#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata internazionale del Nowruz (Capodanno Persiano)

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Nowruz, capodanno in Iran

Venerdì 20 marzo, alle 4.49 del mattino (ora italiana), il sole entra nella costellazione dell’Ariete: è l’inizio di un nuovo ciclo astrologico, è l’inizio della primavera.

In Iran si festeggia il capodanno, Nowruz, “nuovo giorno”, le cui radici preislamiche ne fanno una ricorrenza antichissima, retaggio della tradizione zoroastriana. Nowruz è una festa talmente radicata nella cultura iraniana da essere risultata immune ai tentativi post-rivoluzionari di cancellarla dal calendario delle festività della Repubblica Islamica.

La tradizione vuole che le celebrazioni comincino dodici giorni prima del capodanno, con una pulizia approfondita della casa, che viene liberata da ogni inutile disordine e sporcizia per fare posto a quello che verrà nell’anno nuovo. Molteplici sono le usanze che gravitano attorno a questa ricorrenza: dall’Haft-Sin, la tavola imbandita simbolo di Nowruz, al Chaharshanbe Surì, la festa del fuoco, passando per l’apparizione per le strade di Hajji Firuz, una sorta di Babbo Natale persiano.

L’Haft-Sin è sicuramente l’emblema di Nowruz, una tavola imbandita su cui trovano posto sette oggetti i cui nomi in persiano, iniziano tutti con la lettera “s”. Sabzeh, una pianta di grano come simbolo di verde, natura e rinascita; Samanu,un dolce budino a base di germe di grano che simboleggia il potere e il coraggio; Senjed, olive persiane secche che simboleggiano la saggezza; Seeb, mele per augurare la salute; Somaq, le bacche tipo datteri che significano pazienza e tolleranza; Serkeh, l’aceto per l’azione disinfettante e la pulizia; Sir, l’aglio simbolo della medicina. Figurano sulla tavola anche le uova dipinte, simbolo di prosperità, e i pesci rossi, che rappresentano la vita che scorre.

La sera dell’ultimo martedì dell’anno ha luogo la festa del fuoco, Chaharshanbe Surì. Per tutta la città vengono accesi dei piccoli fuochi su cui la tradizione vuole si debba saltare, recitando la frase:”Dammi il colore rosso e prenditi il giallo del mio pallore”. Le ceneri poi, simbolo di ciò che triste e doloroso l’anno precedente ha riservato, vengono sepolte lontano dalle case.

Ghashogh-Zani è un’altra tradizione legata alla festa del fuoco, che prevede che le persone si coprano da capo a piedi, portando con se pentole e utensili con cui fare rumore, fermandosi casa per casa, guidate dalle luci dei falò, a chiedere dolci e cibo.

Chaharshanbe Surì simboleggia la purificazione, il passaggio dal freddo e dall’angoscia dell’inverno alla rinascita primaverile; è con questo rito che gli iraniani danno il benvenuto all’anno nuovo.

Durante tutto il periodo dei preparativi e dei festeggiamenti fa la sua apparizione per le strade Haji Firouz, una sorta di babbo Natale, vestito di rosso e con il volto colorato in nero, che suona il suo tamburino,“Darie”, rallegrando i passanti e augurando loro buon anno.

I festeggiamenti culminano il tredicesimo giorno dell’anno nuovo, in cui si celebra Sizdah bedar, che dal farsi possiamo tradurre come “13 all’aperto”. È tradizione festeggiare questa giornata all’aperto, lontano da casa, immersi nella natura, in un’atmosfera gioiosa e spensierata. In questo modo viene scongiurata la visita degli spiriti malvagi, che non trovando nessuno a casa, sono costretti ad andarsene. I germogli usati per il Sabzeh dell’Haft-Sin vengono gettati nell’acqua di un fiume, gesto che simboleggia la volontà di liberarsi della negatività accumulata fino a quel momento.

Terminano così i festeggiamenti di Nowruz, tra canti e balli, sotto il nuovo sole primaverile e le speranze che porta con sé.

Nowruz è famiglia, l’occasione per riunirsi con i propri cari e le persone amate, e lasciarsi alle spalle quanto di spiacevole c’è stato prima.

Nowruz é rinascita, è la tenebra che lascia spazio a una nuova luce, a una rinnovata fiducia e un fresco ottimismo di un nuovo inizio.

Quale periodo migliore di questo per tornare a sperare?

Sal-e no mobarak a tutti!

