#UNINTSpeechPressReview

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Siamo lieti di annunciarvi la nuova iniziativa di UNINTSPEECH prevista per l’anno 2020/21: UNINTSpeech Press Review

Di cosa si tratta?

UNINTSpeech Press Review è una rubrica di articoli scritti direttamente dai membri del nostro team: studenti UNINT interessati al mondo che ci circonda, con la voglia di divulgare informazioni utili per tutti coloro che, come noi, desiderano sapere di più sul campo delle lingue e delle culture, ma anche su temi di attualità in grado di fornire particolari spunti di riflessione.

Nello specifico, il nostro team si occuperà principalmente della stesura di differenti articoli, redatti sulla base di fonti scritte o video consultabili online. Inoltre, una delle particolarità della nostra rassegna stampa è che, in maniera regolare, almeno un membro del gruppo parteciperà fisicamente a conferenze di varia natura (di base TEDx) sparse in giro per l’Italia, ma anche realizzate all’interno della nostra stessa università. Da queste trasferte si trarranno le informazioni necessarie per redigere un articolo, potendo fare affidamento anche su interviste dirette ai vari oratori e sulla documentazione audio e video raccolta al termine di ogni conferenza.

I temi trattati saranno perlopiù inerenti al mondo delle lingue, delle culture, della traduzione e dell’interpretariato e si baseranno sia su esperienze fisiche reali sia su fatti internazionali che tutti coloro che fanno parte del settore dovrebbero conoscere e saper sfruttare al meglio. La presente rubrica è stata creata per raccogliere articoli, interviste, traduzioni, materiali e documenti vari relativi a questo campo specifico, con la speranza di suscitare curiosità e voglia di conoscere in tutti i nostri lettori.

Come affermava Plutarco: “la mente non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere”. Con questa rubrica ci auguriamo di fornirvi strumenti più adatti per poter accendere, se non un fuoco, almeno una piccola fiammella.

Giorgia Proietti
Responsabile UNINTSpeech Press Review

#RECEUSTIONI: RECENSIONI SCOTTANTI

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DR DOOLITTLE

Ciao a tutti cari lettori di receustioni, questa settimana la vittima delle nostre recensioni sarà un film. Più precisamente, uno degli ultimi film che ho visto al cinema prima che la pandemia prendesse il sopravvento sul mondo intero.

Bando alle ciance, protagonista della receustione di oggi è un film fantasy, un titolo probabilmente noto ai più, visto che si tratta di un revival di una saga che ci ha accompagnato durante la nostra infanzia… Dottor Doolittle.

Ebbene la Warner Bros, una delle case cinematografiche più rinomate, ha comprato i diritti per riproporci in versione fantasy, e stavolta più fedele al libro, questa storia che ci ha divertito durante la nostra crescita. Le belle sorprese non finiscono qui: l’attore protagonista è quel bonaz.. quel bravo attore di Robert Downey Jr. Certo, Eddie Murphy nella saga original era impeccabile, ma i toni del film cambiano, non siamo più in ambito comico, bensì subentra il fantasy.. E un Iron Man che cura gli animali ha un je ne sais quoi di poetico, ammettiamolo.

Trattandosi di un film in CGI, dove per l’appunto gli animali sono i veri protagonisti, gli attori in carne ed ossa sono ben pochi: abbiamo l’incredibile Rrobert Downey Jr (di cui sono una grandissima fan, nel caso non si fosse ancora capito), il giovane attore Harry Collett nel ruolo di suo aiutante (magari alcuni di voi lo rinosceranno da Dunkirk) e un Antonio Banderas nel ruolo dell’antagonista principale. Per quanto riguarda gli animali, e quindi i doppiatori originali in inglese sulla cui espressività sono stati creati i vari animali, abbiamo un tenero Tom Holland nel ruolo di cane fedele (ammetto che mi era scesa la lacrimuccia pensando alla reunion di Spidey e Iron Man), John Cena che fa l’orso polare (lo so, fa ridere già così), Selena Gomez nel ruolo della giraffa imbranata, Remi Malek (il grande Freddie Mercury in  Bohemian Rapsody) nel ruolo del gorilla Chee-Chee, Emma Thompson che interpreta un pappagallo (una leggera somiglianza la si intuiva già vedendola nel ruolo della professoressa Cooman in Harry Potter, con quei capelli chiccosi) e, ciliegina sulla torta, Ralph Fiennes (Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato) nel ruolo della tigre cattiva (clichè).

Un cast di tutto rispetto, e soprattutto un cast che soddisfa appieno il mio cuoricino da nerd. Il regista invece è Stephen Gaghan che a me, personalmente, non dice niente, ma essendo io incolta, forse voi l’avete già sentito nominare, oppure ne avete già visto delle opere, visto che è stato candidato agli Oscar per diverse sceneggiature di film e in un caso di un film di cui era anche regista (Syriana, 2006).

Non so quanti di voi frequentino i cinema, magari anche solo per il piacere del sentire il profumo del pop corn appena scoppiato (anche senza comprarlo, visto che costa un rene e a volte è talmente vecchio che ti si incastra nelle tonsille, facendoti pensare al testamento da redigere visto che ti senti in punto di morte), oppure per il piacere della compagnia, o anche solo perché soltanto andando al cinema non rischiate di addormentarvi a metà film sotto la copertina sul divano (tipo come succede alla sottoscritta). Ebbene, se nel periodo pre-Covid (un po’ come pre-istoria e storia) avete avuto il piacere di frequentare un minimo i cinema, di sicuro il trailer ve l’hanno proposto spesso durante la pubblicità. A mio avviso, quel trailer aveva un je ne sais quoi di magico, perché non era il solito trailer, era una successione di cadri accompagnati da una musica che aumentava la suspense e aveva profumo di magia, insomma vermanete incuriosiva e ti spingeva a volerlo guardare.

Ed essendo io debole di fronte alle tentazioni, appena uscito al cinema sono andata a guardarlo (ok, forse anche la lista attori ha un poooochiiinoooo influito).

