#MondayAbroad

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Se chiudo gli occhi sono a… Istanbul!

Carissimi amici e colleghi viaggiatori,

siamo nuovamente alla ricerca di fonti d’ispirazione che ci consentano di viaggiare anche solo per un secondo verso qualsiasi genere di destinazione, che sia questa lontana e sconosciuta, o vicina e familiare.

Oggi vi consiglio di lasciarvi trasportare dal racconto di una bloggheggiante (ho coniato questo termine qualche tempo fa per riferirmi ai partecipanti al nostro meraviglioso UNINTBlog) di fiducia: Evelyn, mamma della fantastica rubrica in collaborazione con RadioUNINT #LoSapevateChe!

La nostra protagonista odierna è una ragazza molto curiosa e disponibile, che si è dimostrata da subito interessata a condividere con me (e con tutti Voi) la sua avventura in una delle città più importanti della Turchia: Istanbul!

Parto col dire che il suo entusiasmo pervade in ogni sua parola, quindi spero vivamente di portare onore alla sua esperienza: Evelyn ha visitato più volte la Turchia e Istanbul, dunque, come possiamo immaginare, conosce veramente molto di questo paese, di questa città e della cultura di per sé.

Mi è praticamente impossibile riportare in un solo articolo tutte le curiosità che mi ha narrato, ma proverò comunque a riportare quelle che mi hanno richiamato maggiormente l’attenzione.

Evelyn ha soggiornato nella parte asiatica, molto diversa da quella europea, sia in termini architettonici, sia in termini culturali: con una semplice passeggiata, ci si può rendere conto delle differenze anche solo nell’approccio al turismo (in genere, chi visita la città, tende a focalizzarsi nella sponda europea, dove si possono trovare le moschee più famosi e i numerosi bazar tipici del luogo); ciononostante, secondo lei, la parte migliore della città è quella asiatica, in quanto ritenuta più vera, storica e tradizionale (pensate che solo nella parte asiatica è possibile ammirare una favolosa chiesa armena nei pressi di una moschea!).

L’amore per la cultura, il territorio e il paesaggio turco l’hanno spinto a visitare questi luoghi più volte: “mi hanno sempre insegnato a vedere Istanbul come il perfetto incontro tra Oriente e Occidente” […] “ricordo che ho avuto la prima vera occasione di visitarla bene quando avevo circa 16-17 anni. Da quel momento ho iniziato a innamorarmi sempre più… figurati che, solo l’anno scorso, sono andata due volte!”

Per quanto riguarda l’aspetto culinario, Evelyn mi racconta del tipico odore di kebab che puoi assaporare lungo le strade… una delizia per il palato!

Rispetto alla cultura, la nostra bloggheggiante tiene molto che venga riportata la grande apertura mentale e sociale riscontrata nel popolo turco: “loro si sentono vicini, in qualche modo… ci sono molte correnti di pensiero che affiancano Istanbul a Roma, per esempio! Inoltre, piccola curiosità, ho notato che nelle loro librerie sono presenti molti libri italiani! È molto interessante vedere come sentano vicina una cultura che, comunque, riporta molte differenze rispetto alla loro.”

“Ho sempre trovato persone pronte a raccontarsi e a raccontare la loro storia, magari davanti a un tè, con ospitalità e orgoglio: credo che queste due ultime parole siano caratteristiche fondamentali per descrivere il loro passato e i loro trascorsi e lo dimostrano in molte occasioni.”

Evelyn mi racconta, inoltre, di un forte senso di attaccamento alla storia, alle tradizioni e anche a determinati beni materiali: si cerca, per esempio, di rimanere sempre nella stessa casa, proprio come se anche le mura facessero parte della famiglia e fossero parte fondamentale per la costruzione dei loro ricordi.

Passiamo, invece, alle meraviglie per gli occhi: in primis, la moschea di Santa Sofia (adibita a museo fino a poco tempo fa) e la moschea blu, la più famosa e l’unica con sei minareti, capace di suscitarti emozioni molto difficili da provare in altre occasioni grazie alla sua aurea di potenza e le sue decorazioni interne; palazzo Topkapi, il palazzo dei sultani ottomani, ottimo escamotage per immergersi in tutta la storia dell’Impero, molto diverso dalla nostra architettura, in quanto è composto da due costruzioni, una interna e una esterna, le quali compongono una piccola città imperiale (curiosità: si dice che proprio all’interno del museo è conservato il bastone col quale Mosè divise le acque nel passaggio sul Mar Rosso); la moschea di Solimano, preziosa soprattutto per la sua vista, dalla quale si può ammirare tutto lo skyline della città; il Gran Bazar, il mercato coperto più grande del mondo, definito come un labirinto con (almeno) 4000 negozi, tanto da dover essere tutti numerati per facilitare l’orientamento dei negozianti stessi all’interno (non voglio immaginarmi il Black Friday in un luogo del genere…); il Bazar delle Spezie, dove vengono vendute maggiormente le spezie, oltre ai cibi tipici; la Kalaba, zona della città, a parere di Evelyn, paragonabile a Montmartre a Parigi, in quanto molto artistica, dove ci si può lasciar ispirare dall’arte grazie a tante piccole boutique e quadri appesi agli edifici; la Torre di Galada, conosciuta anche come la Torre dei Genovesi, in quanto è stata costruita da mercanti italiani di Genova (belin che bel!), punto migliore per ammirare la città dall’alto; infine Piazza Taksim e Istiklal Caddesi, un viale gigantesco, dove sono presenti le grandi marche europee e che si può definire come tra le zone più alla moda della città.