Chiara Palumbo

#QUELLOCHECIUNISCE: Papà mi ha insegnato a…

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Oggi è la festa del papà. Una data per ricordare il loro lavoro, il bene che ci hanno trasmesso, i sacrifici che hanno fatto per renderci le persone che siamo oggi. Per alcuni è stata anche la prima parola. “Papà!”.

Papà è quella figura che torna a casa a tardi, stremato dal lavoro, con cui passi poche ore nell’arco della giornata, nella settimana. E allo stesso tempo è quella persona che nei weekend quando era di riposo, ci dedicava tutto il suo tempo libero, per rubarci un sorriso. 
Papà è quella persona che ci sarà sempre, che farà di tutto per renderti felice e che mette la tua felicità prima della sua.
Negli anni crescendo non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo ad averlo presente nella nostra vita. Eppure, c’è sempre, in ogni momento. Ed è per questo che voglio dirti papà, grazie, perché qualunque percorso io vorrò intraprendere, spero di diventare proprio come te.
Nisrine

Papà mi ha insegnato ad andare in bici, mi ha insegnato trucchi per ricordarmi le tabelline, mi ha spiegato come usare la frizione e come guidare, mi ha mostrato come usare bene la Canon per fare le foto. Papà mi ha insegnato ad apprezzare le persone che ho intorno, a coltivare le amicizie, anche a distanza, a sorridere con coloro a cui voglio bene, ridere e divertirmi. Papà mi ha insegnato che la vita è meravigliosa, nonostante tutto e tutti, e per questo voglio ringraziarlo. E dirgli che mi manca, e che non vedo l’ora di riabbracciarlo.
Emanuela

Papà mi ha insegnato ad affrontare le sfide della vita.
Mi ha insegnato che le difficoltà vanno accolte, prese per mano, dopo essersi rimboccati le maniche e poi, attraversate.
Mi ha insegnato a lasciarmi guidare dalla fiducia nelle mie capacità e dall’amore della mia famiglia, mantenendo i piedi ben saldi al terreno, ma lo sguardo sempre fisso verso qualcosa di più grande ed inafferrabile.
Mi ha insegnato a perdonare i torti subiti e a tollerare le ingiustizie, perché la gentilezza e l’accoglienza sono le armi più potenti che ci possano difendere.
Papà mi ha insegnato ad essere responsabile delle mie scelte, a portare a termine i miei compiti e le mie decisioni, ad essere sempre fiera dei traguardi ottenuti, puntando poi ogni volta più in alto.
Mi ha insegnato ad avere paura senza sentirmi sola, a stare sola senza sentirmi fragile, ad essere fragile senza averne paura.
Sara

Quando penso al mio papà, mi commuovo sempre un po’: non trovo mai le parole giuste per dirgli e spiegargli il bene che gli voglio (forse perché un bene così grande è impossibile da descrivere a parole).
Lui che mi ha insegnato a ridere di ogni problema, che mi ha dato questo nome simbolo di allegria e che, quando da piccola dovevo essere cullata, mi faceva ballare.
Caro papà, che queste poche righe siano anni di “ti voglio bene” persi, rinchiusi in caratteri molto solari, ma al contempo chiusi come i nostri e soprattutto, caro papà, per quanto possa allontanarmi da te, ricorda che sarò sempre la tua bambina.
Grazie per essere il mio grande piccolo principe.
Tatina (Ilaria)

Papà è la colonna portante della mia vita, mi ha insegnato il valore della famiglia e dell’unione, a guardare ogni situazione sempre con positività.
Il mio papà è una persona molto forte, è stato anche una mamma ed è il mio migliore amico; mi ha insegnato ad assaporare le cose semplici della vita come un sorriso, a godermi ogni attimo di felicità, a lottare per le mie ambizioni e a rialzarmi quando tutto sembrava essere perduto.
Mi ha insegnato ad essere umile sempre, ad ascoltare gli altri, ad amare e abbandonare i rancori. Il mio papà è un eroe che mi ha insegnato lo spirito del sacrificio, a non dare per scontato niente e a non aver paura del buio perché in fondo ci sarà sempre la luce.
Ti amo papà!
Lina

Mio padre mi ha insegnato a non mollare mai e soprattutto a combattere con tutte le nostre forze qualsiasi ostacolo la vita ci metta di fronte.  Giuseppe

Papà mi ha insegnato a non arrendermi mai, nemmeno quando sembra non esserci una via d’uscita.
Papà mi ha insegnato che le emozioni e i sentimenti non sono “da deboli”.
Papà mi ha insegnato che le donne sono attori validi nella società esattamente come gli uomini.
Papà mi ha insegnato che posso essere quello che voglio.
Papà mi ha insegnato ad avere il coraggio di cambiare le carte in tavola e a non avere un atteggiamento passivo nei confronti della realtà.
Grazie di tutto.
Clara

