#PeopleOfUNINT

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Ciao! Mi chiamo Elena, ho 25 anni, sono abruzzese e frequento il secondo anno del corso di laurea magistrale in Lingue per la comunicazione interculturale e la didattica.

Come ti descriveresti in poche parole?

Intraprendente, energetica, empatica e forse, a volte, troppo impulsiva.

Perché hai scelto questo percorso di studi e non un altro?

La scelta di specializzarmi in questo ambito è nata principalmente dal mio desiderio di diventare un giorno insegnante di lingua e letteratura inglese e dalla mia passione per i viaggi. Vengo infatti da una famiglia di insegnanti che mi hanno trasmesso la loro passione per l’istruzione ed il mondo della scuola in generale, e di cui mi piacerebbe seguire le orme. Inoltre amo moltissimo entrare a contatto con altre culture e prendere e partire appena possibile! Cerco infatti di farmi almeno un viaggio al mese!

Qualche desiderio in particolare?

Il mio sogno nel cassetto è visitare l’Australia, in particolar modo Melbourne, dove spero in futuro di potermi trasferire ed insegnare, poiché è un mondo che mi affascina e che mi piacerebbe conoscere più da vicino. Mi incuriosisce poi il fatto che vi sia una nutrita comunità di italiani, tra cui alcuni miei parenti, i cui racconti australiani hanno alimentato la mia voglia di raggiungerli e di entrare a far parte di questa grande “family”.

Quali pensi debbano essere le caratteristiche di un bravo insegnante?

Credo che un insegnante, non dovendo formare l’alunno solo dal punto di vista professionale, ma anche come persona, debba essere oltre che ben formato, anche estremamente umano ed empatico, capace di instaurare un dialogo ed entrare in sintonia con chi si trova di fronte. Tutte capacità che spero di perfezionare e di acquisire ulteriormente nel corso della mia formazione.

Elena Santella

#MondayAbroad: Elia Martínez

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Si chiama Elia, ha 20 anni e arriva direttamente da Barcellona. La sua avventura inizia il 22 agosto 2019, quando, per la prima volta come studentessa Erasmus, muove i primi passi sul suolo romano.
È una studentessa di Interpretariato e Traduzione dell’Universitat Autònoma de Barcelona, studia inglese e russo e… il caso ha voluto che oggi diventasse una nostra compagna di avventure per il primo ciclo semestrale!

Il suo sogno Erasmus aveva come destinazione l’Inghilterra, Paese da Elia sempre amato, sia per quanto riguarda la cultura che la lingua, ma purtroppo i vari problemi connessi al tema Brexit hanno fatto sì che cambiassero i piani e la scelta si è, dunque, spostata sulla nostra Capitale.
“Anche prima di partire per quest’avventura, la lingua italiana mi incuriosiva molto e pianificavo di studiarla una volta conclusi i miei studi universitari. Non è andata propriamente così, ma sono comunque molto contenta di ciò che sto vivendo, imparando e scoprendo giorno dopo giorno. Soprattutto, adoro visitare la città e perdermi nelle sue strade così grandi e ricche di storia!” detto ciò sorride e continua “…anche se, trovo che la differenza più grande tra Roma e Barcellona è il servizio di trasporto pubblico: a Barcellona (sarà per le diverse dimensioni delle città) mi trovo molto meglio, mentre qua è stato un bel colpo vedere la complessità della situazione.”

Elia è una ragazza molto gentile, solare e disponibile e, mentre mi racconta la sua storia, sorride ricordando i giorni già vissuti e pensando alle varie avventure che ancora l’attendono.
“Qua all’UNINT mi sto trovando molto bene sia con i professori, che con i miei colleghi. Sto frequentando cinque materie, le stesse che avrei dovuto seguire a Barcellona… incrociamo le dita!”


Ma l’Erasmus non è solo studio: l’esperienza l’ha condotta anche in altre città italiane, come, per esempio, Napoli. “Ho girato e sto girando molto, anche se mi piacerebbe riuscire a vedere meglio i monumenti, i musei e le città… Sicuramente non mi lascerò scappare quest’occasione in ciò che mi rimane di tempo qua.”

Terminiamo l’intervista con un pensiero della studentessa: alla domanda “come descriveresti con una frase ciò che hai vissuto fino a ora?” Elia rimane in silenzio per qualche secondo e, infine, conclude con “sicuramente un’esperienza magica e che rifarei senza alcun dubbio… alla fin fine, non è da tutti vivere in una delle città più antiche del mondo e avere, comunque, la consapevolezza che hai ancora così tanto da scoprire.”

