#UNINTSpeechPressReview

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L’incredibile storia di Richard Simcott

Parlare decine di lingue, saper interagire fluentemente in inglese, finlandese o cinese, imparando (quasi) senza sforzo: è il sogno di ogni studente di lingue. Naturalmente, per la maggior parte degli studenti, ottenere dei risultati richiede grande sforzo e costanza. Ma cosa significa davvero “padroneggiare una lingua, e quante se ne possono imparare?

L’intelligenza umana, si sa, ha un potenziale enorme, ma quello che forse non tutti sanno è che nel mondo esistono delle menti geniali, capaci di far invidia anche ai linguisti più affermati: gli iperpoliglotti. Il termine iperpoliglotta viene introdotto dal linguista Richard Hudson per indicare un individuo che padroneggia almeno undici lingue. Tra gli iperpoliglotti più famosi della storia ricordiamo l’archeologo Heinrich Schliemann, scopritore delle rovine della città di Troia che parlava circa 15 lingue e Ludwig Lejzer Zamenhof, medico e linguista polacco nonché padre dell’esperanto. La domanda sorge spontanea: (iper)poliglotti si nasce o si diventa? Dal punto di vista neurologico, recenti studi hanno aperto nuove possibilità per decifrare i processi cerebrali coinvolti nell’apprendimento linguistico.

È stata ormai appurata l’esistenza del cosiddetto “periodo critico”, ovvero la fase di massima plasticità neurale in cui il bambino riesce ad acquisire una o più lingue in modo inconscio e spontaneo, poiché in età infantile il cervello umano è in grado di sfruttare al massimo le sue potenzialità. Una volta superata questa fase, l’apprendimento rallenta e diventa intenzionale. Non è quindi ben chiaro come sia possibile che gli iperpoliglotti imparino decine di lingue in età adulta.

Il britannico Richard Simcott è ad oggi uno degli iperpoliglotti più famosi al mondo. Nato nel 1977 in Gran Bretagna da una famiglia monolingue, sin da bambino mostra una grande predisposizione per le lingue, arrivando nel corso degli anni a studiarne oltre 50. Oggi ne parla correttamente 30 tra cui turco, polacco, ebraico, cinese, islandese, macedone ed esperanto, mentre dichiara di riuscire a passare per madrelingua in sei di queste.

Studenti di lingue, non disperate! Alla fatidica domanda “Esiste un metodo per imparare le lingue così bene?” Simcott risponde, naturalmente in perfetto italiano, che la cosa più importante è non avere paura di sbagliare. Gli adulti sentono il peso del giudizio altrui, mentre i bambini imparano più velocemente perché non hanno paura dell’errore. Un altro aspetto fondamentale è avere un obiettivo preciso e realizzabile, non memorizzare inutili liste di parole senza contesto, ma piuttosto imparare a dire ciò che si vuole realmente dire.

Per aiutare poliglotti e amanti delle lingue a incontrarsi, qualche anno fa Richard ha dato il via alla Polyglot Conference, un ciclo di conferenze che si svolgono ogni anno in una città diversa del mondo. “Prima di internet e dei social media – si legge sul sito ufficiale – i poliglotti erano creature solitarie che dedicavano moltissimo tempo allo studio per raggiungere un obiettivo che a molti sembrava bizzarro o insensato. Poi è arrivato internet e tutto è cambiato, la distanza non è più un ostacolo e finalmente poliglotti e amanti delle lingue sono riusciti a riunirsi”.

Oggi Simcott vive a Skopje, nella Macedonia del Nord, con la figlia e la moglie, che parla 11 lingue ed era trilingue già a tre anni. In casa Simcott si parlano quotidianamente francese, inglese, spagnolo, tedesco e macedone. In una recente intervista Richard ha dichiarato: “Parlare una lingua significa capire una cultura diversa, è qualcosa di magico”.

