#PEOPLEOFUNINT

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Mi chiamo Sara, nome che mi è stato dato da mia sorella perché deriva dall’ebraico שָׂרָה (Sarah) che significa ‘signora’ o ‘principessa’, ma in famiglia mi chiamano spesso con il nome della mia bisnonna Marietta, una donna che ricordo dolce e allo stesso tempo testarda, alla quale assomiglio moltissimo.

I miei genitori sono italiani, papà di origine napoletana e mia madre romana.

Da bambina andavo spesso a Sant’Agata De Goti, in provincia di Benevento, il paese di mio nonno paterno e quando tornavo a casa mi capitava di avere un accento molto simile a quello napoletano. I dialetti influenzano molto il modo di parlare ed io mi divertivo ad impararli tutti fino a mescolarli completamente.

Considerato che dalla scuola materna alla scuola secondaria di primo grado sono andata in un istituto privato frequentato anche da ragazzi audiolesi, per dialogare con loro imparai la “LIS”, la lingua dei segni italiani che mi influenzò così tanto da arrivare ad utilizzare questi gesti ogni volta che parlavo con una persona.

Per me gli anni dell’adolescenza sono stati molto importanti perché mi hanno aiutata a crescere e a capire un po’ chi sono. Nel periodo in cui avevo 12 anni mio padre scoprì di avere un altro fratello che viveva in America. Era nato a New York dalla relazione, avuta prima del matrimonio, di mio nonno paterno con una donna italiana che si trasferì successivamente negli Stati Uniti, dove poi nacque mio zio. Dopo circa un anno di vita del bambino, la madre, purtroppo, venne a mancare e il bambino venne adottato da una buona famiglia che lo portò a conoscenza della sua situazione. Nel suo cuore restò sempre un desiderio, quello di conoscere i suoi fratelli, e dopo circa 60 anni ha ritrovato quello che stava cercando, noi. È stato un incontro emozionante alla Carramba che sorpresa.

I miei genitori non parlano molto bene l’inglese, mentre mio zio conosce il Broccolino, una specie di dialetto napoletano nato dalla fusione di termini inglesi e napoletani, parlato dagli italo-americani di Brooklyn che erano emigrati in America tra l’800 e il ’900 e che non avevano una grande padronanza della lingua italiana. A questo punto ho fatto da intermediario linguistico tra i miei genitori e mio zio. Da qui è nata la volontà di studiare le lingue straniere. Iniziai a vedere serie tv in spagnolo e in inglese, ad appassionarmi alla moda e al liceo linguistico mi ritrovai a studiare tre lingue: inglese, francese e spagnolo.

Agli ultimi anni del liceo iniziai a pensare a come proseguire gli studi. Molti dei miei coetanei volevano fuggire da questo “paese senza speranza” e questo non mi rincuorava affatto. Bisogna ammettere che per molti giovani lavorare all’estero non è più un’opportunità ma una strada quasi obbligatoria e quindi rimanere è un rischio che molti di noi non sono pronti a correre, a causa dei tanti problemi in cui versa l’Italia.

Nonostante ciò alcuni hanno deciso di scommettere proprio sull’Italia raccogliendosi addirittura intorno al movimento “io voglio restare”, fondato nel 2012 per dare voce a chi vuole fare qualcosa per il nostro Paese. È quello che vorrei fare io se le circostanze me lo permetteranno: restare qui, crearmi un futuro, una famiglia e contribuire a ringiovanire questo “paese di anziani”.

Così ho deciso di iscrivermi all’università, al corso di interpretariato e traduzione, di iniziare a studiare il tedesco ed allargare le mie conoscenze e la mia cultura anche a quella degli altri paesi, senza dimenticare mai le mie origini.

Sara Zaino

#QUELLOCHECIUNISCE

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Il 24 marzo 2010 l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha istituito la Giornata Internazionale per il diritto alla verità sulle violazioni gravi dei diritti umani e per la dignità delle vittime.

Questa ricorrenza annuale è stata istituita per rendere omaggio alla memoria di Monsignor Oscar Arnulfo Romero che, dopo aver denunciato le violazioni dei diritti umani delle popolazioni più vulnerabili de El Salvador e aver difeso i principi di protezione della loro vita, venne preso di mira dagli squadroni della morte che lo assassinarono il 24 marzo del 1980 mentre stava celebrando la messa.

L’obiettivo dell’evento è triplice: onorare il ricordo delle vittime di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani, promuovere l’importanza del diritto alla verità e alla giustizia e rendere omaggio a coloro che hanno dedicato e perso la propria vita nella lotta per promuovere e proteggere i diritti umani, così come fece Romero. Il diritto alla verità è un diritto per il quale si lotta ogni giorno, in quanto rappresenta una condizione indispensabile per salvaguardare i diritti di tutti. In riferimento a ciò voglio ricordare una frase celebre di Aldo Moro, presa da “Il Memoriale” che recita così: “Quando si dice la verità, non bisogna dolersi di averla detta. La verità è sempre illuminante. Ci aiuta ad essere coraggiosi”.

Il 25 marzo 2007, invece, l’Assemblea Generale dell’Onu ha istituito la Giornata Internazionale di Commemorazione delle Vittime della Schiavitù e della Tratta Transatlantica degli Schiavi. L’obiettivo dell’evento è quello di ricordare coloro che sono stati privati della libertà e che si sono battuti per l’abolizione della schiavitù. La giornata serve per mettere in guardia dai pericoli del razzismo e dell’intolleranza che oggi “avvelenano” la nostra società. Sebbene la schiavitù sia stata abolita, il commercio di esseri umani non è stato eliminato del tutto.

Si stima che un terzo dei circa 15 milioni di persone che sono state deportate dall’Africa attraverso l’Atlantico, fossero donne. Donne che oltre a sopportare le difficili condizioni di lavoro forzato, hanno subito diverse forme estreme di discriminazione e di sfruttamento sia per il loro sesso che per il colore della loro pelle. Quando si parla di schiavitù, è inevitabile pensare che sia qualcosa legato al passato, ma così non è, dato che oggi il fenomeno è ancora vivo. Con il termine schiavitù moderna ci si riferisce a diversissime forme di questa: traffico di esseri umani, sfruttamento di bambini, sfruttamento sessuale e lavori forzati.

Oltre a queste giornate mondiali sono state istituite anche la Giornata Internazionale per l’abolizione della schiavitù che si celebra il 2 dicembre e la Giornata Internazionale della Commemorazione del commercio degli schiavi e della sua abolizione che si celebra il 23 agosto.

Sono molte le rotte illegali da cui passa tutto il traffico illecito: esseri umani, droga, armi. A volte queste cambiano in base alle condizioni meteorologiche.

Storicamente, alla tratta atlantica si affiancò quella araba, detta anche tratta arabo-musulmana. Questa tratta prevedeva il commercio di esseri umani e si concentrava principalmente su tre itinerari posti tra l’area sub-sahariana, quella del Medio Oriente e quella dell’Africa Settentrionale.

Nel Mondo arabo l’abolizione della tratta non fu un processo endogeno e non si assistette alla formazione di un movimento abolizionista autoctono. Diverso fu il caso della tratta barbaresca degli schiavi dove il commercio riguardava prettamente gli schiavi bianchi e che fiorì nell’Africa settentrionale (Marocco, Algeria, Tunisia e Libia).

È interessante notare come la tratta di esseri umani abbia avuto un nuovo boom negli ultimi anni, in particolare a partire dal 2013, data dalla quale il numero di deportati ammonta a circa 15 mila persone. Dalle analisi statistiche forniteci dal Ministero della giustizia emerge che la vittima tipica dello sfruttamento siano giovani ragazzi e ragazze, con un’età media di 25 anni e nel 75% dei casi di sesso femminile. La nazionalità è prevalentemente nigeriana o rumena e in molti casi le vittime sono sposate e/o con figli. Di queste, il 15% è rappresentato da minorenni che spesso arrivano in Italia, senza il consenso dei genitori.

Prendendo per esempio il caso delle donne nigeriane: pochi sanno che il primo contatto che la vittima ha con i contrabbandieri avviene spesso attraverso un parente, un amico o un’altra persona familiare. Dopo l’avvicinamento iniziale, la vittima viene messa in contatto con una “matrona”, la persona più importante di questa rete in Nigeria. In molti casi, la matrona ha anche il ruolo di “sponsor“, ovvero è colei che finanzia il viaggio via aereo o via mare. Il canale favorito dai trafficanti di esseri umani per far giungere le ragazze in Italia è via mare. Anche in questo caso negli ultimi anni c’è stato un cambio di sistema da parte delle organizzazioni criminali. L’importo del debito per garantire il trasporto non è mai specificato ed è la stessa famiglia della ragazza ad essere garante per il pagamento. I costi tipici vanno dai 410 € ai 1.640 € per i documenti e 6.570 € a 9.850 € per il viaggio. Il debito contratto dalla vittima è sempre molto più alto, e varia tra i 32.780 € e gli 82.000 € (circa). La vittima e il suo sponsor fanno un “patto” che obbliga il rimborso in cambio di un passaggio sicuro in Europa. Il sigillo del patto culmina con un rito juju o voodoo, rito magico celebrato da un native doctor detto anche ohen che, attraverso preghiere rituali, l’utilizzo di peli pubici, capelli, unghie, sangue mestruale e la foto della vittima compie un rito attraverso il quale lega l’anima della malcapitata a lui e la vincola a pagare il debito contratto e a non tradire mai l’organizzazione criminale e la matrona a cui dovrà restituire la somma pattuita. Se la vittima verrà meno al giuramento il native doctor farà sì che lei impazzisca o muoia.

