Influenza spagnola nel dialetto napoletano

“Napoli è mille culure”, così cantava il grande Pino Daniele e certamente non si sbagliava. Napoli è tinteggiata da nebulose sfumature le quali evocano sapori, odori e architetture delle diverse etnie che l’hanno conquistata. Ricordiamo infatti che i secoli XVI e XVII furono caratterizzati da un profondo e diffuso influsso linguistico e culturale della Spagna sul territorio italiano, in particolar modo nella città di Napoli, dove la lingua iberica riuscì ad attecchire profondamente.

L’elemento spagnolo divenne parte della vita napoletana, non solo nell’ambito sociale ma anche culturale. Durante questi anni molti termini iberici si ramificarono all’interno del dialetto napoletano. Si pensi che i napoletani appresero persino la pessima abitudine di “giurare sul cuore” o “sul corpo di Dio”. Sta di fatto che questo incontro culturale ha gettato le fondamenta del forte carattere napoletano. Passeggiando tra le strette vie della città i riferimenti alla Spagna riaffiorano costantemente, basti pensare ai quartieri spagnoli, la via Toledo o la rua Catalana. Ma i fattori determinanti della presenza ispanica sono proprio i solchi linguistici, analizziamo insieme alcuni termini:

Nfanfaron: chiacchierone, spaccone. Deriva dallo spagnolo “fanfarròn”, una parola che nasce dall’incontro di altre voci, dall’arabo “farfār” che significa “essere arrogante” e dal francese “fanfaron”.

Guappo: persona arrogante, camorrista. Deriva dallo spagnolo “guapo” che significa “bello”.

Làżżaro: termine utilizzato dagli spagnoli per identificare i popolani insorti a Napoli nel 1647, oggi il significato si estende al povero. La parola deriva dallo spagnolo “lázaro”, cioè povero, cencioso.

Micciariéllo: fiammifero, deriva da “mechero”.

A’ Matta: è conosciuto soprattutto nel noto gioco di carte sette e mezzo, poiché fa riferimento al dieci di denari, il termine deriva dal gioco di carte spagnolo “mataratta”, la mata fa riferimento al sette di spade o di denari. Mata deriva dal verbo “matar”, cioè uccidere.

Còsere: cucire, deriva dal verbo “coser”  che significa appunto cucire.

Buffettone: schiaffo, deriva da “bofetón” che possiede lo stesso significato.

E quanno buono buono: espressione che indica assenso nei confronti di una cosa impossibile da evitare, deriva da “de bueno a bueno” (d’accordo).

Curnuto e paliato: Curnuto e mazziato, deriva da “Cornudo y apaleado”.

‘Na mamma è bona pe’ ciento figlie, ma ciento figlie nun so’ bbuone pe’ ‘na mamma: ovvero “una mamma è buona per cento figli ma cento figli non sono buoni per una mamma”. “Un padre para cien hijos, y no cien hijos para un padre”.

Rummané cu na mano annanze e nata areta: restare con una mano davanti e l’altra dietro, deriva dall’espressione “Dejar a uno con una mano delante y otra atrás”.

Inoltre il dialetto napoletano ha anche assorbito dei fenomeni grammaticali spagnoli come l’uso del verbo tenere per esprimere il possesso, invece di utilizzare il verbo avere. Facciamo un esempio: “Tengo duje figlie” come in spagnolo “Tengo dos hijos” (ho due figli). Un altro fenomeno è l’uso del congiuntivo imperfetto per esprimere un desiderio (vulesse / quisiera). L’ uso della a davanti al complemento oggetto riferito a persona (Nun veco a Maria / No veo a María).

Greta Accardi