Concludiamo l’articolo con l’ultima domanda: merita tornare?

“Assolutamente sì: è un luogo che mi può dare ancora molto e che sento che devo ancora finire di scoprire; se ho capito qualcosa, è che il mix culturale che puoi trovare al suo interno, ti consente di lasciarti trasportare dall’irrazionalità della città. Se il 2021 me lo concederà, ci ritornerò sicuramente”.

Allora? Che cosa aspettiamo a partire?

Ilaria Violi

#MondayAbroad

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Se chiudo gli occhi sono a… Tokyo!

Care lettrici e cari lettori,

immagino che tutti voi vi stiate scontrando con le infelici regole da seguire per Capodanno. Parlando con i miei coinquilini su cosa fare e cosa evitare, sono venuta a conoscenza di un bellissimo viaggio che ha coinvolto uno di loro.

Il suo nome è Francesco, ha 19 anni e attualmente frequenta il corso L-12 all’UNINT. Francesco arriva da Gioia Tauro, in Calabria, e per i suoi 18 anni ha chiesto ai genitori di regalargli un biglietto per il Giappone. Questa richiesta nasce come una sorta di atto di ribellione alle classiche cerimonie sfarzose per festeggiare la maggiore età: invece che grosse torte e abiti eleganti, non è meglio un bel viaggio?

Per questa ragione, nel dicembre 2019, Francesco è decollato alla volta del Giappone ed è tornato 10 giorni dopo, a gennaio. Per l’organizzazione si è rifatto ad un’agenzia di viaggi di Siena, gestita da alcuni famosi youtuber che due o tre volte l’anno partono con un gruppetto di circa 30 persone.

Arrivato a Tokyo, Fra ha capito subito che era una città completamente diversa rispetto a quelle a cui siamo abituati noi in Europa. La modernità, che comunque si aspettava di trovare, era intervallata e in netto contrasto con alcuni edifici e luoghi di culto che architettonicamente si rifanno a tempi più antichi. Che poi con “antichi” non pensiate che mi riferisca ad un periodo molto lontano: spesso, in questo Stato, gli edifici crollano a causa di varie calamità naturali e vengono ricostruiti identici a prima, perciò le strutture più vecchie non avranno più di 50 anni. Un’altra peculiarità del popolo giapponese è l’estremo rigore e precisione che si può osservare passeggiando tranquillamente per le vie. Così abituati a tutto questo ordine, rimangono spiazzati quando qualcosa va fuori posto (come nel caso di una piccola frana che ha bloccato il traffico di un intero paese).

Questi 10 giorni di viaggio, sono stati scanditi da diverse visite ai siti più importanti della capitale e gli spostamenti erano accompagnati da alcune guide locali parlanti italiano. Nonostante il gruppo fosse davvero eterogeneo (il range di età andava dai 18 ai 30 anni), sono nati legami profondi che ancora oggi vengono coltivati. Le differenze di età, professione, etnia e quant’altro sono state annullate dal desiderio comune di scoprire una nuova cultura ed esplorare tradizioni distanti dalle nostre.

Ma veniamo al tanto temuto Capodanno: per questa occasione, l’agenzia aveva prenotato una sala ad esclusivo uso dei partecipanti al viaggio, poiché nei piccoli ristoranti giapponesi solitamente non sono concepite tavolate da più di 4 persone. La serata è trascorsa tra abbuffate, brindisi e balli… fino ad arrivare al karaoke! Dovete sapere che Francesco è un ragazzo abbastanza timido, non è il classico “animale da palcoscenico”, ma dategli in mano un microfono e passerà la notte a cantarvi “Don’t stop me now”.

Questa è stata la sua mezzanotte e noi vi auguriamo che la vostra possa altrettanto entusiasmante e vi faccia urlare a squarciagola:

“Tonight I’m gonna have myself a real good time. I feel alive!”

Giulia Giacomino

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Se chiudo gli occhi sono a… Berlino!

Sono le 10 dell’ennesimo giovedì di lockdown e, detta tra di noi, vorrei proprio essere altrove: vorrei provare nuovamente quell’adrenalina che si ha prima di un viaggio, quando la valigia sembra sempre troppo piccola e hai la sensazione che ti stai dimenticando qualcosa, quando devi ancora partire, ma la tua testa è già arrivata, quando ripensi a quante avventure hai già vissuto, anche se ti rendi conto che molte altre ti attendono ancora.

Sono le 10 dell’ennesimo giovedì di lockdown e, certo, magari non ho un biglietto in mano, ma ho Lorenzo che mi aspetta dall’altra parte del suo pc per raccontarmi una storia, trasportarmi nel suo viaggio con lui e io, cari amici, sono molto curiosa di ascoltare quest’avventura.

Chiacchierare di mattina non è sempre facile (un coffee pls!), ma la sua parlantina e la sua simpatia ti sanno coinvolgere talmente tanto che non vedo l’ora di ascoltare ciò che ha da dirmi.

Se Lorenzo chiude gli occhi, torna alla sua Berlino del 2018, la vacanza estiva che gli ha rubato il cuore e che, oggi, vi propongo.

Secondo lui, Berlino è una città con “cicatrici molto forti”, visto che è una metropoli nuova e moderna, decisamente atipica rispetto alle sue colleghe capitali europee, che si erge su un passato che sembra ancora riecheggiare lungo le sue strade. Proprio questo suo essere così diversa è ciò che maggiormente colpisce il nostro protagonista: grazie al giro turistico proposto dalla guida, Lorenzo è entrato a conoscenza di un passaggio, all’apparenza segreto e anche un po’ losco, che lo conduceva al ghetto ebraico… una meraviglia per gli occhi (visitare per crede ;)).