Papà mi ha insegnato a essere forte e libera.
Che non bisogna per forza essere in due per accendersi un mutuo e comprarsi casa.
Che se ce la fanno gli altri puoi farcela anche tu, consapevole di quelle che sono le tue capacità, guardando sempre avanti.
Che non importa se voglio viaggiare in compagnia o da sola, se sono fidanzata o single, se ho desiderio di avere una famiglia o al momento solo l’idea mi fa rabbrividire.
Più di una volta ho sentito dirgli “i figli non sono nostri”. Nel senso stretto del possesso.
Papà mi ha insegnato che se voglio posso raggiungere i miei obiettivi, qualsiasi essi siano.
Giulia

Papà mi ha insegnato ad amare le piccole cose.
Che qualche volta, quando vado a fare compere, prendere un cartoccio di caldarroste per le strade di Roma in compagnia di una persona a cui voglio bene o di me stessa vale più di tutto quello che ogni volta porto a casa nelle mie buste.
Che certi momenti sono più tangibili di certi oggetti.
Che per i libri avrei potuto chiedere sempre.
Che prosciutto e mozzarella vanno tagliati bene o rischi di strozzarti. E che se mi fosse successo a tavola con il Papa o con la Regina Elisabetta non avrei dovuto badare a formalismi, ma solo a me.
Una mattina, mentre percorrevo il vialetto costeggiato di aranci verso scuola, mi ha chiesto di tornare da lui. E mi ha detto: “Non è necessario che la persona che sceglierai di avere al tuo fianco abbia un bell’aspetto. Ma una bella mente sì. Necessariamente.” Così sarei stata felice; avrei potuto parlarci per sempre.
E poi mi ha insegnato ad accettare le persone per come sono e non per come vorrei che fossero. A capire che la sua assenza a volte era semplicemente la sua essenza. E che alcune apparenti assenze celano le più forti presenze.
Federica

#UNINTSIGHTSEEING: SANTA SEVERA (RM)

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Unica frazione del comune di Santa Marinella (Roma), Santa Severa, o meglio il suo Castello, è diventato noto ai più grazie al film “Tre metri sopra il cielo”. È proprio questa infatti una delle location usate durate le riprese del film e ricordate dagli/lle spettatori/trici più romantici/che con una lacrimuccia.

Quello che forse non tutti sanno è che il Castello deve il suo attuale nome alla giovane martire cristiana Severa, uccisa il 5 giugno del 298 d.C. in questo luogo insieme ai suoi fratelli, Calendino e Marco, sotto l’impero di Diocleziano.

Il complesso, a pianta rettangolare con torri angolari, era circondato da un fossato e collegato da un ponte di legno alla imponente fortificazione cilindrica, denominata il “Maschio”.

Il Castello fu a lungo lasciato in decadenza per poi diventare base strategica dei tedeschi durante la seconda guerra mondiale.

Attualmente, oltre a essere visitabile su prenotazione, è anche sede di eventi musicali e culturali nonché ricevimenti.

Santa Severa è facilmente raggiungibile da Roma sia in treno che in Cotral.
Per gli automuniti è sufficiente seguire le indicazioni per Civitavecchia.

#GUESS WHO?: ALBERT EINSTEIN

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Considerato il più grande scienziato del XX secolo, Albert Einstein è universalmente conosciuto per aver sviluppato la teoria della relatività, oggi alla base della fisica moderna, e per aver teorizzato l’equivalenza concettuale tra massa ed energia, espressa dalla famosa equazione E = mc².

Sapevate che…?

Nacque nel 1879 a Ulm, in Germania, da una benestante famiglia ebraica. Da giovane mal tollerava il sistema scolastico, da lui considerato eccessivamente rigido, ma sembrano essere infondate le voci che lo ritraggono come un cattivo studente – al contrario, ottenne buoni voti soprattutto in matematica e latino. Nel 1985, invece, tentò il test di ammissione al Politecnico di Zurigo, senza superarlo per insufficienza nelle materie letterarie: dovette ripeterlo una seconda volta.

Nel 1921 vinse il Premio Nobel per la Fisica, ma non per la teoria della relatività che lo ha reso noto, bensì per la sua scoperta della legge dell’effetto fotoelettrico.