Ora, se voi cercate recensioni online di questo film, il mondo intero di esperti recensori vi dirà che fa schifo. Tuttavia, secondo me così non è. Vi spiego meglio: i costumi sono discutibili, infatti Antonio Banderas più che un cattivo che incute terrore pare la sedicenne che ha appena rotto con il fidanzatino e piangendo le si squaglia tutto il mascara in faccia, l’orso polare di John Cena assomiglia più a un cane e i vestiti dei protagonisti sono un po’ confusionari (non si capisce bene a che epoca vogliano appartenere). Forse la trama è un po’ banale, ma si tratta pur sempre dell’adattamento cinematografico di un libro per bambini. Per chi non lo sapesse infatti, Dottor Dolittle è una saga di 14 libri per i più giovani, scritta dal britannico Hugh Lofting durante le sue sedute in trincea nella prima guerra mondiale, per mandarle poi come lettere ai figli. Si tratta di racconti fantasy, con protagonista un dottore fuori dalle righe e ovviamente il film riprende tale idea. La trama del film viene criticata per il suo disordine interno, ma in realtà la trovo abbastanza lineare e, forse, come il Piccolo Principe sostiene, “gli adulti non capiscono mai niente da soli ed è una noia che i bambini siano sempre eternamente costretti a spiegar loro le cose”. Non si tratta di un film con la trama del Signore degli Anelli, ma d’altronde punta ad essere un film per l’intera famiglia (e non a creare traumi infantili irreversibili).

In breve, se volete passare una piacevole serata sul divano e fangirlare a più non posso, questo film ve lo stra consiglio: le risate non mancheranno, così come potrebbe scendervi qualche lacrimuccia (ma ammetto di essere di parte, visto che tendo a commuovervi tendenzialmente per qualsiasi cosa). Anzi, vi consiglio di guardarvi questo film piuttosto che certe trashate… E con questa frecciatina vi saluto e ci vediamo alla prossima!

Emanuela Batir

#POLITICAFFÈ

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Fine di un mito: il flop dello Stato sociale in Svezia.
La crisi pandemica ha portato alla luce una drammatica crisi in corso da anni.

Stampa statunitense

La pandemia ha portato alla luce una drammatica crisi in corso da anni in Svezia. Di quale crisi si tratta? Si tratta della crisi che sta interessando lo stato sociale svedese – comunemente denominato in inglese welfare state. La Svezia è nota per essere il prototipo di welfare state socialdemocratico, un meccanismo nel quale sembra che gli ingranaggi funzionino a perfezione. La sicurezza sociale del cittadino svedese si basa su una combinazione tra diversi elementi: diritti sociali uguali per tutti, principio della conservazione del reddito – in base al quale chi non può continuare a lavorare mantiene un adeguato tenore di vita. Con un’aliquota fiscale personale superiore al 57%, gli svedesi pagano alcune delle tasse più alte al mondo in cambio di notevoli servizi erogati dal Governo. Si fa riferimento alla assistenza sanitaria, all’istruzione, al congedo parentale con durata superiore ad un anno, all’assegno di disoccupazione per coloro i quali perdono il lavoro.

In un suo recente articolo The New York Times sottolinea l’impatto del Coronavirus sul sistema sociale. Con una popolazione di poco più di 10 milioni di persone, la Svezia ha registrato circa 98000 casi di Coronavirus e fra questi quasi 6000 decessi. Tra queste 6000 persone la cui morte è collegata al virus, circa la metà è rappresentata da quella fetta di popolazione più vulnerabile che vive in case di cura. Questa tragedia in parte è dovuta a come il sistema svedese abbia gradualmente ma costantemente ridotto i servizi governativi per poter tagliare le tasse.

Il Foreign Policy riporta come durante la prima ondata di Coronavirus, la Svezia sia stata citata allo stesso tempo, da un lato, come il Paese che ha saputo gestire la pandemia nel migliore dei modi e, dall’altro lato, come quello che ha deciso di lasciare che il virus si diffondesse liberamente anche nelle case di ricovero per anziani, portando dunque ad un gran numero di vittime. Foreign Policy afferma che l’errore commesso dallo Stato svedese risiede in uno dei maggiori punti di forza e di debolezza del Paese: la Svezia è una società che ripone molta fiducia nel comportamento dei suoi cittadini. Infatti, generalmente il popolo svedese si è dimostrato capace di comportarsi in modo esemplare seguendo le disposizioni emanate dal Governo. Tuttavia, in questa situazione di emergenza, probabilmente la fiducia che il Governo svedese ripone nei suoi cittadini non è stata tradita. Molto più plausibilmente è stato il taglio dei finanziamenti ai servizi statali a determinare questa criticità nelle case di cura.

The Nation propone un interessante parallelismo tra “l’esperimento di gestione della pandemia” tra Svezia e Stati Uniti d’America, evidenziando la presenza di un robusto welfare state e di un’ottima sanità pubblica presente in Svezia e la mancanza di tale sistema negli Stati Uniti. Tuttavia, anche The Nation pone l’accento sul declino che sta attraversando il sistema di protezione sociale svedese.

In queste settimane si sta vivendo la già preannunciata seconda ondata di Coronavirus e ci si chiede quali strumenti adotteranno i Paesi per far fronte sia al Covid-19 sia all’influenza stagionale. Purtroppo, sono ancora le categorie più vulnerabili ad essere esposte maggiormente al rischio. Infatti, si parla in particolar modo dei ricoverati nella case di cura o di riposo. Visti i risultati ottenuti nel corso della prima ondata, la Svezia provvederà ad aumentare i finanziamenti verso queste strutture per evitare una nuova crisi?

Stampa francese

Le Monde racconta che a partire dagli anni Novanta, la Svezia ha iniziato a sviluppare un sistema di privatizzazione per i settori della sanità e dell’istruzione. Un meccanismo che ha mostrato però tutte le sue debolezze negli ultimi mesi: la pandemia da Covid-19 ha infatti finito per riaccendere il dibattito sulla rilevanza dello stato sociale.