Berlino è anche un centro fondamentale per la storia moderna: il museo del terrore, ottimo per i forti di cuore e per chi è amante della storia e della verità, è il museo fondato sulla sede del quartier generale della Gestapo. Si presenta come un edificio grigio e triste, cupo e malinconico, il cui obbiettivo sembra essere quello di farti toccare con mano la storia di una tragedia e di farti rendere conto della realtà che regnava sovrana non troppo tempo fa.

Un altro punto cardine della città è la lapide del muro, ossia una lapide che riporta i nomi e i profili di tutti coloro che hanno cercato di scavalcare il famoso muro da est a ovest, “un monumento creato per ricordare e mai dimenticare. Senz’altro è stata una visione che mi ha provocato un notevole impatto”.

Per quanto riguarda la cucina, Lorenzo afferma che è molto semplice mangiar bene e la metropoli propone un’ampia scelta di culture; tuttavia si diverte comunque a nominare il Currywurst (dall’unione di curry e bratwurst, termine tedesco per salsiccia), un tipico cibo da strada nato in Germania, ma diffuso anche in Austria e in Svizzera. Si tratta di una salsiccia grigliata (o, in altre varianti, bollita) e tagliata a rondelle, condita da una salsa a base di concentrato di pomodoro o ketchup, spolverata di curry, e accompagnata da pane bianco o patate fritte.

Giungiamo alla conclusione della chiacchierata: Lori, merita tornare a Berlino?

Certo, non vedo l’ora di tornarci: oltre a essere sicuro che potrà mostrarmi e insegnarmi ancora molto, sarei contento di portarci anche la mia fidanzata!

Ringrazio molto Lorenzo per la sua disponibilità e vi invito a seguire la rubrica di sport di RadioUNINT, in onda tutti i martedì sui canali social ufficiali dell’iniziativa.

Che dire, amici, ringrazio molto anche voi per continuare a sognare con me finché non torneremo a viaggiare veramente!

Un besito,

Ilaria Violi

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New York, New York…

Salve cari lettori e care lettrici, come state?

Come ogni lunedì il compito mio e di Ilaria è quello di trasportarvi con la mente in un altro luogo, che forse avete già visitato o forse no.

Questa volta sarà Elena ad aiutarci a svolgere questo incarico: una ragazza milanese che ha deciso di venire a studiare a Roma, iscrivendosi al corso di Laurea Magistrale in Interpretariato e Traduzione.

Precisamente un anno fa, a novembre 2019, la situazione internazionale era molto diversa e ci si poteva muovere liberamente da uno Stato all’altro. Elena, in questo periodo, ha deciso di fare le valige e partire oltreoceano per un viaggio di 15 giorni: alla volta di Washington e New York. 

Ele mi racconta che tutto è iniziato grazie all’adesione ad un progetto MUN (Model United Nation), che le ha permesso di partecipare a una simulazione su come lavorano i comitati dell’ONU. Con lei, altri 19 ragazzi da tutta Italia hanno preso parte a questa esperienza. Quando Elena parla di loro, lo fa ancora con una luce negli occhi che riflette la bellezza dei momenti passati insieme.

La prima tappa di questo viaggio è stata Washington, dove si è tenuta la simulazione. Nei 9 giorni trascorsi in questa città, il gruppo ha avuto modo di visitarla a pieno e il luogo che più è rimasto impresso è il Campidoglio. Per chi non lo sapesse: il Campidoglio è un enorme edificio in stile neoclassico che funge da sede ufficiale per i due rami del Congresso degli Stati Uniti d’America. Come non trovarsi spiazzati di fronte a tanta imponenza e candore?

Per la seconda e ultima tappa, al contrario, Ele e il suo gruppo si sono spostati nella “Grande Mela”: New York. Questa immensa città piena di grattaceli è riuscita ad entrare in breve tempo nel suo cuore. Si percepiva già l’atmosfera natalizia e la pista di pattinaggio del Rockfeller Center cominciava ad essere montata, inserendosi in una cornice di calde luci colorate. A Broadway hanno avuto la fortuna di assistere al musical Il fantasma dell’Opera, che è riuscita a coinvolgerli e a emozionarli.

Ma quello che assolutamente non dovete perdervi se passate per New York è il “National September 11 Memorial and Museum”. Vi avvertiamo che vi occorreranno dei fazzoletti per visitarlo: il museo è talmente realistico e toccante che è impossibile per qualsiasi visitatore evitare di commuoversi (non vi preoccupate: in caso ve li dimenticaste, sappiate che in ogni stanza ne troverete una scatola apposta per voi).

Alla domanda “torneresti a Washington o New York?”, Elena non ha dubbi: a New York pensa ci sia ancora tanto da vedere e, se potesse, ripartirebbe domani.

Giulia Giacomino

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Se chiudi gli occhi mi ritrovo a…Cracovia

Ultimamente, mi capita di passare le mie giornate con una ragazza tanto premurosa, tenera e a tratti esplosiva: il suo nome è Sofia.

Io e lei ci conosciamo da poco, ma l’impressione (per lo meno la mia) è di conoscersi da molto più tempo. Frequentando entrambe LM-52, il nostro primo incontro è avvenuto in un’aula dell’Università.

