Rocambolesca professionalità e pubblici appalti

Pensando alla meta ideale per la pensione potrebbe venire in mente ai più una qualche isola greca, farsi accarezzare la testa canuta dalle brezze che soffiano dall’Egeo, mentre il sole rovente riscalda e cuoce la pelle; o ascoltare le correnti dell’Atlantico dalla propria casa su una spiaggia di Fuerteventura, frutto di anni di risparmi e sacrifici, simbolo di una vita riuscita. Tra le mete più gettonate per qualche strano motivo non si trova mai Bruxelles. Forse le giornate uggiose e i 2°C in un mattino di aprile non la rendono particolarmente appetibile per un anziano che vuole godersi il resto della vita al tramonto senza troppe grane, ma per un aspirante interprete che si trova tra le proprie email un invito a partecipare al programma di assistenza pedagogica del Servizio Comune Interpretariato di Conferenza (SCIC-DG Int) della Commissione Europea a Bruxelles, la Capitale de facto dell’Unione Europea riceve di diritto l’etichetta di bella e ci vivrei.

Inizia così il nuovo viaggio, la mattina del 3 gennaio 2023. Dodici studenti di interpretazione con combinazione linguistica EN-FR/ES/DE, alcuni già si conoscono, altri un po’ meno, travolti da un impeto di euforia prenotano i biglietti per raggiungere l’ambita meta. Ci sono già i gruppi formati e ognuno di questi sceglie il giorno in cui partire: l’importante è ritrovarsi tutti lunedì 3 aprile alle 9:15 al centro conferenze Albert Borschette, rue Froissart 36. C’è chi prenota la partenza per l’1, chi per il 2 aprile: potrebbero sembrare informazioni superflue, ma sono la chiave di avviamento del motore di questo viaggio rocambolesco.

Flashforward al 31 marzo 2023: anche se il 1° aprile avrebbe potuto trarre in inganno con il suo pesce d’aprile, il destino ha voluto che il 2, giorno nel quale la maggior parte dei nostri eroi avrebbe avuto il proprio volo (Professoressa inclusa), fosse il momento ideale per uno dei più grandi scioperi dei controllori del traffico aereo degli ultimi anni. Nel gruppo serpeggia l’ansia: voli cancellati, chi cerca il tragitto alternativo in Flixbus, chi lo scalo a Dubai con sedile in stiva, la Professoressa che comincia a mollare la presa e suggerire un eventuale rinvio della visita con tanto di perdita di denaro per i viaggiatori del giorno prima, biglietti di ritorno persi così come i vari alloggi, e non ultima la privazione della visita a quel povero gruppo di studenti che ci sperava tanto. Tralasciando il perché la sottoscritta abbia dei contatti tra i controllori di volo, il gruppo viene assicurato che “salvo imprevisti di natura diversa dallo sciopero, i voli il primo ci sono”. Il popolo si fida e i nostri eroi si incontrano tutti e dodici a Fiumicino: Beatrice, Carmen, Caterina, Chiara, Cinzia, Federica, Gabriel, Giacomo, Giorgia, Giovanni, Noemi e Sara. Ai posteri l’ardua scelta del colore da Power Rangers da assegnare a ciascuno di loro. Sono ancora ingenui, ignari della tempesta che li attende, infatti, i viaggi nella loro sequenza di eventi possono far stringere nuove amicizie come distruggerne di passate, e nulla mette più a dura prova di un imprevisto come quello che stanno per affrontare i giovani interpreti. Il volo è in overbooking. Nonostante la compagnia dichiari di non adottare questo approccio per niente fastidioso, una di noi, che avrebbe fatto il check-in solo in aeroporto il giorno stesso, inciampa nel pozzo dei passeggeri senza posto, quei passeggeri fantasma che per arrivare a destinazione hanno bisogno della grazia di un altro che decida di rinunciare al proprio sedile. Il gruppo si trova in testa a una fila diventata ormai sesquipedale e gli assistenti di terra all’imbarco cominciano a scaldarsi e gli studenti come loro; versano lacrime e i brividi corrono lungo le loro schiene, e un “NOI STIAMO ANDANDO A INTERPRETARE ALLA COMMISSIONE EUROPEA, MICA IN GITA DI QUINTO LICEO. SENZA DI LEI NON CE NE ANDIAMO!” riempie le orecchie dei passeggeri. Dopo una serie di alterchi tra i due schieramenti, la nostra eroina viene fatta salire sull’aereo e tutto sembra essersi sistemato. Il portellone chiuso dà l’impressione di un’imminente partenza, quando ecco che l’hostess con fare sportivo, lo riapre e intima alla nostra collega di scendere. Nella cabina scende il caos: il volo è in ritardo, la pilota fa su e giù minacciando la cancellazione del volo in caso di mancata partenza entro i successivi dieci minuti, i passeggeri si innervosiscono, l’interprete ha un piede quasi fuori dall’aereo. Sembra non esserci più speranza finché non compare la salvatrice: la belga di più gran cuore che il volo FCO-BRU abbia mai conosciuto, che senza fretta cede il proprio posto alla malcapitata. Un’ondata di applausi travolge il velivolo fino alle cappelliere e lacrime di commozione bagnano i sedili ricoperti di briciole dei voli precedenti. Lo SCIC è salvo e i dodici moschettieri sono pronti. Scivolano nel sonno del sabato sera mentre il 737 che li contiene si libra nei cieli verso nord.