Erik Andersson, che è alla guida municipale dell’elegante città di Täby, non utilizza il termine “privatizzazione”, piuttosto preferisce la definizione “valfrihet” che si traduce con “libertà di scelta”. In pratica, questo concetto si è affermato già negli anni Novanta proprio per giustificare l’imponente trasformazione del welfare state che si stava realizzando in Svezia. E, spiega il sindaco di Täby, la valfrihet è un modo per distaccarsi dal ricordo delle imposizioni socialiste del passato e per promuovere, al contrario, la determinazione personale. Per quel che riguarda il settore dell’istruzione, sono iniziate ad apparire alcune imponenti aziende scolastiche: la più importante è AcadeMedia, fondata nel 1996 e quotata anche in borsa. Non tutti però sono favorevoli a supportare il settore privato. E nel marzo 2019, quando l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato un rapporto in cui emergeva l’aumento delle disuguaglianze tra gli studenti, alcuni hanno iniziato a insistere sul fatto che quel sistema scolastico stesse incoraggiando una sorta di segregazione nelle scuole, ovvero un raggruppamento tra studenti dello stesso background sociale. Ad ogni modo in questi mesi, il settore scolastico è stato semplicemente una piccola parte della più generale riflessione sugli eccessi delle privatizzazioni. Il vero focus su questo dibattito ha riguardato infatti un altro ambito: a essere messo sotto accusa è stato principalmente il settore sanitario, specialmente in ragione dei disservizi che sono emersi nelle case di riposo.

La socialdemocratica Aida Hadzialic ha affermato che le privatizzazioni hanno permesso di aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria grazie all’avvio di nuove pratiche; tuttavia ha sottolineato che per aumentare i profitti si è avuto un relativo aumento dei costi per le regioni, il quale è andato a scapito degli ospedali pubblici, che di conseguenza sono stati costretti a risparmiare. Il ricercatore John Lapidus ha invece voluto parlare di un altro fenomeno, quello delle polizze assicurative: gli operatori privati per migliorare le tempistiche dell’accesso ai servizi sanitari, hanno stipulato convenzioni con le compagnie di assicurazione sanitaria. Ora per lo studioso, l’aumento di tali polizze assicurative costituisce la prova della trasformazione del welfare state svedese a favore di un meccanismo ‘a due livelli’, che non promuove quindi un sistema egualitario.   

Stampa svedese

The Local.se parla dell’investimento nel welfare annunciato a settembre dal Primo Ministro Stefan Löfven. Il settore dell’assistenza agli anziani riceverà complessivamente 7,4 miliardi di corone nel 2021 e altri 4 miliardi confluiranno direttamente nel settore sanitario, per sostenere le cure mediche relative al Coronavirus e per contribuire al deficit sanitario provocato dalla posticipazione di tutti gli interventi che sono stati rimandati a causa della pandemia. Nel complesso, nel 2021 lo stato sociale svedese dovrebbe beneficiare di un importo di 19,7 miliardi di corone, che nello specifico andranno alle autorità locali e regionali.

Basterà questo nuovo piano economico per allontanare le critiche dell’ultimo periodo?

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

What Sweden’s new coronavirus cash boost means for healthcare services disponibile su https://www.thelocal.se/20200907/coronavirus-budget-sweden-pledges-20-billion-kronor-to-boost-welfare-state, consultato il 14/10/2020

Le modèle suédois n’en est plus vraiment un disponibile su https://www.lemonde.fr/m-le-mag/article/2020/10/09/mine-par-la-pandemie-le-modele-suedois-face-aux-exces-du-liberalisme_6055443_4500055.html, consultato il 14/10/2020

Sweden, U.S. Election, French Open: Your Friday Briefing disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/08/briefing/sweden-us-election-french-open-your-friday-briefing.html, consultato il 14/10/2020


Sweden and the World-Historical Power of Conformity, disponibile su https://foreignpolicy.com/2020/10/05/sweden-and-the-world-historical-power-of-conformity/, consultato il 14/10/2020


Focused Protection, Herd Immunity, and Other Deadly Delusions, disponibile su https://www.thenation.com/article/society/covid-jacobin-herd-immunity/, consultato il 14/10/2020

#LUXURYMOMENTS: #LUXURYJUICE

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Chanel Spring/Summer 2021
Il nuovo glamour secondo Virginie Viard

Creare qualcosa dopo l’era Lagerfeld sarebbe stata comunque una sfida. Ma l’ormai noto direttore artistico della maison francese, Virginie Viard, ha scelto di proporre un omaggio al cinema per la nuova collezione S/S 2021, così come è stato possibile vedere nei corti di Inez e Vinoodh che hanno contribuito ad anticipare il théme de la collection richiamando il cinema francese e le situazioni “tipiche” da film.

 “Questa collezione rappresenta un tributo alle muse della maison. Alcune di loro sono molto lontane nel tempo (..)” afferma la Viard riferendosi a Romy Schneider, Jeanne Moreau e Anna Karina comparse nel video promozionale antecedente alla sfilata.

La collezione S/S 21 è inedita, rappresenta un legame inteso tra arte e bellezza fino a ricreare una nuova definizione di glamour quasi in contrasto con lo stile hollywoodiano della passerella in cui la scritta “Chanel” appare in Capital letters sullo sfondo del Grand Palais.

Poche le uscite con abiti da sera e pochi sfavillii, i colori sono solidi e classici così come i capi che sfilano: bermuda con o senza giacca in coordinato, i tailleur. I colori poi si urbanizzano tramite le T-shirt a stampa con logo fluo e jeans in coordinato; lo stile casual è poi individuabile anche nei maxi-abiti, morbidi come foulard e modellati perfettamente sui corpi delle manequin.

Il glamour che la maison propone per il 2021 è pieno di confidenza ed intraprendenza, uno statement lontano dal Golden Age di Hollywood e molto più vicino alla disinvoltura di Jane Birkin o Twiggy degli anni 60. “Stavo pensando a quelle attrici che ci hanno fatto sognare tanto (..) ma non volevo fare una citazione vintage, volevo che fosse tutto colorato e giocoso” così sorprende Virginie Viard facendo riferimento alla nuova collezione. Che il passato sia un archivio di idee e revival non stona con il messaggio incentrato sulla nuova Hollywood, colorata e solo apparentemente disimpegnata. È il tempo delle ragazze che indossano les tailleurs de rigueure ma con capelli corti o raccolti in stile punk e con un doppio eyeliner.