Oggi, come molti altri giorni, siamo davanti ad un caffè, rigorosamente decaffeinato, che sorseggio mentre l’ascolto parlare del suo Erasmus.

Sei mesi prima del tanto temuto ed odiato lockdown di marzo, Sofia, ex studentessa di psicologia, è partita alla volta della Polonia: in particolare, ha avuto la fortuna di abitare a Cracovia. Una città che subito definisce “della dimensione giusta”, in cui è facile muoversi e in cui non sembra mai mancare niente. Insomma, Cracovia viene dipinta come un posto in cui ogni studente riuscirebbe a trovare uno spicchio di felicità: sia dal lato economico, poiché la vita lì non è affatto cara, sia da quello della propria sicurezza. Probabilmente a tutte le ragazze che leggono il nostro blog sarà successo, almeno una volta, di non sentirsi a proprio agio a tornare a casa da sole, soprattutto a certi orari. Questo a Sofi, durante la permanenza in questa città, non è mai successo: provare per credere!!

In questo periodo passato all’estero, ha imparato ad amare Cracovia in tutte le sue contraddizioni. Infatti, mi racconta di come sia rimasta sorpresa nel notare che ci sono quartieri molto diversi tra loro: per esempio, il quartiere industriale di Nowa Huta è caratterizzato da edifici tutti uguali, rigorosi e monotoci, in cui si percepisce bene l’idea della povertà, ma che entra in netta contrapposizione con il centro della città sviluppato intorno alla piazza principale, la Rynek Główny… lì sembra tutto molto più curato e fiabeggiante! L’apice lo si raggiunge nel periodo natalizio, quando la città viene inondata di luci e magia. In quel momento, guardandoti intorno, sembra tutto perfetto: Cracovia si trasforma in una di quelle piccole città fatte apposta per rimanere rinchiuse in una palla di vetro con la neve dentro, che qualche bambino prontamente scuoterà.

Uno dei posti del cuore di Sofi è sicuramente la passeggiata lungo il fiume Vistola: ogni giorno percorreva questa strada che collegava casa sua con l’Università di Cracovia e mi spiega quanto fosse rilassante passeggiare con gli auricolari alle orecchie e la musica ad alto volume… neanche il freddo polacco e il tramonto delle 15.00 del pomeriggio potevano impedirle di prendersi questo momento per sé!

Se dovesse avere l’opportunità di tornarci, non ci penserebbe due volte e salterebbe sul primo aereo. Quindi, se ancora non avete deciso la vostra prossima meta, inserite anche Cracovia nella lista dei posti da visitare e fateci sapere che emozioni vi suscita.

Giulia Giacomino

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#MondayAbroad se chiudo gli occhi sono a… San Pietroburgo!

Cari amici e colleghi,

continuano a essere tempi duri per chi, come noi, ha questo grande desiderio di evadere dalla realtà quotidiana disperdendosi in una delle infinite mete che il mondo ci offre.

Tra le nuove misure di contenimento e l’arrivo della stagione sempre più invernale, è sempre più prorompente la voce che riecheggia dentro alle nostre teste: quando torneremo a viaggiare con l’adeguata spensieratezza che un tempo ci caratterizzava?

Ovviamente, non so la risposta certa, ma so che se stringiamo i denti e ricordiamo l’importanza di pochi semplici gesti (tra questi l’utilizzo della mascherina e un corretto lavaggio delle nostre mani), i nostri occhi potranno meravigliarsi nuovamente e al più presto degli spettacoli che ci offre il nostro pianeta.

La mia vittima di oggi è Cristiana, la responsabile della nostra Radio d’ateneo.

Cristiana è una ragazza brillante e solare; chiacchierare con lei è sempre un gran piacere, sia per le sue capacità d’argomentazione, sia per la sua musicalità innata.

Quando le ho proposto di partecipare alla rubrica, non ha avuto dubbi sulla meta da prediligere: parliamo di San Pietroburgo, signori miei!

Il viaggio le è rimasto a tal punto nel cuore, che ha deciso di scrivere lei il suo #Monday e io, da emozionata spettatrice di un ricordo che più che questo mi ricorda un bellissimo sogno, non posso che lasciarvi alle sue preziose parole.

“Non so se sia stato un caso oppure il cosiddetto destino, ma un motivetto ridondante nella mia infanzia recitava così:

Sembra come un attimo, dei cavalli s’impennano.
Sento quella melodia nella memoria mia.
Forse un giorno tornerò; il mio cuore lo sente!
Ed allora capirò il ricordo di sempre.
Ed un canto vola via;
quando viene Dicembre“.

La domenica era una tappa fissa riguardare questo cartone con mia madre, è il nostro cartone! Quindi la Russia, la sua storia e la magia dei suoi luoghi credo mi abbiano sempre accompagnata.

Ivan il Tempestoso (perché è così che si traduce, signori miei!), Pietro il Grande, Caterina la Grande, Nicola II: tutti fantasmi, provenienti dalla Russia del passato, che hanno fatto da protagonisti nella stesura della mia prima tesi.

Tuttavia, è dalla canzone sopramenzionata che voglio iniziare a raccontarvi del mio viaggio a San Pietroburgo, in particolare rifacendomi all’immagine di quei “cavalli che s’impennano”.

Nella fotografia allegata all’articolo, al di là del soggetto principale assai discutibile, sullo sfondo si vede la statua dedicata a Pietro Il Grande, denominata “Medny Vsadnik” (cavaliere di rame) anche se in realtà è di bronzo!

