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Le lauree ai tempi del Coronavirus

Non si tratta di un reboot del romanzo di Gabriel García Márquez, bensì di un titolo molto inflazionato nelle storie e nei post dei giovani laureati di questo periodo, che descrive una realtà fattasi strada nel contesto della pandemia che in Europa ha colpito per prima l’Italia, diffondendosi poi a macchia d’olio in tutte le nazioni del continente e al di là della Manica. Infatti, un gruppo di studenti dell’Università degli Studi Internazionali di Roma ha consumato un breve momento di celebrazione e gioia all’interno delle loro quattro mura domestiche, mentre il mondo fuori dalla loro finestra combatteva un nemico invisibile; è stata la fioritura del germe del futuro, che è sbocciato in una serra fertile e protetta, mentre fuori c’era una primavera secca.

“Mi sono laureata ai tempi del coronavirus”, sarà questa la frase che diranno ai posteri i 73 laureati della UNINT di Roma che hanno conseguito il titolo per via telematica; non sarà però facile spiegare cosa questo significhi realmente, perché sarebbe riduttivo dire solamente che un percorso universitario si è concluso dentro il proprio domicilio, davanti ad un computer quando fuori c’era un virus che viaggiava dal nord al sud dell’Italia, costringendo l’intera nazione a casa, dato che il sistema sanitario era vicino al collasso. Parleranno di isolamento, di restrizioni, di spirito di adattamento e di distanze, ma anche del potere dei social media e dello spirito di comunità che ha unito tutti virtualmente e spiritualmente per festeggiare un traguardo meritato; parleranno di come un momento straordinario in una condizione straordinaria sia stato condiviso da molti giovani, i quali si aspettavano di discutere la tesi davanti ad una commissione, vestiti di tutto punto e di festeggiare nelle loro facoltà e poi in qualche locale con i propri cari, magari facendo foto con corone d’alloro, tocchi e mazzi di fiori, ma che poi hanno dovuto ridimensionare tutto e adattarsi alla situazione. Quindi, anche se ognuno di questi si è ritrovato a parlare a immagini catturate da webcam sparse in tutta la penisola, nel confinato spazio della propria cameretta o del proprio salone, erano tutti lì, nella stessa piattaforma, seppur virtualmente. I protagonisti di questo evento si sono resi disponibili a dare il proprio contributo per ricostruire l’intera vicenda, fornendo la loro prospettiva e dopo essere stati contattati tramite un gruppo Facebook creato due anni fa per facilitare la comunicazione tra compagni di corso, hanno condiviso la loro esperienza, ricorrendo allo stesso software usato per discutere la tesi e per la proclamazione: Skype. È stato chiesto loro di raccontare come avessero vissuto l’esperienza in una videochiamata tête-à-tête ed è subito risultato chiaro come ogni storia fosse a sé, ma in qualche modo simile alle altre, disegnando così la fitta rete che ha messo in connessione i membri della micro comunità di laureati.

Tutto è iniziato il 4 marzo 2020 con la notizia arrivata dal Presidente Giuseppe Conte, che annunciava la sospensione delle attività didattiche per far fronte all’emergenza dovuta alla diffusione del coronavirus. Ovviamente, i provvedimenti emanati da Palazzo Chigi hanno impiegato alcune ore per percorrere i 5,6 chilometri di strade e venir posti in essere all’interno della sede dell’Università degli Studi Internazionali di Roma; ore piene di incertezza e preoccupazione per i futuri laureandi, incollati al televisore insieme alle famiglie, i coinquilini, gli amici e i propri cari, per capire quale fosse stato il destino della nazione. Inevitabilmente, dopo aver appreso la notizia, il loro pensiero è andato anche alla sessione di laurea ed è così che sono iniziate le supposizioni in merito ai possibili scenari: la rimandano? Si farà a porte chiuse? Non mi laureerò mai? E altri dubbi che alimentavano il disorientamento dato all’intero contesto.

Le risposte sono arrivate giovedì 5 marzo con una comunicazione che annunciava la decisione di svolgere le lauree a porte chiuse, vietando anche i festeggiamenti nelle immediate prossimità dalla struttura per non creare assembramenti e vanificare le misure di contenimento; a quel punto si sono diffusi sentimenti contrastanti negli animi degli studenti laureandi: c’era chi voleva “solamente laurearsi”, chi invece ha messo in moto la rete dei rappresentanti degli studenti per poter parlare con la presidenza e richiedere almeno di far entrare in aula due invitati per candidato. Lo smarrimento si era tinto di disapprovazione e delusione; Giulia racconta “mio padre mi ha detto: ‘mi stai dando una pugnalata’. Però poi entrambi i miei genitori mi hanno mostrato grande sostegno per risollevare almeno il mio di morale” e aggiunge “sinceramente all’inizio mi sembrava tutto surreale e neanche ci pensavo troppo alla laurea, ero più preoccupata per la salute dei miei genitori e dei miei nonni”. Ma tutto il dissenso si è placato alla successiva comunicazione, che è stata accolta anche con più consapevolezza dei rischi da parte degli studenti: il 10 marzo l’università ha comunicato la chiusura della sede e la coerente e conseguente scelta di svolgere le lauree per via telematica a seguito del decreto che dichiarava l’estensione della zona rossa a tutta l’Italia. Gli studenti si sono rassegnati davanti alla gravità della situazione, rinunciando a tutti i piani che si erano costruiti per questo giorno che doveva essere il culmine della loro carriera universitaria; Virginia dice “avevo perso l’entusiasmo, non volevo quasi più laurearmi, ho proprio deciso di fregarmene”, anche Alice denuncia lo stesso sconforto “non mi andava giù”. Un’altra Giulia (che per comodità chiamerò L’altra Giulia) dice “in quel momento mi sembrava che la laurea stesse perdendo il suo valore simbolico. Ero molto dispiaciuta”; hanno iniziato, quindi, a provare rifiuto per l’intera situazione, tanto che Giulia (questa volta si tratta de La Prima Giulia) confessa “inizialmente mi sembrava una barzelletta, tanto che mi è tornata in mente una storia fatta dalla mia collega Clarissa quando non si sapevano ancora le nostre sorti, dove ironizzava sul fatto che avrebbe preferito quasi laurearsi in pigiama a casa e mi ricordo di averci riso su per l’assurdità della cosa”; Vita invece racconta “ero a Roma nella mia stanza in affitto, lontana dalla mia famiglia e quando mia madre l’ha saputo, ha iniziato a piangere e credo abbia pianto tutti giorni fino a quando non mi hanno proclamata”. Successivamente è arrivata la fase dell’accettazione, dove ormai gli studenti si erano abituati all’idea e hanno iniziato a reagire: un’altra Giulia (che chiamerò L’ultima Giulia) dice “il decreto è uscito proprio il giorno in cui ho ritirato la copia cartacea della tesi. Mi è dispiaciuto, ma mi sono rassegnata” poi aggiunge “mi sono detta di rimanere positiva, perché volevo concludere questo percorso”, la stessa conclusione alla quale è arrivata Alice “pensare positivo era l’unica cosa che restava da fare, l’unica cosa che ci rimane”; La Prima Giulia è sulla stessa linea “ho pensato che quasi era meglio così, perché almeno avrei avuto la mia famiglia con me, nella stessa stanza”. Anche Virginia con il passare dei giorni ha iniziato a reagire: “ho metabolizzato la cosa. Ho pensato a cosa mettere e ho cominciato a lavorare alla presentazione”. Enrico invece, si è mostrato positivo fin da subito: “l’ho subito vista come un’opportunità”, mentre dall’altra parte c’è stato chi si è sentito privato di un’occasione di riscatto, ad esempio Isabella con un po’ di amaro in bocca dice: “ero curiosa di vedere cosa si provasse ad aspettare davanti all’Aula Magna con le gambe che tremano e il discorso in mano, per poi parlare al microfono davanti ad una commissione, perché alla triennale non abbiamo vissuto una laurea del genere. Non potrò dire di aver mai discusso una tesi nella modalità canonica”. Lo stesso dice Laura con un animo ancora più deluso “mi ero buttata molto giù, perché alla triennale non avevo sostenuto una vera discussione con i miei cari alle spalle e aspettavo la magistrale per farlo. La delusione era talmente tanta che avevo deciso di non ripetere neanche la presentazione” aggiunge “non mi sono mai comportata così, sono andata a tutti gli esami sempre più che preparata. Solo qualche ora prima del mio discorso, ho iniziato a rivedere il PowerPoint”.

Sta di fatto che nei giorni prima del grande evento fuori dall’ordinario, si sono attivati tutti, grazie anche al sostegno dei familiari, degli amici e niente po’ po’ di meno che dei rispettivi relatori; alcuni hanno organizzato dirette su Facebook, Twitch e Instagram per accorciare le distanze e condividere il momento in sicurezza, creando un piccolo spazio virtuale di celebrazione e affetto. La maggioranza ha vissuto in tranquillità i giorni precedenti alla laurea, senza troppa ansia, tanto che Flavia, come altri, ammette di non averci proprio pensato quasi, fino a che non si è ritrovata davanti al suo computer ad aspettare la chiamata dalla facoltà e La Prima Giulia la sera prima dice di avere risposto alla domanda della sue amiche sul suo stato d’animo con un secco e spensierato “sto guardando Harry Potter sul divano”.

Il giorno è arrivato inesorabilmente, COVID o non COVID, i nostri ragazzi hanno preparato la postazione nella propria cameretta o nel soggiorno e hanno aspettato, anche più del dovuto per via di imprevisti tecnici; l’attesa in alcuni casi è salita addirittura a due ore e questa potrebbe essere la dimostrazione che la tecnologia ha fatto passi da gigante, ma non riesce ancora a raggiungere l’uomo in tempo. Francesca racconta “la mattina stessa abbiamo deciso di fare come se fossimo dovute andare a Roma. Abbiamo fatto colazione, trucco e parrucco e poi dal bagno sono andata in sala praticamente” facendo quasi finta che quello fosse il tragitto dalle Marche a Roma; mentre, La Prima Giulia e Federica dicono di non esser riuscite a portare da Roma i vestiti che avevano comprato per l’occasione e si sono viste costrette a rimediare qualcosa di già usato o, come ha confessato Federica, di andare a frugare nell’armadio della mamma. Molti invece non si trovavano a casa con i propri cari, ma piuttosto con i coinquilini in un appartamento nella capitale; Valerio infatti ci dice “ero rimasto a Roma con la mia ragazza. Ho provato ansia solo nei minuti che hanno preceduto la discussione, ma ho sciolto la tensione parlando su WhatsApp con i miei colleghi, che erano nella mia stessa situazione” e precisa “ecco, forse è questa la cosa che mi è mancata di più: non poterli avere fisicamente con me e festeggiare con loro il completamento di un percorso che abbiamo condiviso in tutti i suoi aspetti”. L’ansia si è fatta avanti, un po’ per tutti, negli attimi prima della chiamata, quando alcuni dei candidati hanno iniziato a fare avanti e dietro per la stanza, a maturare preoccupazioni relative al funzionamento di internet e agitazione per quanto stava per accadere.