Dopo il rito le giovani partono per raggiungere il centro di smistamento che si trova nella località di Agadez in Niger, dove sostano per alcuni giorni e dove spesso vengono cedute e fatte violentare dalle guardie di frontiera per guadagnarsi il transito sino alla Libia. Le giovani sovente vengono fatte prostituire nelle zone di sosta intermedie e, all’arrivo in Libia vengono smistate all’interno delle connection house, dove vengono fatte prostituire o all’interno dei ghetti, dove spesso vengono ridotte in schiavitù domestica e sessuale da uomini autoctoni o da connazionali. Se durante la loro permanenza in Libia vengono arrestate ed incarcerate dalle milizie libiche, subendo violenze, torture e stupri, la loro condizione di assoggettamento si aggrava ulteriormente a causa delle richieste di “riscatto” avanzate dai carcerieri alle matrona. Questo debito andrà a sommarsi a quello già accumulato prima della partenza. Se le condizioni di salute della donna/vittima non sono buone e/o la sua condizione la rende “inutilizzabile” ai fini della prostituzione l’organizzazione può decidere di abbandonarla alla mercé dei miliziani e non ci saranno prospettive di salvezza. Se la vittima rimane incinta durante la permanenza in Libia può capitare che venga agganciata o comprata da un connazionale o da persona di fiducia della matrona in modo tale da sembrare un nucleo familiare ed avere così accesso ai percorsi preferenziali che i nuclei familiari hanno all’arrivo sui nostri territori.

Qualora queste sopravvivano al viaggio nel Mediterraneo vengono accolte nei CAS (Centri di accoglienza straordinari). Qui ci sono due ipotesi: la ragazza ha un numero di telefono, già ricevuto in Nigeria, che dovrà contattare non appena arriverà in Italia; se non ha un numero, la famiglia contatterà direttamente lo sfruttatore. Nei centri, insieme alle ragazze, ci sono anche membri delle organizzazioni criminali che hanno un ruolo strategico di coinvolgimento e di indirizzo. Nessuno dice alla vittima che è costretta a prostituirsi, poiché questa sarebbe una disgrazia per la famiglia. Probabilmente però, in alcuni casi, la famiglia lo sa e convince la figlia stessa a pagare il debito per paura di ritorsioni degli altri familiari rimasti in Nigeria. Quando arrivano in Italia, l’OIM (Organizzazione internazionale per le migrazioni) registra l’arrivo delle ragazze vittime di tratta con patologie psicologiche che richiedano l’intervento immediato di personale sanitario specializzato. Sono frequenti i casi di allucinazioni che colpiscono queste donne, spesso riferiscono di vedere la presenza di un uomo nella loro stanza (ohen) o dicono di sentirsi soffocare per mano di qualche spirito.

In diversi paesi europei, le autorità sono intervenute salvando le donne dai loro trafficanti, ma spesso queste tornano alla prostituzione per adempiere agli obblighi nei confronti dei loro sponsor.      Per questo sono costrette a uscire in strada, dove vengono pagate dai 10 ai 30 € per ogni atto sessuale.

Finora, vari gruppi hanno lavorato per fermare questa forma di violenza cercando di inserirle in programmi di protezione, ma spesso è difficile convincerle a non chiamare i numeri che hanno ricevuto prima di fuggire dalla guerra o dalla povertà del loro paesi. Quel numero di telefono rappresenta infatti, l’unica certezza che hanno in una terra sconosciuta.

È importante soffermarci e ragionare sul fatto che sia il 24 che il 25 marzo rappresentano eventi indelebili dalle nostre menti, poiché testimoniano secoli e secoli di vessazioni e sfruttamenti.

E quindi mi chiedo, in che modo la situazione potrà mai cambiare? Molto probabilmente la schiavitù moderna e la tutela dei diritti umani avranno una soluzione definitiva solo quando verrà combattuto il nemico comune, nemico chiamato Povertà.

Nisrine Jouini


I dati sono presi dagli studi condotti dall’ EPAWA (Enslavement Prevention Alliance) e dal Master Eyes MEDI: Diritto all’immigrazione e Mediazione Interculturale

#ATUTTOMONDO: La rassegna stampa internazionale della UNINT sul COVID-19

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Stiamo attraversando un momento storico destinato a lasciare un solco profondo nelle nostre memorie.
Sarà uno di quegli avvenimenti dalla portata talmente grande da segnare un nuovo ciclo nelle vite individuali e nella vita politica, sociale ed economica internazionale.
Uno stravolgimento che toccherà tutte le sfere della quotidianità e che ci farà riscoprire il senso del termine: umanità.
L’intero genere umano infatti si ritrova ad affrontare un nemico comune ed invisibile, che sfonda i confini degli Stati nazionali e che costringe ad un ripensamento delle dinamiche e dei meccanismi di difesa e di protezione convenzionali.
È una storia senza precedenti, quella che si sta scrivendo nelle ultime settimane.
Per questo motivo noi studenti della UNINT, a conferma della profonda vocazione internazionale del nostro Ateneo, abbiamo deciso di raccontare gli sviluppi e gli scenari mondiali che si andranno a delineare sfruttando il più importante strumento per il superamento delle barriere che ci è dato: la conoscenza delle lingue straniere.
Per questo motivo riporteremo le ultime notizie e i dati aggiornati acquisiti dallo studio dei media e delle fonti di informazione dei paesi di lingua portoghese, inglese, spagnola, francese, tedesca, russa, araba e cinese.

È un momento storico, è la nostra storia, e noi cittadini del mondo vogliamo fare la nostra parte. 
Sara Nardi

Dobbiamo e vogliamo essere sincere: se non ci fossimo documentate sull’origine dell’epidemia ancora faremmo confusione fra COVID-19 e coronavirus. E voi? Sapevate, per esempio, che sbagliamo a pensare che siano la stessa cosa? Perciò facciamo prima di tutto un po’ di chiarezza sulla questione. Il COVID-19 è una malattia infettiva delle vie respiratorie causata da un virus conosciuto come SARS-CoV-2, appartenente a una grande famiglia virale: quella dei coronavirus (CoV). Sapevate, inoltre, che questa famiglia di virus era stata già scoperta intorno al 1960? Il primo scienziato a identificare il virus è stato il virologo hongkonghese Leo Poon ed è stato sempre lui a dichiarare l’origine zoonotica del COVID-19.
Nonostante ciò alcune persone sostengono che questa epidemia – recentemente dichiarata pandemia dall’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) – sia stata creata in laboratorio.
Secondo quanto detto sul sito portoghese SAPO, durante la scorsa settimana la Direção-Geral da Saúde (DGS) -istituzione portoghese che funge da Ministero della Salute- ha rivelato il numero di contagi nel Paese: 1280 fra cui 12 vittime. Di questi casi più di 600 sono situati a nord del Paese, più di 400 nell’area di Lisbona e di Vale do Tejo e 31 ad Algarve. Per quanto riguarda invece le regioni autonome si contano 5 casi nell’arcipelago di Madera e 3 in quello delle Azzorre.
Per garantire il funzionamento delle attività sotto lo stato di emergenza ormai dichiarato, il Governo ha stabilito alcune regole come, per esempio, lo smart working o il supporto telefonico od online per tutti i servizi pubblici. Si assicura il regolare funzionamento dei supermercati, delle farmacie e dei benzinai ma qualsiasi altro tipo di attività commerciale è al momento sospesa. Anche i ristoranti sono chiusi al pubblico ma mantengono comunque operativo il servizio di take-away (per fortuna!).
Secondo il quotidiano portoghese Jornal de Notícias, il Governo ha inoltre decretato una serie di misure volte a regolare gli spostamenti dei cittadini. In particolar modo le persone contagiate o sotto osservazione hanno l’obbligo di rispettare l’isolamento imposto dalle autorità, mentre tutti i membri della Comunità sono invitati al raccoglimento domiciliare. Ciò significa che è possibile muoversi esclusivamente se necessario: per assistere i familiari, accompagnare i minori o per portare fuori gli animali domestici. In caso di infrazione delle misure imposte dallo stato di emergenza, per i trasgressori è prevista una pena fino ad un anno di reclusione. Il Governo garantisce inoltre il rimpatrio degli studenti portoghesi in Erasmus che intendano rientrare.
In questo momento si fa appello al buon senso di ciascun individuo invitando soprattutto i residenti dei grandi centri urbani ad evitare gli spostamenti verso le zone interne del Portogallo poichè è proprio lì che risiede la maggior parte della popolazione considerata “a rischio”: gli anziani. In fine, con lo scopo di garantire la distanza di sicurezza prevista e di limitare la diffusione del virus, il Ministro dell’Ambiente João Pedro Matos Fernandes ha firmato ulteriori ordinanze n vigore a partire dalla giornata di lunedì 23 marzo – le quali prevedono una riduzione del 30% del servizio di trasporto pubblico e una riduzione del numero di passeggeri massimo consentito, pari ad 1/3 della capacità delle vetture.
Giulia Arresta – Alessia Santella

Nel Regno Unito ad oggi, risultano essere più di 5.683 i positivi al Covid-19. Venerdì sono state annunciate le prime misure per contrastare la crisi: “lo stato sta chiudendo il paese, sostenendo le imprese e pagando i nostri salari”.  Dopo l’Irlanda del Nord, anche l’Inghilterra annuncia la chiusura delle scuole di ogni ordine e grado, mentre in Scozia e Galles avevano già annunciato la chiusura mercoledì scorso. Boris Johnson ha dichiarato che in due mesi “Il Coronavirus farà i bagagli”. Tuttavia, secondo il The Telegraph, le misure di contenimento dovrebbero prolungarsi per altri sei mesi, per sortire degli effetti. “Il primo ministro britannico”, afferma Beth Ridgy: “corre il rischio di spacciare false speranze” e conclude: “stiamo per entrare nelle ore più buie”, citando Winston Churchill così come fece il Presidente Giuseppe Conte. “Questa è una guerra”[1] scrive Angela Giuffrida raccontando del “fronte italiano”: gli anziani muoiono soli e i medici si infettano aiutando i malati.
Si allinea ai provvedimenti anche l’Australia che, sempre da venerdì, ha chiuso ufficialmente i confini e limitato i raggruppamenti di persone a 100 in spazi chiusi e 500 in spazi aperti, stabilendo una distanza di sicurezza di un metro e mezzo. Ad oggi, il numero di casi ammonta a 1.700, dopo un aumento esponenziale durante il finesettimana per via della noncuranza della popolazione, che si è riversata sulle spiagge, violando le norme di sicurezza e portando alla chiusura delle stesse. Stanziati 189 miliardi di dollari per far fronte all’emergenza, con possibile aumento del budget, per tutelare cittadini ed economia nei prossimi sei mesi. Sabato notte annunciate nuove misure: da lunedì locali, palestre e luoghi di culto chiusi; bar e ristoranti chiusi, ma con servizio a domicilio. Scuole ancora aperte fino a Pasqua. Chiusi i confini di Tasmania e Nuova Zelanda e quelli interni con l’obbligo di quarantena di 14 giorni per chi si è spostato.
Ancora misure blande in Canada, dove questa settimana, il Primo Ministro Justin Trudeau raccomanda l’isolamento e la distanza di sicurezza e vieta il movimento ingiustificato fra le province. Alcune di quest’ultime hanno dichiarato lo stato di emergenza[2] e 30 milioni di dollari sono stati stanziati per una campagna su isolamento e norme di prevenzione.
Negli Stati Uniti sono oltre 35.000 casi, è il terzo paese nel mondo per numero di contagi. Molti Stati sono in “lockdown” dopo l’invito all’isolamento arrivato dalla Casa Bianca insieme alla dichiarazione d’emergenza. Il caso più preoccupante è quello di New York, dove i casi superano quota 15.000. Il paese si sta preparando al cambiamento più radicale dalla seconda guerra mondiale, con la chiusura di scuole e centri sportivi. Le strutture sanitarie sono in affanno, data la scarsità di presidi medici[1] e Trump chiede agli ospedali di preparare dei piani di emergenza.
Lucia Capriglione – Claudia Cesetti – Diana Fagiolo – Laura Forcella – Emanuele Spina