Atterrato in una Zaventem piovosa, il gruppo si separa e ognuno prende strade diverse diretto verso il proprio alloggio. Nonostante l’ora, la città continua a riflettere le insegne a neon nei sanpietrini lucidi per la fitta pioggia che ci cade sopra; le valigie si inzuppano saltellando sugli scalini nel tragitto verso l’alberghetto. I ragazzi del posto continuano la serata facendo da spugne per luppolo e malto.

È domenica mattina: Bruxelles si mostra nella sua più classica delle vesti con un cielo grigio e una nebbia così fitta da poter essere tagliata con un grissino come un scatoletta di tonno Rio Mare, ma questo non impedisce di andare in esplorazione. A questo punto, il gruppo ancora non ha trovato la sua unità e divisi come schegge impazzite, se ne vanno a spasso in piccoli gruppi; chi va a Bruges perché ha già visto Bruxelles, chi rimane in città per viverla per la prima volta, chi ancora se ne va in giro fissando attonito le facciate dei palazzi folgorato dallo stile architettonico. La giornata inizia dunque davanti a un omelette e un cappuccino, una baguette calda accompagnata da marmellata e cioccolata calda, e un croissant. Il Mokafe nelle Galeries du Roi è un piccolo locale accogliente, con pareti gialle e blu e colonne di specchi: il sottofondo di voci fiamminghe e francesi che si mescolano e le attitudini intellettuali che impregnano l’atmosfera fanno del bar da colazione un vero e proprio gioiello da provare. Nell’esplorazione non pianificata della città bisogna tenere in conto il cammino senza meta al fine di perdersi come un turista o di ritrovarsi come un locale: la Grande Place, il Musée Magritte, l’irreprensibile Manneken Pis di cui va citata una recensione Google che possa rendere l’idea esatta: “Piccola statuetta a cui vengono attribuite delle leggende, e divenuta simbolo della città. L’originale si trova nel museo di Bruxelles. A mio avviso non sa di niente”. Esatto, un po’ sciapo. Farsi mancare in quel di Bruxelles un gaufre, così come il cartoccio di patatine fritte,sarebbe veramente un crimine e quindi si assaggiano anche questi. A fine giornata, conclusasi l’esplorazione della capitale e quella dell’unica e sola “Venezia del nord”, Bruges, il gruppo decide di riunirsi per una serata di comunione fraterna e così i nostri eroi decidono chi di provare, chi di riscoprire, il celeberrimo Delirium Café, nella via Impasse de la Fidélité, per i francofoni, o nella ben più eufonica Getrouwheidsgang, per i fiamminghi. È intorno alla tavolata del locale al buio, di fronte ai boccali e ai famosi assaggi di dodici varietà diverse di birra su appositi vassoietti di legno, che comincia a sciogliersi la tensione, forse a conoscersi, a diventare colleghi e a prendere confidenza gli uni con gli altri. Il boccale da assaggio di birra verde al sapore di goleador per i più scrupolosi, caramella per i più generici, mette sotto i riflettori il grande talento da sommelier insito in ogni interprete. Qualche foto per poter mettere il tag nelle storie e si va a dormire, ma non prima di essersi persi per qualche via del centro in un percorso di meno di un chilometro.