Il cavallo, simbolo del vigore dei combattenti dell’antica Roma, si dirige verso la Svezia e questo perché a quel tempo era dagli svedesi che la città stava proteggendosi: e si dice persino che, finché quella statua resterà a San Pietroburgo, la città e la Russia tutta non subirà mai alcuna sconfitta!

Quella dei cavalli è un’immagine che si ripete e ripete a San Pietroburgo; persino ai lati di alcuni dei suoi ponti, sul Neva!

Ah…il Neva! Camminare sui ponteggi ti faceva raggelare anche le punte dei capelli, ma il freddo di San Pietroburgo riesce a scaldarti il cuore. Anche il tea e le vellutate di zucca fanno la loro parte!

È stato il mio primo viaggio in compagnia di quelle che, ancora oggi e da cinque anni a questa parte, considero le mie più care amiche; forse anche per questo le lunghe passeggiate, le cene da Gogol’ e all’Eliseevskij (due dei ristoranti più eleganti ed emblematici della città) e la visita alla residenza estiva dei Romanov, Carskoe Selo, mi sono sembrate ancora più belle!

A proposito! Carskoe Selo… Un vero e proprio museo sia all’esterno che all’interno! Mentre ne percorrevo i chilometrici corridoi pensavo: “Dio mio, e pensare che qui Anastasia scorrazzava da una stanza all’altra persino a cavallo di un triciclo!”. Vi lascio immaginare quanto lunghi fossero quei corridoi!

E l’eleganza baroccheggiante delle immense sale, degli abiti esposti, dei vasi, delle rifiniture degli infissi, i giardini ampi a tal punto da far credere a qualunque visitatore di star perdendosi! La Russia è mastodontica e non mi riferisco alla sua estensione territoriale, ma alla grandiosità dei suoi palazzi! In merito posso dirvi questo: ognuno pompa il suo Ego come più ritiene opportuno! Non mi dilungo oltre su questo, magari ne parleremo in separata sede.

Tornando al nostro itinerario, voglio lasciare per ultimo il Palazzo d’inverno; anche se in realtà è stata la prima cosa che abbiamo visitato il giorno dopo essere arrivate!

L’Ermitage non è tanto meraviglioso quanto dicono; lo è molto di più. Già soltanto il fatto che si trovi all’interno del palazzo simbolo di una delle Rivoluzioni più trasformanti della storia lo rende ulteriormente affascinante.

Ma la conclusione del mio racconto di viaggio giunge con un ricordo così tangibile che, ad occhi chiusi, riesco a rivivere quelle immagini come se fossero concrete davanti a me

Avevamo appena finito di visitare una delle ultime sale, stavamo percorrendo i corridoi del museo; camminavamo l’una distante dall’altra perché, come sempre capita, qualcuna si sofferma di più e qualcun’altra di meno sull’una o l’altra opera d’arte.

La sento anche adesso la voce della mia amica Paola che esclama “Oddio, la neve!“. Ho corso: all’interno di un museo dove non si dovrebbe correre io ho fatto uno scatto di sì e no 4 metri per arrivare alla finestra da lei.

E nevicava. E ho versato forse un paio di lacrime perché per me era quella l’opera d’arte più bella; il palazzo d’inverno innevato, un’immagine che avevo sempre sognato.

Per me era quello “il ricordo di sempre”.

Cristiana Petrillo

#MondayAbroad

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Care lettrici e cari lettori,
mi presento: sono Giulia e questo è il mio primo anno di magistrale all’UNINT. Inoltre, come noterete, questo articolo segna il mio esordio nella rubrica #Mondayabroad. Spero, con il fondamentale aiuto di Ilaria, di riuscire a farvi evadere dalle vostre camere, classi o aule studio e di far affiorare in voi la voglia di viaggiare (anche solo ad occhi aperti).

Per rompere un po’ il ghiaccio, ho deciso di parlarvi della mia ultima avventura. Devo ammettere di essere stata particolarmente fortunata poiché, poco prima del lockdown di marzo, sono riuscita a partire in solitaria e la meta scelta è stata il Vietnam.

Questo paese non è mai stato nella lista dei “posti assolutamente da vedere”, anzi, potrei definirla una scelta alquanto casuale e dettata dall’istinto.

Il mio viaggio è cominciato intorno a metà febbraio e, nei 15 giorni successivi, ho percorso tutto il Vietnam, da nord verso sud. Atterrata ad Hanoi, sono rimasta sbigottita nel traffico della città: una miriade di motorini è solita sfrecciare tra le strette vie trasportando ogni sorta di oggetto, da piccole gabbie con animali a giganteschi frigoriferi. L’unica cosa che il passante può fare è fidarsi della capacità di guida degli autisti e lasciarsi schivare alla bene e meglio.

Tra le montagne del nord, ho scoperto l’esistenza di numerosissime etnie (se ne contano addirittura 50). Ognuna si distingue per le proprie tradizioni, per i costumi e per il dialetto che parla. Tutte, però, sono caratterizzate da un’elevata adattabilità al territorio in cui si trovano, riuscendo a coltivare anche nelle zone più rurali. Il loro attaccamento alla terra si riflette nei miti e nelle leggende che vengono tramandate. È forte la convinzione di essere figli della Terra, del Fuoco e dell’Acqua, elementi che vengono comunemente associati alle dee Madri.

Mi sono persa nei colori e nella frenesia del mercato locale di Lung Phin: immersa in un via vai di carretti, buoi e persone che cercano di vendere quello che quotidianamente producono. Il mercato è un’occasione, per i più giovani, di uscire a conoscere una potenziale futura moglie. Le ragazze si agghindano e sfoggiano i loro vestiti più belli, sperando di catturare lo sguardo di qualche fanciullo.