La situazione spagnola riguardo al nuovo coronavirus Covid-19 conta già 29.068 casi di contagio in tutto il paese, di cui 1.804 deceduti e 2.575 curati, dati reperibili da fonti del Ministero della Salute e delle Comunità Autonome. Il rapido incremento di casi in tutto il mese di marzo ha, difatti, fatto sì che il Governo chiedesse al Congresso una proroga dello stato di emergenza fino all’11 aprile 2020. Pedro Sánchez, presidente del Governo spagnolo, ha proposto di aspettare alcuni giorni per vedere l’efficacia delle dure misure adottate fino a questo momento, oppure provare con un’azione di chiusura totale della produzione di generi di seconda necessità, prendendo esempio e spunto dall’ultimo DPCM firmato da Giuseppe Conte. Secondo i dati ufficiali del Governo spagnolo, sono ben 100.000 i posti di lavoro persi nella prima settimana di quarantena (iniziata circa una settimana dopo l’Italia, firmata da Sánchez il 14 marzo): c’è da ricordare, che oltre al già elevato tasso di deceduti e all’imminente collasso sanitario, anche il settore economico ne sta soffrendo particolarmente, arrivando a stimare una diminuzione del 12% del PIL trimestrale[1]. A tutto ciò si contrappone la meravigliosa reazione di un popolo culturalmente non troppo lontano dal nostro: potranno anche essere in quarantena, ma non sarà certo questo periodo di reclusione a fermare il corazón caliente di tutti quegli spagnoli che, alle 20:00, si danno appuntamento sui propri balconi per cantare, applaudire e darsi coraggio gridando all’unisono: ¡Vamos, chavales! (“Forza ragazzi!”).
Passiamo ora all’America Latina, dove il virus ha già contagiato, seppur molto meno rispetto agli elevati numeri europei, tutti gli stati (l’ultimo è stato Haiti, il 19 marzo) e, di conseguenza, ogni presidente ha deciso di prendere le misure rispetto alla situazione che sta vivendo. L’Argentina, per esempio, ha riscontrato il primo caso il 7 marzo e, una settimana più tardi, il presidente Alberto Fernández ha consigliato la quarantena, fino a farla diventare obbligatoria il 20 marzo. Solo due giorni dopo, la Bolivia ha preso la stessa decisione a proposito della quarantena fino al 31 marzo. Gli altri stati, un po’ più in generale, sono arrivati alla conclusione che, per il momento, è meglio mantenere chiuse soprattutto le scuole e limitare i voli internazionali, obbligando la quarantena di 14 giorni alle persone provenienti dagli stati più colpiti d’Europa. A livello economico, la Colombia è tra i paesi più colpiti per la caduta delle borse internazionali, tant’è che il Governo locale ha già intrapreso varie azioni per aiutare i settori maggiormente colpiti, tra cui il turismo.
Ilaria Violi

In Francia, da gennaio si è espansa una nuova epidemia di Coronavirus COVID-19 proveniente dalla Cina: si tratta di una famiglia di virus responsabili di infezioni respiratorie dalla sospetta origine animale, ma gli scienziati stanno ancora accertando la veridicità di questa ipotesi.
“Covid19: l’Italia allerta il mondo su ciò che lo aspetta” scriveva Le Figaro il 19 marzo scorso, aggiungendo che gli italiani, con ben 4.825 vittime, sono stati i primi, dopo i cinesi, a essere colpiti da questa epidemia: coscienti della sua gravità e dell’alto tasso di mortalità, implorano il resto del mondo di “proteggersi da questo assassino invisibile”.
Infatti, il virus è stato responsabile anche della morte di 562 persone in Francia. Il Presidente della Repubblica francese Macron, seguendo l’esempio italiano, ha annunciato severe restrizioni per il contenimento del Covid-19.
Il 18 marzo 2020, il Belgio ha preso le misure di contenimento valide fino al 5 aprile. Viaggi limitati all’essenziale e università, bar, negozi e ristoranti chiusi fino a Pasqua. Anche le scuole resteranno chiuse, ma la supervisione dei bambini sarà fornita a coloro i cui genitori lavorano nel campo dell’assistenza. In prima pagina, il record di decessi in Italia: 793 al 21 marzo. Tra le principali cause di un bilancio così drammatico, l’età media avanzata e la mancanza di personale sanitario. Non manca l’ottimismo: a Milano la concentrazione di NO2 diminuisce ogni settimana del 10%.
Mentre l’epidemia di Coronavirus si affaccia sul continente africano, l’OMS lancia un appello: l’Africa si deve “preparare al peggio”. I casi di COVID-19 registrati al 22 marzo 2020 in tutto il continente hanno superato il numero 1.000, per un totale di 37 paesi coinvolti. Sebbene la pandemia che sta mettendo in crisi l’intero pianeta sembri avanzare più lentamente in Africa, il timore di una sua rapida diffusione fa tremare l’OMS così come i presidenti africani. Il sistema sanitario del continente non è assolutamente in grado di affrontare un’emergenza tale, per questo sono numerosi i paesi africani che stanno adottando misure preventive ferree.
In Svizzera ci sono 8.060 contagiati e 66 decessi per Covid-19. Il governo federale ha vietato assembramenti di più di 5 persone, pena multe fino a 250 franchi. I medici non ricevono direttive precise da parte del governo centrale, si coordinano tra di loro a livello locale. 8.000 militari sono stati spediti negli ospedali a supporto dei medici. 42 miliardi sono stati stanziati in aiuto alle imprese. I cittadini all’estero saranno rimpatriati dalla DFAE (Dipartimento Federale degli Affari Esteri). La situazione italiana è usata per promuovere consapevolezza nel Paese, e il lavoro degli ospedali italiani viene replicato dai medici svizzeri.
Emanuela Batir – Carolina Benucci – Laura Bruno – Flavia Lucarelli D’Ortenzi – Giulia Marinucci – Solange Ngwikem Manfo – Sibilla Parlato – Eleonora Valente – Elen’Alba Vitiello

I giornali tedeschi riportano i dati dei contagiati in Italia, che salgono a 59.138 in data 23 marzo, e dei decessi che superano i 5.400, con picco di 800 morti nella giornata del 21 marzo. In Germania si punta però l’attenzione specialmente sulla provincia di Bergamo. Nei telegiornali le immagini più mostrate sono quelle dei mezzi militari impegnati a portare le salme in altre regioni per la cremazione. Ciò che sembra sconvolgere di più, oltre alla situazione negli ospedali, definita dai giornali tedeschi “fuori controllo”, è però la scarsa attenzione da parte degli italiani nel rispetto delle regole che impediscono gli spostamenti che non siano di stretta necessità. Si sembra infatti voler sottolineare il fatto che le drastiche restrizioni prese non sono ancora accettate da alcuni cittadini italiani che continuano ad uscire più del dovuto, soprattutto nella provincia di Milano.
Nelle scorse settimane le misure prese dall’Italia venivano giudicate esagerate ma, negli ultimi giorni, anche la Germania sta cercando di ridurre la diffusione del virus con restrizioni che, dato il sistema federale, non sono uguali in tutti i Bundesländer. Nelle ultime settimane, infatti, erano solo stati proibiti eventi con più di mille partecipanti, partendo dalle partite di calcio e concerti. A partire dalle ore 00:00 del 21 marzo, sette dei sedici Bundesländer hanno aumentato le misure restrittive vietando assembramenti nelle strade e nei parchi. Nella città di Amburgo si permettono però assembramenti fino a gruppi di sei persone, diversamente da Colonia che vieta di uscire se si è più di due. Alcune delle città che invece non hanno aumentato le misure per frenare la diffusione dell’infezione sono Dresda e Berlino, ma anche qui le strade appaiono ogni giorno meno affollate.
La cancelliera Merkel, nella conferenza stampa svoltasi nella giornata di martedì 17 ha ribadito che le misure prese per il momento sono sufficienti e devono essere rispettate per non vedersi costretti a prendere le stesse misure dell’Italia. Si cerca dunque di evitare restrizioni più severe, sperando nella collaborazione di tutto il popolo tedesco. Nella seconda conferenza stampa di domenica 22 marzo, la Cancelliera ha deciso di optare per la chiusura di locali, ristoranti e negozi in tutti i Bundesländer, permettendo però l’attività fisica all’aperto e incontri con massimo una persona esterna al nucleo famigliare purché si mantenga la distanza minima di 1,5 m. Poco dopo la conferenza, è stato effettuato il tampone alla Cancelliera per aver avuto contatti con il suo medico che è risultato positivo al Covid-19.
Jasmin Pick