Vanessa Iudicone

Fonti

https://multilinguismoprocessineurologici.files.wordpress.com/2015/06/tesi-di-laurea-paola-ferraiuoli.pdf, consultato il 19/10/2020.

https://www.youtube.com/watch?v=MEv0bAeGylI, consultato il 19/10/2020.

https://www.ilpost.it/2018/09/09/iperpoliglotti/, consultato il 19/10/2020.

https://www.sbs.com.au/language/italian/audio/richard-simcott-iperpoliglotta, consultato il 19/10/2020.

#RECEUSTIONI

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Enola Holmes – Un nome, una garanzia

Enola Holmes è l’adattamento cinematografico dei romanzi di Nancy Springer, “The Enola Holmes Mysteries”, distribuito da Netflix (causa pandemia, sob) dal 23 Settembre 2020.

Protagonista è la brillante, indomabile e ribelle sorellina sedicenne di Mycroft e del leggendario Sherlock Holmes, la cui intelligenza non tarda a regalare agli eroi usciti dalla penna di Arthur Conan Doyle, parecchi grattacapi!

Seppur classificato come genere misto tra Giallo e Avventura, è un vero e proprio viaggio rocambolesco – a tratti esilarante e dolceamaro insieme – in cui non solo vivi le avventure di Enola, ma inizi a pensare come lei, diventi lei.

Impossibile non notare la naturalissima e sbalorditiva capacità di Millie Bobbie Brown (nei panni di Enola herself) di mandare in frantumi la quarta barriera, e catapultarti fin dal primo fotogramma al di là dello schermo, in un perfetto British English, of course.

Lo stesso vale per l’irresistibile charm di Henry Cavill nei panni di Sherlock, il fratello più comprensivo e affine per spirito ed intelletto ad Enola, e per Sam Claflin che interpreta quel borioso di Mycroft, che si fa odiare dal primo all’ultimo secondo, com’è giusto che sia secondo papà Doyle, ndr.

Ma il premio Oscar come personaggio più tosto di tutti (anche da dietro le quinte), va ad Helena Bonham Carter nei panni della mammina scomparsa, che è fisicamente presente quasi solo nei flashback di Enola, ma che ormai è una voce nella sua testa, e come una mano amorevole che tira un filo rosso a sé con indizi qua e là, la guida per tutto il tempo.

Mommy’s love is neverending, right?

Nonostante Enola sia la bifronte di Alone, e all’inizio effettivamente la madre svanisca nel nulla proprio nel giorno del suo sedicesimo compleanno, Enola è tutt’altro che sola nel suo viaggio.

Alone stands for “Alone you’ll muddle through everything”, trust your gut, honey.

È proprio così che Enola trova se stessa cercando la madre, viene fuori come una giovane donna audace e sicura di sè, non si lascia imbrigliare da Mycroft, nè zittire con le raffinate smancerie tipiche delle civette allevate dalla spocchiosa società vittoriana.

Poi come le ha insegnato la mamma, nascondendosi in bella vista proprio nei panni di una lady, si riprende la sua voce, il diritto di scegliere per sé e il suo posto nel mondo.

“Puoi prendere due strade Enola, la tua o quella che gli altri scelgono per te. ”

In tutto ciò non riusciamo a capire perché la mamma sia scomparsa, fin quando non diamo uno sguardo al quadro per intero, cioè lei, come Enola, è una donna nata nell’epoca sbagliata, che se ne infischia delle lunghe gonne merlettate e dà fuoco ai corsetti.

Insegna invece a sua figlia ad osservare, ascoltare, combattere per ciò in cui crede, piuttosto che ricamare.

Una perfetta Giovanna d’arco, una Mary Wollstonecraft di noialtri, una self-made woman con l’unico grande scopo di rendere il mondo un posto migliore, quell’una su un milione disposta a rischiare tutto per fare la differenza, ad uscire dalla cucina e dalla nursery per dimostrare la verità più vecchia del mondo: una donna non vale meno di un uomo, e il suo posto non è certo al guinzaglio di qualcuno, ma in prima fila, nell’avant-garde.

“La scelta è tua, Qualsiasi cosa la società ti dica, non può controllarti.

Mai accontentarti del mondo che hai davanti.

Bisogna fare un po’ di rumore se si vuole essere ascoltati.