I protagonisti indiscussi della collezione restano i bermuda simbolo di un’eleganza giovane che per questa season Chanel ha sostituito alla centralità della mini. Un segno di power dressing che sottintende un power of thinking; così come a suo tempo la stessa Gabrielle Chanel fu artefice del cambiamento nello stile e nell’eleganza della sua epoca, liberando la donna dall’oppressione del corsetto e dalla rigidità dal lungo per ogni momento della giornata.

Fanny Trivigno

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Sources:

https://www.vogue.com/fashion-shows/spring-2021-ready-to-wear/chanel

https://www.harpersbazaar.com/it/moda/tendenze/a34282467/chanel-primavera-estate-2021-parigi-fashion-week/

https://www.chanel.com/it/moda/news/2020/10/tribute-to-actresses-2021-show.html

#UniversEAT

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Eccoci con la prima ricetta!

Partiamo con una cosa facile, un classico intramontabile che piace sempre a tutti e che ha bisogno di pochissimi e semplicissimi ingredienti.

Pensando all’autunno viene in mente un frutto, che sarà il protagonista indiscusso della ricetta di oggi: LE MELE.

Bene, oggi faremo insieme una morbidissima e cannellosissima (nuovo termine coniato da me) torta di mele! Attenzione, non una apple pie, ma proprio una vera e propria TORTA DI MELE.

Intanto la lista degli ingredienti:

  • 4/5 mele (dipende da quante ce ne volete ma non dovrebbero servirne di più)
  • 200 g di zucchero
  • 250 g di farina 00 (o una farina a vostra scelta, basta che non sia la farina di grano duro)
  • 100 g di burro
  • 150 ml di latte a temperatura ambiente
  • 2 uova a temperatura ambiente
  • 1 limone
  • 16 g di lievito in polvere per dolci (di solito corrispondono a una bustina)
  • ½ cucchiaino di cannella in polvere (poi assaggiate voi e regolatevi)
  • 1 pizzico di sale fino

Preso tutto? Bene! Iniziamo? Iniziamo!

Ah, quasi dimenticavo, munitevi di fruste elettriche se non volete perdere l’uso delle braccia!

  1. Sciogliete il burro a bagnomaria o al microonde e tenetelo da parte (non ci serve bollente);
  2. Sbucciate le mele e tagliatele a pezzettini né troppo grandi né troppo piccoli;
  3. Grattugiate la scorza del limone e spremetelo fino ad ottenere abbastanza succo da bagnare la quantità di mele ottenute (bagnare, non affogare);
  4. Trasferite, quindi, mele e succo in una ciotola e lasciatele lì (le riprenderemo a fine ricetta);
  5. Prendete un’altra ciotola, setacciate farina e lievito e mischiate;
  6. In un’altra ciotola invece mettete le uova e parte dello zucchero. Iniziate a sbattere il tutto (consiglio di usare le fruste elettriche altrimenti rischiate di perdere un braccio) e piano piano aggiungete il restante zucchero. Il risultato dovrà essere una crema spumosa giallina chiara (più si schiarisce meglio è);
  7. Ora, riprendiamo il nostro burro ormai freddo, ma non solido e incorporiamolo alla spuma appena ottenuta;
  8. Aggiungete la cannella e il limone (assaggiate e regolatevi con il sapore);
  9. Iniziate ad aggiungere farina e lievito un cucchiaio alla volta;
  10. Quando le polverate saranno completamente inglobate aggiungete il latte a filo (onde evitare di farvi un bagno);
  11. A composto ultimato prendete le mele e scolatele, togliendo eventuali semini;
  12. Prendete ora una spatola o un cucchiaio per girare le mele nel composto senza distruggerle;
  13. Imburrate e infarinate la tortiera (in alternativa potete anche imburrare e inzuccherare se vi piace l’effetto caramellato);
  14. Accendete il forno a 180°C, mettete dentro la torta e in 55 minuti sarà pronta. ATTENZIONE: i minuti sono indicativi, vedete come funziona il vostro forno, potrebbero volerci anche meno di 55 minuti. Fate la prova dello stecchino, nessuno se la fila mai ma è fondamentale!

La torta dovrebbe venire non troppo asciutta ma neanche troppo liquida, insomma morbida e soffice. Quando la tirate fuori dal forno aspettate che si raffreddi prima di toglierla dallo stampo, altrimenti si sgretolerà.

Per decorare potete cospargerla di zucchero a velo e mettere qualche pinolo. Volendo una pallina di gelato alla crema/vaniglia ci sta benissimo!

Buona merenda!

Alessandra “Sandra” Alfano

#FAIRPLAY

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Lo sport al tempo del COVID-19

Da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza sia nel nostro paese che a livello internazionale per la diffusione del virus, lo sport insieme ai suoi organi competenti di ciascuna disciplina, hanno dovuto apportare delle modifiche tali da poter svolgere le attività in piena sicurezza ed evitare ulteriori contagi durante queste sessioni. Ma quali sono le misure adottate nei diversi sport e che vediamo al giorno d’oggi?

Nel Calcio: la nostra Serie A ha dovuto fermarsi per poi riprendere e finire in data 2 agosto 2020 (dovuto finire il 24 maggio 2020), la ripresa del campionato è stata di estraordinario impegno per tutte le squadre che si sono trovate a giocare 3 partite ogni due/tre giorni, cosa non semplice sia a livello di preparazione fisica che tattica. Per evitare degli infortuni e non dover nuocere sulla prestazione di alcuni giocatori la Figc, (Federazione Italiana Giuoco Calcio) ha apportato la modifica da 3 a 5 sostituzioni durante lo svolgimento partita (questa modifica è stata prolungata per il campionato già in corso 2020/2021). In più, questa ripresa ha comportato a disputare le partite senza pubblico (cosa che attualmente il pubblico può assistere ma in numero limitato e non oltre 1000 persone) che determino un’atmosfera surreale dove chi stava a casa a guardare le partite trasmesse in TV poteva ascoltare chiaramente e senza filtro parole di giocatori, allenatori, arbitri e staff di squadre. Logicamente, una partita a porte chiuse il fattore campo era ininfluente non avendo dei tifosi locali negli spalti.