Il COVID-19 non conosce limiti ed è per questo che, purtroppo, è arrivato anche nella lontana Russia. Le città più colpite sono due: Mosca e San Pietroburgo.
San Pietroburgo ha già avvisato tutti i cittadini di restare a casa e di evitare, soprattutto per gli over 65 anni, i posti affollati. Sul sito dell’amministrazione pietroburghese, però è solo stato raccomandato di astenersi il più possibile da spostamenti interni alla città, in tutto il territorio della federazione e di non partire per viaggi all’estero. Anche le scuole hanno lasciato “libertà” decisionale: dal 16 marzo al 30 aprile i presidi hanno incaricato i genitori stessi di scegliere se mandare i propri figli a scuola o meno. Gli aeroporti, più precisamente l’aeroporto Pulkovo, hanno dichiarato di adottare un trattamento di disinfezione per tutti gli arrivi provenienti dalle zone rosse. È stato inoltre ampliato il regime di difesa contro il COVID-19 per tutte le superfici aeroportuali.
A Mosca, invece un discreto numero di persone si sono messe in auto quarantena.
In termini economici si è stimato un risparmio sul budget familiare pari quasi al 30%. In situazioni normali, il denaro destinato alle spese ammontava a 5,7 mila rubli. Di seguito i dati di alcune importanti città russe: di Archangel: 12,5 mila rubli (46,1% dei consumi), Mosca: 17,8 mila rubli (45,1% dei consumi). Si è parlato di un vero e proprio “lockdown” su Mosca, nel momento in cui nei supermercati hanno cominciato a scarseggiare beni di prima necessità, sono state chiuse le strutture mediche e sono stati ridotti i trasporti.
Il Centro di Informazione e Comunicazione russo ha negato le notizie secondo cui le autorità siano propense a introdurre misure al fine di rallentare la diffusione del coronavirus nel paese, riferisce RIA Novosti, citando una fonte senza nome.
Il giornalista Andre Ballin nel suo articolo per Der Standard parla della situazione attuale in Russia e ne elogia l’operato. Ha ricordato, infatti, che alla fine di gennaio, il confine terrestre della Russia con la Cina era già stato chiuso e che la comunicazione ferroviaria tra i due paesi era stata interrotta. Dal 1° febbraio, la comunicazione aerea con la RPC è stata limitata e dal 20 febbraio è stato introdotto un divieto di ingresso per i cittadini cinesi, ha osservato il giornalista. Inoltre, le restrizioni all’ingresso hanno interessato cittadini di altri paesi in cui sono stati registrati focolai di coronavirus.
Ballin ha sottolineato che nella fase iniziale per la Russia è stata una fortuna che sul suo territorio fossero presenti solo due nativi della Cina infettati da coronavirus. Pertanto, secondo lui, le autorità russe dispongono di un vantaggio di tempo prezioso. Solo l’11 marzo, infatti, l’OMS ha annunciato ha dichiarato lo stato di emergenza pandemica per infezione da coronavirus.
Per quello che concerne la religione queste sono le parole del patriarca Kirill durante un sermone nella chiesa cattedrale del Santo Principe Igor Chernigovsky a Mosca il 22 marzo: “I credenti non dovrebbero soccombere alle chiamate a trascurare la preghiera per seguire le misure per prevenire la diffusione del coronavirus”.
Paola D’Onofrio – Clarissa Giacomini

«Sapete anche chi ha suggerito l’igiene personale e la quarantena durante la diffusione dell’epidemia?»: è questo l’interrogativo che la scorsa domenica ha fatto capolino su un articolo di al-Jazeera.
Lo stesso riprende gli hadith1 menzionati dal sociologo statunitense Concidine, usati con lo scopo di invogliare la popolazione a adottare una serie di misure pratiche per superare il coronavirus. È stato «Maometto, il Profeta dell’Islam che 1.400 anni fa quando non era per niente un esperto di epidemie mortali», a suggerire l’igiene personale e la quarantena durante l’epidemia come metodi più efficaci per circoscrivere il virus. «La pulizia è parte della fede» e i suoi consigli anticipano quelli, ormai noti a tutti, diffusi dall’OMS.
Al di là della fede, al-Jazeera rintraccia il successo della Cina di contenere il coronavirus nell’aver adottato misure necessarie dopo solo tre settimane dalla comparsa del virus a cui si aggiunge la scelta di non sminuirne la portata neanche di fronte alla paura di una possibile alterazione degli equilibri socioeconomici e, di conseguenza, causare panico tra la gente come, invece, fanno i leader arabi. Rispetto ad altri paesi, le autorità cinesi hanno fatto ricorso anche al GPS dei cellulari per monitorare i movimenti delle persone. Tali misure sono difficili da applicare soprattutto nei paesi democratici che godono della tutela dei dati personali. Una mancata azione ha portato a disastrose conseguenze. Emblematici, da un lato, il caso dei governi arabi dittatoriali che hanno investito miliardi in tecnologie per tracciare i movimenti dei cittadini, ma poi risparmiano quando si tratta di proteggerli dalle grinfie del virus e, in alcuni casi, continuano a negare in assoluto l’esistenza di vittime; dall’altro, vi è l’Italia che è caduta nella trappola del virus in quanto si credeva che il problema riguardasse esclusivamente la Cina. L’Italia non si è mossa in tempo e ciò è stato aggravato dal fatto che possieda l’aspettativa di vita più alta tra i paesi europei. L’Italia resta al centro dell’attenzione anche per una serie di fake news che dilagano sui siti arabi, smentite poi dalla rivista libanese an-Nahar.
Tra le tante, ve ne è una che coinvolge il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte. In una falsa traduzione di un suo tweet si legge: «l’Italia getta la spugna. Abbiamo completamente perso il controllo. L’epidemia ci sta uccidendo. Abbiamo esaurito tutte le soluzioni, tutto dipende dal cielo».
Gli arabi si sentono impotenti di fronte all’epidemia. In particolare, sul quotidiano al-Maal viene riportato il discorso tenuto dal Primo Ministro libanese Hassan Diab che riporta il numero dei contagiati, ora a 230. La mancanza di impegno dei cittadini è indice di una superficialità che ha portato il governo libanese a enfatizzare il ruolo dell’esercito e a imporre del coprifuoco. L’articolo si chiude con le parole del Primo Ministro: «Cari Libanesi, siamo in una fase molto difficile. Cerchiamo di ridurre le nostre perdite. Dio dice “Vi metteremo alla prova con la paura, la fame, la mancanza di beni, di denaro e di vittime. Ebbene, dà la buona novella a coloro che saranno azienti”».
Valentina Baldo – Roberta Elia

Prima Wuhan, capoluogo della provincia dello Hubei nonché originario epicentro del virus, e poi a seguire tutta la Cina, hanno dimostrato al mondo intero, che ci sono delle sfide che anche l’essere umano del terzo millennio non è capace di “vincere facile”.
In Cina, dopo due mesi dallo scoppio dei contagi, è una realtà diversa a palesarsi, ovvero quella di una nazione più unita che mai, la quale dopo aver messo in campo tutte le forze necessarie, si sta rialzando e sta lanciando al contempo un messaggio molto chiaro al mondo intero: “Si fa così, punto”. Da una situazione che sembrava irrisolvibile, la Cina è oramai a poche decine di chilometri dal traguardo.
La quotidianità di un tempo torna a regnare sovrana. Molti cittadini sono ritornati alla vita di prima, come quei milioni di abitanti dello Hubei che hanno fatto ritorno nelle loro città d’origine. A Qinghai, circa 144 tra università e scuole hanno riaperto i loro campus, mentre le fabbriche hanno ricominciato a funzionare nelle province a est del paese. Il turismo sta lentamente ripartendo nelle provincie dello Sichuan, Yunnan e Guizhou. Diversi esperti hanno affermato che il peggio sembra essere passato. Tuttavia, nonostante le severissime misure per contenere i contagi, non è da sottovalutare il rischio di una seconda ondata.
Secondo un rapporto dell’Unità Scientifica Militare del Dipartimento della Difesa di Stato Cinese, un vaccino anti-CoVid-19 “ha superato i test clinici”. In base alle stime ufficiali, servirebbero minimo 16 settimane di esperimenti affinché il vaccino possa essere impiegato. Non è mancato l’appello alla sanità cinese da parte del Presidente della Repubblica Popolare Cinese, Xi Jinping, che ha dichiarato: “Nonostante l’umanità abbia raggiunto livelli di sviluppo straordinari in tutti i settori, non bisogna considerare lo sviluppo scientifico e tecnologico come terminato. Anzi, bisogna rinnovare continuamente entrambi i settori”.
La comunità scientifica internazionale non possiede ancora gli strumenti necessari per comprendere a fondo la natura del virus, ad esempio se esso possa causare o meno danni permanenti al sistema respiratorio del paziente. Un primo passo che sicuramente sta dando già risultanti tangibili, è quello di poter già incrementare l’efficacia delle cure e sviluppare ulteriormente i dispositivi di diagnosi, mentre sono già in corso cure sperimentali a base di cellule staminali e anticorpi monoclonali.
Per quanto riguarda la situazione attuale degli ospedali cinesi, come riportano i dati della Commissione Nazionale della Salute Cinese, sono 504 le persone che vengono dimesse giornalmente, mentre il numero totale dei dimessi ammonta a 59.432. Anche i pazienti in gravi condizioni sembrano diminuire. Come afferma un rapporto pubblicato dalla Commissione Nazionale della Salute Cinese, i casi accertati, sin dall’inizio dell’epidemia, corrispondono attualmente a 81-054[2]. Stando alle cifre attuali, come dimostra lo stesso rapporto sopramenzionato, gli ultimi casi accertati sono perlopiù pazienti stranieri, la maggior parte dei quali di ritorno dai loro paesi verso la Cina.
Ecco i dati aggiornati (al 23/03/2020, escludendo i pazienti dimessi e i decessi): 106 casi a Pechino; 328 a Shanghai; 70 nel Guangdong; 11 nel Fujian; 4 nello Sichuan; 2 nello Jiangsu; 213 a Hong Kong; 10 a Macao; 139 a Taiwan.
Adesso, chiunque debba recarsi in Cina, è obbligato a trascorrere i 14 giorni di auto-isolamento presso strutture apposite e a spese proprie. Prima del famoso crollo dell’albergo per le quarantene a Quanzhou, infatti, le strutture messe a disposizione per chi si recasse in Cina erano gratuite (hotel a 2 stelle).
Fabrizio Ubbriaco


