Alzi la mano chi è uguale agli altri!

Here I go again!

Oggi voglio farvi una domanda: secondo voi, in una classe di lingue è indispensabile che tutti siano sullo stesso livello? Che tutti abbiano la stessa lingua materna? Che abbiano lo stesso metodo di studio? Beh, se la vostra risposta è “sì”, in questo articolo cercheremo di smentire la vostra opinione.
Quello di cui parliamo oggi è la classe ad abilità differenziate, la conoscete? Si tratta di un gruppo di studenti e studentesse diversi o anche molto diversi tra loro, che, nonostante ciò, imparano insieme.

Partiamo da un concetto base: in una classe, qualsiasi essa sia, ognuno è diverso dagli altri e ognuno ha la sua particolarità. Sembra una frase letta sui biglietti dei cioccolatini (sì, quelli con la carta argentata e le stelline di cui adesso hai tanta voglia), ma la diversità è da prendere in considerazione anche nell’ambito scolastico. È in questo contesto, infatti, che ad essere differente non è solo il livello linguistico – che per quanto possa sembrare uguale per tutti, molto spesso non lo è – ma anche la lingua materna, fino ad arrivare al carattere, al modo in cui impariamo, alle cose a cui facciamo più attenzione.
Adesso la domanda è: come si fa a far progredire un gruppo così eterogeneo? La risposta potrebbe essere più semplice di quanto sembri e uno dei metodi suggeriti da Fabio Caon, professore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, è quello del gioco, o meglio, della didattica ludiforme, che si differenzia dal primo in quanto l’attività non è fine a sé stessa, ma sfrutta l’aspetto ludico per veicolare delle conoscenze.
Come il professore suggerisce, questo tipo di attività sono impegnative, continuative nel corso della propria vita – cioè, un gioco ha un ruolo nella vita sia del bambino sia dell’adulto (quanti di voi hanno smesso di giocare a carte?) –, e progressive, in quanto portatrici di crescita e non statiche.

Tornando al discorso della diversità, guardando o ascoltando delle parole in lingua, si può far caso a parecchie cose a seconda di come si percepisce l’input. Per esempio, in un gioco del tipo “trova l’intruso” a seconda dell’elemento a cui presteremo attenzione. Mettendoci nei panni di chi partecipa al gioco, potremmo renderci conto che una è riconducibile a un campo semantico differente, ammesso che conosciamo il significato; ma se così non fosse, non c’è da preoccuparsi, perché il nostro intruso potrebbe essere una parola con una vocale aperta e una chiusa, se conosciamo la pronuncia, oppure la fine in “a” o “o” se non conosciamo ASSOLUTAMENTE nessuna parola in italiano e non sappiamo leggere in questa lingua, ma vediamo che nella parola scritta sulla lavagna la lettera finale è differente. Insomma, si può giocare molto con la fantasia, che sia la nostra o quella degli studenti o studentesse e lasciando il gioco accessibile e aperto a più tipi di interpretazione, facendo vivere l’apprendimento in un modo molto più coinvolgente rispetto ad una lezione tradizionale.

Usare il gioco, inventando dei contesti in cui possa essere veicolo di conoscenze linguistiche, non solo ci farà, almeno mentalmente, uscire dall’aula di lezione, ma riuscirà a smuovere più aree del cervello che spesso non vengono stimolate a scuola, oltre ad innescare un senso di sana competizione che motivi lo studente e emozioni positive che veicoleranno ancora meglio ciò che si sta insegnando.
Allora, siamo pronti a giocare agli studenti di lingue?

Aurora