Tsundoku

Gialli, fantasy, raccolte di poesie, storici, umoristici, libri scritti dallo zio della cugina dell’amico di famiglia… insomma, pile e pile di copertine colorate e titoli intriganti, abbandonati sul comodino, libri acquistati e mai letti. È proprio questo che significa Tsundoku, e i lettori più accaniti sicuramente lo conoscono bene.

Libri che vengono acquistati con la sincera intenzione di leggerli, ma che vengono tempestivamente rimpiazzati dall’acquisto impulsivo e fulmineo di un nuovo scintillante romanzo, che farà inevitabilmente la stessa fine. Sistematicamente poi, il passare del tempo è inversamente proporzionale alla possibilità che vengano effettivamente sfogliati.

Il termine nipponico deriva da “tsunde” (impilare oggetti) e “oku” (lasciare lì per un po’ di tempo), “oku” si è poi trasformato in “doku”, che in giapponese significa lettura, creando quindi il singolare gioco di parole.

Dietro allo Tsundoku si nasconde la magia del libro come oggetto, un nuovo sguardo, una nuova gioia, trovata nel domandarsi quali meraviglie si troveranno aprendo la copertina di quel vecchio libro: illustrazioni, storie e nuove scoperte. Dopo tutto una collezione di libri non letti non è altro che una collezione di gap culturali che si vogliono colmare.

Molti di noi praticano lo Tsundoku senza neanche saperlo, sarà mica colpa della frenesia moderna che non ci lascia il tempo di leggere?

Non saprei, ma sicuramente si tratta di un vizio innocuo, quasi poetico, per chi vuole sapere di avere sempre a disposizione una storia in cui rifugiarsi, una via di fuga da una quotidianità spesso fin troppo impegnativa. Ogni libro è un viaggio che aspetta pazientemente di essere intrapreso, non importa se subito o tra dieci anni.

Photo credits: Ella Frances Sanders in Lost in Translation (ebook)

Anna Bonetti