FONTI e SITOGRAFIA

Per la lingua PORTOGHESE
– https://eco.sapo.pt/2020/03/21/coronavirus-ja-fez-12-mortos-em-portugal-total-de-casos-confirmados-sobe-para-1-280/?fbclid=IwAR0VLpZt1qU0d1SshCdk6LvfCskzvpR1rDWRk3Q-dCNtneT-TyCBGm4DahA
– https://www.rtp.pt/noticias/mundo/covid-19-a-situacao-ao-minuto-em-portugal-e-no-mundo_e1213375?fbclid=IwAR1-i4wBp5WY4yl4H1LAr7EiAWV1URhRyGHvRn47s6jga14zRT6NAOqsxrE
– http://www.saude.sp.gov.br/resources/cve-centro-de-vigilancia-epidemiologica/areas-de-vigilancia/doencas-de-transmissao-respiratoria/coronavirus.html

Per la lingua INGLESE
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– J., Whitbourn, M. and Bourke, L., (2020). “Live Update”. The Sydney Morning Herald, Coronavirus Pandemic.
– Hinsliff, G. (17/03/2020). “We are at war with coronavirus. Everyone will have to muck in”. The Guardian. https://www.theguardian.com/commentisfree/2020/mar/17/we-are-at-war-coronavirus-pandemic
– Judd, B. (2020). “Here’s what the Federal Government’s second coronavirus stimulus package actually means for your wallet and Centre link payments”. ABC News, Coronavirus.Lawson, K., (2020). “Government closes borders to non-Australians”, The Canberra Times, Coronavirus.
– Rigby, B., (21/03/2020). “PM will be defined by his leadership as Britain enters its darkest hour”. Sky News. https://news.sky.com/story/pm-will-be-defined-by-his-leadership-as-britain-enters-its-darkest-hour-11961203
– Sky News Australia, (2020). “Jacinda Ardern announces COVID-19 alert system”, COVID-19.
– Giuffrida, A. (17/03/2020). “This is lik a war view from italy’s coronavirus frontline”. The Guardian, News. https://www.theguardian.com/world/2020/mar/17/this-is-like-a-war-view-from-italys-coronavirus-frontline
– The Guardian, (22/03/2020). “Coronavirus UK: how many confirmed cases are in your area?”. News. https://www.theguardian.com/world/2020/mar/22/coronavirus-uk-how-many-confirmed-cases-in-your-area
– The Telegraph, (21/03/2020). “Coronavirus school closures: what does it mean for exams – and which children can still go to school?”. https://www.telegraph.co.uk/news/0/coronavirus-school-closures-uk-exams-parents-still-go-school/
– Prime Minister of Australia, (2020). “Media Statement 20 March 2020”.
– Di Manno, Rosie. 2020. “‘Get ready’: a chilling message from the epicentre of Italy’s COVID-19 nightmare”. Opinion, The Star.
– Barry, Colleen & Bruno Luca. 2020. “Italy’s virus epicentre grapples with huge toll, some hidden”. The Star, Europe.
– Ballingal, Alex. 2020. “Self-isolate and practice social distancing or the government will force you to, Health Minister warns”. The Star, Politics, Federal Politics.
– Lemay Éric Yvan & Valeria Andrea. 2020. “COVID-19: 2 semaines qui ont marqué le Québec”. Le Journal de Montreal.
– Richer Jules. 2020. “500 000 travailleurs crient à l’aide”. Le Journal de Montréal.

Per la lingua SPAGNOLA
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– “El País”, articolo del 22.03.2020
– Intervista a ragazzi spagnoli residenti a Cartagena, Murcia e Las Palmas de Gran Canaria
– “BBC News Mundo”, articolo del 22.03.2020

Per la lingua FRANCESE
– https://www.gouvernement.fr/info-coronavirus
– https://solidarites-sante.gouv.fr/soins-et-maladies/maladies/maladies-infectieuses/coronavirus/coronavirus-questions-reponses
– http://www.leparisien.fr/societe/sante/coronavirus-ce-qu-il-faut-savoir-sur-les-origines-de-la-pandemie-17-03-2020-8281749.php
– https://www.lefigaro.fr/sciences/coronavirus-bilan-symptomes-traitement-toutes-les-reponses-a-vos-questions-sur-l-epidemie-de-covid-19-20200312
– https://www.lefigaro.fr/flash-actu/coronavirus-l-italie-alerte-le-monde-sur-ce-qui-l-attend-20200319
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– https://fr.africanews.com/2020/03/22/coronavirus-le-point-de-la-situation-en-afrique-le-maroc-et-la-tunisie-touches/
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– https://www.lematin.ch/suisse/troupes-preparent-rejoindre-hopitaux/story/30672209
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– https://www.letemps.ch/suisse/coronavirus-un-plan-40-milliards
– https://www.letemps.ch/suisse/cantons-romands-prets-sevir-contre-regroupements-plus-cinq-personnes
– https://www.letemps.ch/suisse/dr-philippe-eggimann-medecins-generalistes-ont-besoin-directives
– https://www.rsi.ch/news/svizzera/Pronti-i-rimpatri-per-gli-svizzeri-12865598.html
– https://www.bag.admin.ch/bag/it/home/krankheiten/ausbrueche-epidemien-pandemien/aktuelle-ausbrueche-epidemien/novel-cov/situation-schweiz-und-international.html

Per la lingua TEDESCA
– Mitteldeutscher Rundfunkt. (2020) Pressekonferenz von Angela Merkel. https://www.mdr.de/video/mdr-plus-videos/video-392268.html
– Tagesschau.de. (2020) https://www.tagesschau.de/multimedia/sendung/ts-36251.html
– Welt. (2020) https://www.welt.de/vermischtes/article206756761/Coronavirus-Ueber-600-neue-Tote-in-Italien-am-Montag.html

Per la lingua RUSSA
– https://ria.ru/20200322/1568965018.html
– https://www.vesti.ru/doc.html?id=3250119
– https://iz.ru/989973/2020-03-22/patriarkh-kirill-prizval-ne-prenebregat-merami-po-profilaktiktike-koronavirusa
– https://www.pravda.ru/politics/1482141-close2020/
– https://www.pravda.ru/world/1481598-itacovid19/

Per la lingua ARABA
– Quotidiano al-maal news (link: https://almalnews.com/%d9%84%d8%a8%d9%86%d8%a7%d9%86-%d9%8a%d9%82%d8%b1%d8%b1-%d8%ad%d8%b8%d8%b1-%d8%aa%d8%ac%d9%88%d9%84-%d8%b0%d8%a7%d8%aa%d9%8a-%d9%88%d9%8a%d8%a3%d9%85%d8%b1-%d9%82%d9%88%d8%a7%d8%aa-%d8%a7%d9%84%d8%a3/)
– Quotidiano an-nahar (link: https://www.annahar.com/article/1148179-%D8%A5%D9%8A%D8%B7%D8%A7%D9%84%D9%8A%D8%A7-%D8%A3%D8%B9%D9%84%D9%86%D8%AA-%D8%A7%D9%84%D8%A7%D8%B3%D8%AA%D8%B3%D9%84%D8%A7%D9%85-%D9%88%D9%85%D8%A7-%D8%AD%D9%82%D9%8A%D9%82%D8%A9-%D9%82%D9%88%D9%84-%D9%83%D9%88%D9%86%D8%AA%D9%8A-%D9%84%D9%82%D8%AF-%D9%81%D9%82%D8%AF%D9%86%D8%A7-%D8%A7%D9%84%D8%B3%D9%8A%D8%B7%D8%B1%D8%A9-factcheck
– Al-jazeera (link: http://mubasher.aljazeera.net/opinion/%D9%88%D8%B3%D8%A7%D8%A6%D9%84-%D8%B9%D9%85%D9%84%D9%8A%D8%A9-%D9%84%D9%84%D8%AA%D8%BA%D9%84%D8%A8-%D8%B9%D9%84%D9%89-%D9%81%D9%8A%D8%B1%D9%88%D8%B3-%D9%83%D9%88%D8%B1%D9%88%D9%86%D8%A7

Per la lingua CINESE http://www.nhc.gov.cn/xcs/yqtb/202003/be74d71b2f784cae917cc830f244caa9.shtml http://www.nhc.gov.cn/xcs/yqtb/202003/be74d71b2f784cae917cc830f244caa9.shtml http://www.nhc.gov.cn/xcs/yqtb/202003/be74d71b2f784cae917cc830f244caa9.shtml

#GUESS WHO? LA REGINA VITTORIA

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Ricordata per il suo carattere determinato, volitivo e autoritario, la regina Vittoria viene considerata una delle donne più influenti del XIX secolo, al punto che a partire dal suo nome venne definita l’”epoca vittoriana”, un’era che si distinse per la profonda evoluzione culturale, politica, scientifica e militare che ha avuto come protagonista il Regno Unito.

Sapevate che…?

Nata nel 1819, era la figlia di Edoardo, duca di Kent, quartogenito di Giorgio III, e di Vittoria Maria Luisa, figlia di Francesco di Sassonia-Coburgo. Alla bambina venne dato il nome Alexandrina Victoria in quanto il Principe reggente, per fare un dispetto al fratello, invitò lo zar Alessandro I di Russia a far da padrino al fonte battesimale. In famiglia, tuttavia, la chiamavano Drina e, appena salita al trono, la regina si disfece del primo nome, che detestava, restando solo Victoria.

Al momento della nascita, era in realtà soltanto la quinta in linea di successione al trono dopo suo padre e gli zii: Giorgio IV di Hannover, Principe Reggente, il Duca di York e il Duca di Clarence. Suo padre, tuttavia, morì qualche mese dopo la sua nascita e nessuno degli zii riuscì ad avere eredi; così, nel 1837, appena diciottenne, Vittoria ebbe la successione dello zio Guglielmo IV e divenne regina.