Nel corso della sua vita ebbe tre cittadinanze diverse. Nato tedesco, nel 1901, dopo aver soggiornato a lungo per motivi di studio e lavoro in Svizzera, fu naturalizzato svizzero. Nel 1940 acquisì invece la cittadinanza statunitense e non fece più ritorno in Europa, rimanendo negli USA fino alla sua morte.

Nel 1952, alla morte del Presidente d’Israele Chaim Weizmann, il Primo Ministro di allora gli offrì l’incarico come successore, ma egli declinò l’offerta motivando la sua scelta con la mancanza di esperienza e inclinazione, due caratteristiche ritenute da lui fondamentali per diventare presidente.

Alla sua morte, Thomas Stoltz Harvey, il patologo che effettuò l’autopsia sul suo corpo, asportò il cervello di propria iniziativa e lo immerse nella formalina all’interno di un barattolo sottovuoto che custodì a casa propria per oltre trent’anni.

#MONDAYABROAD…mica tanto!

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Cari amici, compagni e colleghi, iniziamo oggi, tutti insieme, la nostra seconda settimana di quarantena.

Vi parlo sempre da casa mia in Piemonte, dove freddo, nebbia e virus non mancano all’appello da diversi giorni (ahimè).

Monday Abroad sostiene ogni giorno di più la campagna #iorestoacasa: è, difatti, molto importante che ognuno di noi dia il proprio contributo alla causa, come ho già riportato nello scorso articolo, anche se sono sempre più desiderosa di tornare a Roma per potervi rivedere di persona e non dietro a una webcam (che, comunque, menomale che esiste).

Proprio per questo, vi invito a vedere il video che noi studenti abbiamo creato (presente sui profili di Athena, UNINTBlog, UNINTSport e AperilinguaUNINT): oltre ad ammirare i nostri meravigliosi musetti, è veramente incredibile il sostegno e la partecipazione che tanti hanno manifestato nei confronti dell’iniziativa.

Per quanto mi piaccia parlare di tutto ciò che è internazionale (non avrebbe senso il nome della rubrica, altrimenti), in questi momenti di paura e noia, mi sento sempre più orgogliosa della mia Patria e del positivismo che tanti stanno dimostrando in questi giorni (vedi i meravigliosi appuntamenti musicali sui balconi, per esempio).

Dall’Inno di Mameli alle note di Celentano, noi italiani siamo il popolo più sorridente che ci sia e io ringrazio di far parte di tutto ciò.

La quarantena che stiamo affrontando, comunque, ci impone di impiegare le nostre testoline in nuovi modi: io, per esempio, non sapevo che casa mia avesse 103 scalini o che in una videochiamata su Facebook si potessero aggiungere gli effetti e si potesse giocare tutti insieme alle attività proposte dall’applicazione (io consiglio gli unicorni, fatemi sapere che ne pensate).

In più, ho scoperto di non avere grandi doti in cucina (per il momento, visto ciò che sembra attenderci, non escludo di migliorare anche in quest’aspetto), ma sì grandi capacità nel pulire vetri, tapparelle e parquet (quello che mi piace chiamare “effetto Cenerentola”, presto nelle migliori guide di dolce far nulla, topolini annessi).

Insomma, solo noi italiani riusciamo a vedere l’aspetto tragicomico di quest’incresciosa situazione.

Non voglio ripetere dati e informazioni che chiunque di voi può trovare su internet con una semplice ricerca, né tantomeno voglio rattristarvi con il numero di casi presenti nella nostra cara Italia e nel mondo: il mio obiettivo è quello di farvi sorridere e farvi capire che non tutti i mali vengono per nuocere. Siamo, difatti, più uniti, malinconici e potenti di prima (ci voleva il coronavirus per ricordarcelo).

Manteniamo la distanza di sicurezza, ma rimaniamo ognuno a un millimetro dal cuore (la quarantena sta suscitando anche il mio lato poetico, pazzesco).

Daje Italia e daje Mondo: insieme siamo una forza!

Ci vediamo (fisicamente) presto!