Il futuro dipende da noi, essere soli non significa essere solitari, vuol dire trovare il tuo posto nel mondo, il tuo scopo. ”

Al mondo serve un cambiamento, e potresti essere proprio tu, sì, tu in ultima fila!

Worth the hype, isn’t it?

Let me know!

Francesca Nardella

#POLITICAFFÈ

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Ancora un fallimento dell’Occidente in Africa: il Burkina Faso precipita nel caos

Stampa statunitense

Il Burkina Faso, Paese dell’Africa occidentale senza sbocco sul mare, una volta considerato un esempio di successo nella storia degli aiuti militari statunitensi, oggi si trova a fronteggiare un crescente livello di insicurezza dovuta da sempre più frequenti insurrezioni, una crisi umanitaria in atto e un apparato di sicurezza che, anziché proteggere, colpisce i civili. La situazione viene presentata in modo chiaro da The New York Times. Il Burkina Faso ha lottato a lungo con le difficoltà quotidiane tipiche di un Paese posizionato nella regione subsahariana. Infatti, siccità, desertificazione, colonialismo, colpi di Stato, corruzione, povertà e conflitti etnici sono temi costantemente presenti nell’agenda di Governo. Tuttavia, negli ultimi decenni, mentre i conflitti affliggevano diversi Paesi nella regione – come Liberia, Sierra Leone, Costa d’Avorio e Mali –, il Burkina Faso ha rappresentato un fulcro di stabilità. Prima dell’attuale crisi, la capitale era conosciuta anche perché ospita il più grande e prestigioso film festival di tutto il continente africano, Festival Panafricain du Cinéma de Ouagadougou. Per decenni, gli Stati Uniti d’America hanno dimostrato scarso interesse nei confronti di questo Paese oltre all’invio di volontari membri dei Peace Corps e modeste quantità di aiuti umanitari.

In un report sul Burkina Faso Human Rights Watch ha documentato più di 60 uccisioni di civili per mano di Islamisti armati tra la fine del 2017 e l’inizio del 2019 senza includere le 130 uccisioni extragiudiziali delle forze di sicurezza del Burkina Faso avvenute nello stesso periodo di tempo. Queste esecuzioni e altri abusi perpetrati dalle truppe governative hanno avuto luogo in circa 19 occasioni diverse. La direttrice e referente della regione dell’Africa occidentale di Human Rights Watch, Corinne Dufka, ha affermato che non ci sono dubbi circa il fatto che quelle atrocità siano state commesse dai membri delle forze di difesa e sicurezza del Paese. Tra l’altro, il Ministro della Difesa, Chérif Sy, si è rifiutato di rispondere alle ripetute domande circa la sicurezza nazionale.

Alla luce degli eventi appena riportati, il panorama del Paese non sembra prospettare progressi significativi nel futuro prossimo. Che impatto avranno le elezioni presidenziali in Burkina Faso di novembre 2020? Si avranno dei miglioramenti concreti se dovesse cambiare il Presidente?

Stampa inglese

Nell’ultimo decennio il Burkina Faso ha sperimentato una intrinseca fragilità, tanto che l’emergenza umanitaria di questo Paese è diventata tra le più preoccupanti al mondo.

Aumento dei conflitti, insicurezza, governance debole e mancanza di sviluppo sono per The Independent le cause profonde che hanno consentito il rapido deterioramento della situazione. E il sottosegretario generale delle Nazioni Unite Mark Lowcock, ha dichiarato che la condizione allarmante in Burkina Faso, Mali e Niger è il sintomo dell’incapacità di affrontare tutte queste cause di problemi. Lo stato inquietante di questa nazione è dovuto ad alcune problematiche che attanagliano in linea generale, la regione africana del Sahel. Non a caso, un numero record di persone – oltre 13 milioni – necessita di assistenza sanitaria, e tale esigenza è concentrata nelle aree di confine di questi tre Paesi. Peraltro, la maggior parte di loro sono bambini.  