Nel 1836 conobbe il suo futuro marito, Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, principe tedesco nonché suo cugino di primo grado. I due si sposarono nel 1840 ed il loro fu un matrimonio particolarmente felice. Durante la cerimonia, Vittoria indossò un memorabile abito bianco adornato da alcuni merletti che fece la storia: a partire da quel momento, infatti, sempre più spose scelsero di vestirsi di bianco consolidando una tradizione che permane ancora oggi.

La modernità di Vittoria è testimoniata anche dalle innovazioni di cui fu fautrice durante il suo regno, fra le quali si annoverano la diffusione del sistema ferroviario e la stampa del primo francobollo al mondo, che avvenne nel 1840: si tratta del cosiddetto Penny Black, che riproduceva un’effigie della Regina stessa.

Con il suo regno durato 63 anni, 7 mesi e 2 giorni, Vittoria è stata inoltre la monarca più longeva della storia fino al 2015, quando il primato è stato superato dall’attuale regina del Regno Unito Elisabetta II, sua pronipote.

#MONDAYABROAD

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Oggi parla Mattia!

Cari amici, compagni e colleghi, oggi mettiamo da parte (metaforicamente) la chiusura delle frontiere che ci obbligano a rimanere nel nostro amato paese e voliamo in Cina con una meravigliosa intervista del nostro mitico Mattia! A voi il lavoro svolto 🙂

Covid-19 Reportage intervista: Ecco la situazione attuale in tre città cinesi (Xiamen, Pechino, Chongqing)

Grazie alle varie preziose conoscenze intraprese durante il mio anno di scambio presso la Peking University, ho avuto modo di intervistare tramite videochiamata WeChat tre cari amici – rispettivamente uno studente cinese della Hebei Normal University originario di Xiamen,  uno studente nordcoreano della Peking University e un altro ancora, italiano della Chongqing University – che mi hanno fornito informazioni interessanti sulle misure adottate dai governi locali cinesi (delle loro rispettive zone di residenza) per la gestione di una realtà che oggi, in buona parte della Cina, sembra volgere ad una attesissima fine.

Queste le domande poste agli studenti intervistati:

Com’è la situazione attuale in città?

Ci sono restrizioni particolari da parte degli enti locali?

Quando verranno riaperte le scuole nella tua città?

Quali misure o piani di assistenza ha adottato la tua università per agevolare gli studenti?

Ecco Yun Fei, studente cinese di 23 anni della Hebei Normal University of Science & Technology, viene da Xiamen (nella provincia di Fujian, situata 780 km a sud-est di Wuhan) e studia lingue moderne.

Yun Fei parla di “una vita che si avvicina sempre più alla normalità nella mia città natale. La gente ha ricominciato a lavorare, fa shopping, va nei pub e nei ristoranti. Non abbiamo casi di contagi da un mese. Quasi tutto come prima, ma i controlli sanitari sono dappertutto, specialmente nei posti pubblici. È obbligatorio usare sempre la mascherina così come, per l’accesso ai mezzi pubblici, scansionare [attraverso il QR Code di WeChat] il proprio codice identificativo [per rilasciare traccia dei propri spostamenti] e, persino per l’acquisto di antipiretici, rilasciare le proprie generalità. In tutta la provincia [Fujian, 35 milioni di abitanti], ogniqualvolta si esce e si fa rientro nel quartiere di residenza, degli addetti ti misurano la temperatura corporea. Se la tua temperatura è al di sotto di 37°C, il certificato di “via libera” [il 通行证, per gli amici sinofili] appare automaticamente sul tuo cellulare [più precisamente su WeChat, app cinese “factotum” collegata alla tua identità e al tuo codice sanitario sin dal momento di registrazione]. Da qualche giorno, però, questi controlli si limitano soltanto ad alcuni quartieri”.

Yun Fei aggiunge: “Tuttavia tutte le scuole sono ancora chiuse nella mia provincia [Fujian]”. Mentre, in merito al resto delle province cinesi, Yun Fei conclude dicendo che “solo un quarto delle province cinesi ha una data per la ripresa delle lezioni, ovvero fine marzo/inizio aprile”.

L’intervista si è conclusa con un mio “们中国人太厉害!” (“Voi cinesi siete straordinari!”), riferendomi alle serrate misure di sicurezza adottate dai loro governi locali. Yun Fei, ridendo, mi risponde: “In Cina siamo tantissimi, non c’è altro modo per fermare il virus!”.

È la volta di Min-jun, studente nordcoreano ventenne del dipartimento di Marketing presso la Peking University:

“A Pechino la situazione è migliorata tantissimo. Adesso per strada ricomincio a vedere gente e macchine. Ciò non significa che Pechino si è completamente ripresa. Molti negozi e ristoranti sono ancora chiusi. Nei negozi di tutto il distretto ci sono mascherine per tutti, non bisogna fare nessuna corsa per accaparrarsele. Inoltre gli studenti internazionali come me ricevono gratuitamente, dall’università, un tot di mascherine alla settimana. Invece il disinfettante per mani è più difficile da trovare. L’università ha inoltre stanziato un fondo per gli studenti meno abbienti, dando loro un laptop e uno smartphone a titolo gratuito per garantire l’accesso alle piattaforme di didattica online”. In merito alla riapertura dei dipartimenti, Min-jun risponde: “Ancora nessuna notizia dall’università, non ci hanno ancora fatto sapere nulla nemmeno sullo svolgimento dei mid-terms”.

Anche il ventenne Nicola, studente italiano di International Business presso la Chongqing University (Chongqing, municipalità autonoma che conta 30,5 milioni di abitanti, situata a 750 km da Wuhan), racconta che la situazione è migliorata in modo significativo soprattutto nelle ultime due settimane:

“Ieri sera sono andato al bar con i miei amici. Tuttavia ogni locale è ancora tenuto a misurarti la febbre all’ingresso, così come nei centri commerciali. Quest’ultimi, invece, sono tenuti a controllare anche il tuo via libera su WeChat [vedi sopra] per farti entrare. Invece, la maggior parte degli uffici in città sono stati riaperti da due settimane”. Nicola chiarisce che anche a Chongqing “tutti i quartieri sono tappezzati di addetti sanitari che gestiscono gli ingressi e le uscite dei vicinati. Fino a una settimana fa, era possibile uscire ed entrare dalla propria area residenziale solo una volta ogni due giorni, a giorni alterni. Adesso, fortunatamente, non c’è più un limite.” Quanto al contesto università, “tutti i dipartimenti sono ancora chiusi e non si hanno ancora notizie sull’inizio delle lezioni”. Nicola risponde alla mia ultima domanda dicendo che “la mia università, oltre ad averci fornito gratuitamente delle mascherine di tipo n95, ha anche lanciato un programma di assistenza psicologica gratuita per gli studenti in difficoltà.”

Un modello di cui le università italiane potrebbero senz’altro fare tesoro.

Ed infine un quarto amico che vive attualmente nel sud della Cina (ha preferito non essere intervistato e non rilasciare dati personali) mi ha inviato una fotografia di un salone di bellezza a Shenzhen, dove all’entrata si legge che il negozio “proibisce temporaneamente l’ingresso a coloro che hanno una temperatura corporea superiore a 37.3°C e agli amici stranieri”.

In altre parole, amici stranieri, con o senza febbre, non possiamo accogliervi. Decine di stranieri di ritorno in Cina (gran parte di loro sono lavoratori) sono infatti risultati positivi al test. Un capovolgimento di fronti nell’arco di poche settimane: in Cina lo straniero è diventato la nuova e, presumibilmente, ultima minaccia da tenere sotto controllo nella battaglia all’ultimo sangue contro il Covid-19.

Mattia del Vecchio

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata mondiale della meteorologia

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Il mondo è un bel posto e vale la pena combattere per esso.
(Ernest Hemingway)

Il 23 marzo si celebra la Giornata Mondiale della Meteorologia.

Istituita per commemorare la creazione dell’Organizzazione Mondiale della Meteorologia come parte delle istituzioni che compongono le Nazioni Unite, ricorda il contributo essenziale dei Servizi Meteorologici e Idrologici Nazionali.

Gli  obiettivi dell’Organizzazione Mondiale della Meteorologia, oltre alla promozione di scambi di informazioni, alla ricerca nel campo meteorologico e all’applicazione della meteorologia  all’agricoltura, ai problemi dell’acqua, all’aeronautica e ai trasporti, si focalizza moltissimo su una facilitazione della cooperazione internazionale per costruire una rete di stazioni, per mantenere economicamente centri di previsione del meteo e per effettuare rilevamenti geofisici, meteorologici e idrogeologici.

A sostegno di questi obiettivi, la Giornata Mondiale della Meteorologia organizza diversi eventi come conferenze, mostre e convegni durante i quali si incontrano leader mondiali, esperti nel campo e un pubblico di spettatori interessati ai temi trattati.

Molti di questi eventi mirano ad ottenere una maggiore visibilità da parte dei media per quanto concerne l’importanza della meteorologia, ora più che mai valido strumento di supporto alla risoluzione di drammatiche questioni ambientali che affliggono il pianeta e diversi premi per la ricerca vengono presentati (come, ad esempio, il Premio Norbert Gerbier-Mumm).

Ogni edizione di questa Giornata presenta un tema differente: quest’anno, il tema sarà “Climate and Water”, in concomitanza con la Giornata Mondiale dell’Acqua. Non c’è nulla di cui stupirsi, vista l’interconnessione tra cambiamento climatico e scarsità d’acqua.

Si tratta di un tema più che attuale e scomodo che apparentemente sembra interessare soltanto il Sud del Mondo e che, al contrario, possiede un’importanza strategica e geopolitica a tratti sbalorditiva. Nel 2050, circa 5 miliardi di persone potrebbero trovarsi in aree con risorse idriche esigue almeno una volta all’anno. 5 miliardi di individui non avranno un regolare accesso all’acqua. Riuscite a pensarci? Effettivamente non è una previsione che tranquillizza.

La soluzione in anteprima? Riciclaggio e sostenibilità a 360° sono ovviamente le parole chiave, ma anche opportunità economiche e sicurezza ai massimi livelli nella gestione idrica, insieme a una protezione maggiore dei depositi naturali di carbonio come foreste e oceani.