La sveglia delle 7 richiama a rapporto il team che si raduna nel punto prestabilito nel quartiere Europeo; c’è chi arriva in metro, chi in autobus, chi invece in stile Ursula von der Leyen, con Uber, come chiaramente farebbe la presidente della Commissione europea. La scena ricorda molto quei pullman di turisti estasiati davanti a un Colosseo, o a una Torre Eiffel, o ancora davanti a una Statua della Libertà; e infatti, vestiti come damerini, gli aspiranti interpreti rimangono senza fiato e fotografano la targa della Commissione europea con stampato sul volto l’espressione incredula che avrebbe anche Roberta Metsola in visita alla Garbatella. Fatti i dovuti controlli, si entra nel vivo della questione e a prenderli sotto la propria ala ci sono Arianna Loro e Alessandro Marcigliano, interpreti della cabina di italiano dello SCIC. Come per una Lizzie McGuire qualunque, nelle teste rimbomba What Dreams Are Made Of e, nonostante l’assenza di Helen Campbell, ci si siede intorno al tavolo di una delle sale dell’edificio Borschette della Commissione di fronte alle targhette con il proprio nome, giusto per alzarsi un po’ l’autostima. I due precettori procedono con una breve presentazione dell’Unione Europea e dello SCIC per poi approfondire con il test di accreditamento. Arriva la pausa pranzo e si viene sballottati nella mensa affollata; tra pochissimo saranno catapultati nelle cabine per interpretare degli incontri veri tra delegazioni. In un religioso silenzio i due interpreti aprono la strada verso le cabine, ognuno con il tesserino cabine muette sul petto, affianco al proprio nome. A questo punto nell’edificio del Consiglio europeo, gruppi in cabina predisposti, microfoni spenti e sei in pole position. Concorrenza e appalti pubblici sono gli argomenti all’ordine del giorno e, post-briefing e carte alla mano, ci si ritiene soddisfatti del lavoro portato a casa per la giornata.

Stanchi come se avessero portato il peso dell’Unione Europea sulle spalle per l’intera giornata ma comunque carichi di adrenalina, ci si dà appuntamento in serata, per un’ultima cena tra dodici apostoli in quel di Bruxelles. Dal completo professionale si passa a una tenuta più informale e come una famiglia ci si incontra nel centro della città al Fin de Siècle, ritenuto da molti turistico, ma comunque valido, ma non senza aver affrontato prima una fila piuttosto importante che prende una quarantina di minuti e che ha quasi fatto raggiungere la fine del secolo corrente, quella vera. Birra belga e cibo tipico saranno solo l’antipasto di quella che sarà una serata indimenticabile per alcuni del gruppo.

Stando alle ricostruzioni, nel cuore della notte, una doccia esplose. Una di noi, superstite della pioggia di vetri che il suo proprietario di affitto le ha riservato involontariamente, arranca stoica verso il Consiglio. Non sono molti quelli che possono dire di aver fatto il tour delle istituzioni europee con il corrispettivo della lana di vetro sulle proprie gambe. Le va riconosciuta una certa dose di coraggio e forza d’animo. Nonostante tutto, è pronta a rimettersi in carreggiata e affrontare questo ultimo giorno di interpretazione belga. Si interpreta e si ricevono i feedback. Come vola il tempo quando ci si diverte e alle 17 si passa ai saluti e ringraziamenti agli interpreti e ci si avvia eleganti e muniti di valigia verso il treno per l’aeroporto. Il viaggio è quasi giunto al termine, ma vogliamo veramente farci mancare quel brividino, quel pepe che dà un po’ di brio alla vita? No, e infatti viene perso il treno. Gli ormai compari sono stravaccati sulle panchine della stazione Schuman in attesa del treno successivo; c’è chi racconta storie avvincenti di convivenze incredibili, chi prepara bozze di denuncia, chi si appresta a prendere l’autobus per raggiungere l’aeroporto, chi ha la febbre. “Raga, l’aereo è in ritardo”: avevamo dubbi? Non credo. Ci si fa forza, ci si dà le pacche sulle spalle e si minaccia di mettersi a piangere per lo stress: la stanchezza si fa sentire. Mezz’ora di ritardo si trasforma in due ore che poi torna a essere mezz’ora. Si ride e si ride ancora di più a vedersi seduti sull’aereo. Thank you for flying with us, we hope to see you again on board riecheggia all’atterraggio, mentre sul gruppo WhatsApp ci si raccomanda di stare attenti all’uscita per evitare di concludere l’avventura rotolando giù per le scale.

Forse non ci conoscevamo bene prima di partire, ci sono stati cancellati tanti voli, abbiamo quasi rischiato di non partire, abbiamo scoperto l’esistenza dell’overbooking e della possibilità di pagare due volte il bagaglio, pena, la valigia rimane a terra; abbiamo provato il freddo di aprile e raccolto vetri da terra e dalle gambe; passeggiato in una Bruxelles notturna per portare garze e acqua ossigenata. Abbiamo avuto la conferma che lavorare allo SCIC è difficile (non che non ne fossimo già consapevoli), ma è molto bello. Abbiamo fatto imitazioni e imparato espressioni napoletane e romagnole (una carriera alternativa come cabarettista può sempre far comodo); abbiamo scattato tante foto per LinkedIn, ma soprattutto siamo diventati una squadra: forse non avremmo le nostre mossette e una formazione acrobatica come i Power Rangers, ma almeno sappiamo a chi rivolgerci in caso dovessimo avere un altro volo cancellato, o in presenza di una doccia esplosiva. Al limite si fa cabina insieme.

Cinzia De Gregorio