Una volta finiti i campionati nazionali, si ha dato spazio alla fine di quelle competizioni tanto prestigiose come la UEFA Champions League ed Europa League, cui partite sono state disputate nel torrido mese di agosto, il tutto in due settimane di tempo con partita secca e dunque senza fare andata e ritorno.

Per cercare di non dover sospendere nuovamente, i maggiori campionati europei hanno reso visibile dei protocolli in caso si trovi un caso positivo di Covid-19, ad esempio: in Francia, si può giocare basta che le squadre si presentino con almeno 20 giocatori (incluso il portiere) negativi al tampone sulla lista dei 30 registrati in lega; in Inghilterra, si adotta una linea ferrea nel senso che, comunque si va avanti con il campionato per farlo finire entro i tempi previsti, meno che una squadra non abbia meno di 14 giocatori a disposizione, essa dovrà inserire Under 21 o comunque personale dello staff, se la squadra si rifiuta di giocare si andrà con la sanzione o di una multa o di detrazioni punti in classifica; in Spagna, il requisito minimo per poter scendere in campo sono 13 giocatori, 5 dei quali della prima squadra. Se una squadra non arriva a 13 giocatori per una seconda volta, perde la partita 3-0 a tavolino; in Germania, tamponi a raffica e isolamento solo del giocatore positivo e qui se il contagio è contenuto in città, si può arrivare a far entrare il 20% di pubblico negli stadi.

Due settimane fa si doveva disputare la partita Juventus contro Napoli, ma dopodiché sono risultati positivi 3 casi in casa Napoli, questi sono stati messi in quarantena da parte dell’l’Asl cosicché la squadra partenopea non parti per lo Stadium per il rispetto dei protocolli ricevuti. Il match è stato decretato nullo ed ora il giudice valuta se dare il 3-0 a tavolino o se ci sarà la possibilità di giocarla.

Caso invece sfortunato per l’Euro 2020, che si doveva disputare nei mesi di giugno-luglio ma appunto la situazione COVID-19 ha rimandato il campionato europeo per l’anno prossimo (2021).

Nel Tennis: anche qui il circuito professionale internazionale (WTA e ATP) si è fermato sino a giugno, dunque tornei Grand Slam come Wimbledon e altri piccoli ma non così importanti si sono dovuti cancellare, altri invece, hanno avuto l’opportunità e fortuna di essere riprogrammati durante l’anno come il caso del Roland Garros (Grand Slam) finitosi domenica scorsa o come l’Internazionale BNL d’Italia (Roma-Masters 1000) che ogni anno assiste ad un aumento esponenziale di persone, che vengono accolti da un’atmosfera unica in uno degli stadi tennisti più belli di sempre come è il caso del campo Pietrangeli sul quale sono presenti delle statue che creano una sorta di protezione al campo. In quest’ultimo torneo, si è vista la presenza di pubblico solo una volta arrivati nella fase delle semifinali con posti intercalari di uno assegnato e l’altro no appunto per rispettare la distanza di sicurezza interpersonale. Tra le novità inserite ci sono delle colonnine disposte su ogni lato del campo contrassegnate con il numero 1 e numero 2, dove ciascuno dei due giocatori posano il loro asciugamano senza essere toccato dai raccattapalle. In questa disciplina i giocatori una volta disputata la partita usano la racchetta come consueto saluto anziché uso della stretta di mano. 

Nella NBA (National Basketball Association): caso delicato data la presenza di 30 squadre nel campionato e territorio americano il più colpito da questa pandemia di COVID-19. Anche qui ci troviamo a campionato sospeso per un caso positivo da parte di un giocatore per poi riprendere il 31 luglio e finire in sicurezza la stagione in sede unica al Disney World Resort di Orlando (denominata la “bolla” di Disney). Di queste 30 squadre, hanno ripreso soltanto 22, poiché quelle escluse erano già matematicamente certe di non arrivare a disputare i playoff. Attualmente si stanno disputando le finali tra i Miami Heat e Los Angeles Lakers. Qui vediamo ad esempio, il tavolo degli ufficiali di gara che è in una posizione più arretrata e non come solitamente si vede a bordo campo, riparato da un plexiglass, e la comunicazione con arbitri avviene soltanto tramite microfono; cosi come la presenza virtuale del pubblico che viene progettato su schermi LED.

#dontbelazybeactive

Aldo Landini

UNINTSport

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Consultando varie enciclopedie, la descrizione più quotata alla voce squadra è la riassunta in maniera molto esplicita nella seguente:

Squadra è il termine generico con cui, in ambito sportivo, si indica un gruppo di atleti che costituiscono un insieme unitario in rappresentanza di un circolo, una società o una federazione nazionale (sia in quelle discipline dette appunto di squadra perché disputate da un collettivo, sia in individuali laddove gli atleti siano comunque espressione di un sodalizio o di una nazione).”

Claudio Ferretti e Augusto Frasca, Enciclopedia dello sport, Garzanti Libri, 2008, p. 1364.

…tuttavia, siamo convinti che si possa andare oltre questo concetto così asettico.

Ci presentiamo: siamo le squadre di UNINTSport e siamo qui per raccontare in poche righe che cos’è per noi l’iniziativa che stiamo vivendo e qui rappresentando.

Veniamo tutti da esperienze e trascorsi diversi tra loro: c’è chi ha sempre sognato una carriera calcistica, chi desiderava mantenersi in movimento, chi si è unito perché l’amico/a l’ha trascinato/a e chi ancora ha pensato potesse essere una valida opzione per inserirsi nell’ambiente universitario.

Insomma, siamo storie distanti tra loro che confluiscono in un unico campo: quello da calcetto!