Tenetevi forte e non perdetevi quest’edizione. Dobbiamo imparare e mettere in pratica quanto appreso. Non possiamo più aspettare.

Clara Corvasce

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata mondiale dell’acqua

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“The earth, the air, the land, and the water are not an inheritance from our forefathers but on loan from our children. So we have to handover to them at least as it was handed over to us.” – Mahatma Gandhi

Oggi 22 marzo 2020 è la Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day), affrontare questo tema mi ha fatto venire in mente alcuni episodi della mia infanzia. Quante volte mentre eravate in bagno a lavarvi i denti, i vostri genitori dall’altra stanza vi dicevano di chiudere il rubinetto per non sprecare l’acqua? Oppure, chi di voi ricorda quando da piccoli le maestre ci spiegavano come rispettare il nostro ambiente?

Parlare dell’acqua e della sua importanza mi fa anche pensare a quando ero una Scout e in particolare a una frase del saggio Baden Powell: “Lascia il mondo un po’ migliore di come l’hai trovato”. Questa frase mi fa riflettere su quanto sia fondamentale rispettare le risorse che il nostro pianeta ci ha donato, l’acqua è un patrimonio per gli esseri umani, è un elemento da cui dipendiamo e di cui siamo composti.

Come non celebrarla? Così nel 1922 le Nazioni Unite fissano una Giornata mondiale dell’acqua (World Water Day). L’intento è quello non solo di celebrare l’elemento acqua, ma ancor di più interrogarsi sulle relative problematiche quali possono essere: l’accesso all’acqua potabile, disponibilità per tutti di servizi igienico-sanitari, la sostenibilità degli habitat acquatici, salvaguardia del ciclo naturale dell’acqua ecc.

Il 22 marzo di ogni anno gli Stati membri dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si riuniscono per promuovere attività concrete, inerenti all’acqua, nei loro rispettivi Paesi. Alla Giornata viene dato sempre un tema diverso, quest’anno il World Water Day sarà sull’acqua e i cambiamenti climatici e su come i due sono estremamente connessi. Infatti i cambiamenti climatici aumentano la variabilità del ciclo dell’acqua, inducono a disastri ambientali e riducono la prevedibilità della disponibilità della risorsa.

Per farvi alcuni esempi, in Messico solo una parte della popolazione ha accesso all’acqua potabile e una lattina di Pepsi costa meno di una bottiglietta d’acqua.

In Medio Oriente e nella regione del Nord Africa risiedono la maggior parte dei Paesi a rischio idrico, secondo l’ultimo aggiornamento dell’Atlante-Aqueduct Water Risk.

L’India, vive contemporaneamente un’emergenza sia livello idrico che a livello nutrizionale, causata soprattutto dal fatto che l’acqua viene estratta per l’irrigazione, in particolare per il prodotto nazionale, il riso.

Il Word Water Day è anche una giornata che deve servire a sensibilizzare gli animi della popolazione mondiale. Il cambiamento climatico così come le problematiche legate all’acqua sono argomenti che generalmente intimoriscono, ma ognuno di noi può fare la differenza. Informiamoci, usiamo in modo intelligente l’acqua, non sprechiamola, assicuriamoci di tramandare il messaggio alla parte più giovane della popolazione, che un domani potrà fare la differenza.

Il nostro pianeta è il nostro mondo, l’acqua è uno degli elementi che fa sì che ogni giorno il miracolo della vita avvenga, non possiamo permetterci di aspettare!

Vorrei lasciare uno spunto di riflessione su una frase di Publio Ovidio Nasone:

“Che c’è di più duro d’una pietra e di più molle dell’acqua? Eppure la molle acqua scava la dura pietra”

L’acqua stessa ci insegna come le cose in apparenza impossibili possano divenire realtà, così l’uomo deve essere acqua e con costanza e perseveranza tracciare la via del miglioramento.

 Pasqualina Florio

Fonti:                                                                                         https://www.unwater.org/publications/un-water-policy-brief-on-climate-change-and-water/learn

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale

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21 Marzo: Giornata Internazionale per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale

Oggi, 21 marzo, è la giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale, istituita nel 1966 dalla Nazioni Unite. È quindi la giornata per celebrare l’umanità, gioire delle differenze etnico-culturali che ci sono tra i vari Paesi e che rendono il mondo così variopinto e colorato. Ma che cos’è la discriminazione razziale? Perché l’ONU ha scelto proprio il 21 marzo per celebrarla? C’è qualcosa che noi, nel nostro piccolo, potremmo fare per aiutare nell’impresa? Ebbene, questo articolo cercherà di rispondere a queste domande. Andiamo con ordine.

Che cos’è la discriminazione razziale? Se cerchiamo sulla Treccani la definizione di questi due termini, in entrambi troviamo il riferimento all’altro. Paiono inseparabili, esiste sempre una discriminazione di tipo razziale, e razziale può sempre far riferimento alla discriminazione. In breve, possiamo riassumere il concetto della discriminazione razziale con il termine a cui sempre associamo pensieri negativi, momenti bui della storia: razzismo. Il razzismo è l’idea della divisione umana in base a razze, ossia a gruppi etnici, culturali e/o religiosi; in questa divisione in razze, secondo la definizione del razzismo, alcune sono superiori ad altre. In breve, razzismo implica una gerarchia tra razze, ossia tra etnie e culture. La storia è costellata di esempi di razzismo, noi stessi rabbrividiamo al pensiero, e infatti nel 1950 l’UNESCO, tramite la Dichiarazione sulla razza, ha negato ufficialmente (pensate, c’è stato bisogno di giungere alla formulazione di un decreto internazionale) qualsiasi connessione tra il DNA di un individuo (e quindi il colore della pelle, dei capelli, degli occhi… in breve, tutti quei caratteri fenotipici studiati grazie a Mendel) e le sue proprietà intellettuali (lingua, pensieri, ideologie, ecc). Si rifà un po’ agli studi di Lévi Strauss, rielaborati dall’antropologo nel suo saggio “Razza e Storia”, dove asseriva che le probabilità che due individui appartenenti a culture diverse avessero un DNA simile erano più alte che quelle di due individui della stessa cultura. Ce ne abbiamo messo di tempo noi, in quanto umanità, a renderci conto che non è il colore della pelle o la forma degli occhi a definire il nostro carattere: d’altronde il mondo globalizzato in cui viviamo, con le città multiculturali che emergono, ce lo sbattono in faccia ogni giorno. Quante volte un individuo con caratteristiche fenotipiche cinesi parla meglio l’taliano (perchè è italiano!) meglio del cugino di quinto grado il cui nonno era espatriato nel Brasile e che della cultura italiana sa poco o niente?

Purtroppo però il prezzo pagato per giungere a tali conclusioni è stato enorme: la storia ha visto susseguirsi diversi casi di razzismo, dal genocidio armeno a quello degli ebrei, dall’apartheid alla segregazione razziale degli Stati Uniti d’America, e molti altri esempi che potremmo citare, e altri ancora che magari, ad oggi, non sono ancora perpetrati. La razza forte, la cultura dominante, l’etnia che prevale, tende a soggiogare quella più debole (minoritaria, meno diffusa su quel territorio). È proprio la ricorrenza dell’anniversario di uno di questi eventi che l’ONU ha preso come giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale. Il 21 marzo 1960, 300 poliziotti bianchi, in Sudafrica, uccisero 69 manifestanti che protestavano contro l’Urban Areas Act. Tale decreto prevedeva l’obbligo dei cittadini di colore di esibire un permesso speciale nel momento in cui accedevano alle aree del Paese riservate ai bianchi. Siamo nell’ambito dell’apartheid, l’ennesimo esempio di segregazione razziale, una ghettizzazione a cui erano costretti soltanto gli abitanti di colore, colpevoli in breve di non essere nati bianchi, e non degni quindi di vivere come loro.

Ogni anno l’ONU, in occasione del 21 Marzo, si concentra su una determinata tematica di natura discriminatoria da affrontare. Negli anni precedenti, ad esempio, si è concentrato sul promuovere tolleranza e rispetto per la diversità, sulla lotta alla xenofobia e all’intolleranza. L’edizione del 2020 invece si concentra sul fare il punto della situazione nell’ambito delle popolazioni africane. Nel 2015 infatti è stata firmata tra i vari Stati la carta del Decennio per le popolazioni Africane, che prevede un aiuto ai Paesi più poveri di questo continente, sempre nell’ottica di uno sviluppo e riconoscimento paritario tra i vari Stati. In breve, l’ONU cerca sempre più di promuovere tolleranza e spirito di uguaglianza, in una realtà internazionale globalizzata e realtà nazionali multiculturali, dove l’incontro tra varie culture fa la forza.

Che cosa possiamo fare noi nel nostro piccolo per promuovere questo spirito? È semplice: la prossima volta che ci troviamo di fronte qualcuno diverso da noi, che parla un’altra lingua, crede in un Dio diverso, mangia e vive in maniera diversa, non discriminiamolo. Condividiamo le nostre culture, impariamo ad apprezzarci a vicenda e, magari, riusciremo a diventare interculturali, ad avere più punti di vista sulla stessa tematica, ad accrescere il nostro bagaglio culturale.

La Terra è una sola, ma è variopinta e meravigliosa nelle sue varie sfumature, sarebbe un peccato non imparare ad apprezzarle tutte.  

Emanuela Batir

#QUELLOCHECIUNISCE: Giornata internazionale del Nowruz (Capodanno Persiano)

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Nowruz, capodanno in Iran

Venerdì 20 marzo, alle 4.49 del mattino (ora italiana), il sole entra nella costellazione dell’Ariete: è l’inizio di un nuovo ciclo astrologico, è l’inizio della primavera.

In Iran si festeggia il capodanno, Nowruz, “nuovo giorno”, le cui radici preislamiche ne fanno una ricorrenza antichissima, retaggio della tradizione zoroastriana. Nowruz è una festa talmente radicata nella cultura iraniana da essere risultata immune ai tentativi post-rivoluzionari di cancellarla dal calendario delle festività della Repubblica Islamica.

