURCO

Davide Polletta: 7. Apre le marcature per la sua squadra e apre un varco nella ringhiera per raggiungere i suoi fan. Nel secondo tempo finisce l’ossigeno, forse per colpa della serata precedente. CHIRINGUITO

Valentin D’Amico: 5. Primo tempo inesistente. Entra in campo freddo come il ghiaccio e regala un gol agli avversari. Si scalda nel secondo tempo ed è l’ultimo a mollare per farsi perdonare. ICEBERG

Alessandro Putano: 7,5. Bomber di razza. Doppietta anche oggi che regala il pareggio ai suoi. Mezzo punto in meno per il nervosismo, sembra gli abbiano rubato il motorino. IRA DI ACHILLE

Vanni Nicolì: 9. Pur di essere presente rischia di farsi cacciare dalla residenza dove alloggia. Sfoggia l’abito della domenica e dirige la squadra con sicurezza. Urla, urla tantissimo. L’ABITO FA IL MONACO

Walter Caruso: 9. Dirigente, allenatore, segretario, consigliere. Fa tutto e aiuta i suoi con preziosi consigli. Scappa con i documenti a fine partita. DIABOLIK

Panchina e tifosi: 10. Fondamentali per la rimonta. Urlano e incoraggiano i loro pupilli. Belli e belli infreddoliti. POLARETTI

Valentin D’Amico

#PeopleOfUNINT

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Ciao! Mi chiamo Elena, ho 25 anni, sono abruzzese e frequento il secondo anno del corso di laurea magistrale in Lingue per la comunicazione interculturale e la didattica.

Come ti descriveresti in poche parole?

Intraprendente, energetica, empatica e forse, a volte, troppo impulsiva.

Perché hai scelto questo percorso di studi e non un altro?

La scelta di specializzarmi in questo ambito è nata principalmente dal mio desiderio di diventare un giorno insegnante di lingua e letteratura inglese e dalla mia passione per i viaggi. Vengo infatti da una famiglia di insegnanti che mi hanno trasmesso la loro passione per l’istruzione ed il mondo della scuola in generale, e di cui mi piacerebbe seguire le orme. Inoltre amo moltissimo entrare a contatto con altre culture e prendere e partire appena possibile! Cerco infatti di farmi almeno un viaggio al mese!

Qualche desiderio in particolare?

Il mio sogno nel cassetto è visitare l’Australia, in particolar modo Melbourne, dove spero in futuro di potermi trasferire ed insegnare, poiché è un mondo che mi affascina e che mi piacerebbe conoscere più da vicino. Mi incuriosisce poi il fatto che vi sia una nutrita comunità di italiani, tra cui alcuni miei parenti, i cui racconti australiani hanno alimentato la mia voglia di raggiungerli e di entrare a far parte di questa grande “family”.

Quali pensi debbano essere le caratteristiche di un bravo insegnante?

Credo che un insegnante, non dovendo formare l’alunno solo dal punto di vista professionale, ma anche come persona, debba essere oltre che ben formato, anche estremamente umano ed empatico, capace di instaurare un dialogo ed entrare in sintonia con chi si trova di fronte. Tutte capacità che spero di perfezionare e di acquisire ulteriormente nel corso della mia formazione.

Elena Santella

#Curiositàdalmondo: Chefchaouen, la città blu

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La prima impressione che si ha quando si mette piede in questa città è quella di essere in una città completamente sommersa dall’acqua tanto è vivo il blu delle pareti degli edifici.

La città venne fondata intorno alla metà del Quattrocento da esiliati andalusi e perseguitati religiosi che decisero di stabilirsi ai piedi del monte Rif, nella parte settentrionale del Marocco. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso veniva considerato come luogo sacro, tanto da essere interdetto agli stranieri. È per questo motivo una città che si è fatta apprezzare e conoscere soltanto negli ultimi anni.

Molte sono le teorie riguardo al perché del tipico colore blu delle pareti: alcuni sostengono che siano state dipinte di blu dagli ebrei in fuga dall’Inquisizione Spagnola nel XV secolo; secondo altri vennero dipinte di blu per tenere lontane le zanzare o semplicemente per tenere fresche le case durante i mesi estivi.

Ben lontana dal turismo di massa di Marrakesh o Casablanca, Chefchaouen è una cittadina piuttosto tranquilla che ha saputo mantenere la propria identità nel corso del tempo. Passeggiare per le strade della sua Medina significa entrare nelle case degli abitanti locali direttamente dalle finestre che danno sulle strade. Significa seguire la scia di spezie e odori tipici che solo questa fantastica terra sa regalare. Significa abbracciare la cultura marocchina in tutte le sue sfaccettature. Piccole stradine, vasi di coccio, muri addobbati con fiori e piante, gatti che sonnecchiano sui muretti (la città ne è piena infatti) bambini che giocano e anziane che si incontrano sull’uscio di casa. Tutto sembra essersi fermato in un’altra epoca, lontano dal caos cui l’immaginario collettivo è abituato pensando al Marocco.