Accesi microfono e webcam, si è dato inizio alla sessione, in un’atmosfera che via via è diventata sempre più distesa, grazie anche alla presenza sullo schermo delle facce note di colleghi e professori; la sensazione di tutti è stata quella di aver vissuto una chiamata molto veloce e come afferma Irene, quasi da non rendersi conto di essersi laureati; Alice inoltre dichiara “ho avuto l’impressione che fosse tutto più informale di quello che mi aspettavo. Mi è mancato un po’ l’aspetto rituale dell’evento” anche nelle parole de La Prima Giulia c’è sostegno per questa tesi “non c’erano tutti i fronzoli di una laurea classica, ma il valore ce l’ha avuto lo stesso” poi aggiunge “ho potuto vedere gli occhi lucidi di mio padre in piedi davanti a me, cosa che non sarebbe successa de fossi stata in un’aula universitaria con lo sguardo rivolto verso la commissione”; in quasi tutti i laureati, quel velo di delusione piano piano è svanito, lasciando il posto all’emozione e alla contentezza che si è sfogata in centinaia di chiamate ai parenti e videochiamate e anche alcune nonne sono diventante social per l’occasione. Ovviamente, non sono mancate bottiglie di spumante stappate con coinquilini o familiari, infatti Laura afferma “i miei coinquilini si sono impegnati molto per farmi sentire speciale e regalarmi dei festeggiamenti degni”; Clarissa racconta “il mio ragazzo e il mio coinquilino hanno preparato dei lancia coriandoli con un rotolo finito della carta igienica e un palloncino attaccato in fondo” e una cosa simile l’ha fatta anche la famiglia di Francesca “abbiamo tagliato dei giornali a forma di coriandolo e li abbiamo lanciati dopo la proclamazione”. Valerio, dal suo canto, dice “per festeggiare ho fatto una cosa per me inusuale: ho ordinato la pizza a domicilio e insieme alla mia ragazza abbiamo preparato una torta”; anche Alice e Federica si sono date alla cucina, preparando una crostata nelle rispettive case. Ilaria invece afferma “eravamo solo io e la mia coinquilina ma non siamo riuscite a brindare, perché non abbiamo fatto in tempo a comprare lo spumante, dato che le file alle casse dei supermercati durano ore”. Di sicuro i festeggiamenti non sono stati in linea con le aspettative e La Prima Giulia sottolinea infatti che qualcosa è mancato particolarmente: “il più grande rammarico di mio padre è quello di non avermi potuto regalare dei fiori, perché era tutto chiuso”; da questo punto di vista Federica e Francesca sono state invece più fortunate, perché hanno potuto confezionare un piccolo mazzetto con i fiori dei loro giardini e Flavia ha ricevuto da parte di sua madre una corona fatta da lei stessa. L’alloro in testa è mancato a molti, tanto che alcuni hanno riesumato le vecchie corone secche della triennale oppure di qualche coinquilina laureata da poco, come è stato il caso di Virginia o si sono arrangiati con vecchi tocchi, altri invece come Alice non sono riusciti ad avere né tesi stampata né contrassegni vari, infatti dice di aver pubblicato una sua foto del giorno senza alcun elemento che richiamasse una laurea dove ha scritto: “mi sono appena laureata, mi dovete credere”. Non sono mancati comunque momenti di comunità, soprattutto con gli amici in diretta sui social e con il vicinato che ha testimoniato le celebrazioni: Vita ci racconta infatti che, appena si è conclusa la chiamata con la commissione, ha iniziato a esultare e a saltare insieme alla sua coinquilina, che l’ha sostenuta in tutto il processo, si sono spostate poi in balcone e vedendo il vicinato affacciato per il flash mob delle 18, la neolaureata ha urlato “mi sono laureata” sentendo la necessità di condividere un momento avvenuto lontano dallo sguardo del mondo e che rischiava di passare in sordina. È lì che da tutti i balconi del circondario sono arrivate le congratulazioni per il suo traguardo e i condomini hanno addirittura tirato fuori i calici per brindare a distanza insieme a lei; è simile un po’ a quello che è successo a Flavia,che uscendo in balcone per festeggiare, è stata accolta dall’Inno d’Italia che poi ha fatto da sottofondo a cori di congratulazioni. Clarissa ha invece trovato una lettera per lei attaccata al suo portone, firmata “la ragazza dell’appartamento di sopra” dove questa sua coetanea, deducendo cosa stesse succedendo dai festeggiamenti, si congratulava con lei per il traguardo raggiunto, con un gesto spontaneo e inaspettato; a questo proposito, aggiunge Clarissa “mi sono sentita parte di una comunità. Già dopo che sono stata riconosciuta nel video dei The Jackal ho ricevuto tanta solidarietà da parte degli utenti dei social, anche da persone che non conoscevo”. Come detto prima alcuni hanno organizzato delle dirette con i propri amici e come dice Enrico “nella sfortuna sono stato fortunato, perché avevo lì con me in diretta miei amici un po’ da tutto il mondo, anche dall’Australia, che in una condizione ‘normale’ non avrebbero mai potuto prendere parte alla mia laurea. Persino mia nonna ha guardato la mia diretta” e anche Vita ha detto lo stesso “mi hanno potuto vedere anche miei amici dalla Spagna”; essere rimasti a casa, inoltre, ha sicuramente fatto sentire ad alcuni più calore, perché come dice Federica “se fossi stata a Roma le persone a me care non sarebbero potute essere presenti e magari non sarei stata giù di tono, ma sicuramente sarei stata sottotono”. In alcuni casi, le persone care erano però distanti dai laureati, ma si sono comunque fatti sentire anche in videomessaggi e come dice Clarissa “hanno trovato il modo di essere ugualmente come me”. Ma ovviamente, tutti concordano sul fatto che i grandi festeggiamenti sono solo rimandati a data da destinarsi e ovviamente saranno l’occasione perfetta per stare tutti insieme e non solo per festeggiare la laurea. Relativamente a ciò, La Prima Giulia dice “anche questa è una cosa straordinaria, perché in una situazione normale non avrei mai potuto sperare che avrei festeggiato la mia laurea ancora dopo due mesi”.

Ho lasciato poi spazio alle loro riflessioni in merito all’intera vicenda, chiedendo loro di fare un appello ai ragazzi che si sarebbero laureati nella loro stessa modalità e hanno lanciato tutti messaggi carichi di speranza, dipingendo il lato positivo di questa situazione; come Irene che sottolinea “è stato il nostro modo di contribuire a queste emergenza” e L’ultima Giulia aggiunge “bisogna pensare che andrà tutto bene e imparare ad apprezzare le piccole cose e non bisogna smettere di sognare neanche ora”. A questo pensiero si unisce anche la riflessione di Clarissa: “a volte ci preoccupiamo troppo di come andranno le cose, ma una volta che queste passano e volgiamo lo sguardo indietro, ci rendiamo conto che quelli che vedevamo come macigni erano in realtà dei sassolini”. La Prima Giulia riporta le stesse parole che ha detto a suo cugino, che si laureerà a breve sempre telematicamente: “è stata una bellissima sensazione e un’esperienza nuova. Abbiamo comunque vissuto un giorno di allegria e felicità in un periodo così buio e ci siamo sentiti straordinari!”; Federica sottolinea “siamo la dimostrazione che nulla può fermarci! Non ci siamo abbattuti e ce l’abbiamo fatta: abbiamo raggiunto il nostro obiettivo”. Nella sua testimonianza, Enrico fa una sua riflessione “mi ha colpito molto una cosa che mi ha detto un mio amico: ‘mia nonna si è laureata nel 1944 in un rifugio antiaereo’. Anche se fuori non ci sono bombardamenti, mi sono riconosciuto nella situazione e se ce l’hanno fatta loro, ce la faremo anche noi ad uscire da questa guerra”.

Come nota conclusiva, ho chiesto loro di condividere con me la prima cosa che vorrebbero fare quando l’emergenza finirà e tutti hanno parlato di passeggiate all’aperto e viaggi, anche se, come sottolinea L’altra Giulia, ci sarà un po’ di preoccupazione nel guardare al di là dei confini una volta che l’Italia ne sarà uscita, dato che probabilmente alcuni paesi saranno nel cuore dell’emergenza. A parte questo, come dice La Prima Giulia: “ci sarà una grande voglia di stare insieme e di condivisione. Sarà tutto più sentito” ma anche di affetto, come rivela Vita: “vorrei prendere una persona X alla quale tengo e che non ho visto in tutto questo tempo e abbracciarla in silenzio per alcuni minuti”.  Molti hanno approfittato di questo periodo per prendersi cura di se stessi, come sta facendo Isabella: “sicuramente questa situazione mi ha regalato molto più tempo per capire cosa voglio, così da arrivare a delle consapevolezze che mi potranno indirizzare nel lavoro”; altri sono rimasti attivi nella ricerca di un impiego come Irene che mentre fa lezioni su Skype di lingua, continua a mandare CV sperando che, una volta tornati alla normalità, ci possano essere altre opportunità lavorative. Ilaria aveva invece trovato un tirocinio in Spagna ed è per questo che era rimasta a Roma, ma è stato bloccato a causa dell’emergenza: “vorrei sfruttare questo periodo per formarmi: seguo webinar e provo ad imparare lo spagnolo. Ma quando sarà finito tutto vorrei tornare a casa e farmi una passeggiata al mare”. Anche Laura stava lavorando per la Regione Lazio quando il governo ha tagliato i fondi per gli stage: “ero riuscita a crearmi la mia indipendenza a Roma e vorrei solo riavere il mio posto nel mondo”.

Per quanto la situazione sia incerta, ognuno ha conservato i propri sogni e non sarà una pandemia a fermare la determinazione di realizzarli; chi ha le redini nel mondo degli adulti deve però ascoltare il nostro grido di rivalsa che si diffonde più rapidamente di un virus e risuona più forte di un tuono ripetendo: fateci posto!

Claudia Cesetti

#PEOPLEOFUNINT

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Mi chiamo Sara, nome che mi è stato dato da mia sorella perché deriva dall’ebraico שָׂרָה (Sarah) che significa ‘signora’ o ‘principessa’, ma in famiglia mi chiamano spesso con il nome della mia bisnonna Marietta, una donna che ricordo dolce e allo stesso tempo testarda, alla quale assomiglio moltissimo.

I miei genitori sono italiani, papà di origine napoletana e mia madre romana.

Da bambina andavo spesso a Sant’Agata De Goti, in provincia di Benevento, il paese di mio nonno paterno e quando tornavo a casa mi capitava di avere un accento molto simile a quello napoletano. I dialetti influenzano molto il modo di parlare ed io mi divertivo ad impararli tutti fino a mescolarli completamente.

Considerato che dalla scuola materna alla scuola secondaria di primo grado sono andata in un istituto privato frequentato anche da ragazzi audiolesi, per dialogare con loro imparai la “LIS”, la lingua dei segni italiani che mi influenzò così tanto da arrivare ad utilizzare questi gesti ogni volta che parlavo con una persona.

Per me gli anni dell’adolescenza sono stati molto importanti perché mi hanno aiutata a crescere e a capire un po’ chi sono. Nel periodo in cui avevo 12 anni mio padre scoprì di avere un altro fratello che viveva in America. Era nato a New York dalla relazione, avuta prima del matrimonio, di mio nonno paterno con una donna italiana che si trasferì successivamente negli Stati Uniti, dove poi nacque mio zio. Dopo circa un anno di vita del bambino, la madre, purtroppo, venne a mancare e il bambino venne adottato da una buona famiglia che lo portò a conoscenza della sua situazione. Nel suo cuore restò sempre un desiderio, quello di conoscere i suoi fratelli, e dopo circa 60 anni ha ritrovato quello che stava cercando, noi. È stato un incontro emozionante alla Carramba che sorpresa.

I miei genitori non parlano molto bene l’inglese, mentre mio zio conosce il Broccolino, una specie di dialetto napoletano nato dalla fusione di termini inglesi e napoletani, parlato dagli italo-americani di Brooklyn che erano emigrati in America tra l’800 e il ’900 e che non avevano una grande padronanza della lingua italiana. A questo punto ho fatto da intermediario linguistico tra i miei genitori e mio zio. Da qui è nata la volontà di studiare le lingue straniere. Iniziai a vedere serie tv in spagnolo e in inglese, ad appassionarmi alla moda e al liceo linguistico mi ritrovai a studiare tre lingue: inglese, francese e spagnolo.