La tradizione vuole che le celebrazioni comincino dodici giorni prima del capodanno, con una pulizia approfondita della casa, che viene liberata da ogni inutile disordine e sporcizia per fare posto a quello che verrà nell’anno nuovo. Molteplici sono le usanze che gravitano attorno a questa ricorrenza: dall’Haft-Sin, la tavola imbandita simbolo di Nowruz, al Chaharshanbe Surì, la festa del fuoco, passando per l’apparizione per le strade di Hajji Firuz, una sorta di Babbo Natale persiano.

L’Haft-Sin è sicuramente l’emblema di Nowruz, una tavola imbandita su cui trovano posto sette oggetti i cui nomi in persiano, iniziano tutti con la lettera “s”. Sabzeh, una pianta di grano come simbolo di verde, natura e rinascita; Samanu,un dolce budino a base di germe di grano che simboleggia il potere e il coraggio; Senjed, olive persiane secche che simboleggiano la saggezza; Seeb, mele per augurare la salute; Somaq, le bacche tipo datteri che significano pazienza e tolleranza; Serkeh, l’aceto per l’azione disinfettante e la pulizia; Sir, l’aglio simbolo della medicina. Figurano sulla tavola anche le uova dipinte, simbolo di prosperità, e i pesci rossi, che rappresentano la vita che scorre.

La sera dell’ultimo martedì dell’anno ha luogo la festa del fuoco, Chaharshanbe Surì. Per tutta la città vengono accesi dei piccoli fuochi su cui la tradizione vuole si debba saltare, recitando la frase:”Dammi il colore rosso e prenditi il giallo del mio pallore”. Le ceneri poi, simbolo di ciò che triste e doloroso l’anno precedente ha riservato, vengono sepolte lontano dalle case.

Ghashogh-Zani è un’altra tradizione legata alla festa del fuoco, che prevede che le persone si coprano da capo a piedi, portando con se pentole e utensili con cui fare rumore, fermandosi casa per casa, guidate dalle luci dei falò, a chiedere dolci e cibo.

Chaharshanbe Surì simboleggia la purificazione, il passaggio dal freddo e dall’angoscia dell’inverno alla rinascita primaverile; è con questo rito che gli iraniani danno il benvenuto all’anno nuovo.

Durante tutto il periodo dei preparativi e dei festeggiamenti fa la sua apparizione per le strade Haji Firouz, una sorta di babbo Natale, vestito di rosso e con il volto colorato in nero, che suona il suo tamburino,“Darie”, rallegrando i passanti e augurando loro buon anno.

I festeggiamenti culminano il tredicesimo giorno dell’anno nuovo, in cui si celebra Sizdah bedar, che dal farsi possiamo tradurre come “13 all’aperto”. È tradizione festeggiare questa giornata all’aperto, lontano da casa, immersi nella natura, in un’atmosfera gioiosa e spensierata. In questo modo viene scongiurata la visita degli spiriti malvagi, che non trovando nessuno a casa, sono costretti ad andarsene. I germogli usati per il Sabzeh dell’Haft-Sin vengono gettati nell’acqua di un fiume, gesto che simboleggia la volontà di liberarsi della negatività accumulata fino a quel momento.

Terminano così i festeggiamenti di Nowruz, tra canti e balli, sotto il nuovo sole primaverile e le speranze che porta con sé.

Nowruz è famiglia, l’occasione per riunirsi con i propri cari e le persone amate, e lasciarsi alle spalle quanto di spiacevole c’è stato prima.

Nowruz é rinascita, è la tenebra che lascia spazio a una nuova luce, a una rinnovata fiducia e un fresco ottimismo di un nuovo inizio.

Quale periodo migliore di questo per tornare a sperare?

Sal-e no mobarak a tutti!

Chiara Palumbo

#QUELLOCHECIUNISCE: Papà mi ha insegnato a…

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Oggi è la festa del papà. Una data per ricordare il loro lavoro, il bene che ci hanno trasmesso, i sacrifici che hanno fatto per renderci le persone che siamo oggi. Per alcuni è stata anche la prima parola. “Papà!”.

Papà è quella figura che torna a casa a tardi, stremato dal lavoro, con cui passi poche ore nell’arco della giornata, nella settimana. E allo stesso tempo è quella persona che nei weekend quando era di riposo, ci dedicava tutto il suo tempo libero, per rubarci un sorriso. 
Papà è quella persona che ci sarà sempre, che farà di tutto per renderti felice e che mette la tua felicità prima della sua.
Negli anni crescendo non ci rendiamo conto della fortuna che abbiamo ad averlo presente nella nostra vita. Eppure, c’è sempre, in ogni momento. Ed è per questo che voglio dirti papà, grazie, perché qualunque percorso io vorrò intraprendere, spero di diventare proprio come te.
Nisrine

Papà mi ha insegnato ad andare in bici, mi ha insegnato trucchi per ricordarmi le tabelline, mi ha spiegato come usare la frizione e come guidare, mi ha mostrato come usare bene la Canon per fare le foto. Papà mi ha insegnato ad apprezzare le persone che ho intorno, a coltivare le amicizie, anche a distanza, a sorridere con coloro a cui voglio bene, ridere e divertirmi. Papà mi ha insegnato che la vita è meravigliosa, nonostante tutto e tutti, e per questo voglio ringraziarlo. E dirgli che mi manca, e che non vedo l’ora di riabbracciarlo.
Emanuela

Papà mi ha insegnato ad affrontare le sfide della vita.
Mi ha insegnato che le difficoltà vanno accolte, prese per mano, dopo essersi rimboccati le maniche e poi, attraversate.
Mi ha insegnato a lasciarmi guidare dalla fiducia nelle mie capacità e dall’amore della mia famiglia, mantenendo i piedi ben saldi al terreno, ma lo sguardo sempre fisso verso qualcosa di più grande ed inafferrabile.
Mi ha insegnato a perdonare i torti subiti e a tollerare le ingiustizie, perché la gentilezza e l’accoglienza sono le armi più potenti che ci possano difendere.
Papà mi ha insegnato ad essere responsabile delle mie scelte, a portare a termine i miei compiti e le mie decisioni, ad essere sempre fiera dei traguardi ottenuti, puntando poi ogni volta più in alto.
Mi ha insegnato ad avere paura senza sentirmi sola, a stare sola senza sentirmi fragile, ad essere fragile senza averne paura.
Sara

Quando penso al mio papà, mi commuovo sempre un po’: non trovo mai le parole giuste per dirgli e spiegargli il bene che gli voglio (forse perché un bene così grande è impossibile da descrivere a parole).
Lui che mi ha insegnato a ridere di ogni problema, che mi ha dato questo nome simbolo di allegria e che, quando da piccola dovevo essere cullata, mi faceva ballare.
Caro papà, che queste poche righe siano anni di “ti voglio bene” persi, rinchiusi in caratteri molto solari, ma al contempo chiusi come i nostri e soprattutto, caro papà, per quanto possa allontanarmi da te, ricorda che sarò sempre la tua bambina.
Grazie per essere il mio grande piccolo principe.
Tatina (Ilaria)

Papà è la colonna portante della mia vita, mi ha insegnato il valore della famiglia e dell’unione, a guardare ogni situazione sempre con positività.
Il mio papà è una persona molto forte, è stato anche una mamma ed è il mio migliore amico; mi ha insegnato ad assaporare le cose semplici della vita come un sorriso, a godermi ogni attimo di felicità, a lottare per le mie ambizioni e a rialzarmi quando tutto sembrava essere perduto.
Mi ha insegnato ad essere umile sempre, ad ascoltare gli altri, ad amare e abbandonare i rancori. Il mio papà è un eroe che mi ha insegnato lo spirito del sacrificio, a non dare per scontato niente e a non aver paura del buio perché in fondo ci sarà sempre la luce.
Ti amo papà!
Lina

Mio padre mi ha insegnato a non mollare mai e soprattutto a combattere con tutte le nostre forze qualsiasi ostacolo la vita ci metta di fronte.  Giuseppe

Papà mi ha insegnato a non arrendermi mai, nemmeno quando sembra non esserci una via d’uscita.
Papà mi ha insegnato che le emozioni e i sentimenti non sono “da deboli”.
Papà mi ha insegnato che le donne sono attori validi nella società esattamente come gli uomini.
Papà mi ha insegnato che posso essere quello che voglio.
Papà mi ha insegnato ad avere il coraggio di cambiare le carte in tavola e a non avere un atteggiamento passivo nei confronti della realtà.
Grazie di tutto.
Clara

Papà mi ha insegnato a essere forte e libera.
Che non bisogna per forza essere in due per accendersi un mutuo e comprarsi casa.
Che se ce la fanno gli altri puoi farcela anche tu, consapevole di quelle che sono le tue capacità, guardando sempre avanti.
Che non importa se voglio viaggiare in compagnia o da sola, se sono fidanzata o single, se ho desiderio di avere una famiglia o al momento solo l’idea mi fa rabbrividire.
Più di una volta ho sentito dirgli “i figli non sono nostri”. Nel senso stretto del possesso.
Papà mi ha insegnato che se voglio posso raggiungere i miei obiettivi, qualsiasi essi siano.
Giulia

Papà mi ha insegnato ad amare le piccole cose.
Che qualche volta, quando vado a fare compere, prendere un cartoccio di caldarroste per le strade di Roma in compagnia di una persona a cui voglio bene o di me stessa vale più di tutto quello che ogni volta porto a casa nelle mie buste.
Che certi momenti sono più tangibili di certi oggetti.
Che per i libri avrei potuto chiedere sempre.
Che prosciutto e mozzarella vanno tagliati bene o rischi di strozzarti. E che se mi fosse successo a tavola con il Papa o con la Regina Elisabetta non avrei dovuto badare a formalismi, ma solo a me.
Una mattina, mentre percorrevo il vialetto costeggiato di aranci verso scuola, mi ha chiesto di tornare da lui. E mi ha detto: “Non è necessario che la persona che sceglierai di avere al tuo fianco abbia un bell’aspetto. Ma una bella mente sì. Necessariamente.” Così sarei stata felice; avrei potuto parlarci per sempre.
E poi mi ha insegnato ad accettare le persone per come sono e non per come vorrei che fossero. A capire che la sua assenza a volte era semplicemente la sua essenza. E che alcune apparenti assenze celano le più forti presenze.
Federica