Un besito, amici (sempre a più di un metro di distanza)

Ilaria Violi

#FACCIAMOILPUNTO

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Il virus che ha sorpreso l’Italia

In poche settimane abbiamo conosciuto il Covid-19. È come quando una terribile malattia si impadronisce del corpo di una persona portandola allo sfinimento, solo che questa volta nello stato patologico non ci sono solo le persone fisiche, ma è l’intero organismo-Paese che è in una condizione di sofferenza. Quotidianità stravolta, sistema sanitario che è sull’orlo dell’implosione, borse europee che hanno perso miliardi di euro e, soprattutto, piccole e medie imprese che a breve registreranno una mancanza di liquidità. Questi sono i principali disturbi funzionali che si manifestano con questo virus.                                                                                                                      
E mentre dai bilanci i numeri dei pazienti positivi e dei decessi continuano ad aumentare, noi cittadini dobbiamo farci carico delle nostre responsabilità, gli errori non sono più ammessi. In questi giorni abbiamo visto trionfare le istanze egoistiche dell’individuo, che come un cavaliere sguainava la spada dell’invincibilità, della sicurezza. Purtroppo nessuno è immune. E sfortunatamente non è stata percepita la giusta dimensione del pericolo. Bastava aprire i social network, perfetto misuratore del tessuto sociale, per vedere che gli abbracci, le cene e gli aperitivi non sono mai cessati. Ma durante queste settimane la classe dirigente italiana come si è mossa? È la fine di gennaio quando la positività di due turisti cinesi in vacanza a Roma fa scattare le prime misure: l’Italia blocca i voli diretti da e per la Cina, ma ahimè, continuano ad aver luogo i voli indiretti. A metà febbraio sembra tutto risolto, fino a quando dalla Lombardia arriva la notizia della positività del primo italiano, un uomo di trentotto anni residente a Codogno. Da questo momento in poi rimbalzeranno le notizie relative a continui contagi, inizia l’isolamento di alcuni paesi, scattano i primi obblighi di quarantena e le Regioni coinvolte emanano le loro ordinanze.  Il 4 marzo segna l’adozione del decreto-legge che suona come fortemente drastico, quello che in primis prevede la chiusura di scuole e Università di tutto il territorio nazionale fino alla metà del mese, e la sospensione di manifestazioni, eventi e spettacoli. Tali misure vengono accompagnate da un videomessaggio del premier Conte che chiama la nazione a fare la propria parte. Nella serata in cui i casi sono 5.883 emerge l’indiscrezione sul decreto con le nuove misure. L’8 marzo l’Italia si sveglia con l’isolamento della Lombardia e di altre 14 province. Ma è lunedì 9 marzo che gli italiani non possono far a meno di trovarsi incollati davanti al televisore, sono da poco trascorse le 21.30, il Presidente Conte da Palazzo Chigi annuncia la decisione relativa a “rinunce” e “misure più stringenti”. L’intera nazione diventa zona di contenimento, ciò implica il divieto di tutti gli spostamenti – eccezion fatta per situazioni comprovate di necessità -, restrizioni nei locali pubblici, la sospensione delle manifestazioni sportive e il prolungamento della chiusura dei luoghi di istruzione. L’Italia è in piena emergenza. E come va inquadrata un’emergenza dal punto di vista politico-istituzionale? A differenza di altri Paesi, il nostro ordinamento è privo di una disciplina sullo stato di emergenza, ciò nonostante l’Assemblea Costituente elaborò degli strumenti da mettere a disposizione del Governo. Uno di questi strumenti è l’art.77 Cost., che fa riferimento alla facoltà del Governo di emanare provvedimenti provvisori aventi forza di legge, esclusivamente in casi eccezionali. Sono appunto i cosiddetti decreti-legge che stiamo vedendo sul tavolo dell’Esecutivo in questi giorni. Ricordiamolo, anche quando sembrava non esserci via d’uscita – ad esempio negli anni di piombo – l’Italia è riuscita a risalire la china.                                                                           
In tutta questa vicenda poi, un paziente che sembra riversare in condizioni particolarmente difficoltose è l’Europa che per il momento ha lasciato alle sue spalle la voce «Unione» e ha assistito inerme al prevalere della ragion di Stato dei suoi membri. L’Italia si è ritrovata ad essere dipinta come l’untore dell’Occidente proprio dai suoi partner regionali. È proprio vero che a volte il colpo più duro viene inflitto da chi meno te lo aspetti, ed è senza dubbio quello più doloroso. Ma siamo certi che quella forte identità che nel passato è riuscita a stimolare il processo di integrazione sarà il catalizzatore di una riorganizzazione comune. L’Europa riprenderà il controllo del proprio destino e riuscirà ad imprimere una nuova sinergia fra i suoi membri.
C’è stato un tempo, quello del primo conflitto mondiale, in cui la guerra di posizione fece conoscere la trincea. Oggi, le nostre mura domestiche potrebbero diventare il luogo dove trincerarsi, noi però non siamo soldati sottoposti ad atroci sofferenze, a noi è richiesta solo pazienza, all’interno delle nostre “fortificazioni” ci sono i nostri affetti, ci sono i nostri indispensabili dispositivi tecnologici. Insomma, è sì un tempo scandito dall’incertezza, ma possiamo uscirne. E no, non ci sono nemmeno supereroi, ma ci sono persone con il camice bianco che ci stanno salvando anche senza i superpoteri. Fantastico, vero?  
L’Italia ormai indossa la corazza del combattente, ma è una nazione dalla scorza dura. Siamo l’Italia delle meraviglie!  Siamo il Paese del caffè caldo al mattino, della pasta al dente. Siamo il Paese del buon vino, dei tramonti sui vigneti e sul mare cristallino. Siamo il Paese dei celebri artisti, dei piccoli borghi e dei grandi monumenti. Siamo il Paese con la illustre laguna, con il Duomo, con gli incantevoli golfi e con la città eterna. Siamo il Paese dei magnifici stilisti, degli artigiani e delle vette mozzafiato. Noi siamo il Paese che “nel blu dipinto di blu” riesce a volare.                                         

