Open-Minded

Gen-Z.

A detta di tutti siamo la generazione più “fuori dagli schemi” di tutte.

Ci piace parlare, esprimere il nostro parere, far sentire al mondo che esistiamo e che non ci faremo calpestare.

Abbiamo sete di cambiamento, ma non ci limitiamo a sognarlo, noi combattiamo per esso.

Usiamo tutti i mezzi che abbiamo a nostra disposizione e non ci tiriamo indietro.

Molti ci trovano solo estremamente lamentosi, dicono che “non ci va mai bene niente”, ma la verità è che noi siamo dei rivoluzionari ed i cambiamenti non piacciono proprio a tutti.

Per avere una rivoluzione ci vogliono persone con la mente estremamente aperta, ma quanto è davvero aperta la mente della nostra generazione?

Ne ho discusso con Ilaria e Roberta.

Durante questa intervista scopriremo i loro punti di vista.

Ti definiresti una persona “aperta mentalmente”? Per te cosa vuol dire?

R: Sì, mi definisco una persona aperta mentalmente. Credo che voglia dire accettare e non escludere nessun essere umano indipendentemente da colore della pelle, orientamento sessuale, disfunzioni fisiche o mentali e tutto ciò che può essere considerato diverso.

I: Io mi definisco una persona molto aperta mentalmente.

È una delle qualità che tutte le persone che mi conoscono mi attribuiscono. Per me questo essere aperti mentalmente vuol dire accettare gli altri ed il mondo per quello che è, per come si presenta; accettare le decisioni altrui riguardo la loro sessualità per esempio, oppure accettare le altre culture e religioni in quanto diverse dalla mia. Accettare e rispettare gli altri.

Da poco all’Unint si è fatta firmare una petizione a favore della carriera Alias, cosa ne pensi?

R: Credo che sia un passo avanti doveroso nel rispetto di tutti coloro che non si sentono a proprio agio nel loro corpo e che non si rispecchiano nel nome che gli è stato dato alla nascita.

I: Penso che sia una cosa molto positiva. Ogni studente dovrebbe sentirsi libero di studiare in un ambiente sereno, in cui ci si senta liberi di esprimere la propria identità senza ripercussioni. Una carriera Alias includerebbe molti più studenti nella nostra università e questo sarebbe veramente fantastico.

Per te cosa significa “inclusione”?

R: Inclusione penso che sottolinei il fatto che tutti siamo uguali e che le distinzioni tra esseri umani sono solo un concetto astratto.

I: Inclusione per me si accosta all’essere “aperti mentalmente” appunto, cioè accogliere e rispettare le diversità che ci rendono unici. Nessuno è perfetto, ma siamo perfetti così come siamo nella nostra diversità; le culture diverse, religioni diverse, orientamenti sessuali diversi, non dovrebbero creare dei muri fra noi, ma dovrebbero soltanto farci accogliere l’un l’altro con rispetto reciproco.

Mi puoi dare la tua definizione di razzismo?

R: Il razzismo per me è qualsiasi forma di discriminazione nei confronti di terzi, qualsiasi sia la motivazione.

I: Il razzismo per me è una forma di odio, che può derivare da vari fattori, ma rimane pur sempre una forma di odio e di disprezzo verso altri. Spesso io collego il razzismo al fatto di non conoscere propriamente il paese, la cultura, la religione altrui.

Per me, il razzismo è una specie di “muro” che si costruisce quando ci si vuole “riparare” da quella persona con una cultura diversa dalla nostra di cui magari non sappiamo nulla. In ogni caso è sbagliato in qualunque modo lo si veda, e va combattuto con forza affinché venga estirpato del tutto dalle nostre vite.

Cosa pensi della generazione Z?

R: Penso che il fatto che siamo nati e cresciuti con la tecnologia possa essere considerato un bene, in quanto ha aperto tante nuove strade lavorative che prima non esistevano, ma purtroppo quando la tecnologia non viene utilizzata come dovrebbe, può essere fonte di tante situazioni spiacevoli e a volte anche pericolose.

I: Penso che la generazione Z sia una generazione di ribelli e attivisti da un lato, e di frivolezze e leggerezze dall’altro. Perché in questa generazione vedo molti giovani scendere in piazza, protestare, difendere i propri diritti, muoversi in massa contro il razzismo, contro la guerra, contro le armi, contro l’inquinamento e il conseguente cambiamento climatico ed è una cosa stupenda da vedere. Ma allo stesso tempo, è la generazione delle challenge o sfide, senza alcun riguardo per la propria sicurezza o di quella altrui.

Alcuni pensano che la soluzione alle violenze sessuali sia “vestirsi adeguatamente”, qual è il tuo parere?

R: Credo che sia la definizione di minimizzare il problema; non si può per nessun motivo incolpare una vittima di violenze sessuali per il suo modo di vestire.