Per comprendere meglio, occorre spiegare che l’insicurezza nella regione del Sahel è iniziata nel 2012 quando un’alleanza di militanti separatisti e islamisti ha preso il controllo del nord del Mali. Da quel momento in poi, le aree centrali e occidentali della regione sono diventate un importante fronte di combattimento nella guerra contro la militanza islamista, a cui hanno partecipato gli statunitensi e gli europei – soprattutto francesi. Tuttavia, dal 2016 la regione del Sahel è stata protagonista di una crescente violenza islamista, perché in quel periodo sono emersi nuovi gruppi armati legati ad al-Qaeda e allo Stato Islamico. Questi militanti hanno approfittato dei confini colabrodo per raccogliere finanziamenti attraverso estorsione e traffico di armi e di esseri umani. Così si sono espansi in Burkina Faso, Mali centrale e Niger. E nell’ultimo periodo si sono verificati diversi scontri tra questi affiliati dello Stato Islamico e di al-Qaeda. In particolare, durante la scorsa primavera, lo Stato Islamico aveva detto di essere stato oggetto di pesanti attacchi da parte del JNIM proprio in Burkina Faso e in Mali. Precisamente, il JNIM è emerso come uno dei rami più letali di al-Qaeda, insieme ad al-Shabab in Somalia – spiega la BBC.

Questa violenza avrebbe raggiunto il suo apice in Burkina Faso nel periodo di tempo compreso tra novembre 2019 e giugno di quest’anno, soprattutto a danno dei civili. Gruppi di decine di cadaveri sono stati trovati legati e bendati lungo le autostrade, sotto i ponti e nei campi – così The Guardian che enuncia un rapporto del Human Rights Watch. Dunque, un Paese trasformato in un campo di sterminio a cielo aperto. In buona sostanza, tale aggressività si è diffusa progressivamente dal nord e dal centro verso l’est del Paese, dove una serie di ripetuti attacchi ha rafforzato l’afflusso degli sfollamenti di massa di migliaia di famiglie.

Sempre il quotidiano britannico, afferma che l’Institute for Economics and Peace (IEP) ha realizzato uno studio secondo cui la crisi climatica e il rapido aumento della popolazione produrranno entro il 2050 un aumento dei flussi migratori verso i Paesi più sviluppati. Il Burkina Faso rientra nella categoria dei Paesi che saranno oggetto di questa fuoriuscita di cittadini, proprio per la combinazione tra alto rischio per le minacce ecologiche e crescita degli abitanti.  

Tralasciando i disastri naturali, su tale crisi umanitaria pesano anche le responsabilità dei Paesi occidentali, il cui marcato interventismo ha finito per esacerbare alcune vicende. Per esempio, le operazioni di Francia e Stati Uniti hanno contribuito a indirizzare i militanti di al-Qaeda verso i confini del Burkina Faso.   

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

Fonti

Climate crisis could displace 1.2bn people by 2050, report warns disponibile su https://www.theguardian.com/environment/2020/sep/09/climate-crisis-could-displace-12bn-people-by-2050-report-warns, consultato il 21/10/2020

At least 180 civilians killed in Burkina Faso town, says rights group disponibile su https://www.theguardian.com/world/2020/jul/09/at-least-civilians-killed-burkina-faso-town-says-rights-group, consultato il 21/10/2020

Africa’s Sahel becomes latest al-Qaeda-IS battleground disponibile su https://www.bbc.com/news/world-africa-52614579, consultato il 21/10/2020

France summit: Macron and Sahel partners step up jihadist fight disponibile su https://www.bbc.com/news/world-africa-51100511, consultato il 21/10/2020

UN hopes meeting will raise $1 billion for key Sahel nations disponibile su https://www.independent.co.uk/news/un-hopes-meeting-will-raise-1-billion-for-key-sahel-nations-sahel-mark-lowcock-countries-un-nations-b1142756.html, consultato il 21/10/2020

How One of the Most Stable Nations in West Africa Descended Into Mayhem, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/15/magazine/burkina-faso-terrorism-united-states.html, consultato il 20/10/2020

Burkina Faso: Residents’ Accounts Point to Mass Executions, disponibile su https://www.hrw.org/news/2020/07/08/burkina-faso-residents-accounts-point-mass-executions, consultato il 20/10/2020

#UNIVERSEAT

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Ed eccoci con un nuovo appuntamento di #UniversEat!!