Caro Belpaese ti promettiamo che ce la farai, ancora una volta!

Gaia Natarelli

  • Fonte: articolo “Il Foglio” 3 marzo 2020
  • Fonte: articolo “Corriere della Sera” 4 marzo 2020
  • Fonte: articolo “Corriere della Sera” 7 marzo 2020
  • Fonte: articolo “Corriere della Sera” 8 marzo 2020
  • Fonte: “governo.it – Notizie” del 9 marzo 2020

#PEOPLEOFUNINT

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Come ti descriveresti?

Anzitutto mi presento. Sono Ludovica e mi occupo dell’Ufficio Dottorati qui alla UNINT. Questa domanda un po’ mi spiazza, quasi da non sapere come descrivermi. Dal punto di vista lavorativo sono una ragazza molto pignola e puntuale, curiosa e determinata invece dal punto di vista caratteriale. Sicuramente sono sorridente, solare e cerco di esserlo tutti i giorni e con tutti i colleghi che mi circondano.

La persona che sei oggi è quella che sognavi di essere?

Ho studiato qui alla UNINT solo nel biennio magistrale perché il mio sogno era quello di fare l’interprete. Poi, strada facendo, ho capito che in realtà il mondo dell’interpretariato e la vita da interprete era più una passione, un hobby da coltivare nel mio tempo libero, e non da dedicarmici a pieno nella vita. Perché a livello lavorativo mi sento molto inserita qui e spero che questo percorso possa continuare. Come già detto sono inserita nell’Ufficio Dottorati e anche in quello per l’Alternanza. Seguo la parte selettiva dei concorsi, supporto la commissione e la consegna dei documenti, controllo le attività, le organizzo a livello mensile, faccio insomma un po’ da tramite. Per quanto riguarda l’Alternanza con le scuole ci stiamo adoperando per delle video lezioni che saranno sottoposte a ragazzi/e liceali per il loro futuro inserimento universitario.

Se tornassi indietro cosa diresti alla te di un tempo?

Premettendo che io guardo sempre e solo avanti, non tornerei mai indietro. Sono molto soddisfatta di me stessa perché penso di non aver mai lasciato un obiettivo cadere. Da testarda quale sono, quando mi dico di fare qualcosa, la porto sempre a termine, perché sarebbe contro la mia natura lasciare le cose in sospeso.

Non mi sono mai pentita delle mie scelte. Spero di poter restare qui perché mi sento molto a casa. Ci sono cresciuta dentro. Per me la UNINT è come una famiglia ormai.

Ludovica

#UNINTSIGHTSEEING: NEMI (RM)

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Nel cuore dei Colli Albani, a soli 30 km da Roma, sorge il suggestivo comune di Nemi. La bellezza del paesaggio e l’idilliaca posizione hanno fatto di Nemi una rinomata meta fin dall’Impero romano. Pare, infatti, che proprio sulle sponde del lago avevano costruito ville Giulio Cesare e Caligola.

A contribuire a tale suggestione è il lago che domina il paesaggio circondato da verdi boschi tanto da far sì che territorio di Nemi fosse inserito nell’area del Parco Regionale dei Castelli Romani.

Famose in tutte il mondo sono le sue fragole coltivate lungo le rive del lago omonimo tanto che dal 1922 ogni prima domenica di giugno fosse indetta una festa per celebrarle: la rinomata “Sagra delle Fragole”.

Dietro tali festeggiamenti si cela una leggenda secondo la quale le fragole siano nate dalle lacrime versate da Venere per la morte di Adone e trasformate poi in cuori rossi.