Agli ultimi anni del liceo iniziai a pensare a come proseguire gli studi. Molti dei miei coetanei volevano fuggire da questo “paese senza speranza” e questo non mi rincuorava affatto. Bisogna ammettere che per molti giovani lavorare all’estero non è più un’opportunità ma una strada quasi obbligatoria e quindi rimanere è un rischio che molti di noi non sono pronti a correre, a causa dei tanti problemi in cui versa l’Italia.

Nonostante ciò alcuni hanno deciso di scommettere proprio sull’Italia raccogliendosi addirittura intorno al movimento “io voglio restare”, fondato nel 2012 per dare voce a chi vuole fare qualcosa per il nostro Paese. È quello che vorrei fare io se le circostanze me lo permetteranno: restare qui, crearmi un futuro, una famiglia e contribuire a ringiovanire questo “paese di anziani”.

Così ho deciso di iscrivermi all’università, al corso di interpretariato e traduzione, di iniziare a studiare il tedesco ed allargare le mie conoscenze e la mia cultura anche a quella degli altri paesi, senza dimenticare mai le mie origini.

Sara Zaino

#UNINTSIGHTSEEING: SAN FELICE CIRCEO (LT)

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San Felice Circeo, in provincia di Latina, è un paese molto caratteristico che sorge sul litorale laziale a ben 100 metri sul livello del mare. Suggestiva la vista che si estende verso l’arcipelago delle isole Pontine.

Il paese ha una storia antichissima. Sono infatti presenti reperti archeologici come la rinomata Grotta di Neanderthal, testimonianza dell’insediamento degli uomini di Neanderthal in quelle aree.

Durante i secoli il Circeo è stato poi colonia romana, possedimento dei Templari durante il Medioevo, un feudo dei Caetani e, infine, roccaforte pontificia.

Nella piazza principale di San Felice Circeo si affaccia la Torre dei Templari, costruita tra il 1240 e il 1259. Sulla torre fu fatto istallare, ai primi dell’ottocento, il caratteristico orologio che precedentemente si trovava sul portone d’ingresso del palazzo baronale. A destra della piazza un arco immette nel cortile del palazzo baronale, oggi sede del municipio, costruito nel XIV secolo dalla famiglia Caetani.

Tra le innumerevoli bellezze che caratterizzano il territorio si annovera il Promontorio del Circeo di forma particolare: sembra infatti allungarsi nel mare e sdraiarsi sinuosamente come il corpo di una donna sulla riva. Il suo profilo, per i viaggiatori via mare che lo guardano da nord, provenendo da Sabaudia e Latina, viene associato a quello della maga Circe.

Per chi, invece, viene da sud il Promontorio sembra un’isola. Per questo motivo sin dall’epoca romana con esso si identificava la mitologica isola Eea, isola descritta nell’Odissea, nella quale abitava la terribile maga Circe che aveva trasformato i compagni di Ulisse in porci.

A soli 100 km circa da Roma, San Felice Circeo è raggiungibile dalla stazione Termini prendendo un treno fino a Monte San Biagio – Terracina per poi cambiare e prendere un autobus fino a destinazione. In macchina è sufficiente seguire la via Pontina e continuare nella via Litoranea fino all’uscita San Felice Circeo.


#QUELLOCHECIUNISCE

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Il 24 marzo 2010 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata Internazionale per il diritto alla verità sulle violazioni gravi dei diritti umani e per la dignità delle vittime.

Questa ricorrenza annuale è stata istituita per rendere omaggio alla memoria di Monsignor Oscar Arnulfo Romero che, dopo aver denunciato le violazioni dei diritti umani delle popolazioni più vulnerabili de El Salvador e aver difeso i principi di protezione della loro vita, venne preso di mira dagli squadroni della morte che lo assassinarono il 24 marzo del 1980 mentre stava celebrando la messa.

L’obiettivo dell’evento è triplice: onorare il ricordo delle vittime di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, promuovere l’importanza del diritto alla verità e alla giustizia e rendere omaggio a coloro che hanno dedicato e perso la propria vita nella lotta per promuovere e proteggere i diritti umani, così come fece Romero. Il diritto alla verità è un diritto per il quale si lotta ogni giorno, in quanto rappresenta una condizione indispensabile per salvaguardare i diritti di tutti. In riferimento a ciò voglio ricordare una frase celebre di Aldo Moro, presa da “Il Memoriale” che recita così: “Quando si dice la verità, non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”.

Il 25 marzo 2007, invece, l’Assemblea Generale dell’Onu ha istituito la Giornata Internazionale di Commemorazione delle Vittime della Schiavitù e della Tratta Transatlantica degli Schiavi. L’obiettivo dell’evento è quello di ricordare coloro che sono stati privati della libertà e che si sono battuti per l’abolizione della schiavitù. La giornata serve per mettere in guardia dai pericoli del razzismo e dell’intolleranza che oggi “avvelenano” la nostra società. Sebbene la schiavitù sia stata abolita, il commercio di esseri umani non è stato eliminato del tutto.

Si stima che un terzo dei circa 15 milioni di persone che sono state deportate dall’Africa attraverso l’Atlantico, fossero donne. Donne che oltre a sopportare le difficili condizioni di lavoro forzato, hanno subito diverse forme estreme di discriminazione e di sfruttamento sia per il loro sesso che per il colore della loro pelle. Quando si parla di schiavitù, è inevitabile pensare che sia qualcosa legato al passato, ma così non è, dato che oggi il fenomeno è ancora vivo. Con il termine schiavitù moderna ci si riferisce a diversissime forme di questa: traffico di esseri umani, sfruttamento di bambini, sfruttamento sessuale e lavori forzati.

Oltre a queste giornate mondiali sono state istituite anche la Giornata Internazionale per l’abolizione della schiavitù che si celebra il 2 dicembre e la Giornata Internazionale della Commemorazione del commercio degli schiavi e della sua abolizione che si celebra il 23 agosto.

Sono molte le rotte illegali da cui passa tutto il traffico illecito: esseri umani, droga, armi. A volte queste cambiano in base alle condizioni meteorologiche.

Storicamente, alla tratta atlantica si affiancò quella araba, detta anche tratta arabo-musulmana. Questa tratta prevedeva il commercio di esseri umani e si concentrava principalmente su tre itinerari posti tra l’area sub-sahariana, quella del Medio Oriente e quella dell’Africa Settentrionale.

Nel Mondo arabo l’abolizione della tratta non fu un processo endogeno e non si assistette alla formazione di un movimento abolizionista autoctono. Diverso fu il caso della tratta barbaresca degli schiavi dove il commercio riguardava prettamente gli schiavi bianchi e che fiorì nell’Africa settentrionale (Marocco, Algeria, Tunisia e Libia).

È interessante notare come la tratta di esseri umani abbia avuto un nuovo boom negli ultimi anni, in particolare a partire dal 2013, data dalla quale il numero di deportati ammonta a circa 15 mila persone. Dalle analisi statistiche forniteci dal Ministero della giustizia emerge che la vittima tipica dello sfruttamento siano giovani ragazzi e ragazze, con un’età media di 25 anni e nel 75% dei casi di sesso femminile. La nazionalità è prevalentemente nigeriana o rumena e in molti casi le vittime sono sposate e/o con figli. Di queste, il 15% è rappresentato da minorenni che spesso arrivano in Italia, senza il consenso dei genitori.

Prendendo per esempio il caso delle donne nigeriane: pochi sanno che il primo contatto che la vittima ha con i contrabbandieri avviene spesso attraverso un parente, un amico o un’altra persona familiare. Dopo l’avvicinamento iniziale, la vittima viene messa in contatto con una “matrona”, la persona più importante di questa rete in Nigeria. In molti casi, la matrona ha anche il ruolo di “sponsor“, ovvero è colei che finanzia il viaggio via aereo o via mare. Il canale favorito dai trafficanti di esseri umani per far giungere le ragazze in Italia è via mare. Anche in questo caso negli ultimi anni c’è stato un cambio di sistema da parte delle organizzazioni criminali. L’importo del debito per garantire il trasporto non è mai specificato ed è la stessa famiglia della ragazza ad essere garante per il pagamento. I costi tipici vanno dai 410 € ai 1.640 € per i documenti e 6.570 € a 9.850 € per il viaggio. Il debito contratto dalla vittima è sempre molto più alto, e varia tra i 32.780 € e gli 82.000 € (circa). La vittima e il suo sponsor fanno un “patto” che obbliga il rimborso in cambio di un passaggio sicuro in Europa. Il sigillo del patto culmina con un rito juju o voodoo, rito magico celebrato da un native doctor detto anche ohen che, attraverso preghiere rituali, l’utilizzo di peli pubici, capelli, unghie, sangue mestruale e la foto della vittima compie un rito attraverso il quale lega l’anima della malcapitata a lui e la vincola a pagare il debito contratto e a non tradire mai l’organizzazione criminale e la matrona a cui dovrà restituire la somma pattuita. Se la vittima verrà meno al giuramento il native doctor farà sì che lei impazzisca o muoia.

Dopo il rito le giovani partono per raggiungere il centro di smistamento che si trova nella località di Agadez in Niger, dove sostano per alcuni giorni e dove spesso vengono cedute e fatte violentare dalle guardie di frontiera per guadagnarsi il transito sino alla Libia. Le giovani sovente vengono fatte prostituire nelle zone di sosta intermedie e, all’arrivo in Libia vengono smistate all’interno delle connection house, dove vengono fatte prostituire o all’interno dei ghetti, dove spesso vengono ridotte in schiavitù domestica e sessuale da uomini autoctoni o da connazionali. Se durante la loro permanenza in Libia vengono arrestate ed incarcerate dalle milizie libiche, subendo violenze, torture e stupri, la loro condizione di assoggettamento si aggrava ulteriormente a causa delle richieste di “riscatto” avanzate dai carcerieri alle matrona. Questo debito andrà a sommarsi a quello già accumulato prima della partenza. Se le condizioni di salute della donna/vittima non sono buone e/o la sua condizione la rende “inutilizzabile” ai fini della prostituzione l’organizzazione può decidere di abbandonarla alla mercé dei miliziani e non ci saranno prospettive di salvezza. Se la vittima rimane incinta durante la permanenza in Libia può capitare che venga agganciata o comprata da un connazionale o da persona di fiducia della matrona in modo tale da sembrare un nucleo familiare ed avere così accesso ai percorsi preferenziali che i nuclei familiari hanno all’arrivo sui nostri territori.

Qualora queste sopravvivano al viaggio nel Mediterraneo vengono accolte nei CAS (Centri di accoglienza straordinari). Qui ci sono due ipotesi: la ragazza ha un numero di telefono, già ricevuto in Nigeria, che dovrà contattare non appena arriverà in Italia; se non ha un numero, la famiglia contatterà direttamente lo sfruttatore. Nei centri, insieme alle ragazze, ci sono anche membri delle organizzazioni criminali che hanno un ruolo strategico di coinvolgimento e di indirizzo. Nessuno dice alla vittima che è costretta a prostituirsi, poiché questa sarebbe una disgrazia per la famiglia. Probabilmente però, in alcuni casi, la famiglia lo sa e convince la figlia stessa a pagare il debito per paura di ritorsioni degli altri familiari rimasti in Nigeria. Quando arrivano in Italia, l’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) registra l’arrivo delle ragazze vittime di tratta con patologie psicologiche che richiedano l’intervento immediato di personale sanitario specializzato. Sono frequenti i casi di allucinazioni che colpiscono queste donne, spesso riferiscono di vedere la presenza di un uomo nella loro stanza (ohen) o dicono di sentirsi soffocare per mano di qualche spirito.