I: Penso che sia una menzogna bella grande. Un’idiozia anche. Purtroppo non sembra essere chiaro all’opinione pubblica che non bisogna educare le vittime a “vestirsi adeguatamente”, ma educare chi commette la violenza. Tutti cercano di educare le ragazze ad uscire solo entro certe ore, di non prendere mezzi di trasporto di notte da sole, di non camminare per strada da sole dopo un certo orario, di avere sempre il cellulare in mano per chiamare subito qualcuno, di “vestirsi adeguatamente” appunto. Quando capiranno tutti che non devono essere le vittime ad essere educate, ma che sono coloro che causano la violenza a dover essere educati? Perché per una violenza sessuale dev’essere sempre la vittima al centro dell’attenzione e non chi commette l’atto? Penso che questa “soluzione” sia una farsa, perché ci sono tante vittime di violenza che vestono con un paio di normalissimi jeans e una semplice maglietta. E lì allora, quando una persona è “vestita adeguatamente”, dove sarebbe la motivazione della violenza?

Credi che gli hashtag come “#BlackLivesMatters” contribuiscano a fare la differenza o servano soltanto ad ottenere visibilità?

R: Credo che hashtag del genere, se utilizzati con cognizione di causa, possano davvero servire a sensibilizzare la popolazione riguardo tematiche a dir poco importanti.

I: Tutte e due le cose in realtà, che sono collegate tra loro. Hashtag che fanno milioni di visualizzazioni possono aiutare a portare alla luce cause che altrimenti molte persone, soprattutto giovani, non noterebbero. Mi fa piacere vedere come i social media vengano utilizzati in questo modo, spargendo la voce su problemi importanti con hashtag e video in modo che arrivino dritti alle persone.

In quale modo “usi la tua voce”?

R: Nel mio piccolo cerco di far sentire a proprio agio qualunque persona con cui io mi interfacci, cercando di non risultare mai sgradevole o fuori luogo ed evitando commenti che potrebbero ferire.

I: Condividendo notizie sui social e con le persone intorno a me. Così si crea una catena di condivisione che è importante per far sì che tutti sappiano cosa succede nel mondo, e dar loro modo di prendere una posizione.

Sei mai stata vittima di discriminazioni? Ce ne vuoi parlare?

R: In passato mi è capitato di essere vittima di discriminazioni riguardanti il mio aspetto fisico che “non rispettava i canoni della società”.

I: Spesso a lavoro mi capita di ricevere commenti sessisti in quanto, essendo cameriera, spesso mi ritrovo a dover sollevare vassoi o piatti pesanti.

Abitualmente mi succede che le persone mi rivolgano sguardi preoccupati come se, essendo una ragazza giovane, non riuscissi a sollevare cose più pesanti.

A volte mi sento chiedere direttamente “Ce la fai? ”; quando mi fanno domande del genere dentro di me mi sento abbastanza imbarazzata e al tempo stesso infuriata, perché dubitano delle mie capacità ancor prima che io svolga l’azione, solo perché sono una giovane ragazza, anche abbastanza esile.

Un altro esempio che posso fare è quando, sempre a lavoro, mi è stato chiesto di aprire una bottiglia di vino ad un tavolo. I signori al tavolo mi hanno chiesto dove fosse il cameriere che doveva aprire la bottiglia; io gli ho risposto che sarei stata io a farlo e loro mi hanno chiesto se fossi sicura di farcela.

Essendo una giovane ragazza molti danno per scontato che io non sappia fare il mio lavoro.

Secondo te, la violenza sulle donne è un problema che devono combattere soltanto le donne?

R: Assolutamente no, penso che sia un problema che debba essere debellato lottando tutti insieme, altrimenti non si avranno mai risultati.

I: Assolutamente no. Dovrebbe essere un problema di tutti. L’attrice Emma Watson fece un discorso nel 2014 alle Nazioni Unite, per la campagna HeForShe, che mi ha colpita molto, in cui ha parlato di come uomini e donne non dovrebbero essere considerati di due generi opposti, ma due tra molti più ideali di uno spettro. Quindi proprio per questo, uomini e donne insieme dovrebbero essere uniti nella lotta contro la disuguaglianza di genere e contro la violenza sulle donne. Anche gli uomini dovrebbero essere considerati attivi nella lotta contro la violenza sulle donne, difendendo anche le loro madri, sorelle, mogli, ecc.

Non deve essere una lotta unicamente femminile.

È sbagliato pensarlo per me.

Secondo te, cosa potremmo fare per cambiare le cose e fare la differenza?

R: A mio parere, basterebbero davvero dei piccoli gesti nella vita di tutti i giorni per fare la differenza; anche semplicemente aiutare uno sconosciuto in difficoltà, fare volontariato, cercare di andare incontro alle necessità altrui.

