Neffa / AmarAmmore

Oggi tutti sanno il nome, ma quando nel ’94 l’artista in questione effondeva il suo estro da rap-sodo, in pochi avrebbero prefigurato una traiettoria artistica così lunga e articolata, fatta di svolte ineffabili tale da renderla unica nel panorama musicale italiano. Come ama spesso dire quando interpellato, il suo rapporto con la musica è stato sin dal primo ascolto ispirato dalla passione – parola che tra l’altro riecheggia in una sua emblematica chanson – per cui nel concepire suoni, melodie, parole, invero non ha fatto altro che profetare, e cioè trasmettere un messaggio concepito dalla dea Emozione, a cui lui ha semplicemente donato la voce. Dapprima a suon di rime e scratch e cut, poi seguendo un lento percorso che, dalle sonorità funky e soul-jazz, l’hanno condotto fino al cuore della musica peninsulare, fino all’alba di AmarAmmore, suo ultimo album.


Nient’altro che un ramingo della canzone, Neffa, che a cinquantatreenni suonati – in ambo i sensi – ha raggiunto l’ennesima insolita sponda della sua traversata musicale, dove passato-presente-futuro parlano una sola lingua e cantano ad una sola voce, quella napoletana. Il passato coagulato nelle sue origini partenopee, nella musica popolare resa celebre da autori classici come Roberto Murolo ed eclettici come Pino Daniele, passando per un presente che stilla da pianoforti, sintetizzatori e beatbox, in attesa di un futuro dove l’emozione sia sempre e solo melodia.

L’album, pubblicato dalla rinata Numero Uno di battistiana memoria, consta di 12 brani, scritti e musicati dallo stesso Neffa, di cui tre prevedono collaborazioni frutto di una certa phronesis e dettate da un’affinità già esperita. L’abbrivio lo dà Fujevo, dove voce e suono, inizialmente esitanti, poco a poco si dilatano acquisendo un tenue vigore, forti della consapevolezza dell’io musicale sul proprio passato che più non occlude e dà respiro al presente. e fino ajere je fujevo/ e mo me stongo ccà/ mo me stongo ccà.

In Aggio Perzo ‘o Suonno, la notte si fa cassa di risonanza del lamento di chi più non tange né scorge l’affetto della persona amata. Un pianto melodico reso ancor più amaro dalla nostalgia che relega in un passato a cui non si vuol più esser legati. Sulla stessa linea d’onda, Neffa e Coez – a cui va il merito di vedersi attribuito l’unico spiraglio di italiano – raccontano la lotta interiore che attraversa l’anima quando è sospesa nello stato di semicoscienza, tra sonno e veglia, sogno e realtà, momento in cui nulla è deciso.

La disperazione continua a nutrirsi dell’anima musicale anche in Picceré e Affianc’a te; i rimorsi sbiadiscono i ricordi, fino a restare loro gli unici ricordi. Del domani si attende la fine sin da oggi. Nn’è Cagnato Niente vede la presenza di Livio Cori in una sintesi melodica catalizzata da un pregevole scambio di voci candide. La musicalità evanescente del brano si condensa in un sussurro che riempi testa e cuore.

Tra pianoforte e synth, T’Aggia Verè è un crescendo di angoscia curativa, una possibilità di protezione dal nero delle tempeste e dei malumori, una promessa, sia pur effimera, di una dolce quiete. In Si Me Salve Tu, la voce, spinta dalla forza di percussioni dal sapore tribale, si dedica con impeto alla ricerca di una fonte permanente di calore, che la salvi dal deperimento.

Il canto languido di AmarAmmore è una lacrima che si trattiene a stento. Come in Aggio perzo o’ suonno, tra il cantato di Neffa si inserisce l’improvvisa verve del t-rap, ora di Rocco Hunt, in cui le parole evocano la fotografia sgualcita di un amore finito. Un base musicale in stile british dub che incontra una linea melodica degna della tradizione partenopea, per la fioritura di una ballad intensa e senza tempo.

In Catene, si avverte il tormento dell’attesa serrare il petto, da cui sfuggono parole a ritmo sincopato, dando la sensazione di una trepida agitazione. L’angoscia filtra distorta dall’autotune, per schiarirsi nel finale in un rap cristallino, modulato e inteso (a oltre vent’anni dall’ultimo).

Pulsazioni minimali danno adito a Saccio Ca Putesse, per poi ritrarsi in favore del sopraggiungere di ventate di synth sopra cui svetta una voce olimpica, fiera del proprio slancio. Speranza, lei, quintessenza dell’arte, si alza lentamente su un bum-bum-cha classicheggiante, e giunta al refrain, ci prende per mano indicandoci l’orizzonte cupo ormai alle spalle e un cielo nuovo che si apre davanti. Nell’epilogo, il soul sopraffino di Neffa si rincantuccia nello spazio creato da dolci note di piano, con la sensazione di N’abbraccio che riscalda l’animo per tutto il tempo a venire.

L’album ci congeda qui, dopo averci condotto al di fuori della Caverna dell’Emozione, a guardare un mare soffice e calmo sulle labbra di una spiaggia. Chissà, forse del Golfo. Contemplare la copertina per credere.
Buon ascolto.

Livio D’Alessio