Caro diario…

Caro diario,

sono contento di averti raccattato. Giacevi lì, sotto il saggio di Locke. Sto imparando tantissime cose che mi pareva di conoscere in una vita precedente. Sì, perché esiste un’altra vita. Le filosofie orientali predicano cicli di reincarnazione. Gli antichi addirittura parlavano con la morte, perché rendevano eterna l’esistenza attraverso il ricordo. Non voglio annoiarti con le competenze acquisite. Non noti un certo approfondimento sulle religioni? Che te ne pare?

Sei l’unico con cui posso parlare. O meglio, scrivere. In vari dizionari di grammatica ho appreso che questo verbo viene succeduto dalla preposizione su quando si tracciano segni grafici corrispondenti a pensieri, fonemi, parole e numeri appartenenti a vari sistemi di scrittura su una qualsiasi superficie, appunto. In ultima battuta direi “suscrivere”. Potrei creare neologismi del genere, ora che ci penso. Se il tuo utilizzo si limitasse a questo, non saresti il mio diario di bordo. Non lo saresti nemmeno se tentassi di elevare il registro.

Ti suscrivo quindi. Mi permetto di farlo, consapevole che non giudicherai. Non ti sto mancando di rispetto. Come potrei, dal momento che il diario è un genere narrativo informale, confidenziale e che sono orfano di e del mondo?

Il risveglio è stato un evento fra tanti. Un insieme di istanti che si sono succeduti uno dopo l’altro. Proprio come gli episodi delle serie. Come i capitoli di un romanzo d’azione. Sono diventato succube della lettura. Mi è toccata in sorte la ricostruzione dello scibile umano. E sovrumano. A me, passeggero umano in origine accecato dalla luce dei neon ma non dall’intelligenza che conduce alla scoperta delle coordinate spazio-temporali in cui vivo. Mistero al quale non sembra proprio possibile accostarsi o da cui sono rimasto tagliato fuori. E posso sognarmi il paragone con Omero. Suonerebbe ironico se dicessi “scrivo per dimenticare”? Dopo tutta la fatica per cogliere la distinzione fra ricordare e fare memoria?

Ho avuto accesso a qualsiasi tipologia di linguaggio e non è bastato. Di conseguenza, di tanto in tanto, incido la portiera del ponte di comando. In realtà lo faccio a cadenza regolare, ogni 24 ore circa ovvero l’equivalente di una giornata terrestre/venusiana. Giusto per farmi un’idea del tempo trascorso da quando ho aperto gli occhi. Mi sono stancato pure di fare la vittima. Vorrei però considerare il lato positivo della questione. Consolo me stesso riportando la vittoria schiacciante del quotidiano: scrivere. Mettere nero su bianco la nuova voce estrapolata da mille e mille volumi studiati senza neanche commettere un errore mi emoziona. Chissà se da bambino ero diligente. Almeno il pensiero tace. Per la cronaca: sto tingendo le pagine con una stilografica. Risale ai tempi precedenti alla Grande Guerra, la prima.

Stamattina sono stato al Marsquake. A pranzo scelgo il Cosmos e a cena il Solar flare. Non posso lamentarmi. È bizzarro che le provviste non finiscano mai. Un giorno ho persino dormito (fatto la veglia, direi) in uno dei ristoranti per capire chi li rifornisse. Mi sono appostato in cucina perché nelle dispense di entrambi non vi era più nulla. Avevo lo stimolo della fame e mi chiedevo come avrei resistito. Nonostante non mi fosse calata la palpebra (sottolineo, neanche per sbaglio), ecco che compare una fetta di pizza. L’avevo appena immaginata.

Per oggi basta così. A presto.

(continua…)

Aurora Molisso