A bordo di una meravigliosa giunca di legno, ho navigato tra le isolette della Baia di Ha Long e, al sorgere del sole, ho praticato Tai Chi sul ponte della nave. Su tutta la costa, i pescatori vietnamiti venerano e rispettano profondamente le creature del mare, tanto da erigere, in loro onore, dei piccoli tempi tra gli scogli (la particolarità di questa Baia è che è possibile scorgere un altarino dedicato ad una balena sfortunatamente arenatasi e morta sulla spiaggia).

Andando verso sud, ho abbandonato il freddo e i villaggi rurali per lasciare posto al caldo e alle grandi città occidentalizzate. Non fraintendetemi, anche il sud ha le sue meraviglie naturali da scoprire, però tutto sembra riarrangiato e sistemato a misura di occidentale. Anche sulle rive del Mekong si cerca di accontentare il pretenzioso visitatore in ogni suo capriccio e nel sito che ospita i famosi tunnel di Cu Chi, costruiti durante la guerra d’Indocina e poi riutilizzati durante la guerra del Vietnam, hanno costruito una sorta di poligono di tiro molto gettonato tra i turisti. Attrazione che personalmente, trovo deprimente: come si può sentire la voglia di sparare ad un bersaglio in un luogo in cui sono morte, tra atroci sofferenze, così tante persone?

Questo è stato uno dei viaggi più intensi che abbia mai fatto: immergersi in una cultura così diversa dalla propria lascia sempre qualcosa di estremamente arricchente in chi parte. Che sia questa o un’altra meta, partite appena potete. Quando gli impegni scolastici o gli ostacoli esterni non saranno oppressivi, compratevi una guida turistica qualunque e fatevi travolgere dalla voglia di scoprire qualcosa di nuovo.

Giulia Giacomino

#MondayAbroad

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Si riparte!

È stata un’estate particolare, distante in tutti i sensi da quelle alle quali eravamo abituati; un’estate calda, ma che non ha potuto essere al contempo calorosa, piena di dubbi e di domande, soprattutto sull’imminente futuro (caratteristica imprescindibile in quest’ultimo anno).

Eppure, siamo ancora qui: pieni di sogni, di speranze e con una gran voglia di tornare alla ribalta.

Per chi non conosce la rubrica, mi presento: mi chiamo Ilaria, sono una studentessa di LM37 e #MondayAbroad è un piccolo rifugio nel quale mi piace pensare di riuscire a raccontarvi e a raccontarmi nel migliore dei modi.

Nata con l’intento di vivere l’estero senza muoversi dalla comoda poltrona di casa, la rubrica ha oggi come prima prerogativa l’intento di trasportavi in luoghi che magari non conoscete o, ancora, che magari vi piacerebbe rivivere il prima possibile.

L’anno scorso siamo volati in molti Stati del mondo, abbiamo sorvolato oceani e continenti e oggi siamo ancora qui, con la stessa curiosità che ci spinge a conoscere e a conoscerci sempre di più.

Siamo arrivati veramente lontanissimo e ora siamo pronti a ripartire: dove siete stati in vacanza?

Quest’estate mi sarebbe piaciuto poter sentire un po’ di quella libertà che il lockdown mi aveva tolto; avrei compiuto tutte le volte che mi sarebbe stato possibile il giro del mondo, proprio perché sentivo una voglia di conoscere, scoprire e innamorarmi sempre più forte e decisa. Eppure, pensandoci bene, mi sono resa conto che tante volte abbiamo le meraviglie a portata di mano, ma non siamo in grado di ammirarle come in realtà dovremmo fare.

Vi racconto, dunque, della mia estate italiana, condita con ‘nduja e tanto, tanto amore di nonna.

Come ogni anno dal lontano 1997, anno della mia nascita, la mia famiglia e io siamo partiti alla volta dei terreni che hanno dato i natali a mio papà e ai miei nonni materni: la Locride. Questa zona rimane in provincia di Reggio Calabria e comprende molte cittadine, tante delle quali si affacciano sul meraviglioso Mar Jonio.

È super consigliata per chi è alla ricerca di ottimo cibo (e no, non sto parlando solo di quello di nonna e di zia), risate e tanta allegria.

Ho dei bellissimi ricordi legati a quelle terre, sia perché intrecciati alle mie origini, sia perché la vita lì è talmente rilassata e serena, che è davvero impossibile non prenderla se non con le migliori intenzioni di relax e divertimento.

Come ognuno di noi penso abbia, anche io ho un posto del cuore: la mia terrazza.

Leggenda narra che se hai il coraggio di salire tutti e cinque i piani di casa di nonna, arrivi in terrazza che neanche ti ricordi come mai ti eri alterato (e io confermo in toto quanto affermato).

È un posto speciale: sei talmente in alto che ti si sollevano anche i pensieri. Inoltre, potrà sembrare banale e quasi mainstream, ma c’è lui, il profondo amico blu che sa abbracciarti anche solo con uno sguardo: il mare.

Tutto si tranquillizza, si calma, si organizza; ti viene offerto uno sguardo sul mondo che, per quanto possa racchiudere un piccolo territorio, ti spinge a vedere oltre l’orizzonte.

Insomma, le mie vacanze sono state questo e tanto altro ancora.

Grazie per essere la mia terrazza preferita, mia cara Calabria.