Ogni volta che mi presento, dato il mio cognome Cossu e, forse, i miei lineamenti, la prima domanda che mi viene fatta è “Sei sarda?”.

Le mie origini, a quanto pare, sono evidenti e, proprio per questo motivo, oggi ho deciso di stupirvi con un piatto tipico della suddetta tradizione: le seadas, un tempo definite mannas cantu su prattu, ossia “grandi quanto il piatto” in cui venivano servite. Oggi la dimensione è stata ridefinita, pur rimanendo il gusto sempre lo stesso.

Ingredienti per sei persone:

  • 300 g di farina (è consigliata quella di grano duro ma io ho usato la 00 che avevo in casa);
  • 30 g di strutto;
  • 100 ml di acqua tiepida;
  • Pasta fresca di dolce sardo q.b. (formaggio tipico sardo);
  • Scorza di limone e/o arancia grattugiata;
  • 1 albume;
  • Miele q.b.;
  • Olio per friggere q.b.;
  • Coppapasta di due misure (generalmente il più grande da 9 cm).

Ora che abbiamo tutto l’occorrente, mettiamo le mani in pasta!

Per prima cosa, uniamo lo strutto e l’acqua alla farina (l’acqua va aggiunta poco alla volta). Lavoriamo l’impasto finché non diventa liscio e morbido; a questo punto lo lasciamo riposare 30 minuti a temperatura ambiente in una ciotola e coperto dalla pellicola.

Intanto che l’impasto riposa, prepariamo la farcia iniziando a grattugiare il dolce sardo. Per il ripieno abbiamo due possibilità: la maniera tradizionale o quella più rapida (vi anticipo già, avendole provate entrambe, che il risultato finale sarà lo stesso). Nella versione tradizionale, il dolce sardo, dopo essere stato grattugiato, va cotto in un pentolino e, una volta sciolto, gli si vengono aggiunte le scorze di limone e/o arancia; dopodiché, viene steso il composto su un foglio di carta forno e vengono formati dei dischi col coppapasta più piccolo. Nella versione più rapida, invece, non è necessario cuocere il dolce sardo, ma lasciarlo grattugiato aggiungendo la scorza dell’agrume scelto.

Passati i 30 minuti riprendiamo l’impasto, lo stendiamo e formiamo dei dischi di circa 9 cm.

A questo punto, prendiamo un disco e spennelliamo il bordo con un po’ di albume; dopodiché, mettiamo il formaggio al centro (è indifferente che sia quello fresco o quello cotto) e andiamo a chiudere con un altro disco non spennellato; proseguiamo così fino al completamento.

Mettiamo sul fuoco una padella con abbondante olio per friggere e quando quest’ultimo sarà caldo, aggiungiamo le nostre seadas, lasciandole fino a che non avranno un bel colore dorato. Una volta pronte le asciughiamo con un foglio di carta assorbente e le cospargiamo di (taaaaaanto) miele.

Il nostro piatto è ora pronto per essere gustato.

Siete pronti a replicare? Tre, due, uno… Unint ai Fornelli!

E se non trovate il dolce sardo, sbizzarritevi nel creare seadas col formaggio tipico delle vostre zone, noi qui aspettiamo le vostre creazioni!

Ylenia Cossu

#LUXURYMOMENTS: #LUXURYJUICE

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Emily in Paris Courtesy of Instagram EIP Official Page

Emily in Paris: the fashion tv series that criticizes les Parisiennes

The Netflix scenario has been surrounded by many news during this year. For the most fashionable viewers the waiting was all concentrated into the new chic comedy-drama, Emily in Paris, by the Darren Star the creator of Sex and the City (also Beverly Hills 90 and Melrose Place).

The plot is set from Chicago to Paris where Emily an industrious and lively girl turns up for a work opportunity in the city of love, and fashion, Paris.