Nate dalla passione comune di coloro che sono oggi i pilastri dell’iniziativa, le squadre di UNINTSport sono prevalentemente due: il calcio a 5 femminile e il suo corrispondente maschile.

Siamo molto orgogliosi dei risultati ottenuti fino a questo momento: entrambi i gruppi hanno forza, dedizione e tenacia tali da mantenere alto il nome dell’Università rappresentata.

La squadra maschile, nello specifico, si è aggiudicata non pochi podi al Campionato delle Università di Roma: miglior portiere, terzo miglior marcatore e terzo posto in classifica alla sospensione del suddetto torneo, oltre ad aver battuto entrambe le finaliste 18/19 (Link Campus e Foro Italico).

La squadra femminile, al contrario, ha dimostrato molto pur non potendo partecipare ad alcun torneo: prendendo parte a tutti gli allenamenti con grinta e determinazione e ascoltando attentamente i consigli del Mister e degli altri giocatori, le ragazze hanno mostrato anche ai più restii che ogni situazione può essere affrontata e superata, soprattutto se intrapresa con la giusta energia, l’essenziale sorriso e  l’indispensabile gioco di squadra.

Inoltre, è presente una terza squadra fondamentale per la riuscita del progetto: il meraviglioso coro dei tifosi che, sia in trasferta che in casa, incita i giocatori a dare il loro meglio (che cosa sarebbe UNINTSport senza di loro?) .

Tutto ciò, per arrivare a  una piccola tesi: una squadra può essere anche un semplice gruppo di atleti, ma non è il nostro caso. Nonostante il periodo di stallo obbligatorio, abbiamo costruito passo passo una famiglia che si incoraggia e si appoggia a vicenda, che si è stretta in un grande abbraccio prima di ogni partita, che ha stretto ancora di più la presa (figurativamente parlando) durante il lock down, che è rimasta unita, ha fuso le tante voci al grido “Tutti per UNINT, UNINT per Tutti!” e che oggi saremmo lieti di allargare.

Vi invitiamo a dare un’occhiata (in caso non abbiate ancora curiosato) sulla nostra pagina Instagram UnintSport e a contattarci in caso siate interessati a partecipare: we’re waiting for you!

Tutti per UNINT, UNINT per tutti!

I ragazzi e le ragazze di UNINTSport

#POLITICAFFÈ

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150 milioni di persone in estrema povertà entro il 2021: gli effetti della pandemia secondo la Banca Mondiale

Stampa statunitense

La povertà estrema globale aumenterà nel 2020 per la prima volta in oltre 20 anni come conseguenza del Covid-19, scrive la CNN. Secondo uno studio effettuato dalla Banca Mondiale, pubblicato il 7 ottobre, la crisi del Covid-19 porterà, entro la fine del 2021, fino a 150 milioni di persone al di sotto della soglia di povertà estrema, soglia attualmente fissata ad un 1 dollaro e 90 centesimi, equivalenti a poco più di 1 euro e 60 centesimi. Quindi, la pandemia azzererebbe i risultati ottenuti in più di vent’anni di progressi nella riduzione della povertà estrema nel mondo. La stima analizzata dalla Banca Mondiale parla di un numero di persone che oscilla tra gli 88 ed i 115 milioni che potrebbero trovarsi a vivere in condizioni di povertà estrema entro la fine del 2021 a causa della pandemia e della conseguente recessione economica. Le previsioni indicano che 8 su 10 “nuovi poveri” si trovano in Paesi a reddito medio.
Come riporta ABC News, citando il Poverty and Shared Prosperity Report, questa situazione porterebbe ad un aumento della percentuale di persone che versano in questo stato, dal 9,1% al 9,4%. La convergenza della pandemia con le pressioni del cambiamento climatico e dei conflitti rende impossibile il raggiungimento dell’obiettivo di porre fine alla povertà entro il 2030. Infatti, entro questa data, il tasso di povertà globale potrebbe aggirarsi intorno al 7%.
Bloomberg ha inteso sottolineare in particolare le parole del Presidente della Banca Mondiale, David Malpass, il quale ha affermato che per fare in modo che questa battuta d’arresto non si cronicizzi è necessario che i Paesi si preparino ad adottare un modello economico diverso nel post-Covid, consentendo al capitale, al lavoro, alle competenze e all’innovazione di avere spazio in nuove imprese e settori.
In Italia, come nel resto d’Europa, il numero dei contagi sta crescendo rapidamente. Questa impennata dei casi fa temere l’adozione di misure più severe e l’annuncio da parte dei diversi governi nazionali di nuovi lockdown. Se ciò dovesse accadere, le economie dei Paesi che hanno già subito una pesante battuta d’arresto nei primi mesi di quest’anno saranno nuovamente messe a dura prova. Dunque, il timore di un disastro sanitario dovuto ad una seconda ondata è accompagnato dalla certezza di forti ripercussioni al livello economico in caso di una nuova stretta da parte dei governi.

Stampa inglese

Adesso siamo giunti nel momento in cui è necessario comprendere profondamente le conseguenze di questa emergenza pandemica e, com’era prevedibile, le ripercussioni di lungo periodo saranno ancora più devastanti degli effetti immediati. In questo quadro si inserisce un Rapporto pubblicato di recente dalla Banca Mondiale che intende porre l’accento sugli scenari di povertà che il Covid-19 sta andando a delineare.
Il Rapporto contiene una stima delle persone che a causa della pandemia quest’anno scivoleranno in una condizione di povertà estrema: si tratta di una cifra che coinvolge tra gli 88 e i 115 milioni di persone – così spiega il Financial Times. E le regioni più colpite saranno l’Asia meridionale e l’Africa subsahariana. Carolina Sánchez-Páramo, una delle principali autrici, ha detto che molto probabilmente le persone che in passato erano fuggite dalla povertà ora potranno ricaderci e che, allo stesso tempo, diverse persone che non sono mai state afflitte da una condizione di questo tipo, potrebbero per la prima volta ritrovarcisi. Nel complesso, quasi il 7% della popolazione mondiale vivrà con meno di 1,90 dollari al giorno entro il 2030. E in pratica, i livelli di povertà globale subiranno il primo aumento significativo dopo il 1998, ponendo fine agli ultimi decenni di progressi. Tra il 2015 e il 2017 circa 52 milioni di persone nel mondo sono uscite dalla povertà ma, sempre secondo il Rapporto, questo andamento stava rallentando già da prima della pandemia.
The Guardian aggiunge che il mutamento di direzione riguardante il fenomeno di abbassamento della povertà, è stato e sarà alimentato da due fattori altrettanto importanti. Stiamo cioè parlando di crisi climatica e conflitti armati. Infatti, questi due fenomeni nell’ultimo periodo avevano fatto registrare una leggera inversione di tendenza, che diventerà appunto sempre più marcata con il passare del tempo, soprattutto alla luce dell’evento pandemico. Un insieme quindi di forze sottostanti e urto recente.