La caduta del Muro di Berlino: trent’anni dopo, un bilancio

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La caduta del Muro di Berlino è un vero punto di svolta della storia europea e mondiale. Fu evento inaspettato, non previsto dalle élites europee, ma ripensato in prospettiva storica possiamo oggi dire che il suo verificarsi derivò da cause di medio e lungo periodo. Non poco pesò l’avvento di Michail Gorbačëv alla segreteria del Pcus. Egli tentò di riformare l’irriformabile con le sue idee di Perestroika e Glasnost. Oggi sappiamo dagli archivi quanto brancolasse nel buio, assieme al suo partito e all’intero movimento comunista internazionale. Nonostante ciò, la sua figura conferma il ruolo che spesso giocano le personalità nella storia, e ce ne furono di numerose in quel decennio che precedette il 1989: da Reagan alla Thatcher, da Giovanni Paolo II a Craxi, da Mitterand a Lech Walesa e molti altri coraggiosi dissidenti anticomunisti. Tutti loro furono, ciascuno a suo modo, fattori di dinamismo e accelerazione di processi già in corso.


Dalla periferia dell’impero sovietico s’innescò sin dalla primavera di quell’anno un processo di sgretolamento che culminò a Berlino il 9 novembre di trent’anni fa. La Cortina di ferro subì infatti la prima breccia il 2 maggio 1989 in Ungheria, a Hegyeshalom, 170 chilometri da Budapest e 80 da Vienna. 345 chilometri di reticolati, fortificazioni, bunker e muri lungo tutto la frontiera con l’Austria. Accadde proprio là dove oggi si ricostruiscono muri e fili spinati, a testimoniare a trent’anni di distanza che quella stagione ha mancato nei decenni seguenti una serie di passaggi cruciali. Uno tra questi è stato il non affiancare all’allargamento della comunità europea, processo sicuramente favorito dai fatti del 1989, la costruzione di una politica estera e di difesa comune. Oggi assistiamo pertanto ad un’unione europea che regge ad Est, e non solo, fintantoché reca vantaggi sul piano del rilancio delle singole economie nazionali, e solo se si accompagna a politiche autonome, mosse da interessi nazionali e non comunitari, sul piano della sicurezza interna ed esterna di fronte ai flussi migratori di massa.


L’89 ha segnato la fine del sistema bipolare, che diventò definitiva nel 1991 con il crollo dell’Urss. Ad un periodo di isolamento degli Stati Uniti e all’illusione di un nuovo ordine mondiale unipolare è seguito l’ultimo ventennio, inaugurato dall’11 settembre 2001, in cui la globalizzazione ha dimostrato di non essere governabile nel nome esclusivo del mercato e della tecnologia. L’89 fu anche lo sbocco di un decennio ottimista, gli anni Ottanta, e l’avvio di un altro ancor più ottimista, quasi utopistico. Gli anni Novanta cullarono l’utopia della liberaldemocratizzazione del globo. Ciò detto, in quel decennio si ebbe un’indubbia crescita economica europea tanto ad Est quanto ad Ovest, e più ad Est che ad Ovest. Una delle poche eccezioni fu proprio l’Italia, il cui sistema politico implose, un po’ per effettiva incapacità di autoriformarsi, un po’ per la convinzione delle nostre élites nazionali che solo un vincolo esterno potesse salvarci. Di qui, inizialmente, una maggiore infatuazione europeista nel nostro Paese rispetto ad altri, salvo poi vederlo tramutare negli ultimi sette-otto anni in uno di quelli con più marcati fenomeni di rigetto politico del processo di integrazione. L’Italia come uno dei laboratori del nuovo populismo euroscettico e sovranista. Più in generale, dopo il 2001 e la grande recessione del 2007-2008 è subentrato un periodo di pessimismo e depressione che è figlio tanto dell’insicurezza rispetto al terrorismo internazionale e alle grandi migrazioni quanto dell’impoverimento relativo delle classi medie per una globalizzazione divenuta sinonimo di delocalizzazione e concorrenza sleale.


Ottimismo e pessimismo anzitutto europei, quindi occidentali. Nel trentennio successivo al 1989 il mondo asiatico, ad esempio, ha invece conosciuto complessivamente una fase di espansione, tanto da far dire ad alcuni che siamo entrati nel “secolo cinese”. Quel che è certo è che siamo in una fase avanzata ma non conclusa di ristrutturazione multipolare dell’ordine internazionale e gli scontri di civiltà di cui parlava a metà anni Novanta Samuel P. Huntington sono anche conflitti crescenti dentro ciascuna di esse. Penso tanto alla civiltà europea, per via della massiccia immigrazione di popolazione musulmana, quanto alla stessa civiltà islamica, attraversata da una lunga fase di violentissime guerre civili di religione, assimilabili a quelle vissute dall’Europa tra Cinque e Seicento.


Per il futuro dell’Europa occidentale siamo ad un bivio decisivo. Ripensando a trent’anni fa, a quella stagione di libertà e liberazione, le élite politiche europee devono oggi partire da una realistica constatazione dell’attuale situazione di paralisi, agire con inedito coraggio e apportare importanti correttivi all’Unione europea. Ad oggi pare però prevalere una logica del “si salvi chi può”. L’entusiasmo popolare del 1989 sbiadisce così all’orizzonte. Ma la storia non si ferma e nulla è già scritto.