She will be surrounded by a super French chic entourage headed by Sylvie, played by the brilliant Philippine Leroy-Beualieu who seems to be extremely unsympathetic to the American girl since the first day. A meeting of minds one “shouting” in English about the importance of social media for an efficiently marketing approach, the other whispering in French and strongly believing in the “old methods” of marketing.

The result is straightforward: a series of events will confirm Emily as a creative, intuitive ace in the fashion game. but before that many challenges will be faced.

As Emily arrives to Paris, she settles into a perfect artistic little flat and meets several new characters. The firstly charming neighbor, Gabriel, who cooks in the restaurant nearby in the district. The two will immediately find a chemistry but, drama spoiler, the guy is taken.

Soon Emily will meet Mindy, a Chinese who’s escaping from her home in Shanghai to prove her independence and ending up being a nanny (still, a fashionable one).

Then Emily meets Camille, the sweetest Parisienne in the city, who happens to be in a relationship with Gabriel making the potential romance a failure from the beginning.

But, the city is still hers.

Even if the workplace is a chronicles of nightmares and her cultural misadventures make Emily a funny character before making her a fashion influencer, she will eventually end up blossoming into a fierce woman fascinating even the most unlikely-susceptible character, Pierre Cadault the anchor-designer of the season and the lucky star among the Emily’s P.R. agency customers.

Few questions arose during the view of the series and some are deliberately left unanswered for the next season.

  1. Is it snob(bish) really cool?

The description of the Parisienne atmosphere at the workplace has left the French public particularly annoyed.  Some argued that the visitors could be “traumatized” by the antiseptic vision that the people who actually live in Paris have in relation of the visitors from abroad. Not guests, not visitors more like strangers here the word we are looking for. This is like an inner circle: if you cannot share the same ideals of the big city, you’re labelled as “out of market”. But from people who once where from abroad and successfully integrated into the city, with struggle of course but not exceptionally atrocious as the series describes, Paris is more opportunities than opportunism. The series has been ironically seasoned by Americans using misunderstandings as a sharp blade cut the, hypothetically, serious atmosphere.

  • Is Fashion a debate of generations?

First Emily vs Sylvie then Pierre Cadault (who sound very much like Arnault, very clever) vs Grey Space. The debate is true: from methodology and approach to designer and production. Emily is a fresh, lively twenty-something girl who unexpected turned her life upside by moving to Paris. Her views for promotion are quite different from Sylvie ones’ more related to the vis-à-vis relation with the client and overall against the fast turn of social media, considering them as a tool not exactly an end. But the combinations of the two is that balance we wish to see in season two, a training- supportive adventure that is not far from reality if you think about flourishing firm which constantly invest in their human resources. As for Pierre Cadault and Grey Space the debate is also visual: one reminds the golden age of Paris and the romantic silhouette of Christian Dior (at least at the beginning of the series), the others are street-styled almost futuristic pioneers of a generations that sometimes seems to be a little too contemptuous.

  • Is love preventing us from ruling the world?

The hardest question not just from this series I presume. Love and work, carrier and private life. Find the perfect balance is already difficult even if there are not connected in the same field: as Emily exceeds in one this the other seems to be at least damaged. The  city of love will for sure call for many romantic encounters: a fascinating but pedantic teacher, an impossible love story and, for now, the shadow of Mathieu Cadault, heir of Pierre, are the possible “distractions” for our Emily: who’s going to overturn the annoying Parisienne stereotype first?

  • Who’s really Pierre Caldault?

The most hunted fashion icon and designer of the season needs of course a personal space.

Even if at the beginning he could seem a gathering of all the worst attributes for French people, during the developing of the season, his character grows as well touching some important aspect of the fashion industry like acceptance, the fear of the failure and the exactment of renovation. Starting like an elegant owner of an “aristocratic” atelier he struggles with the innovative designer of Grey Space represented by two young Americans who believe that the future of Haute Couture is the simplification of the system by using Jumpers and culdoscopies textures in their production.