Il borgo ha ottenuto la Bandiera Arancione da parte del Touring Club Italiano per la qualità dell’accoglienza riservata ai turisti provenienti da tutto il mondo.

Nemi è raggiungibile da Roma partendo dal capolinea della metro A (Anagnina) e prendendo il bus Cotral diretto a Genzano, per poi prendere un secondo bus, diretto a Nemi. Se ci si sposta in auto, è possibile imboccare il Grande Raccordo Anulare fino all’uscita 5 (Aeroporto di Ciampino) per poi proseguire in Via dei Laghi sino all’uscita Nemi.

#GUESS WHO?: MICHELANGELO BUONARROTI

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Fra i massimi artisti di tutti i tempi, considerato il genio del Rinascimento, è stato pittore, scultore, architetto, nonché poeta, e ha lasciato un’eredità artistica che ha influenzato per sempre i secoli a seguire: stiamo parlando di Michelangelo Buonarroti.


Sapevate che…?


Nacque a Caprese da una famiglia di nobili fiorentini che, da quello che si dice, versava in condizioni economiche poco favorevoli: pare infatti che uno dei motivi per cui il giovane Michelangelo approdò alla bottega di Domenico Ghirlandaio era rappresentato anche dalla necessità di riscuotere il denaro dell’apprendistato, grazie al quale il ragazzo poté ricevere un’istruzione classica.


Durante la sua vita ha potuto godere dell’appoggio di influenti mecenati del calibro di papa Alessandro VI, papa Giulio II e Lorenzo il Magnifico, il quale fu talmente colpito dalla grandezza delle sue opere da accogliere l’artista come suo ospite proprio nella residenza medicea di via Larga.


Si dice che non avesse un carattere affabile, ma che al contrario fosse particolarmente irascibile: uno degli aneddoti sulla sua persona prevede che un giorno, infuriato, colpì con un pugno talmente violento il volto dello scultore Pietro Torrigiano da comprometterne la fisionomia. Sembra, inoltre, che in un’altra occasione se la prese a tal punto con un cliente che voleva pagare un dipinto da lui commissionato a un prezzo inferiore rispetto a quello concordato, che perse la pazienza e si riprese indietro l’opera: a quel punto il cliente fu costretto a pagare una cifra doppia per riavere indietro il dipinto.

È noto che fra lui e Leonardo da Vinci ci fu sempre una rivalità accesa, unita tuttavia a un profondo rispetto reciproco. L’episodio emblematico che alimentò le incomprensioni fra i due artisti pare essere quello riguardante la realizzazione della decorazione per la Sala Grande del Consiglio di Palazzo Vecchio a Firenze, che venne commissionata ufficialmente a entrambi ma che non fu mai concretizzata.

Monday Abroad: SPECIALE CORONAVIRUS

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Cari colleghi, compagni e amici, Monday Abroad oggi cambia nuovamente rotta: voglio dedicare queste righe al Coronavirus, l’argomento più trattato, specialmente negli ultimi giorni, da giornali, politici, medici ed economisti.
Vi scrivo da casa mia in Piemonte, oggi ancora zona gialla (in quanto si tratta della provincia di Cuneo) per raccontarvi qualche dato: nelle settimane precedenti al giorno in cui la nostra Università è stata sapientemente chiusa per precauzione e prevenzione, ho lavorato molto a delle interviste con tema Covid-19 rivolte ad alcuni dei nostri professori, ai nostri Presidi e al nostro Rettore. Si cercava, difatti, di avere una panoramica generale, gestita da esperti nel settore, su quello che stava succedendo sia nel nostro Ateneo, che a Roma, che in Italia e nel mondo in generale. Purtroppo, il virus si è espanso prima che si potesse concludere il lavoro, ma ciò non ha rallentato la mia forte esigenza di conoscenza rispetto al tema trattato.
Non mi dilungherò molto, voglio solo informarvi su alcuni dati che hanno a che fare con l’internazionalità del tema (più Abroad di così!):