I: Innanzitutto direi che la prima cosa che si potrebbe, anzi, che si dovrebbe fare è quella di informarsi su ciò che avviene; informarsi sui vari dati, sui vari episodi, sulle stime, perché non si può agire se prima non si conoscono i fatti. Per fortuna sui social c’è una buona diffusione di notizie sui profili affidabili. Dopodiché, direi di agire in prima persona, anche soltanto condividendo hashtag o notizie, così da far diffondere ancora di più i fatti. E poi ci sarebbero anche altre azioni, come firmare petizioni, partecipare alle manifestazioni, essere presenti in prima linea per chiedere i cambiamenti di cui abbiamo bisogno. O anche nel piccolo, se si è testimoni di qualche episodio di odio sui social o di persona, prendere posizione fermando quell’atto di odio.

Sui social è da poco comparsa la possibilità di inserire i propri pronomi, qual è il tuo parere a riguardo?

R: Non ho un parere ben preciso su questo, in quanto non ho mai sentito la necessità di specificare i miei, ma credo che se possa aiutare le persone a sentirsi più a proprio agio non può che fare del bene.

I: Penso sia giusto, così da dare la possibilità e la libertà ad ognuno di esprimersi come vuole. Soprattutto sui social, in cui possiamo essere liberi di pubblicare quello che noi siamo e vogliamo, ovviamente sempre con rispetto.

In pochi conoscono la differenza tra femminismo e misandria, tu?

R: Il femminismo è un movimento che porta avanti ideali di uguaglianza tra uomini e donne, in qualsiasi campo.

La misandria è un vero e proprio odio nei confronti del genere maschile, che non fa altro che accentuare le disuguaglianze.

I: Si, la conosco abbastanza bene poiché ho letto vari articoli su questo fenomeno. La misandria sarebbe l’odio spregiudicato verso gli uomini, il disprezzo totale per essi, a prescindere da quale uomo egli sia. Mentre il femminismo, e in particolare il cosiddetto “Intersectional feminism” o “femminismo intersezionale”, non predilige alcun genere in particolare. Il femminismo reale vuole che le donne abbiano gli stessi diritti degli uomini, poiché le donne sono al pari degli uomini; ma non per questo però sminuire il genere maschile a priori. Il femminismo si basa sul rispetto reciproco di tutti i generi in ugual modo. O almeno, così dovrebbe essere per me.

Nel 2019 si era parlato di abbassare l’età per il diritto al voto ai 16 anni, la ritieni una buona idea? Perché?

R: Non saprei, penso che nel caso in cui si dovesse abbassare l’età per il diritto al voto a 16 anni, questo dovrebbe essere accompagnato da un vero e proprio studio durante gli anni scolastici di come funziona il nostro sistema, in tutte le scuole.

I: Onestamente, non penso sia proprio una buona idea, a meno che non si cambino le cose nelle scuole. C’è molta ignoranza per quanto riguarda la politica italiana tra i giovani, anche perché nessuno a scuola insegna certi argomenti. Se ci fosse più educazione riguardo alla situazione attuale del governo italiano e delle varie legislazioni, del Parlamento italiano e così via, allora si potrebbe pensare di abbassare l’età del diritto al voto. Ma bisogna formare prima i giovani.

Qual è la differenza tra un’opinione ed un giudizio?

R: Un’opinione viene espressa per aiutare e magari talvolta viene data semplicemente come consiglio, un giudizio dà l’idea di essere molto più cattivo, severo.

I: Un giudizio potrebbe essere spesso infondato, poiché basato su falsi miti o pregiudizi, spesso si basa anche sulle voci che altri ci mettono in testa. Ed è qui che secondo me si differenzia invece un’opinione da un giudizio. Un’opinione invece prende in considerazione tutti i fatti, dopodiché si dà appunto, una propria opinione al riguardo. Non posso giudicare qualcuno senza prima aver capito quale sia la situazione, il contesto e così via.

Ti è mai capitato di testimoniare un atto di violenza? Sei intervenuta?

R: Non mi è mai capitato, non so se avrei la forza di intervenire, chiamerei probabilmente la polizia.

I: No, non mi è mai capitato personalmente. Ma se fossi testimone di un atto di violenza che avviene davanti a me, interverrei immediatamente in qualche modo.

Pensi che i colori ed i vestiti abbiano un genere?

R: Assolutamente no, ognuno può indossare ciò che vuole, di qualsiasi colore sia.

I: Dovrei rispondere di sì, che i vestiti sono diversi per uomini o donne. Eppure no, non è così. Non si dovrebbe vietare a nessuno di vestirsi come si vuole. Se un ragazzo vuole indossare una gonna o una camicia rosa, e una ragazza vuole indossare un completo in giacca e cravatta per una sera, non c’è assolutamente nulla di male. Ognuno si veste nel modo in cui si sente più a suo agio, e non ci dovrebbe essere alcuna differenza di genere in ciò.

E tu, quanto sei open-minded?

Asia Festa Amorino