After several moments of discomfort and almost a resignation, Pierre comes up with a new concept of Haute couture which engage the street wear and the youth of its public. From soft colors and textures to strong and daring overlapping of fluos and tons, tons of tulle. To conclude every dress has some sort of message according to the concept of “think differently”. Pierre creations have something of Jean Paul Gaultier from the pistol dress in velvet in 1984 to the “outrageous” black leather dress of Madonna later on but also something very Italian like the creation of Moschino of the last years, like the icon black dress with the capital white letters “You can dress me up! but  you can’t take me out”.

A dress, a statement.

Fanny Trivigno

Sources

https://www.independent.co.uk/arts-entertainment/tv/reviews/emily-paris-netflix-review-lily-collins-b714646.html

https://www.vogue.it/moda/article/jean-paul-gaultier-momenti-memorabili-sfilate-carriera

https://www.instagram.com/emilyinparis/?hl=en

#FACCIAMOILPUNTO

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ECCO PERCHÈ IL FATTORE 5G È DA TENERE D’OCCHIO

La discussione sul fatto che il nuovo network 5G potesse essere uno dei principali fattori veicolanti del Covid-19 è stata accolta con una sonora risata da tutti noi: durante la prima metà di questo rocambolesco 2020, ci siamo divertiti ad ascoltare tutti quei negazionisti e le loro teorie secondo le quali il virus sopracitato sarebbe uno strumento inventato appositamente al fine di frenare le libertà dei cittadini. Da un punto di vista scientifico non esiste alcun collegamento tra Covid-19 e 5G; ciononostante, quello che abbiamo scherzosamente screditato per mesi potrebbe essere un fattore di collisione tra due superpotenze.

Di per sé lo scontro tra Pechino e Washington non è una grande novità: i dissidi tra i due giganti sono più o meno all’ordine del giorno in campo di relazioni internazionali. Si tratta di due attori internazionali che producono circa un terzo del PIL mondiale e che non vogliono proprio sentir parlare l’uno dell’altro. Le origini di questo reciproco disprezzo sono profondamente ancorate nel fatto che i due rappresentino ideologie completamente differenti: da una parte, la patria della democrazia liberale, dall’altra un comunismo interpretato ad hoc con sfumature autoritarie. I due Paesi rispecchiano inoltre modus operandi opposti in ambito di relazioni internazionali. Gli USA, sulla base del principio del manifest destiny, sono i pionieri della democrazia e delle libertà fondamentali in tutto il mondo, mentre Pechino ha sempre adottato una linea chiusa, sulla base del rigetto del prodotto del modo di fare diplomazia degli Stati occidentali. Due mondi opposti ma simili in quanto entrambi al momento appoggiano su un forte sentimento nazionalistico. Basti considerare l’ultimo discorso che Trump ha tenuto durante l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il cui principale scopo era quello di colpire la Cina ed identificare in quest’ultima l’unico e solo responsabile della pandemia. Un discorso che ha rimbalzato in Oriente e non ha fatto altro che rafforzare la posizione del Xi Jinping agli occhi del popolo dell’ex Celeste Impero.