  • Oggi arriviamo a un totale di 110mila contagiati nel mondo (guariti inclusi), con 3.800 morti e 61mila guariti. L’Italia è nelle prime posizioni per contagi, ma, secondo l’articolo de “La Stampa” di Letizia Tortello del 08.03.2020, siamo dopo la Cina (80.700 casi), il Sud Corea (7300) e l’Iran (6500);
  • Partendo dagli USA, dove i casi confermati sono 564 in 34 Stati, il sindaco di New York, Bill de Blasio, invita i cittadini a non prendere la metropolitana, soprattutto se malati. Lo Stato di New York, la California e l’Oregon hanno dichiarato lo stato di emergenza. (Per non parlare della nave Grand Princess che oggi attraccherà nel porto di Oakland con a bordo 3.500 persone tra cui 21 contagiate; del senatore texano Ted Cruz che decide di autoimporsi la quarantena o le misure prese dal Presidente Trump riguardo al tema );
  • Arriviamo in Germania, Paese dal quale negli ultimi giorni sembra essere partita tutta la bufera Coronavirus (dunque siamo veramente noi gli untori d’Europa?), che, con un totale di 1112 casi sottolinea il bassissimo tasso di morte collegato al virus: sembra, difatti, (e spero per loro che si continui con questi numeri, allora) che non vi siano ancora stati decessi avvenuti a causa del Covid-19. Detto ciò, tuttavia, secondo l’economista tedesco Henrik Enderlein, la Germania è solo a una settimana di distacco dal nostro destino e riporta quanto appena citato in un tweet che vi lascio molto volentieri :
  • In Albania, un papà e un figlio tornati da Firenze sono risultati positivi al test e ora sono in quarantena[1];
  • Secondo un articolo di ADNKRONOS, del 09.03.2020 (aggiornato alle 12:28, se proprio vogliamo essere puntigliosi), la Francia rimane nella “Fase 2”, vale a dire che la priorità delle autorità è “fare tutto il possibile per rallentare la diffusione del virus”. Con 1.126 persone infettate e 19 decessi, per lo più anziani, la Francia rimane il Paese europeo più colpito dopo l’Italia e poco prima della Germania (anche se nei giorni scorsi hanno preferito perdere tempo a fare della comicità sul contagio italiano, vedi la Pizza Corona, che, io per lo meno, non ho trovato affatto divertente);
  • Secondo l’ANSA, la Spagna registra un’accelerazione dei contagi saliti oggi a 999, quasi il doppio rispetto ai 589 di ieri. Lo scrive l’agenzia Bloomberg sottolineando che il governo di Madrid ha riunito un incontro di emergenza per valutare l’adozione di “misure drastiche” per contenere la diffusione del virus. Il maggior numero di contagi si registra a Madrid e nei Paesi Baschi. Nella capitale i casi confermati sono aumentati di 200 unità nelle ultime 24 ore mentre i decessi sono raddoppiati (16 le vittime segnalate oggi contro le 8 di ieri).
  • Per ultimo, ma non per importanza (anzi!) voglio citare il calo di casi in Cina e la conseguente ripresa dello Stato: lo ha riferito la National Health Commission, segnalando che il numero è in calo rispetto ai 44 casi del giorno precedente. Il numero totale di casi confermati nella Cina è di 80.735. Il bilancio delle vittime dallo scoppio dell’epidemia ha raggiunto quota 3.119. La provincia centrale di Hubei, epicentro dell’epidemia, ha registrato 21 nuovi decessi, 18 dei quali a Wuhan, dove le autorità hanno sospeso oggi le attività di un altro ospedale da campo, il quattordicesimo, utilizzato per far fronte all’emergenza. La struttura di Jianghan a Wuhan, riconvertito da centro espositivo internazionale a ospedale, è stato chiuso. Le autorità locali hanno fatto sapere che le ultime due strutture ospedaliere temporanee rimaste in funzione in città dovrebbero chiudere domani[2].

Questi sono solo alcuni dei dati che in questi giorni mi hanno chiamato l’attenzione e che, con molto piacere, vi ho riportato.

Come possiamo vedere, la situazione non è da sottovalutare né in Italia, né nel mondo intero.

Da studentessa, posso consigliarvi di seguire le norme che lo Stato ha scelto di adottare: laviamoci spesso le mani, evitiamo i luoghi affollati e, se viviamo in una zona rossa, preferiamo la lettura di un libro alla tipica passeggiata. (Ci incoraggiano al Netflix and Chill, in pratica;) )

Sperando che i nostri esperti riescano a risolvere il prima possibile la situazione, cerchiamo di vivere questi momenti con tutto il positivismo possibile e concessoci.

A presto, raga!

Un besito (a distanza di almeno un metro e mezzo;) )


[1] Fonte: articolo di “Repubblica” del 09.03.2020

[2] Fonte: articolo di “Repubblica” del 09.03.2020

[3] Fonte: articolo di “Repubblica” del 09.03.2020

[4] Fonte: articolo di “Repubblica” del 09.03.2020

Ilaria Violi