C’era una volta… il Mozambico!
Oggi voliamo in una realtà distante dalla nostra, ci spostiamo verso l’antico continente africano, più precisamente in Mozambico. Per poter approfondire l’aspetto culturale del paese, comunque, dobbiamo prima immergerci nel passato che l’ha accompagnato, ascoltare la storia che ci sussurra e i dolori e le ingiustizie che ha sofferto.
La storia del Mozambico è stata molto travagliata: diviene colonia portoghese nel XV secolo, assumendo il ruolo di rifornitore di schiavi africani per le Americhe. Siamo di fronte a un periodo storico importante: l’era del colonialismo, durante il quale il Portogallo vive il suo periodo di massima espansione; momento in cui il più forte sovrasta il debole, arrivando anche a ottenere i primi mix di culture, tradizioni e lingue diverse. Una vera e propria dominazione che termina soltanto nel 1975, anno in cui, dopo più di un decennio di guerra, si ottenne finalmente l’indipendenza dei paesi africani dall’ oppressione portoghese. A partire da questo momento si sviluppa una nuova forma letteraria mozambicana che, attraverso il racconto e la poesia, illustra il cosiddetto “trauma della colonizzazione”. Gli scrittori mozambicani sono mossi da un sentimento di rivalsa e di rabbia: notiamo come i testi sono delle vere e proprie rivendicazioni politiche, indirizzate ad affermare la propria identità e intenti per costruire una propria immagine lontana dalla cornice portoghese. Ciononostante, la causa motrice che scatena questa ondata letteraria non è soltanto di tipo politico ma anche razziale: poesie e racconti che rivelano il dramma di essere neri dinnanzi ad una società governata dal prepotente colonizzatore bianco; una relazione di superiorità ed inferiorità giustificata dalla “missione civilizzatrice” dato che i popoli indigeni erano considerati pari ad animali, e dunque era compito del bianco europeo educarli e civilizzarli anche tramite crudeli meccanismi di repressione.
Dal punto di vista linguistico, notiamo che si intrecciano le lingue sbocciate sul suolo africano con la lingua del colonizzatore portoghese. Ciò evidenzia come la traccia portoghese sia rimasta ben radicata all’interno della cultura mozambicana: il risultato comporta un portoghese ibrido ed innovativo con strutture e neologismi che contribuiscono ad arricchire la lingua europea d’origine.
Gli scrittori mozambicani, attraverso la forza della scrittura a tratti sarcastica e a tratti rancorosa, riescono a trasformare questo loro cruccio in un’esplosione di creatività poetica. In particolare, magia, umorismo, satira e tradizione sono gli ingredienti utilizzati da Mia Couto per esprimere l’essenza mozambicana attuale. Questo scrittore su cui ho intenzione di soffermarmi, è considerato come icona e innovatore della letteratura del suo paese. Nasce nel 1955 a Beira da genitori portoghesi. Si può considerare come privilegiato per l’epoca dato che in quegli anni il 98% della popolazione mozambicana era analfabeta. Durante gli anni ‘80 si è lanciato sul mondo della scrittura e da allora non si è più fermato. Attualmente è tra gli autori mozambicani più apprezzati in tutto il mondo, oltre ad aver vinto diversi premi letterari tra cui il premio Camões nel 2013. Il suo tratto distintivo sono sicuramente i neologismi nati carichi di espressività nati dall’incrocio di diverse parole di origine talvolta portoghese, talvolta africana (come, per esempio “abensonhadas”, frutto dei termini “abençoadas” e “sonhadas”, rispettivamente “benedette” e “sognate”).
L’autore si appropria dei racconti della tradizione orale per poi riadattarli con carta e penna modificandone le strutture con l’aggiunta di dialoghi, metafore e voci narranti; questi dettagli conferiscono ai racconti un’aura onirica ed incantata. Effettivamente, ciò che colpisce di più di questo autore sono le immagini surreali e magiche da lui evocate: leggendo i suoi scritti ci imbatteremo in fiumi che fluiscono controcorrente o vedremo per assurdo che da una donna senza vita nasce un bambino; ci emozionerà lo sguardo di un ragno che si specchia negli occhi di una anziana madre che attende il ritorno del figlio dal fronte; rifletteremo con la fucilata sparata alle sagome dei giocatori del biliardino raffigurati di nero in spregio alla truppa portoghese. Tutte queste storie donateci da Couto raccontano la realtà di una situazione d’emergenza.
È evidente come la letteratura non sia soltanto un gesto poetico, ma anche un atto etico politico.
Greta Accardi