Influenza spagnola nel dialetto siciliano
Questo lunedì #Etimologicamente si sposta in Sicilia per analizzare le somiglianze tra siciliano e spagnolo. La Sicilia, situata nel cuore del Mediterraneo, è stata terra di conquiste sin dai tempi più antichi, meta di scambi commerciali e culturali motivo per il quale presenta un patrimonio linguistico molto ricco. Palcoscenico delle dominazioni più disparate, dai fenici ai greci, dagli arabi ai normanni per poi passare agli spagnoli. Ma soffermiamoci su quest’ultimo.
L’influenza della lingua iberica cominciò quando nel 1282 insorse la famosa rivolta popolare, conosciuta come Vespri siciliani, con l’intento di cacciare il francese Carlo d’Angiò avvertito come oppressore. L’operazione ebbe successo ma ciononostante la Sicilia rimase in balia di un dominatore straniero ovvero Pietro d’Aragona. Nel 1303 la Sicilia fu assegnata agli Aragonesi e rimase alla Spagna fino al 1712. Dunque gli spagnoli occuparono l’isola per più di 400 anni e naturalmente le loro espressioni si fusero con la lingua locale.
Entriamo un po’ nello specifico. All’interno del dialetto siculo si sono addentrati termini spagnoli di due tipi: riscontriamo parole d’origine catalana penetrate in epoca aragonese attraverso le colonie commerciali e parole di origine castigliana giunte in un’epoca piu’ recente. Ai primi appartengono verbi come “nzirtari” che deriva da “encertar” (indovinare), “addunarisi” da “adonar-se” (rendersi conto), “taliari” da “atalayar” (guardare); provengono invece dal castigliano parole come “criata” da “criada” (domestica), “gana” da “gana” (voglia), “nzaiari” da “ensayar” (provare). Lo spagnolo e il siciliano sono indissolubilmente legati e riscontriamo le tracce linguistiche anche:
– nelle terminazioni verbali dell’imperfetto, come ad esempio “dicìa, facìa” che deriva da “decía, hacía” invece di <dicevo, facevo>.
-nella sostituzione del condizionale col congiuntivo passato nel periodo ipotetico, ad esempio. “si me hubiera llamado, no hubiera ido” –> ” Si m’avissiru chiamatu, nun c’avissi iuto” invece di ” Se mi avessero chiamato, non ci sarei andato”.
– nell’uso della preposizione A per accompagnare il complemento oggetto: “esperamos a tu novia” “aspittamo a to zita” (aspettiamo la tua fidanzata).
– in alcune costruzioni comer “haber que” “Hace dos anos que no salimos juntos” -> “AVI du anni CA nun niscemo nzemmula” (sono due anni che non usciamo insieme).
Ecco invece una lista di parole siciliane con forte richiamo alla lingua spagnola:
-Abbuccari-> cadere, dallo spagnolo “abocar”.
-curtigghiu-> pettegolezzo, (fare) cortile, deriva da “cortijo”. Serviva per designare il cortile interno di palazzi e proprio qui ci si incontrava per poter parlare e sparlare in tranquillità senza essere ascoltati da persone esterne.
-lastima-> lamento, da “lástima”
-pignata-> pentola, da “piñata”
-cucchiara-> cucchiaio, da “cuchara”
-anciova-> acciuga, da “anxova”
-cialecco-> gilet, da “chaleco”
-Meusa-> milza, da “melsa”
-palumma-> colomba, da “paloma”
-babbu-> scemo, da “bobo”
-Zita-> fidanzata, da “cita” che invece significa <appuntamento>
-smammare-> deriva dallo spagnolo “desmamar”, si tratta di un termine marinaro con il significato di “togliere le poppe” cioè partire per una nuova rotta.
Inoltre in Sicilia sono molto diffusi i cognomi che terminano in “ez”, questo suffisso di derivazione iberica è un patronimico e sta per “figlio di”. Troviamo ad esempio il cognome Fernandez (figlio di Fernando), Enriquez (figlio di Enrico), Rodriguez (figlio di Rodrigo). I siciliani hanno ereditato anche usanze religiose come ad esempio le Madonne addolorate, vestite di nero, col cuore in evidenza trafitto da spade tipiche dell’Andalusia.
La Sicilia è uno degli scenari più suggestivi per poter ammirare l’incontro culturale di diverse civiltà. Ogni popolo che ha calpestato il terriccio rosso del suolo siculo, ha lasciato una traccia del suo passaggio e la Sicilia non la respinge anzi la custodisce, se ne appropria e la valorizza offrendo così un panorama culturale pittoresco ma al contempo armonioso.
Greta Accardi