In diversi paesi europei, le autorità sono intervenute salvando le donne dai loro trafficanti, ma spesso queste tornano alla prostituzione per adempiere agli obblighi nei confronti dei loro sponsor.      Per questo sono costrette a uscire in strada, dove vengono pagate dai 10 ai 30 € per ogni atto sessuale.

Finora, vari gruppi hanno lavorato per fermare questa forma di violenza cercando di inserirle in programmi di protezione, ma spesso è difficile convincerle a non chiamare i numeri che hanno ricevuto prima di fuggire dalla guerra o dalla povertà del loro paesi. Quel numero di telefono rappresenta infatti, l’unica certezza che hanno in una terra sconosciuta.

È importante soffermarci e ragionare sul fatto che sia il 24 che il 25 marzo rappresentano eventi indelebili dalle nostre menti, poiché testimoniano secoli e secoli di vessazioni e sfruttamenti.

E quindi mi chiedo, in che modo la situazione potrà mai cambiare? Molto probabilmente la schiavitù moderna e la tutela dei diritti umani avranno una soluzione definitiva solo quando verrà combattuto il nemico comune, nemico chiamato Povertà.

Nisrine Jouini


I dati sono presi dagli studi condotti dall’ EPAWA (Enslavement Prevention Alliance) e dal Master Eyes MEDI: Diritto all’immigrazione e Mediazione Interculturale

#ATUTTOMONDO: La rassegna stampa internazionale della UNINT sul COVID-19

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Stiamo attraversando un momento storico destinato a lasciare un solco profondo nelle nostre memorie.
Sarà uno di quegli avvenimenti dalla portata talmente grande da segnare un nuovo ciclo nelle vite individuali e nella vita politica, sociale ed economica internazionale.
Uno stravolgimento che toccherà tutte le sfere della quotidianità e che ci farà riscoprire il senso del termine: umanità.
L’intero genere umano infatti si ritrova ad affrontare un nemico comune ed invisibile, che sfonda i confini degli Stati nazionali e che costringe ad un ripensamento delle dinamiche e dei meccanismi di difesa e di protezione convenzionali.
È una storia senza precedenti, quella che si sta scrivendo nelle ultime settimane.
Per questo motivo noi studenti della UNINT, a conferma della profonda vocazione internazionale del nostro Ateneo, abbiamo deciso di raccontare gli sviluppi e gli scenari mondiali che si andranno a delineare sfruttando il più importante strumento per il superamento delle barriere che ci è dato: la conoscenza delle lingue straniere.
Per questo motivo riporteremo le ultime notizie e i dati aggiornati acquisiti dallo studio dei media e delle fonti di informazione dei paesi di lingua portoghese, inglese, spagnola, francese, tedesca, russa, araba e cinese.

È un momento storico, è la nostra storia, e noi cittadini del mondo vogliamo fare la nostra parte. 
Sara Nardi

Dobbiamo e vogliamo essere sincere: se non ci fossimo documentate sull’origine dell’epidemia ancora faremmo confusione fra COVID-19 e coronavirus. E voi? Sapevate, per esempio, che sbagliamo a pensare che siano la stessa cosa? Perciò facciamo prima di tutto un po’ di chiarezza sulla questione. Il COVID-19 è una malattia infettiva delle vie respiratorie causata da un virus conosciuto come SARS-CoV-2, appartenente a una grande famiglia virale: quella dei coronavirus (CoV). Sapevate, inoltre, che questa famiglia di virus era stata già scoperta intorno al 1960? Il primo scienziato a identificare il virus è stato il virologo hongkonghese Leo Poon ed è stato sempre lui a dichiarare l’origine zoonotica del COVID-19.
Nonostante ciò alcune persone sostengono che questa epidemia – recentemente dichiarata pandemia dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) – sia stata creata in laboratorio.
Secondo quanto detto sul sito portoghese SAPO, durante la scorsa settimana la Direção-Geral da Saúde (DGS) -istituzione portoghese che funge da Ministero della Salute- ha rivelato il numero di contagi nel Paese: 1280 fra cui 12 vittime. Di questi casi più di 600 sono situati a nord del Paese, più di 400 nell’area di Lisbona e di Vale do Tejo e 31 ad Algarve. Per quanto riguarda invece le regioni autonome si contano 5 casi nell’arcipelago di Madera e 3 in quello delle Azzorre.
Per garantire il funzionamento delle attività sotto lo stato di emergenza ormai dichiarato, il Governo ha stabilito alcune regole come, per esempio, lo smart working o il supporto telefonico od online per tutti i servizi pubblici. Si assicura il regolare funzionamento dei supermercati, delle farmacie e dei benzinai ma qualsiasi altro tipo di attività commerciale è al momento sospesa. Anche i ristoranti sono chiusi al pubblico ma mantengono comunque operativo il servizio di take-away (per fortuna!).
Secondo il quotidiano portoghese Jornal de Notícias, il Governo ha inoltre decretato una serie di misure volte a regolare gli spostamenti dei cittadini. In particolar modo le persone contagiate o sotto osservazione hanno l’obbligo di rispettare l’isolamento imposto dalle autorità, mentre tutti i membri della Comunità sono invitati al raccoglimento domiciliare. Ciò significa che è possibile muoversi esclusivamente se necessario: per assistere i familiari, accompagnare i minori o per portare fuori gli animali domestici. In caso di infrazione delle misure imposte dallo stato di emergenza, per i trasgressori è prevista una pena fino ad un anno di reclusione. Il Governo garantisce inoltre il rimpatrio degli studenti portoghesi in Erasmus che intendano rientrare.
In questo momento si fa appello al buon senso di ciascun individuo invitando soprattutto i residenti dei grandi centri urbani ad evitare gli spostamenti verso le zone interne del Portogallo poichè è proprio lì che risiede la maggior parte della popolazione considerata “a rischio”: gli anziani. In fine, con lo scopo di garantire la distanza di sicurezza prevista e di limitare la diffusione del virus, il Ministro dell’Ambiente João Pedro Matos Fernandes ha firmato ulteriori ordinanze n vigore a partire dalla giornata di lunedì 23 marzo – le quali prevedono una riduzione del 30% del servizio di trasporto pubblico e una riduzione del numero di passeggeri massimo consentito, pari ad 1/3 della capacità delle vetture.
Giulia Arresta – Alessia Santella

Nel Regno Unito ad oggi, risultano essere più di 5.683 i positivi al Covid-19. Venerdì sono state annunciate le prime misure per contrastare la crisi: “lo stato sta chiudendo il paese, sostenendo le imprese e pagando i nostri salari”.  Dopo l’Irlanda del Nord, anche l’Inghilterra annuncia la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, mentre in Scozia e Galles avevano già annunciato la chiusura mercoledì scorso. Boris Johnson ha dichiarato che in due mesi “Il Coronavirus farà i bagagli”. Tuttavia, secondo il The Telegraph, le misure di contenimento dovrebbero prolungarsi per altri sei mesi, per sortire degli effetti. “Il primo ministro britannico”, afferma Beth Ridgy: “corre il rischio di spacciare false speranze” e conclude: “stiamo per entrare nelle ore più buie”, citando Winston Churchill così come fece il Presidente Giuseppe Conte. “Questa è una guerra”[1] scrive Angela Giuffrida raccontando del “fronte italiano”: gli anziani muoiono soli e i medici si infettano aiutando i malati.
Si allinea ai provvedimenti anche l’Australia che, sempre da venerdì, ha chiuso ufficialmente i confini e limitato i raggruppamenti di persone a 100 in spazi chiusi e 500 in spazi aperti, stabilendo una distanza di sicurezza di un metro e mezzo. Ad oggi, il numero di casi ammonta a 1.700, dopo un aumento esponenziale durante il finesettimana per via della noncuranza della popolazione, che si è riversata sulle spiagge, violando le norme di sicurezza e portando alla chiusura delle stesse. Stanziati 189 miliardi di dollari per far fronte all’emergenza, con possibile aumento del budget, per tutelare cittadini ed economia nei prossimi sei mesi. Sabato notte annunciate nuove misure: da lunedì locali, palestre e luoghi di culto chiusi; bar e ristoranti chiusi, ma con servizio a domicilio. Scuole ancora aperte fino a Pasqua. Chiusi i confini di Tasmania e Nuova Zelanda e quelli interni con l’obbligo di quarantena di 14 giorni per chi si è spostato.
Ancora misure blande in Canada, dove questa settimana, il Primo Ministro Justin Trudeau raccomanda l’isolamento e la distanza di sicurezza e vieta il movimento ingiustificato fra le province. Alcune di quest’ultime hanno dichiarato lo stato di emergenza[2] e 30 milioni di dollari sono stati stanziati per una campagna su isolamento e norme di prevenzione.
Negli Stati Uniti sono oltre 35.000 casi, è il terzo paese nel mondo per numero di contagi. Molti Stati sono in “lockdown” dopo l’invito all’isolamento arrivato dalla Casa Bianca insieme alla dichiarazione d’emergenza. Il caso più preoccupante è quello di New York, dove i casi superano quota 15.000. Il paese si sta preparando al cambiamento più radicale dalla seconda guerra mondiale, con la chiusura di scuole e centri sportivi. Le strutture sanitarie sono in affanno, data la scarsità di presidi medici[1] e Trump chiede agli ospedali di preparare dei piani di emergenza.
Lucia Capriglione – Claudia Cesetti – Diana Fagiolo – Laura Forcella – Emanuele Spina

La situazione spagnola riguardo al nuovo coronavirus Covid-19 conta già 29.068 casi di contagio in tutto il paese, di cui 1.804 deceduti e 2.575 curati, dati reperibili da fonti del Ministero della Salute e delle Comunità Autonome. Il rapido incremento di casi in tutto il mese di marzo ha, difatti, fatto sì che il Governo chiedesse al Congresso una proroga dello stato di emergenza fino all’11 aprile 2020. Pedro Sánchez, presidente del Governo spagnolo, ha proposto di aspettare alcuni giorni per vedere l’efficacia delle dure misure adottate fino a questo momento, oppure provare con un’azione di chiusura totale della produzione di generi di seconda necessità, prendendo esempio e spunto dall’ultimo DPCM firmato da Giuseppe Conte. Secondo i dati ufficiali del Governo spagnolo, sono ben 100.000 i posti di lavoro persi nella prima settimana di quarantena (iniziata circa una settimana dopo l’Italia, firmata da Sánchez il 14 marzo): c’è da ricordare, che oltre al già elevato tasso di deceduti e all’imminente collasso sanitario, anche il settore economico ne sta soffrendo particolarmente, arrivando a stimare una diminuzione del 12% del PIL trimestrale[1]. A tutto ciò si contrappone la meravigliosa reazione di un popolo culturalmente non troppo lontano dal nostro: potranno anche essere in quarantena, ma non sarà certo questo periodo di reclusione a fermare il corazón caliente di tutti quegli spagnoli che, alle 20:00, si danno appuntamento sui propri balconi per cantare, applaudire e darsi coraggio gridando all’unisono: ¡Vamos, chavales! (“Forza ragazzi!”).
Passiamo ora all’America Latina, dove il virus ha già contagiato, seppur molto meno rispetto agli elevati numeri europei, tutti gli stati (l’ultimo è stato Haiti, il 19 marzo) e, di conseguenza, ogni presidente ha deciso di prendere le misure rispetto alla situazione che sta vivendo. L’Argentina, per esempio, ha riscontrato il primo caso il 7 marzo e, una settimana più tardi, il presidente Alberto Fernández ha consigliato la quarantena, fino a farla diventare obbligatoria il 20 marzo. Solo due giorni dopo, la Bolivia ha preso la stessa decisione a proposito della quarantena fino al 31 marzo. Gli altri stati, un po’ più in generale, sono arrivati alla conclusione che, per il momento, è meglio mantenere chiuse soprattutto le scuole e limitare i voli internazionali, obbligando la quarantena di 14 giorni alle persone provenienti dagli stati più colpiti d’Europa. A livello economico, la Colombia è tra i paesi più colpiti per la caduta delle borse internazionali, tant’è che il Governo locale ha già intrapreso varie azioni per aiutare i settori maggiormente colpiti, tra cui il turismo.
Ilaria Violi