Danilo Breschi
Professore di Storia delle dottrine politiche
Università degli Studi Internazionali di Roma – UNINT

#PeopleOfUNINT

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Che cosa hai provato la prima volta che sei entrata in cabina?

Ero emozionata! Ma soprattutto agitata perché era una cosa del tutto nuova per me. Il primo pensiero che ho avuto era di non essere all’altezza, ma in realtà la professoressa mi ha rassicurato dicendomi che c’era del potenziale. Ricordo ancora la prima volta che mi sono seduta in cabina pensando a quanto tempo fosse trascorso rispetto al primo giorno che ho messo piede in questa Università. Ricordo ancora quel momento come se fosse ieri. E ho pensato tra me e me: “Quante cose sono cambiate?”, “Quante ancora ne cambieranno?” E poi: “Guarda dove sei arrivata!”.

Nonostante l’incertezza che ti sale ogni volta che si prova qualcosa di nuovo, ho capito che buttarsi e provarci nonostante la paura di sbagliare è la scelta giusta. Proprio questa filosofia di vita mi ha spinto durante la mia triennale a diventare rappresentate degli studenti per due anni e all’inizio della magistrale fondare insieme ai miei colleghi il progetto UNINTSpeech che quest’anno ci sta portando in giro per l’Italia. Quella che era la mia incertezza iniziale si è trasformata nella mia forza.

Lucia Capriglione

Con gli occhi al cielo.

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L’Universo è un insieme di interrogativi infiniti, armonico nel suo apparente e incomprensibile disordine. Le sue origini, ciò che lo compone, la meraviglia del sentirsi così piccoli e insignificanti in uno spazio che si espande a macchia d’olio, affascinano persone di tutte le fasce d’età. Chi non si è mai chiesto: Da dove vengo? Perché ciò che mi circonda è così?, anche se solo una volta e di sfuggita?

A cercare, per quanto possibile, di rispondere ad alcune di queste domande è stato il professor Eugenio Coccia, fisico italiano attivo nel campo della fisica astro particellare, direttore del Gran Sasso Science Institute e, prossimamente, uno dei sette scienziati che comporranno il Consiglio tecnico-scientifico dell’Agenzia Spaziale Italiana; abbiamo avuto l’immenso onore di intervistarlo in occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico 2019/2020 dell’Università degli Studi Internazionali di Roma – UNINT.

Il focus principale attorno al quale si è sviluppata l’intervista è stato la forza della curiosità e dello stupore, che lo ha personalmente spinto a prendere parte al team mondiale di ricerca sulle onde gravitazionali. A quanto pare, questa ricerca ha dato i suoi frutti: l’11 febbraio del 2016 è stata annunciata la prima verifica sperimentale delle onde gravitazionali, la quale si rivelò essere positiva. Queste onde, dunque, non sono più state un’ipotesi non del tutto provata: erano reali e tangibili e avrebbero permesso di trovare risposte circa la nascita dell’universo e l’acquisizione di informazioni anche dalle sue zone oscure. Un successo storico, a cui Coccia ha pienamente contribuito.

Tuttavia, ci sono ancora molti misteri da risolvere per completare l’insieme dei tasselli del quadro. La strada è ancora lunga ma questa ricerca aprirà nuove strade.

«Questa scoperta ci consentirà anche di capire meglio cosa sono i buchi neri e quanti sono, capire cosa sono le stelle di neutroni e come portare avanti lo sviluppo di strumentazioni e metodologie di importante uso quotidiano» dice Coccia. «Alla base di tutto c’è il soddisfacimento di una grande sete di conoscenza».

Nulla può fermarlo, nemmeno le difficoltà apparentemente più insormontabili: per Coccia, come per tanti ricercatori, i perché sono più delle risposte e non si possono mettere a tacere. Perché? Non è solo una domanda, è un pungolo che rende anche più vivi e più consapevoli di essere sempre un passo indietro rispetto a Madre Natura.

«All’origine del mio percorso di studi, c’è lo stupore di svegliarsi su un pianeta che ruota attorno a una stella tutto sommato piccola» aggiunge il fisico sperimentale «in una galassia tra migliaia di galassie, in un universo che si espande».

Dato che la curiosità e la sete di conoscenza non risparmiano nemmeno noi “profani”, saremo impazienti di conoscere tutte le risposte derivate degli Eureka!” dei prossimi anni.

In bocca al lupo a tutti i ricercatori, giovani e meno giovani.

Clara Corvasce

Intervista a Marco Damilano, Direttore de l’Espresso

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“E questa è la meraviglia della storia e anche della politica che è sempre una sfera della libertà. Noi trent’anni dopo possiamo dire le cause, le concause, perché era successo [..] ma poi c’è la libertà degli uomini e delle donne che fanno accadere delle cose quando non te lo aspetti.”

UNINTBlog e Radio UNINT intervistano Marco Damilano, Direttore del settimanale l’Espresso, in occasione del trentesimo anniversario della caduta del muro di Berlino.