Ilaria Violi

#MONDAYABROAD

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Se chiudo gli occhi sono a… mi Buenos Aires querido

Cari amici, compagni e colleghi,

oggi #MondayAbroad vola a Buenos Aires grazie al racconto della nostra responsabile Sara!

Sara è stata la prima persona che ho conosciuto quando ho messo per la prima volta piede all’UNINT, lo scorso ottobre 2019. In tutto questo tempo, complici molte passioni in comune (per esempio, il nostro amato UNINTBlog), ci siamo avvicinate molto ed è un rapporto che sicuramente porterò sempre nel cuore, sia per la stima e il rispetto che l’hanno caratterizzato, sia per le avventure che l’hanno accompagnato.

Volevo, per questo motivo, dedicarle l’ultimo articolo dell’anno accademico: cara Sara, vedi questo articolo come un ringraziamento per la fiducia che hai riposto in me. Grazie davvero di tutto.

Sara è partita per Buenos Aires grazie a un progetto organizzato dall’Università degli Studi di Bologna: il 10 gennaio 2016 ha iniziato la sua grande avventura ed è rimasta nella capitale argentina per i successivi 9 mesi.

“Diciamo che i primi tempi sono stati sia positivamente che negativamente traumatici. Ho ancora in mente le immagini del viaggio in taxi che feci dall’aeroporto al centro della città: un’altra realtà, era come stare in una bolla e il mio primo sentimento è stato estremamente negativo perché è un mondo che già dal primo impatto risulta di essere estremamente complesso e diverso dalla mia quotidianità. Aggiungiamo, inoltre, che a 19 anni avevo visto poco del mondo e partire per un’esperienza così grande, sicuramente, è stata una scelta coraggiosa e impattante.”

Vi svelo un segreto: sin da bambina (complice “Il Mondo di Patty”, non voglio negarlo) ho sempre sognato di visitare quelle terre così lontane, quindi vi lascio immaginare la mia curiosità nel racconto di Sara.

“C’è da dire che di Buenos Aires non ti abitui mai: puoi esserne perdutamente innamorata, ma, oltre ad avere molti pregi, è una città anche pericolosa e complicata… immagina che anche dopo nove mesi io continuavo a provare questa contrapposizione di emozioni tra loro opposte. […] È comunque una città meravigliosa: a tratti europea, a tratti ricorda New York; è piena di colori, di vita; è vero che la gente balla il tango nelle strade (pensa che sui marciapiedi ci sono addirittura le impronte con i passi!).”

Cerco in tutti i modi di riportare le emozioni che, pian piano, sto riconoscendo nelle parole di Sara: come fosse una spettatrice meravigliata, sta rivivendo la sua esperienza con il giusto pathos e la giusta malinconia (e a me fa davvero piacere sentire la leggerezza di quei ricordi).

“Il mio posto preferito è sicuramente la biblioteca costruita all’interno del teatro: a vederla da fuori, in verità, sembra un edificio qualunque, ma la vera magia avviene quando entri e hai questa distesa infinita di libri colorati, il tutto all’interno di un teatro. Un posto veramente affascinante che mi piaceva vedere come se fosse il mio luogo sicuro, la mia isola di pace in mezzo a tanta confusione. […] Buenos Aires, inoltre, è la città sudamericana per eccellenza e al suo interno puoi trovare i colori più vivaci dentro ai quartieri più pericolosi, come per esempio La Boca, nella quale mi sono sentita come se stessi nuovamente in una bolla. Forse, a essere sincera, questo è il maggior difetto di Buenos Aires: è tanto bella (non le mancano sicuramente arte e architettura), quanto complessa e povera. È una città dove non esistono né il bianco, né il nero, ma neanche il grigio: ti spinge tanto da decentrarti e quasi mandarti in confusione.

[…] Oltre alla biblioteca, un posto meraviglioso è anche il mercato di Sant’Elmo, questa strada lunghissima ricca di bancarelle dell’artigianato, del vintage e del choripán, questo semplice panino con la salsiccia che, però, lì acquista un gusto tutto suo, forse dato dal contesto, più che dalle materie prime!”

La chiacchierata con Sara sta quasi per giungere al termine, ma prima la mia solita domanda “lo rifaresti?”

“È stata sicuramente un’esperienza forte e non nego che, mentre ero lì, contavo i giorni per il mio rientro a casa… Per una ragazza di 19 anni alla sua prima esperienza all’estero, forse, era veramente troppo, anche solo da metabolizzare. È stata dura, ma è da almeno tre anni che dico di volerci tornare, sia col senno di poi, che con la testa di oggi: come tutte le esperienze molto forti, quando si concludono hanno subito un sapore dolce-amaro, che finisce col depositarsi e lasciare scoperto il vero e profondo legame che hai instaurato.

Sento sicuramente il bisogno di rivederla con gli occhi della Sara di oggi: è stata una tappa fondamentale della mia vita e, forse, non l’ho vissuta come avrei dovuto.

Quel lontano 10 gennaio sono partita senza sapere bene cosa avrei voluto fare, né chi avrei voluto essere, ma sono tornata con fame di conoscenza sul mondo e sui suoi meccanismi, tant’è che in quel momento ho deciso che mi sarei iscritta alla triennale in Relazioni Diplomatiche e Internazionali e, in seguito, a Sicurezza Internazionale.”

Concludiamo, dunque, questa meravigliosa serie di storie, di racconti, di vite che nel corso di queste settimane ci hanno tenuto compagnia.