In Francia, da gennaio si è espansa una nuova epidemia di Coronavirus COVID-19 proveniente dalla Cina: si tratta di una famiglia di virus responsabili di infezioni respiratorie dalla sospetta origine animale, ma gli scienziati stanno ancora accertando la veridicità di questa ipotesi.
“Covid19: l’Italia allerta il mondo su ciò che lo aspetta” scriveva Le Figaro il 19 marzo scorso, aggiungendo che gli italiani, con ben 4.825 vittime, sono stati i primi, dopo i cinesi, a essere colpiti da questa epidemia: coscienti della sua gravità e dell’alto tasso di mortalità, implorano il resto del mondo di “proteggersi da questo assassino invisibile”.
Infatti, il virus è stato responsabile anche della morte di 562 persone in Francia. Il Presidente della Repubblica francese Macron, seguendo l’esempio italiano, ha annunciato severe restrizioni per il contenimento del Covid-19.
Il 18 marzo 2020, il Belgio ha preso le misure di contenimento valide fino al 5 aprile. Viaggi limitati all’essenziale e università, bar, negozi e ristoranti chiusi fino a Pasqua. Anche le scuole resteranno chiuse, ma la supervisione dei bambini sarà fornita a coloro i cui genitori lavorano nel campo dell’assistenza. In prima pagina, il record di decessi in Italia: 793 al 21 marzo. Tra le principali cause di un bilancio così drammatico, l’età media avanzata e la mancanza di personale sanitario. Non manca l’ottimismo: a Milano la concentrazione di NO2 diminuisce ogni settimana del 10%.
Mentre l’epidemia di Coronavirus si affaccia sul continente africano, l’OMS lancia un appello: l’Africa si deve “preparare al peggio”. I casi di COVID-19 registrati al 22 marzo 2020 in tutto il continente hanno superato il numero 1.000, per un totale di 37 paesi coinvolti. Sebbene la pandemia che sta mettendo in crisi l’intero pianeta sembri avanzare più lentamente in Africa, il timore di una sua rapida diffusione fa tremare l’OMS così come i presidenti africani. Il sistema sanitario del continente non è assolutamente in grado di affrontare un’emergenza tale, per questo sono numerosi i paesi africani che stanno adottando misure preventive ferree.
In Svizzera ci sono 8.060 contagiati e 66 decessi per Covid-19. Il governo federale ha vietato assembramenti di più di 5 persone, pena multe fino a 250 franchi. I medici non ricevono direttive precise da parte del governo centrale, si coordinano tra di loro a livello locale. 8.000 militari sono stati spediti negli ospedali a supporto dei medici. 42 miliardi sono stati stanziati in aiuto alle imprese. I cittadini all’estero saranno rimpatriati dalla DFAE (Dipartimento Federale degli Affari Esteri). La situazione italiana è usata per promuovere consapevolezza nel Paese, e il lavoro degli ospedali italiani viene replicato dai medici svizzeri.
Emanuela Batir – Carolina Benucci – Laura Bruno – Flavia Lucarelli D’Ortenzi – Giulia Marinucci – Solange Ngwikem Manfo – Sibilla Parlato – Eleonora Valente – Elen’Alba Vitiello

I giornali tedeschi riportano i dati dei contagiati in Italia, che salgono a 59.138 in data 23 marzo, e dei decessi che superano i 5.400, con picco di 800 morti nella giornata del 21 marzo. In Germania si punta però l’attenzione specialmente sulla provincia di Bergamo. Nei telegiornali le immagini più mostrate sono quelle dei mezzi militari impegnati a portare le salme in altre regioni per la cremazione. Ciò che sembra sconvolgere di più, oltre alla situazione negli ospedali, definita dai giornali tedeschi “fuori controllo”, è però la scarsa attenzione da parte degli italiani nel rispetto delle regole che impediscono gli spostamenti che non siano di stretta necessità. Si sembra infatti voler sottolineare il fatto che le drastiche restrizioni prese non sono ancora accettate da alcuni cittadini italiani che continuano ad uscire più del dovuto, soprattutto nella provincia di Milano.
Nelle scorse settimane le misure prese dall’Italia venivano giudicate esagerate ma, negli ultimi giorni, anche la Germania sta cercando di ridurre la diffusione del virus con restrizioni che, dato il sistema federale, non sono uguali in tutti i Bundesländer. Nelle ultime settimane, infatti, erano solo stati proibiti eventi con più di mille partecipanti, partendo dalle partite di calcio e concerti. A partire dalle ore 00:00 del 21 marzo, sette dei sedici Bundesländer hanno aumentato le misure restrittive vietando assembramenti nelle strade e nei parchi. Nella città di Amburgo si permettono però assembramenti fino a gruppi di sei persone, diversamente da Colonia che vieta di uscire se si è più di due. Alcune delle città che invece non hanno aumentato le misure per frenare la diffusione dell’infezione sono Dresda e Berlino, ma anche qui le strade appaiono ogni giorno meno affollate.
La cancelliera Merkel, nella conferenza stampa svoltasi nella giornata di martedì 17 ha ribadito che le misure prese per il momento sono sufficienti e devono essere rispettate per non vedersi costretti a prendere le stesse misure dell’Italia. Si cerca dunque di evitare restrizioni più severe, sperando nella collaborazione di tutto il popolo tedesco. Nella seconda conferenza stampa di domenica 22 marzo, la Cancelliera ha deciso di optare per la chiusura di locali, ristoranti e negozi in tutti i Bundesländer, permettendo però l’attività fisica all’aperto e incontri con massimo una persona esterna al nucleo famigliare purché si mantenga la distanza minima di 1,5 m. Poco dopo la conferenza, è stato effettuato il tampone alla Cancelliera per aver avuto contatti con il suo medico che è risultato positivo al Covid-19.
Jasmin Pick

Il COVID-19 non conosce limiti ed è per questo che, purtroppo, è arrivato anche nella lontana Russia. Le città più colpite sono due: Mosca e San Pietroburgo.
San Pietroburgo ha già avvisato tutti i cittadini di restare a casa e di evitare, soprattutto per gli over 65 anni, i posti affollati. Sul sito dell’amministrazione pietroburghese, però è solo stato raccomandato di astenersi il più possibile da spostamenti interni alla città, in tutto il territorio della federazione e di non partire per viaggi all’estero. Anche le scuole hanno lasciato “libertà” decisionale: dal 16 marzo al 30 aprile i presidi hanno incaricato i genitori stessi di scegliere se mandare i propri figli a scuola o meno. Gli aeroporti, più precisamente l’aeroporto Pulkovo, hanno dichiarato di adottare un trattamento di disinfezione per tutti gli arrivi provenienti dalle zone rosse. È stato inoltre ampliato il regime di difesa contro il COVID-19 per tutte le superfici aeroportuali.
A Mosca, invece un discreto numero di persone si sono messe in auto quarantena.
In termini economici si è stimato un risparmio sul budget familiare pari quasi al 30%. In situazioni normali, il denaro destinato alle spese ammontava a 5,7 mila rubli. Di seguito i dati di alcune importanti città russe: di Archangel: 12,5 mila rubli (46,1% dei consumi), Mosca: 17,8 mila rubli (45,1% dei consumi). Si è parlato di un vero e proprio “lockdown” su Mosca, nel momento in cui nei supermercati hanno cominciato a scarseggiare beni di prima necessità, sono state chiuse le strutture mediche e sono stati ridotti i trasporti.
Il Centro di Informazione e Comunicazione russo ha negato le notizie secondo cui le autorità siano propense a introdurre misure al fine di rallentare la diffusione del coronavirus nel paese, riferisce RIA Novosti, citando una fonte senza nome.
Il giornalista Andre Ballin nel suo articolo per Der Standard parla della situazione attuale in Russia e ne elogia l’operato. Ha ricordato, infatti, che alla fine di gennaio, il confine terrestre della Russia con la Cina era già stato chiuso e che la comunicazione ferroviaria tra i due paesi era stata interrotta. Dal 1° febbraio, la comunicazione aerea con la RPC è stata limitata e dal 20 febbraio è stato introdotto un divieto di ingresso per i cittadini cinesi, ha osservato il giornalista. Inoltre, le restrizioni all’ingresso hanno interessato cittadini di altri paesi in cui sono stati registrati focolai di coronavirus.
Ballin ha sottolineato che nella fase iniziale per la Russia è stata una fortuna che sul suo territorio fossero presenti solo due nativi della Cina infettati da coronavirus. Pertanto, secondo lui, le autorità russe dispongono di un vantaggio di tempo prezioso. Solo l’11 marzo, infatti, l’OMS ha annunciato ha dichiarato lo stato di emergenza pandemica per infezione da coronavirus.
Per quello che concerne la religione queste sono le parole del patriarca Kirill durante un sermone nella chiesa cattedrale del Santo Principe Igor Chernigovsky a Mosca il 22 marzo: “I credenti non dovrebbero soccombere alle chiamate a trascurare la preghiera per seguire le misure per prevenire la diffusione del coronavirus”.
Paola D’Onofrio – Clarissa Giacomini

«Sapete anche chi ha suggerito l’igiene personale e la quarantena durante la diffusione dell’epidemia?»: è questo l’interrogativo che la scorsa domenica ha fatto capolino su un articolo di al-Jazeera.
Lo stesso riprende gli hadith1 menzionati dal sociologo statunitense Concidine, usati con lo scopo di invogliare la popolazione a adottare una serie di misure pratiche per superare il coronavirus. È stato «Maometto, il Profeta dell’Islam che 1.400 anni fa quando non era per niente un esperto di epidemie mortali», a suggerire l’igiene personale e la quarantena durante l’epidemia come metodi più efficaci per circoscrivere il virus. «La pulizia è parte della fede» e i suoi consigli anticipano quelli, ormai noti a tutti, diffusi dall’OMS.
Al di là della fede, al-Jazeera rintraccia il successo della Cina di contenere il coronavirus nell’aver adottato misure necessarie dopo solo tre settimane dalla comparsa del virus a cui si aggiunge la scelta di non sminuirne la portata neanche di fronte alla paura di una possibile alterazione degli equilibri socioeconomici e, di conseguenza, causare panico tra la gente come, invece, fanno i leader arabi. Rispetto ad altri paesi, le autorità cinesi hanno fatto ricorso anche al GPS dei cellulari per monitorare i movimenti delle persone. Tali misure sono difficili da applicare soprattutto nei paesi democratici che godono della tutela dei dati personali. Una mancata azione ha portato a disastrose conseguenze. Emblematici, da un lato, il caso dei governi arabi dittatoriali che hanno investito miliardi in tecnologie per tracciare i movimenti dei cittadini, ma poi risparmiano quando si tratta di proteggerli dalle grinfie del virus e, in alcuni casi, continuano a negare in assoluto l’esistenza di vittime; dall’altro, vi è l’Italia che è caduta nella trappola del virus in quanto si credeva che il problema riguardasse esclusivamente la Cina. L’Italia non si è mossa in tempo e ciò è stato aggravato dal fatto che possieda l’aspettativa di vita più alta tra i paesi europei. L’Italia resta al centro dell’attenzione anche per una serie di fake news che dilagano sui siti arabi, smentite poi dalla rivista libanese an-Nahar.
Tra le tante, ve ne è una che coinvolge il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. In una falsa traduzione di un suo tweet si legge: «l’Italia getta la spugna. Abbiamo completamente perso il controllo. L’epidemia ci sta uccidendo. Abbiamo esaurito tutte le soluzioni, tutto dipende dal cielo».
Gli arabi si sentono impotenti di fronte all’epidemia. In particolare, sul quotidiano al-Maal viene riportato il discorso tenuto dal Primo Ministro libanese Hassan Diab che riporta il numero dei contagiati, ora a 230. La mancanza di impegno dei cittadini è indice di una superficialità che ha portato il governo libanese a enfatizzare il ruolo dell’esercito e a imporre del coprifuoco. L’articolo si chiude con le parole del Primo Ministro: «Cari Libanesi, siamo in una fase molto difficile. Cerchiamo di ridurre le nostre perdite. Dio dice “Vi metteremo alla prova con la paura, la fame, la mancanza di beni, di denaro e di vittime. Ebbene, dà la buona novella a coloro che saranno azienti”».
Valentina Baldo – Roberta Elia