Stampa francese

Radio France Internationale asserisce che la soglia dell’estrema povertà verrà raggiunta nel 2021 da 150 milioni di persone. E tende a sottolineare che la parte più interessante del Rapporto è quella che fa emergere una ‘nuova categoria di persone povere’ rispetto alle epoche passate. Sostanzialmente, partendo dallo shock economico causato dal coronavirus e dal fatto che diversi Paesi ricchi a reddito medio hanno visto i propri bilanci economici scendere a picco nel giro di pochi mesi, si è creata una classe di individui poveri del tutto peculiare. In altre parole, si tratta di persone più istruite, che vivono nei centri urbani e che lavorano nel settore informale. E finiscono in questa situazione, perché quando perdono il lavoro, non hanno risparmi e non possono accedere al credito.
Le Monde dichiara che nella seconda metà dell’anno, l’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha previsto la distruzione di 195 milioni di posti di lavoro, e proprio su questo dato la Banca Mondiale ha affermato che molti Paesi sperimenteranno una caduta dei redditi da lavoro di una entità mai osservata prima – tenendo conto anche del collasso dell’economia. La povertà però non riguarda solo il reddito; bisogna altresì valutare la scossa violenta che la crisi sanitaria ha esercitato sulla vita quotidiana e sull’accesso ai servizi pubblici. Inoltre, la vulnerabilità dei sistemi sanitari potrebbe aumentare la mortalità infantile del 45%. Si tratta dunque, di dati estremamente preoccupanti.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

COVID-19 to Add as Many as 150 Million Extreme Poor by 2021, disponibile su https://www.worldbank.org/en/news/press-release/2020/10/07/covid-19-to-add-as-many-as-150-million-extreme-poor-by-2021, consultato il 10/10/2020

The pandemic could push 150 million more people worldwide into ‘extreme poverty’ disponibile su https://edition.cnn.com/2020/10/07/economy/global-poverty-rate-coronavirus/index.html, consultato il 10/10/2020

150 million people set to fall into ‘extreme poverty’ due to COVID pandemic, World Bank warns, disponibile su https://abcnews.go.com/International/150-million-people-set-fall-extreme-poverty-due/story?id=73497257, consultato il 10/10/2020

Covid-19 Fuels World’s First Rise in Extreme Poverty Since 1990s, disponibile su https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-10-07/covid-19-fuels-world-s-first-rise-in-extreme-poverty-since-1990s, consultato il 10/10/2020

Covid-19 will push millions in middle-income nations into poverty, warns World Bank disponibile su https://www.ft.com/content/2a41fa8b-e5d1-4102-b14f-7ec5820a5d7d, consultato il 10/10/2020

Further 150m people face extreme poverty by 2020, warns World Bank disponibile su https://www.theguardian.com/business/2020/oct/07/further-150m-people-face-extreme-poverty-by-2022-world-bank-covid-19-climate-coronavirus, consultato il 10/10/2020

Covid-19 impact ‘will throw up to 150 million people into extreme poverty’ disponibile su https://www.rfi.fr/en/economy/20201007-covid-19-impact-will-throw-up-to-150-million-people-into-extreme-poverty-world-bank-reversals-of-fortune, consultato il 10/10/2020

La pandémie de Covid-19 va faire basculer jusqu’à 150 millions de personnes dans l’extrême pauvreté disponbile su https://www.lemonde.fr/economie/article/2020/10/07/le-covid-19-va-faire-exploser-la-pauvrete-dans-le-monde_6055166_3234.html, consultato il 10/10/2020

#LoSapevateChe

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Abitare la spaccatura – come camminare può diventare un atto politico

Camminare per una città, appropriarsi degli spazi, riconoscere le connessioni profonde tra i luoghi storici del nostro Paese, è un atto fortemente politico. Camminare poi tra i luoghi simbolici del colonialismo italiano – più o meno riconoscibili per un qualsiasi passante distratto – vuole dire cercare di porre la questione coloniale in una luce nuova, e comprendere quei complessi meccanismi della storia coloniale italiana e delle sue conseguenze in epoca postcoloniale. È con questa considerazione che vuole iniziare la rubrica #LoSapevateChe!

A oggi si parla spesso di “seconda generazione” (G2) per racchiudere in una etichetta non sempre lusinghiera ragazze e ragazzi figli degli immigrati, nati in Italia oppure arrivati nel Paese nei primi anni di vita o anche in fase adolescenziale; una categoria che raccoglie dunque le casistiche più disparate con storie e background culturali profondamenti diversi tra loro. La presenza sempre più numerosa di questa componente eterogenea rende necessaria una riflessione sull’esito – a distanza di decenni – dell’immigrazione sul piano sociale e su come essa si trasformi in un insediamento durevole; su come, dunque, siano mutati i rapporti tra due o più culture che si scontrano e si incontrano e sulle aspettative future dei ragazzi di seconda generazione.

Nel panorama sociale e culturale dell’Italia contemporanea comprendere gli spazi e le dinamiche di potere presenti sul territorio consente una rilettura del concetto stesso di italianità; un concetto mutevole, connesso a una identità flessibile e in continua negoziazione, che sia un grado di cogliere spinte culturali e sociali diverse. Parlare di italianità nei termini convenzionali, infatti, non consente di comprendere a pieno la polifonia di voci e testimonianze che agiscono nel nostro spazio e migrano da un luogo a un altro.

