Giorno X

Diario di bordo, xx/xx/xxxx

Caro diario,

innanzitutto devo chiedere scusa alla mia intelligenza. Mi sono accorto di aver commesso uno sbaglio. Le promesse le sto mantenendo, visto? Non chiedo scusa per ogni errorino che eventualmente possa compiere come facevo precedentemente il risveglio. Mi sentirei ridicolo se lo facessi, e di continuo! Adesso non riaffiora, appena mi verrà in mente ti renderò partecipe. Fammi un cenno più tardi. Se solo potessi, non è così?


Ho scoperto l’universo. Hai presente, quando nelle scorse pagine il periodare si faceva sì pesante, che l’astronomia pareva non avere più segreti? Ora è diverso. Ogni qualvolta guardi fuori dall’oblò. E rido se ripenso a quanto ho scritto sulla Via Lattea. L’enciclopedia mi suggeriva: “appare come una fascia di aspetto bianco latteo che corre lungo un circolo massimo della sfera celeste” e così via. E so che se fosse possibile rideresti tu di me e mi chiederesti che senso abbia farsi beffa della realtà descritta su volumi enciclopedici. Smetto subito di ridurti a zimbello delle mie angherie. Tentar non nuoce.

Ho conosciuto l’allegria. Gironzolare su e giù per la Mercuria, canticchiando a squarciagola e saltellando qua e là mi fa sentire come mai prima d’ora. Se è per questo anche i filosofi se ne andavano vagando con lo sguardo rivolto al cielo e cadevano per terra. Nelle cavità. Nei pozzi! Ora comprendi quanta ilarità? Sono felice da quando non mi riduco a scrivano di una conoscenza già consolidata ed evito di svalutarmi a copia dell’esistente. La lettura riserba tempistiche moderate. Capisco che succubi non se ne può diventare e che una vita libresca non è vera. MAI. Ti svalorizza. O de-valorizza, come preferisci, tanto il significato è il medesimo. Ecco perché non trascorro ore ed ore a scrivere. Lo stesso vale per la scrittura. Acquisire la padronanza necessaria alla sopravvivenza non basta per avanzare novità. La tua. La mia. Prediligo un verbo in particolare per esprimere questa assenza di originalità. Un predicato simpatico. Suona così: scimmiottare. La mia specie proviene da Homo Sapiens che per evolversi fino a quello che vedresti oggi, cioè io, si è lentamente discostata dalla scimmia, sinonimo di animalità assoluta. Quando si viveva sulla Terra, il paragone con la scimmia si mantenne un insulto per secoli, senza subire mutazioni, fino alla fine. Se ti chiamavano scimmia potevi ritenerti offeso. Senza mezze misure o ripensamenti. Quindi etichettare gli scrittori quali “scimmiottatori” di generi e stili, li avrebbe fatti rigirare nella tomba sia nel XX che nel XXX secolo. Perciò non mi definire così. Non ti perdonerei facilmente.

Ti sto scrivendo dal luogo dei giorni. Per non saper né leggere né scrivere (e mi benedico invece per aver imparato) ti comunico che è il giorno X. Domani sarà Y. Perché gli umani non scelsero di continuare a denominare il susseguirsi del tempo in lettere? Poi l’uomo si è complicato l’esistenza e ha deciso di perseverare nella sua involuzione cerebrale. E si è estinto, per quanto ne so.

Stendiamo un velo pietoso, anzi un’estinzione pietosa. Ti ringrazio per le parole che ci siamo scambiati. È appena accaduto un evento strabiliante. Trascende quello che ti ho raccontato quando ho iniziato a suscriverti. Scappo e verifico.

A prestissimo,
Aron

(continua…)

Aurora Molisso