Prima Wuhan, capoluogo della provincia dello Hubei nonché originario epicentro del virus, e poi a seguire tutta la Cina, hanno dimostrato al mondo intero, che ci sono delle sfide che anche l’essere umano del terzo millennio non è capace di “vincere facile”.
In Cina, dopo due mesi dallo scoppio dei contagi, è una realtà diversa a palesarsi, ovvero quella di una nazione più unita che mai, la quale dopo aver messo in campo tutte le forze necessarie, si sta rialzando e sta lanciando al contempo un messaggio molto chiaro al mondo intero: “Si fa così, punto”. Da una situazione che sembrava irrisolvibile, la Cina è oramai a poche decine di chilometri dal traguardo.
La quotidianità di un tempo torna a regnare sovrana. Molti cittadini sono ritornati alla vita di prima, come quei milioni di abitanti dello Hubei che hanno fatto ritorno nelle loro città d’origine. A Qinghai, circa 144 tra università e scuole hanno riaperto i loro campus, mentre le fabbriche hanno ricominciato a funzionare nelle province a est del paese. Il turismo sta lentamente ripartendo nelle provincie dello Sichuan, Yunnan e Guizhou. Diversi esperti hanno affermato che il peggio sembra essere passato. Tuttavia, nonostante le severissime misure per contenere i contagi, non è da sottovalutare il rischio di una seconda ondata.
Secondo un rapporto dell’Unità Scientifica Militare del Dipartimento della Difesa di Stato Cinese, un vaccino anti-CoVid-19 “ha superato i test clinici”. In base alle stime ufficiali, servirebbero minimo 16 settimane di esperimenti affinché il vaccino possa essere impiegato. Non è mancato l’appello alla sanità cinese da parte del Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, che ha dichiarato: “Nonostante l’umanità abbia raggiunto livelli di sviluppo straordinari in tutti i settori, non bisogna considerare lo sviluppo scientifico e tecnologico come terminato. Anzi, bisogna rinnovare continuamente entrambi i settori”.
La comunità scientifica internazionale non possiede ancora gli strumenti necessari per comprendere a fondo la natura del virus, ad esempio se esso possa causare o meno danni permanenti al sistema respiratorio del paziente. Un primo passo che sicuramente sta dando già risultanti tangibili, è quello di poter già incrementare l’efficacia delle cure e sviluppare ulteriormente i dispositivi di diagnosi, mentre sono già in corso cure sperimentali a base di cellule staminali e anticorpi monoclonali.
Per quanto riguarda la situazione attuale degli ospedali cinesi, come riportano i dati della Commissione Nazionale della Salute Cinese, sono 504 le persone che vengono dimesse giornalmente, mentre il numero totale dei dimessi ammonta a 59.432. Anche i pazienti in gravi condizioni sembrano diminuire. Come afferma un rapporto pubblicato dalla Commissione Nazionale della Salute Cinese, i casi accertati, sin dall’inizio dell’epidemia, corrispondono attualmente a 81-054[2]. Stando alle cifre attuali, come dimostra lo stesso rapporto sopramenzionato, gli ultimi casi accertati sono perlopiù pazienti stranieri, la maggior parte dei quali di ritorno dai loro paesi verso la Cina.
Ecco i dati aggiornati (al 23/03/2020, escludendo i pazienti dimessi e i decessi): 106 casi a Pechino; 328 a Shanghai; 70 nel Guangdong; 11 nel Fujian; 4 nello Sichuan; 2 nello Jiangsu; 213 a Hong Kong; 10 a Macao; 139 a Taiwan.
Adesso, chiunque debba recarsi in Cina, è obbligato a trascorrere i 14 giorni di auto-isolamento presso strutture apposite e a spese proprie. Prima del famoso crollo dell’albergo per le quarantene a Quanzhou, infatti, le strutture messe a disposizione per chi si recasse in Cina erano gratuite (hotel a 2 stelle).
Fabrizio Ubbriaco


FONTI e SITOGRAFIA

Per la lingua PORTOGHESE
– https://eco.sapo.pt/2020/03/21/coronavirus-ja-fez-12-mortos-em-portugal-total-de-casos-confirmados-sobe-para-1-280/?fbclid=IwAR0VLpZt1qU0d1SshCdk6LvfCskzvpR1rDWRk3Q-dCNtneT-TyCBGm4DahA
– https://www.rtp.pt/noticias/mundo/covid-19-a-situacao-ao-minuto-em-portugal-e-no-mundo_e1213375?fbclid=IwAR1-i4wBp5WY4yl4H1LAr7EiAWV1URhRyGHvRn47s6jga14zRT6NAOqsxrE
– http://www.saude.sp.gov.br/resources/cve-centro-de-vigilancia-epidemiologica/areas-de-vigilancia/doencas-de-transmissao-respiratoria/coronavirus.html

Per la lingua INGLESE
-Adams, R. e Mohdin, A. (18/03/2020). “Scotland and Wales to close schools by Friday due to Coronavirus”. The Guardian. https://www.theguardian.com/education/2020/mar/18/scotland-and-wales-to-close-schools-by-friday-due-to-coronavirus
– J., Whitbourn, M. and Bourke, L., (2020). “Live Update”. The Sydney Morning Herald, Coronavirus Pandemic.
– Hinsliff, G. (17/03/2020). “We are at war with coronavirus. Everyone will have to muck in”. The Guardian. https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/mar/17/we-are-at-war-coronavirus-pandemic
– Judd, B. (2020). “Here’s what the Federal Government’s second coronavirus stimulus package actually means for your wallet and Centre link payments”. ABC News, Coronavirus.Lawson, K., (2020). “Government closes borders to non-Australians”, The Canberra Times, Coronavirus.
– Rigby, B., (21/03/2020). “PM will be defined by his leadership as Britain enters its darkest hour”. Sky News. https://news.sky.com/story/pm-will-be-defined-by-his-leadership-as-britain-enters-its-darkest-hour-11961203
– Sky News Australia, (2020). “Jacinda Ardern announces COVID-19 alert system”, COVID-19.
– Giuffrida, A. (17/03/2020). “This is lik a war view from italy’s coronavirus frontline”. The Guardian, News. https://www.theguardian.com/world/2020/mar/17/this-is-like-a-war-view-from-italys-coronavirus-frontline
– The Guardian, (22/03/2020). “Coronavirus UK: how many confirmed cases are in your area?”. News. https://www.theguardian.com/world/2020/mar/22/coronavirus-uk-how-many-confirmed-cases-in-your-area
– The Telegraph, (21/03/2020). “Coronavirus school closures: what does it mean for exams – and which children can still go to school?”. https://www.telegraph.co.uk/news/0/coronavirus-school-closures-uk-exams-parents-still-go-school/
– Prime Minister of Australia, (2020). “Media Statement 20 March 2020”.
– Di Manno, Rosie. 2020. “‘Get ready’: a chilling message from the epicentre of Italy’s COVID-19 nightmare”. Opinion, The Star.
– Barry, Colleen & Bruno Luca. 2020. “Italy’s virus epicentre grapples with huge toll, some hidden”. The Star, Europe.
– Ballingal, Alex. 2020. “Self-isolate and practice social distancing or the government will force you to, Health Minister warns”. The Star, Politics, Federal Politics.
– Lemay Éric Yvan & Valeria Andrea. 2020. “COVID-19: 2 semaines qui ont marqué le Québec”. Le Journal de Montreal.
– Richer Jules. 2020. “500 000 travailleurs crient à l’aide”. Le Journal de Montréal.

Per la lingua SPAGNOLA
– “El País”, articolo del 23.03.2020
– “El País”, articolo del 22.03.2020
– Intervista a ragazzi spagnoli residenti a Cartagena, Murcia e Las Palmas de Gran Canaria
– “BBC News Mundo”, articolo del 22.03.2020

Per la lingua FRANCESE
– https://www.gouvernement.fr/info-coronavirus
– https://solidarites-sante.gouv.fr/soins-et-maladies/maladies/maladies-infectieuses/coronavirus/coronavirus-questions-reponses
– http://www.leparisien.fr/societe/sante/coronavirus-ce-qu-il-faut-savoir-sur-les-origines-de-la-pandemie-17-03-2020-8281749.php
– https://www.lefigaro.fr/sciences/coronavirus-bilan-symptomes-traitement-toutes-les-reponses-a-vos-questions-sur-l-epidemie-de-covid-19-20200312
– https://www.lefigaro.fr/flash-actu/coronavirus-l-italie-alerte-le-monde-sur-ce-qui-l-attend-20200319
– https://www.lacapitale.be/
– https://www.levif.be/actualite/
– https://www.lesoir.be/
– https://www.rtl.be/info/belgique/index.htm
– https://www.rtbf.be/
– https://www.lemonde.fr/afrique/article/2020/03/20/coronavirus-mortalite-possible-de-10-et-infection-effrayante-des-soignants-en-afrique_6033822_3212.html
– https://fr.africanews.com/2020/03/22/coronavirus-le-point-de-la-situation-en-afrique-le-maroc-et-la-tunisie-touches/
– https://www.who.int/
– https://www.lematin.ch/monde/italie-alerte-monde-lattend/story/16707593
– https://www.letemps.ch/opinions/coronavirus-tribune-journalistes-medias-francophones-italie
– https://www.lematin.ch/suisse/troupes-preparent-rejoindre-hopitaux/story/30672209
– https://www.lematin.ch/suisse/amendes-groupes-cinq-personnes/story/17575780
– https://www.letemps.ch/suisse/contre-coronavirus-discipline-suisse
– https://www.letemps.ch/suisse/coronavirus-un-plan-40-milliards
– https://www.letemps.ch/suisse/cantons-romands-prets-sevir-contre-regroupements-plus-cinq-personnes
– https://www.letemps.ch/suisse/dr-philippe-eggimann-medecins-generalistes-ont-besoin-directives
– https://www.rsi.ch/news/svizzera/Pronti-i-rimpatri-per-gli-svizzeri-12865598.html
– https://www.bag.admin.ch/bag/it/home/krankheiten/ausbrueche-epidemien-pandemien/aktuelle-ausbrueche-epidemien/novel-cov/situation-schweiz-und-international.html

Per la lingua TEDESCA
– Mitteldeutscher Rundfunkt. (2020) Pressekonferenz von Angela Merkel. https://www.mdr.de/video/mdr-plus-videos/video-392268.html
– Tagesschau.de. (2020) https://www.tagesschau.de/multimedia/sendung/ts-36251.html
– Welt. (2020) https://www.welt.de/vermischtes/article206756761/Coronavirus-Ueber-600-neue-Tote-in-Italien-am-Montag.html