Il cuore pulsante è piazza Outa-el-Hammam con la Moschea Tarik-Ben-Ziad, la quale nasconde un minareto molto simile alla Torre dell’Oro di Siviglia, chiaro riferimento ai fondatori della città.

#UNINTsightseeing: Il Parco dei mostri di Bomarzo (VT)

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Il Parco dei mostri di Bomarzo, chiamato anche Sacro Bosco o Villa delle Meraviglie, è un parco naturale ornato da numerose statue in basalto, situato nell’omonima cittadina in provincia di Viterbo, raffiguranti figure mitologiche, mostri e divinità.

Il parco venne realizzato secondo lo stile grotesque nel 1547 dall’architetto Pirro Ligorio per volere del principe Pier Francesco Orsini, ed è un vero e proprio percorso immerso nella natura, dove statue mostruose e terrificanti sbucano fuori dal nulla spaventando l’ignaro visitatore. Il tutto, contornato da scritte in volgare e in latino che spingono ad andare avanti nel percorso. Potremmo quasi intenderlo come quelle case dei fantasmi dei parchi di divertimento ma in chiave cinquecentesca.

Le motivazioni sul perché il principe abbia voluto la sua costruzione sono ancora ignote: si pensa che sia stato un rito di iniziazione per una setta religiosa oppure che semplicemente sia stato un capriccio per intrattenere i suoi ospiti in maniera singolare.

Raggiungere il parco con i mezzi pubblici è piuttosto complicato, ma è possibile raggiungere il paese di Bomarzo prendendo un treno regionale per Orte e da lì un cambio con autobus di linea Cotral.

#MondayAbroad: Elia Martínez

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Si chiama Elia, ha 20 anni e arriva direttamente da Barcellona. La sua avventura inizia il 22 agosto 2019, quando, per la prima volta come studentessa Erasmus, muove i primi passi sul suolo romano.
È una studentessa di Interpretariato e Traduzione dell’Universitat Autònoma de Barcelona, studia inglese e russo e… il caso ha voluto che oggi diventasse una nostra compagna di avventure per il primo ciclo semestrale!

Il suo sogno Erasmus aveva come destinazione l’Inghilterra, Paese da Elia sempre amato, sia per quanto riguarda la cultura che la lingua, ma purtroppo i vari problemi connessi al tema Brexit hanno fatto sì che cambiassero i piani e la scelta si è, dunque, spostata sulla nostra Capitale.
“Anche prima di partire per quest’avventura, la lingua italiana mi incuriosiva molto e pianificavo di studiarla una volta conclusi i miei studi universitari. Non è andata propriamente così, ma sono comunque molto contenta di ciò che sto vivendo, imparando e scoprendo giorno dopo giorno. Soprattutto, adoro visitare la città e perdermi nelle sue strade così grandi e ricche di storia!” detto ciò sorride e continua “…anche se, trovo che la differenza più grande tra Roma e Barcellona è il servizio di trasporto pubblico: a Barcellona (sarà per le diverse dimensioni delle città) mi trovo molto meglio, mentre qua è stato un bel colpo vedere la complessità della situazione.”

Elia è una ragazza molto gentile, solare e disponibile e, mentre mi racconta la sua storia, sorride ricordando i giorni già vissuti e pensando alle varie avventure che ancora l’attendono.
“Qua all’UNINT mi sto trovando molto bene sia con i professori, che con i miei colleghi. Sto frequentando cinque materie, le stesse che avrei dovuto seguire a Barcellona… incrociamo le dita!”


Ma l’Erasmus non è solo studio: l’esperienza l’ha condotta anche in altre città italiane, come, per esempio, Napoli. “Ho girato e sto girando molto, anche se mi piacerebbe riuscire a vedere meglio i monumenti, i musei e le città… Sicuramente non mi lascerò scappare quest’occasione in ciò che mi rimane di tempo qua.”

Terminiamo l’intervista con un pensiero della studentessa: alla domanda “come descriveresti con una frase ciò che hai vissuto fino a ora?” Elia rimane in silenzio per qualche secondo e, infine, conclude con “sicuramente un’esperienza magica e che rifarei senza alcun dubbio… alla fin fine, non è da tutti vivere in una delle città più antiche del mondo e avere, comunque, la consapevolezza che hai ancora così tanto da scoprire.”

La caduta del Muro di Berlino: trent’anni dopo, un bilancio

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La caduta del Muro di Berlino è un vero punto di svolta della storia europea e mondiale. Fu evento inaspettato, non previsto dalle élites europee, ma ripensato in prospettiva storica possiamo oggi dire che il suo verificarsi derivò da cause di medio e lungo periodo. Non poco pesò l’avvento di Michail Gorbačëv alla segreteria del Pcus. Egli tentò di riformare l’irriformabile con le sue idee di Perestroika e Glasnost. Oggi sappiamo dagli archivi quanto brancolasse nel buio, assieme al suo partito e all’intero movimento comunista internazionale. Nonostante ciò, la sua figura conferma il ruolo che spesso giocano le personalità nella storia, e ce ne furono di numerose in quel decennio che precedette il 1989: da Reagan alla Thatcher, da Giovanni Paolo II a Craxi, da Mitterand a Lech Walesa e molti altri coraggiosi dissidenti anticomunisti. Tutti loro furono, ciascuno a suo modo, fattori di dinamismo e accelerazione di processi già in corso.