Ragazze e ragazzi G2, la loro voce, la loro sofferenza e le loro aspettative sull’Italia, consentono forse più di qualsiasi altro fenomeno sociale di ampliare il concetto di italianità e proporre una visione nuova non limitata esclusivamente allo status giuridico dell’essere cittadini italiani, ma comprendente sfaccettature diverse sul piano sociale, culturale e linguistico. Arrivare, dunque, a una inclusione progressiva e all’idea di una cittadinanza flessibile vuole essere l’obbiettivo di questa rubrica per aiutare, anche solo in maniera impercettibile, tanti giovani a pieno titolo italiani ma che, per questioni che man mano indagheremo più specificatamente, non vengono percepiti tali nello spazio che abitano.

Ad oggi risulta indispensabile una costante interconnessione globale e multi-vocale che operi in maniera fluida e flessibile; pensare infatti che una comunità all’interno di confini nazionali, sia fisici sia simbolici, possa essere etnicamente omogenea è ormai una prospettiva anacronistica. Quel che è necessario è invece un un border thinking che colga le dinamiche reticolari dello spazio, e che riesca a muoversi con contaminazioni, assemblaggi, costellazioni, legami orizzontali e trasversali.

Per questo motivo camminare vuole dire riscoprire sul territorio memorie celate e negate; soltanto rileggere la storia coloniale italiana, senza più giustificazioni, consente di riappropriarsi dello spazio e di aiutare la seconde generazioni a diventare soggetti attivi nelle città che abitano. Raccontare i luoghi attraverso la storia coloniale ed imparare ad abitare le spaccature della nostra era consente così di essere un crocevia e il tramite per una nuova concezione di spazio urbano.

Partendo dal Cinema Impero di Tor Pignattara per continuare poi con tutti i luoghi di rimozione storica del colonialismo italiano, quel che faremo in questa rubrica sarà quindi comprendere quel legame storico, geografico, politico, architettonico e affettivo che l’Italia ha posseduto e possiede con le ex colonie, e con tutti quei figli che dovrebbe imparare ad accettare.

Evelyn De Luca

#ReceUstioni: Recensioni scottanti!

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Milk and Honey – Il potere terapeutico della scrittura

“Milk and Honey” è il primo libro di Rupi Kaur, una giovanissima promessa della poesia degli ultimi anni.
La Kaur è una poetessa, illustratrice e scrittrice naturalizzata canadese di origine indiana. Questo libro-debutto della nostra autrice è una raccolta di poesie, brevi prose e illustrazioni tracciate a mano, per un totale di 208 pagine.
Dal 2014, anno di uscita della raccolta, la Kaur è stata tradotta in più di 20 lingue, restando uno dei titoli di punta della prestigiosa “The New York Times Best Seller list”, per ben 165 settimane.
Kaur è seguitissima sui social, e per questo la sua scrittura è stata anche definita Instapoetry e questo, assieme alla sua capacità di dar voce ai nostri pensieri più intimi e inconsci, è la chiave del suo successo.
Rupi Kaur una di noi!
Il titolo del libro trae ispirazione da un vecchio poema che narrava di donne sopravvissute a periodi tutt’altro che rose e fiori, in cui il cambiamento è la chiave della rinascita, ed è “liscio come il latte e denso come il miele”.
Il tutto prende spunto dalle esperienze di vita dell’autrice, ma la sua penna è così scorrevole e amichevolmente rivolta a cuore aperto verso di te, che ti ritrovi a sentirti parte di qualcosa di più grande, di un girotondo di anime simili che si tendono la mano l’un l’altra.
Sister from another mister!
La sua è una scrittura liscia come seta ma allo stesso tempo sferzante come il vento, capace di svelare senza peli sulla lingua, le verità sempre taciute perché scomode, in maniera brutalmente onesta.
Come diceva Hermione, “La paura di un nome non fa che incrementare la paura della cosa stessa.”
Rupi parla di cose che conosce, senza pretendere di insegnare verità assolute. Lei ti prende per mano e ti conduce in questo viscerale e sincero racconto di sé, si mette a nudo e rivendica il diritto di parola su cose cristalline ma ignorate dai più, come lo sfruttamento delle donne e la loro bassa considerazione nei paesi meno fortunati del nostro, come nel suo caso, l’India.
Uffa, mi dirai! Invece no, trust me dear! The destination makes it worth the while!
Le somme le tiri tu, le leggi tra le righe, lei ti dà la libertà di scovarci ciò che senti.
“Parole d’amore, di dolore, di perdita e di rinascita.”
Questo è l’incipit del nostro viaggio, e attraverso quattro capitoli che parlano d’amore, perdita, trauma, violenza, guarigione (e femminilità), riesci ad uscirne, uomo o donna che tu sia, con degli occhi nuovi rispetto a quando ci sei entrato.
“Milk and Honey accompagna chi legge in un viaggio attraverso i momenti più amari della vita e vi trova dolcezza. Perché la dolcezza è dappertutto se solo si è disposti a cercarla.”
La lezione finale di Rupi ci insegna che ognuno di noi è un capolavoro in divenire, e nel nostro zaino ci devono essere la prepotenza di un uragano che ritrova la sua voce per urlare al mondo che sa di cos’è capace, e la gentilezza di un cuore attento al grido del suo simile, perché solo così possiamo davvero salvarci.
L’amore è il sale della vita, ma lei ci ricorda che quello vero ce la colora, piuttosto che mandarla in frantumi dopo averla colorata di grigio.


Mi dici di tacere perché
le mie opinioni mi fanno meno bella
ma io non sono nata con un fuoco in pancia
così da potermi spegnere
non sono nata con una leggerezza sulla lingua
così da essere facile da inghiottire
sono nata pesante
mezza lama e mezza seta
difficile da scordare e non facile
per la mente da seguire.


Worth the hype … isn’t it?
Let me know!

Francesca Nardella