Per la lingua RUSSA
– https://ria.ru/20200322/1568965018.html
– https://www.vesti.ru/doc.html?id=3250119
– https://iz.ru/989973/2020-03-22/patriarkh-kirill-prizval-ne-prenebregat-merami-po-profilaktiktike-koronavirusa
– https://www.pravda.ru/politics/1482141-close2020/
– https://www.pravda.ru/world/1481598-itacovid19/

Per la lingua ARABA
– Quotidiano al-maal news (link: https://almalnews.com/%d9%84%d8%a8%d9%86%d8%a7%d9%86-%d9%8a%d9%82%d8%b1%d8%b1-%d8%ad%d8%b8%d8%b1-%d8%aa%d8%ac%d9%88%d9%84-%d8%b0%d8%a7%d8%aa%d9%8a-%d9%88%d9%8a%d8%a3%d9%85%d8%b1-%d9%82%d9%88%d8%a7%d8%aa-%d8%a7%d9%84%d8%a3/)
– Quotidiano an-nahar (link: https://www.annahar.com/article/1148179-%D8%A5%D9%8A%D8%B7%D8%A7%D9%84%D9%8A%D8%A7-%D8%A3%D8%B9%D9%84%D9%86%D8%AA-%D8%A7%D9%84%D8%A7%D8%B3%D8%AA%D8%B3%D9%84%D8%A7%D9%85-%D9%88%D9%85%D8%A7-%D8%AD%D9%82%D9%8A%D9%82%D8%A9-%D9%82%D9%88%D9%84-%D9%83%D9%88%D9%86%D8%AA%D9%8A-%D9%84%D9%82%D8%AF-%D9%81%D9%82%D8%AF%D9%86%D8%A7-%D8%A7%D9%84%D8%B3%D9%8A%D8%B7%D8%B1%D8%A9-factcheck
– Al-jazeera (link: http://mubasher.aljazeera.net/opinion/%D9%88%D8%B3%D8%A7%D8%A6%D9%84-%D8%B9%D9%85%D9%84%D9%8A%D8%A9-%D9%84%D9%84%D8%AA%D8%BA%D9%84%D8%A8-%D8%B9%D9%84%D9%89-%D9%81%D9%8A%D8%B1%D9%88%D8%B3-%D9%83%D9%88%D8%B1%D9%88%D9%86%D8%A7

Per la lingua CINESE http://www.nhc.gov.cn/xcs/yqtb/202003/be74d71b2f784cae917cc830f244caa9.shtml http://www.nhc.gov.cn/xcs/yqtb/202003/be74d71b2f784cae917cc830f244caa9.shtml http://www.nhc.gov.cn/xcs/yqtb/202003/be74d71b2f784cae917cc830f244caa9.shtml

#GUESS WHO? LA REGINA VITTORIA

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Ricordata per il suo carattere determinato, volitivo e autoritario, la regina Vittoria viene considerata una delle donne più influenti del XIX secolo, al punto che a partire dal suo nome venne definita l’”epoca vittoriana”, un’era che si distinse per la profonda evoluzione culturale, politica, scientifica e militare che ha avuto come protagonista il Regno Unito.

Sapevate che…?

Nata nel 1819, era la figlia di Edoardo, duca di Kent, quartogenito di Giorgio III, e di Vittoria Maria Luisa, figlia di Francesco di Sassonia-Coburgo. Alla bambina venne dato il nome Alexandrina Victoria in quanto il Principe reggente, per fare un dispetto al fratello, invitò lo zar Alessandro I di Russia a far da padrino al fonte battesimale. In famiglia, tuttavia, la chiamavano Drina e, appena salita al trono, la regina si disfece del primo nome, che detestava, restando solo Victoria.

Al momento della nascita, era in realtà soltanto la quinta in linea di successione al trono dopo suo padre e gli zii: Giorgio IV di Hannover, Principe Reggente, il Duca di York e il Duca di Clarence. Suo padre, tuttavia, morì qualche mese dopo la sua nascita e nessuno degli zii riuscì ad avere eredi; così, nel 1837, appena diciottenne, Vittoria ebbe la successione dello zio Guglielmo IV e divenne regina.

Nel 1836 conobbe il suo futuro marito, Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, principe tedesco nonché suo cugino di primo grado. I due si sposarono nel 1840 ed il loro fu un matrimonio particolarmente felice. Durante la cerimonia, Vittoria indossò un memorabile abito bianco adornato da alcuni merletti che fece la storia: a partire da quel momento, infatti, sempre più spose scelsero di vestirsi di bianco consolidando una tradizione che permane ancora oggi.

La modernità di Vittoria è testimoniata anche dalle innovazioni di cui fu fautrice durante il suo regno, fra le quali si annoverano la diffusione del sistema ferroviario e la stampa del primo francobollo al mondo, che avvenne nel 1840: si tratta del cosiddetto Penny Black, che riproduceva un’effigie della Regina stessa.

Con il suo regno durato 63 anni, 7 mesi e 2 giorni, Vittoria è stata inoltre la monarca più longeva della storia fino al 2015, quando il primato è stato superato dall’attuale regina del Regno Unito Elisabetta II, sua pronipote.

#MONDAYABROAD

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Oggi parla Mattia!

Cari amici, compagni e colleghi, oggi mettiamo da parte (metaforicamente) la chiusura delle frontiere che ci obbligano a rimanere nel nostro amato paese e voliamo in Cina con una meravigliosa intervista del nostro mitico Mattia! A voi il lavoro svolto 🙂

Covid-19 Reportage intervista: Ecco la situazione attuale in tre città cinesi (Xiamen, Pechino, Chongqing)

Grazie alle varie preziose conoscenze intraprese durante il mio anno di scambio presso la Peking University, ho avuto modo di intervistare tramite videochiamata WeChat tre cari amici – rispettivamente uno studente cinese della Hebei Normal University originario di Xiamen,  uno studente nordcoreano della Peking University e un altro ancora, italiano della Chongqing University – che mi hanno fornito informazioni interessanti sulle misure adottate dai governi locali cinesi (delle loro rispettive zone di residenza) per la gestione di una realtà che oggi, in buona parte della Cina, sembra volgere ad una attesissima fine.

Queste le domande poste agli studenti intervistati:

Com’è la situazione attuale in città?

Ci sono restrizioni particolari da parte degli enti locali?

Quando verranno riaperte le scuole nella tua città?

Quali misure o piani di assistenza ha adottato la tua università per agevolare gli studenti?

Ecco Yun Fei, studente cinese di 23 anni della Hebei Normal University of Science & Technology, viene da Xiamen (nella provincia di Fujian, situata 780 km a sud-est di Wuhan) e studia lingue moderne.

Yun Fei parla di “una vita che si avvicina sempre più alla normalità nella mia città natale. La gente ha ricominciato a lavorare, fa shopping, va nei pub e nei ristoranti. Non abbiamo casi di contagi da un mese. Quasi tutto come prima, ma i controlli sanitari sono dappertutto, specialmente nei posti pubblici. È obbligatorio usare sempre la mascherina così come, per l’accesso ai mezzi pubblici, scansionare [attraverso il QR Code di WeChat] il proprio codice identificativo [per rilasciare traccia dei propri spostamenti] e, persino per l’acquisto di antipiretici, rilasciare le proprie generalità. In tutta la provincia [Fujian, 35 milioni di abitanti], ogniqualvolta si esce e si fa rientro nel quartiere di residenza, degli addetti ti misurano la temperatura corporea. Se la tua temperatura è al di sotto di 37°C, il certificato di “via libera” [il 通行证, per gli amici sinofili] appare automaticamente sul tuo cellulare [più precisamente su WeChat, app cinese “factotum” collegata alla tua identità e al tuo codice sanitario sin dal momento di registrazione]. Da qualche giorno, però, questi controlli si limitano soltanto ad alcuni quartieri”.

Yun Fei aggiunge: “Tuttavia tutte le scuole sono ancora chiuse nella mia provincia [Fujian]”. Mentre, in merito al resto delle province cinesi, Yun Fei conclude dicendo che “solo un quarto delle province cinesi ha una data per la ripresa delle lezioni, ovvero fine marzo/inizio aprile”.

L’intervista si è conclusa con un mio “们中国人太厉害!” (“Voi cinesi siete straordinari!”), riferendomi alle serrate misure di sicurezza adottate dai loro governi locali. Yun Fei, ridendo, mi risponde: “In Cina siamo tantissimi, non c’è altro modo per fermare il virus!”.

È la volta di Min-jun, studente nordcoreano ventenne del dipartimento di Marketing presso la Peking University:

“A Pechino la situazione è migliorata tantissimo. Adesso per strada ricomincio a vedere gente e macchine. Ciò non significa che Pechino si è completamente ripresa. Molti negozi e ristoranti sono ancora chiusi. Nei negozi di tutto il distretto ci sono mascherine per tutti, non bisogna fare nessuna corsa per accaparrarsele. Inoltre gli studenti internazionali come me ricevono gratuitamente, dall’università, un tot di mascherine alla settimana. Invece il disinfettante per mani è più difficile da trovare. L’università ha inoltre stanziato un fondo per gli studenti meno abbienti, dando loro un laptop e uno smartphone a titolo gratuito per garantire l’accesso alle piattaforme di didattica online”. In merito alla riapertura dei dipartimenti, Min-jun risponde: “Ancora nessuna notizia dall’università, non ci hanno ancora fatto sapere nulla nemmeno sullo svolgimento dei mid-terms”.

Anche il ventenne Nicola, studente italiano di International Business presso la Chongqing University (Chongqing, municipalità autonoma che conta 30,5 milioni di abitanti, situata a 750 km da Wuhan), racconta che la situazione è migliorata in modo significativo soprattutto nelle ultime due settimane:

“Ieri sera sono andato al bar con i miei amici. Tuttavia ogni locale è ancora tenuto a misurarti la febbre all’ingresso, così come nei centri commerciali. Quest’ultimi, invece, sono tenuti a controllare anche il tuo via libera su WeChat [vedi sopra] per farti entrare. Invece, la maggior parte degli uffici in città sono stati riaperti da due settimane”. Nicola chiarisce che anche a Chongqing “tutti i quartieri sono tappezzati di addetti sanitari che gestiscono gli ingressi e le uscite dei vicinati. Fino a una settimana fa, era possibile uscire ed entrare dalla propria area residenziale solo una volta ogni due giorni, a giorni alterni. Adesso, fortunatamente, non c’è più un limite.” Quanto al contesto università, “tutti i dipartimenti sono ancora chiusi e non si hanno ancora notizie sull’inizio delle lezioni”. Nicola risponde alla mia ultima domanda dicendo che “la mia università, oltre ad averci fornito gratuitamente delle mascherine di tipo n95, ha anche lanciato un programma di assistenza psicologica gratuita per gli studenti in difficoltà.”

Un modello di cui le università italiane potrebbero senz’altro fare tesoro.

Ed infine un quarto amico che vive attualmente nel sud della Cina (ha preferito non essere intervistato e non rilasciare dati personali) mi ha inviato una fotografia di un salone di bellezza a Shenzhen, dove all’entrata si legge che il negozio “proibisce temporaneamente l’ingresso a coloro che hanno una temperatura corporea superiore a 37.3°C e agli amici stranieri”.

In altre parole, amici stranieri, con o senza febbre, non possiamo accogliervi. Decine di stranieri di ritorno in Cina (gran parte di loro sono lavoratori) sono infatti risultati positivi al test. Un capovolgimento di fronti nell’arco di poche settimane: in Cina lo straniero è diventato la nuova e, presumibilmente, ultima minaccia da tenere sotto controllo nella battaglia all’ultimo sangue contro il Covid-19.