Dalla periferia dell’impero sovietico s’innescò sin dalla primavera di quell’anno un processo di sgretolamento che culminò a Berlino il 9 novembre di trent’anni fa. La Cortina di ferro subì infatti la prima breccia il 2 maggio 1989 in Ungheria, a Hegyeshalom, 170 chilometri da Budapest e 80 da Vienna. 345 chilometri di reticolati, fortificazioni, bunker e muri lungo tutto la frontiera con l’Austria. Accadde proprio là dove oggi si ricostruiscono muri e fili spinati, a testimoniare a trent’anni di distanza che quella stagione ha mancato nei decenni seguenti una serie di passaggi cruciali. Uno tra questi è stato il non affiancare all’allargamento della comunità europea, processo sicuramente favorito dai fatti del 1989, la costruzione di una politica estera e di difesa comune. Oggi assistiamo pertanto ad un’unione europea che regge ad Est, e non solo, fintantoché reca vantaggi sul piano del rilancio delle singole economie nazionali, e solo se si accompagna a politiche autonome, mosse da interessi nazionali e non comunitari, sul piano della sicurezza interna ed esterna di fronte ai flussi migratori di massa.


L’89 ha segnato la fine del sistema bipolare, che diventò definitiva nel 1991 con il crollo dell’Urss. Ad un periodo di isolamento degli Stati Uniti e all’illusione di un nuovo ordine mondiale unipolare è seguito l’ultimo ventennio, inaugurato dall’11 settembre 2001, in cui la globalizzazione ha dimostrato di non essere governabile nel nome esclusivo del mercato e della tecnologia. L’89 fu anche lo sbocco di un decennio ottimista, gli anni Ottanta, e l’avvio di un altro ancor più ottimista, quasi utopistico. Gli anni Novanta cullarono l’utopia della liberaldemocratizzazione del globo. Ciò detto, in quel decennio si ebbe un’indubbia crescita economica europea tanto ad Est quanto ad Ovest, e più ad Est che ad Ovest. Una delle poche eccezioni fu proprio l’Italia, il cui sistema politico implose, un po’ per effettiva incapacità di autoriformarsi, un po’ per la convinzione delle nostre élites nazionali che solo un vincolo esterno potesse salvarci. Di qui, inizialmente, una maggiore infatuazione europeista nel nostro Paese rispetto ad altri, salvo poi vederlo tramutare negli ultimi sette-otto anni in uno di quelli con più marcati fenomeni di rigetto politico del processo di integrazione. L’Italia come uno dei laboratori del nuovo populismo euroscettico e sovranista. Più in generale, dopo il 2001 e la grande recessione del 2007-2008 è subentrato un periodo di pessimismo e depressione che è figlio tanto dell’insicurezza rispetto al terrorismo internazionale e alle grandi migrazioni quanto dell’impoverimento relativo delle classi medie per una globalizzazione divenuta sinonimo di delocalizzazione e concorrenza sleale.


Ottimismo e pessimismo anzitutto europei, quindi occidentali. Nel trentennio successivo al 1989 il mondo asiatico, ad esempio, ha invece conosciuto complessivamente una fase di espansione, tanto da far dire ad alcuni che siamo entrati nel “secolo cinese”. Quel che è certo è che siamo in una fase avanzata ma non conclusa di ristrutturazione multipolare dell’ordine internazionale e gli scontri di civiltà di cui parlava a metà anni Novanta Samuel P. Huntington sono anche conflitti crescenti dentro ciascuna di esse. Penso tanto alla civiltà europea, per via della massiccia immigrazione di popolazione musulmana, quanto alla stessa civiltà islamica, attraversata da una lunga fase di violentissime guerre civili di religione, assimilabili a quelle vissute dall’Europa tra Cinque e Seicento.


Per il futuro dell’Europa occidentale siamo ad un bivio decisivo. Ripensando a trent’anni fa, a quella stagione di libertà e liberazione, le élite politiche europee devono oggi partire da una realistica constatazione dell’attuale situazione di paralisi, agire con inedito coraggio e apportare importanti correttivi all’Unione europea. Ad oggi pare però prevalere una logica del “si salvi chi può”. L’entusiasmo popolare del 1989 sbiadisce così all’orizzonte. Ma la storia non si ferma e nulla è già scritto.

Danilo Breschi
Professore di Storia delle dottrine politiche
Università degli Studi Internazionali di Roma – UNINT