Il mio #MondayAbroad va in vacanza: è stato un anno ricco di emozioni, traguardi, gioie e momenti, sia positivi che negativi; insieme abbiamo conosciuto tanti posti e tanti amici che, mai come in questo periodo così particolare che tutti quanti abbiamo vissuto, abbiamo ritrovato sempre e comunque a un millimetro dal nostro cuore.

Un saluto speciale a tutti voi: in bocca al lupo per gli esami, per la laurea, per la vita.

Grazie per avermi permesso di raccontarvi (e raccontarmi).

Un besito

Ilaria Violi

#MONDAYABROAD

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Se chiudo gli occhi sono in… Tanzania!

#MondayAbroad ci continua a dare occasione di viaggiare attraverso i ricordi dei nostri colleghi.

Oggi cambiamo nuovamente continente: si parte per la Tanzania!

Il racconto di Isabella è talmente carico di ricordi, di emozioni e di pathos, che preferisco fare un passo indietro e lasciare spazio interamente alle sue parole, a tratti allegre, a tratti malinconiche, ma comunque ricche di speranza per il futuro!

Isabella ci sottolinea l’importanza di non dare nulla per scontato (riflessione che, mai come in questo periodo di lockdown, abbiamo imparato a trattare); consiglio, dunque, di accompagnare la lettura con una canzone tipica della nostra tradizione musicale, “Meraviglioso” di Domenico Modugno (per quanto ami anche la versione un po’ più recente dei Negramaro):

…ma come non ti accorgi di quanto il mondo sia meraviglioso?
…perfino il tuo dolore potrà guarire poi, meraviglioso!
Ma guarda intorno a te che doni ti hanno fatto:
ti hanno inventato il mare eh!
Tu dici “non ho niente”, ti sembra niente il sole?
La vita?
L’amore?
Meraviglioso: il bene di una donna, che ama solo te
Meraviglioso!
La luce di un mattino;
L’abbraccio di un amico;
Il viso di un bambino
Meraviglioso…

Zanzibar, Tanzania

6 anni fa (regalo dei 18 anni!)

Il mio desiderio era quello di festeggiare il mio compleanno (il 31 dicembre) felice, al mare. Sono metereopatica, dunque da fine novembre smetto di essere un po’ me stessa e torno a sorridere ad aprile. Il sole mi carica e sento il caldo dentro di me, così come il freddo. Ci sono molte cose che potrei raccontare di quei giorni in Africa e che spero di non vedere più ma ce ne sono poche che, purtroppo (e sottolineo purtroppo), non ho visto più.

Mi auguro di non vedere più una macelleria completamente all’aperto con le mosche sulla carne; di non vedere più piccole zone di terra con una fontana per bere e lavarsi ogni tre capanne, ogni tre famiglie; mi auguro di non vedere più donne incinte che lavorano sfruttate e doloranti (non voglio neanche pensare alle condizioni in cui avranno partorito); mi auguro di non bere più acqua così lassativa e di non lavarmi più con acqua che non sembra pulita. Tuttavia, non posso dire di non consigliare questo viaggio, anzi, dopo 6 anni credo di poterlo definire un MUST.

I Masai (o Maasai) sono un popolo, una tribù, che vive ai confini del Kenya e della Tanzania; sono la cultura, la ricchezza, la gioia che ho portato a casa con me; vivono di piccole cose, di affetto, di amore e di pace interiore. Nel villaggio in cui ho alloggiato c’era Samir, un dipendente, che ha festeggiato il compleanno con me e che mi ha anche fatto un regalo: aveva paura non fosse abbastanza per me, un’italiana entrata in quel villaggio con una Micheal Kors e scarpe firmate. Parlavamo inglese, ma lui capiva la mia lingua e spesso mi rispondeva in italiano. Quando andavo in spiaggia mi accompagnava e mi consigliava di stare tranquilla al sole, che quello non era il sole “nostro”. E aveva ragione: quel sole non bruciava; quel sole l’ho tenuto sulla mia pelle fino a gennaio; quel sole era PURO.

Sono entrata, a 18 anni, in un mondo che non credevo esistesse: senza auto, senza tecnologia, senza invidia, senza odio. C’era dolore e tanta povertà, ma loro hanno imparato a conviverci. Dall’Italia ho portato quaderni penne e pastelli per i bambini e li ho resi felici.

In seguito, ho chiesto a una donna, madre, Masaia, perché non facessero del turismo la loro ricchezza, mi si è stato detto sorridendo “ora ti mostro la nostra ricchezza”: prendendomi per mano, mi ha portato nell’Isola delle tartarughe giganti, piccolissima e abitata da un centinaio di animali dai quali prende il nome, provenienti dalle Seychelles. Da lì, abbiamo cominciato a camminare per le diverse spiaggia e lagune.

È stato solo lì che ho conosciuto il Paradiso.

A quelle persone non mancava il parrucchiere, i negozi firmati, l’ultimo iPhone, l’estetista; i bambini giocavano per strada e non su un iPad.

Ma poi, una volta a casa, mi sono detta: chi sono io per dare un messaggio del genere? A 18 anni ho chiesto a mio padre di portarmi in Tanzania e lui l’ha fatto rendendomi la ragazza più felice del mondo. Eppure quei bambini erano felici con così poco. La mia è stata una richiesta che forse non tutti potevano permettersi di fare o di esaudire. Io sono figlia di questa generazione, di questa realtà.

Ed è questo quello che mi è rimasto di questo viaggio: qualcosa che io non avrò mai.

Ilaria Violi