Mattia del Vecchio

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata mondiale della meteorologia

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Il mondo è un bel posto e vale la pena combattere per esso.
(Ernest Hemingway)

Il 23 marzo si celebra la Giornata Mondiale della Meteorologia.

Istituita per commemorare la creazione dell’Organizzazione Mondiale della Meteorologia come parte delle istituzioni che compongono le Nazioni Unite, ricorda il contributo essenziale dei Servizi Meteorologici e Idrologici Nazionali.

Gli  obiettivi dell’Organizzazione Mondiale della Meteorologia, oltre alla promozione di scambi di informazioni, alla ricerca nel campo meteorologico e all’applicazione della meteorologia  all’agricoltura, ai problemi dell’acqua, all’aeronautica e ai trasporti, si focalizza moltissimo su una facilitazione della cooperazione internazionale per costruire una rete di stazioni, per mantenere economicamente centri di previsione del meteo e per effettuare rilevamenti geofisici, meteorologici e idrogeologici.

A sostegno di questi obiettivi, la Giornata Mondiale della Meteorologia organizza diversi eventi come conferenze, mostre e convegni durante i quali si incontrano leader mondiali, esperti nel campo e un pubblico di spettatori interessati ai temi trattati.

Molti di questi eventi mirano ad ottenere una maggiore visibilità da parte dei media per quanto concerne l’importanza della meteorologia, ora più che mai valido strumento di supporto alla risoluzione di drammatiche questioni ambientali che affliggono il pianeta e diversi premi per la ricerca vengono presentati (come, ad esempio, il Premio Norbert Gerbier-Mumm).

Ogni edizione di questa Giornata presenta un tema differente: quest’anno, il tema sarà “Climate and Water”, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Acqua. Non c’è nulla di cui stupirsi, vista l’interconnessione tra cambiamento climatico e scarsità d’acqua.

Si tratta di un tema più che attuale e scomodo che apparentemente sembra interessare soltanto il Sud del Mondo e che, al contrario, possiede un’importanza strategica e geopolitica a tratti sbalorditiva. Nel 2050, circa 5 miliardi di persone potrebbero trovarsi in aree con risorse idriche esigue almeno una volta all’anno. 5 miliardi di individui non avranno un regolare accesso all’acqua. Riuscite a pensarci? Effettivamente non è una previsione che tranquillizza.

La soluzione in anteprima? Riciclaggio e sostenibilità a 360° sono ovviamente le parole chiave, ma anche opportunità economiche e sicurezza ai massimi livelli nella gestione idrica, insieme a una protezione maggiore dei depositi naturali di carbonio come foreste e oceani.

Tenetevi forte e non perdetevi quest’edizione. Dobbiamo imparare e mettere in pratica quanto appreso. Non possiamo più aspettare.

Clara Corvasce

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata mondiale dell’acqua

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“The earth, the air, the land, and the water are not an inheritance from our forefathers but on loan from our children. So we have to handover to them at least as it was handed over to us.” – Mahatma Gandhi

Oggi 22 marzo 2020 è la Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day), affrontare questo tema mi ha fatto venire in mente alcuni episodi della mia infanzia. Quante volte mentre eravate in bagno a lavarvi i denti, i vostri genitori dall’altra stanza vi dicevano di chiudere il rubinetto per non sprecare l’acqua? Oppure, chi di voi ricorda quando da piccoli le maestre ci spiegavano come rispettare il nostro ambiente?

Parlare dell’acqua e della sua importanza mi fa anche pensare a quando ero una Scout e in particolare a una frase del saggio Baden Powell: “Lascia il mondo un po’ migliore di come l’hai trovato”. Questa frase mi fa riflettere su quanto sia fondamentale rispettare le risorse che il nostro pianeta ci ha donato, l’acqua è un patrimonio per gli esseri umani, è un elemento da cui dipendiamo e di cui siamo composti.

Come non celebrarla? Così nel 1922 le Nazioni Unite fissano una Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day). L’intento è quello non solo di celebrare l’elemento acqua, ma ancor di più interrogarsi sulle relative problematiche quali possono essere: l’accesso all’acqua potabile, disponibilità per tutti di servizi igienico-sanitari, la sostenibilità degli habitat acquatici, salvaguardia del ciclo naturale dell’acqua ecc.

Il 22 marzo di ogni anno gli Stati membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si riuniscono per promuovere attività concrete, inerenti all’acqua, nei loro rispettivi Paesi. Alla Giornata viene dato sempre un tema diverso, quest’anno il World Water Day sarà sull’acqua e i cambiamenti climatici e su come i due sono estremamente connessi. Infatti i cambiamenti climatici aumentano la variabilità del ciclo dell’acqua, inducono a disastri ambientali e riducono la prevedibilità della disponibilità della risorsa.

Per farvi alcuni esempi, in Messico solo una parte della popolazione ha accesso all’acqua potabile e una lattina di Pepsi costa meno di una bottiglietta d’acqua.

In Medio Oriente e nella regione del Nord Africa risiedono la maggior parte dei Paesi a rischio idrico, secondo l’ultimo aggiornamento dell’Atlante-Aqueduct Water Risk.

L’India, vive contemporaneamente un’emergenza sia livello idrico che a livello nutrizionale, causata soprattutto dal fatto che l’acqua viene estratta per l’irrigazione, in particolare per il prodotto nazionale, il riso.

Il Word Water Day è anche una giornata che deve servire a sensibilizzare gli animi della popolazione mondiale. Il cambiamento climatico così come le problematiche legate all’acqua sono argomenti che generalmente intimoriscono, ma ognuno di noi può fare la differenza. Informiamoci, usiamo in modo intelligente l’acqua, non sprechiamola, assicuriamoci di tramandare il messaggio alla parte più giovane della popolazione, che un domani potrà fare la differenza.

Il nostro pianeta è il nostro mondo, l’acqua è uno degli elementi che fa sì che ogni giorno il miracolo della vita avvenga, non possiamo permetterci di aspettare!

Vorrei lasciare uno spunto di riflessione su una frase di Publio Ovidio Nasone:

“Che c’è di più duro d’una pietra e di più molle dell’acqua? Eppure la molle acqua scava la dura pietra”

L’acqua stessa ci insegna come le cose in apparenza impossibili possano divenire realtà, così l’uomo deve essere acqua e con costanza e perseveranza tracciare la via del miglioramento.

 Pasqualina Florio

Fonti:                                                                                         https://www.unwater.org/publications/un-water-policy-brief-on-climate-change-and-water/learn

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale

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21 Marzo: Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale

Oggi, 21 marzo, è la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, istituita nel 1966 dalla Nazioni Unite. È quindi la giornata per celebrare l’umanità, gioire delle differenze etnico-culturali che ci sono tra i vari Paesi e che rendono il mondo così variopinto e colorato. Ma che cos’è la discriminazione razziale? Perché l’ONU ha scelto proprio il 21 marzo per celebrarla? C’è qualcosa che noi, nel nostro piccolo, potremmo fare per aiutare nell’impresa? Ebbene, questo articolo cercherà di rispondere a queste domande. Andiamo con ordine.

Che cos’è la discriminazione razziale? Se cerchiamo sulla Treccani la definizione di questi due termini, in entrambi troviamo il riferimento all’altro. Paiono inseparabili, esiste sempre una discriminazione di tipo razziale, e razziale può sempre far riferimento alla discriminazione. In breve, possiamo riassumere il concetto della discriminazione razziale con il termine a cui sempre associamo pensieri negativi, momenti bui della storia: razzismo. Il razzismo è l’idea della divisione umana in base a razze, ossia a gruppi etnici, culturali e/o religiosi; in questa divisione in razze, secondo la definizione del razzismo, alcune sono superiori ad altre. In breve, razzismo implica una gerarchia tra razze, ossia tra etnie e culture. La storia è costellata di esempi di razzismo, noi stessi rabbrividiamo al pensiero, e infatti nel 1950 l’UNESCO, tramite la Dichiarazione sulla razza, ha negato ufficialmente (pensate, c’è stato bisogno di giungere alla formulazione di un decreto internazionale) qualsiasi connessione tra il DNA di un individuo (e quindi il colore della pelle, dei capelli, degli occhi… in breve, tutti quei caratteri fenotipici studiati grazie a Mendel) e le sue proprietà intellettuali (lingua, pensieri, ideologie, ecc). Si rifà un po’ agli studi di Lévi Strauss, rielaborati dall’antropologo nel suo saggio “Razza e Storia”, dove asseriva che le probabilità che due individui appartenenti a culture diverse avessero un DNA simile erano più alte che quelle di due individui della stessa cultura. Ce ne abbiamo messo di tempo noi, in quanto umanità, a renderci conto che non è il colore della pelle o la forma degli occhi a definire il nostro carattere: d’altronde il mondo globalizzato in cui viviamo, con le città multiculturali che emergono, ce lo sbattono in faccia ogni giorno. Quante volte un individuo con caratteristiche fenotipiche cinesi parla meglio l’taliano (perchè è italiano!) meglio del cugino di quinto grado il cui nonno era espatriato nel Brasile e che della cultura italiana sa poco o niente?

Purtroppo però il prezzo pagato per giungere a tali conclusioni è stato enorme: la storia ha visto susseguirsi diversi casi di razzismo, dal genocidio armeno a quello degli ebrei, dall’apartheid alla segregazione razziale degli Stati Uniti d’America, e molti altri esempi che potremmo citare, e altri ancora che magari, ad oggi, non sono ancora perpetrati. La razza forte, la cultura dominante, l’etnia che prevale, tende a soggiogare quella più debole (minoritaria, meno diffusa su quel territorio). È proprio la ricorrenza dell’anniversario di uno di questi eventi che l’ONU ha preso come giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. Il 21 marzo 1960, 300 poliziotti bianchi, in Sudafrica, uccisero 69 manifestanti che protestavano contro l’Urban Areas Act. Tale decreto prevedeva l’obbligo dei cittadini di colore di esibire un permesso speciale nel momento in cui accedevano alle aree del Paese riservate ai bianchi. Siamo nell’ambito dell’apartheid, l’ennesimo esempio di segregazione razziale, una ghettizzazione a cui erano costretti soltanto gli abitanti di colore, colpevoli in breve di non essere nati bianchi, e non degni quindi di vivere come loro.

Ogni anno l’ONU, in occasione del 21 Marzo, si concentra su una determinata tematica di natura discriminatoria da affrontare. Negli anni precedenti, ad esempio, si è concentrato sul promuovere tolleranza e rispetto per la diversità, sulla lotta alla xenofobia e all’intolleranza. L’edizione del 2020 invece si concentra sul fare il punto della situazione nell’ambito delle popolazioni africane. Nel 2015 infatti è stata firmata tra i vari Stati la carta del Decennio per le popolazioni Africane, che prevede un aiuto ai Paesi più poveri di questo continente, sempre nell’ottica di uno sviluppo e riconoscimento paritario tra i vari Stati. In breve, l’ONU cerca sempre più di promuovere tolleranza e spirito di uguaglianza, in una realtà internazionale globalizzata e realtà nazionali multiculturali, dove l’incontro tra varie culture fa la forza.

Che cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo per promuovere questo spirito? È semplice: la prossima volta che ci troviamo di fronte qualcuno diverso da noi, che parla un’altra lingua, crede in un Dio diverso, mangia e vive in maniera diversa, non discriminiamolo. Condividiamo le nostre culture, impariamo ad apprezzarci a vicenda e, magari, riusciremo a diventare interculturali, ad avere più punti di vista sulla stessa tematica, ad accrescere il nostro bagaglio culturale.

La Terra è una sola, ma è variopinta e meravigliosa nelle sue varie sfumature, sarebbe un peccato non imparare ad apprezzarle tutte.  

Emanuela Batir