Perché, quindi, l’avvento del 5G dovrebbe preoccuparci? La risposta è legata alla nuova guerra che riguarda il campo del progresso tecnologico. Gli USA sono da sempre leader del settore ed hanno dimostrato la loro superiorità a partire dall’inizio della guerra fredda. L’Unione Sovietica non è mai stata in grado di reggere il confronto con il nemico d’oltreoceano, ma Pechino sembra aver raccolto il guanto della sfida americana con prontezza. A seguito delle proteste di fine anni ’80, infatti, il governo cinese si è trovato ad investire molto nello sviluppo tecnico. Dopo circa 4 decenni, ci troviamo ad un punto cruciale: marchi come Huawei sono diventati i principali competitor delle aziende americane ed hanno esportato i loro prodotti in tutto il mondo. Questo nuovo conflitto, acuito dalle accuse poco accurate del presidente Trump nei confronti della responsabilità cinese riguardo alla pandemia, si sta trasformando in un fattore scatenante di quella che viene definita come una nuova possibile Guerra Fredda. In effetti, dopo aver messo al bando la costruzione della rete 5G da parte di Huawei a Londra, i nostri principali alleati stanno facendo pressioni su Roma proprio per evitare che l’Italia possa concedere al colosso cinese l’appalto per l’adesione al network. In poche parole, la posizione dura che gli Stati Uniti hanno adottato nei confronti della Cina si sta concretizzando attraverso l’appello agli ex-alleati di prendere una posizione netta nei confronti nei confronti di quella che può essere definita come una vera e propria crociata contro l’espansione cinese. D’altro canto, nonostante la propria iniziale timidezza, Xi Jinping non ha alcuna intenzione di restare a guardare: una sfida alquanto interessante, i cui sviluppi stanno prendendo forma anche in ambito diplomatico. Il 20 Luglio scorso l’FBI ha fermato 4 cittadini cinesi sostenendo che fossero coinvolti in operazioni di spionaggio, chiudendo il consolato cinese di Houston. Proprio all’interno di queste dinamiche si inserisce il nuovo dibattito hi-tech sul 5G, sul quale il Vecchio Continente giocherà un ruolo fondamentale.

In poche parole, bisognerà valutare quali politiche adotteranno gli Stati europei per far fronte a questo nuovo scontro internazionale. Il dibattito si è già scatenato in Francia ed all’interno della CDU tedesca: applicare una politica protezionistica di esclusione delle tecnologie cinesi, favorendo ancora una volta l’ingerenza USA nelle politiche di sviluppo del nostro continente, oppure lasciare il campo ad una potenza emergente con un potere economico non indifferente? Ad ognuno le proprie conclusioni. Quello di cui siamo certi è che la fine della governance internazionale americana e dell’asset mondiale unipolare è ormai giunta e bisognerà scegliere, ancora una volta, da che parte stare.

Martina Noero

#MondayAbroad

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Care lettrici e cari lettori,
mi presento: sono Giulia e questo è il mio primo anno di magistrale all’UNINT. Inoltre, come noterete, questo articolo segna il mio esordio nella rubrica #Mondayabroad. Spero, con il fondamentale aiuto di Ilaria, di riuscire a farvi evadere dalle vostre camere, classi o aule studio e di far affiorare in voi la voglia di viaggiare (anche solo ad occhi aperti).

Per rompere un po’ il ghiaccio, ho deciso di parlarvi della mia ultima avventura. Devo ammettere di essere stata particolarmente fortunata poiché, poco prima del lockdown di marzo, sono riuscita a partire in solitaria e la meta scelta è stata il Vietnam.

Questo paese non è mai stato nella lista dei “posti assolutamente da vedere”, anzi, potrei definirla una scelta alquanto casuale e dettata dall’istinto.

Il mio viaggio è cominciato intorno a metà febbraio e, nei 15 giorni successivi, ho percorso tutto il Vietnam, da nord verso sud. Atterrata ad Hanoi, sono rimasta sbigottita nel traffico della città: una miriade di motorini è solita sfrecciare tra le strette vie trasportando ogni sorta di oggetto, da piccole gabbie con animali a giganteschi frigoriferi. L’unica cosa che il passante può fare è fidarsi della capacità di guida degli autisti e lasciarsi schivare alla bene e meglio.

Tra le montagne del nord, ho scoperto l’esistenza di numerosissime etnie (se ne contano addirittura 50). Ognuna si distingue per le proprie tradizioni, per i costumi e per il dialetto che parla. Tutte, però, sono caratterizzate da un’elevata adattabilità al territorio in cui si trovano, riuscendo a coltivare anche nelle zone più rurali. Il loro attaccamento alla terra si riflette nei miti e nelle leggende che vengono tramandate. È forte la convinzione di essere figli della Terra, del Fuoco e dell’Acqua, elementi che vengono comunemente associati alle dee Madri.

Mi sono persa nei colori e nella frenesia del mercato locale di Lung Phin: immersa in un via vai di carretti, buoi e persone che cercano di vendere quello che quotidianamente producono. Il mercato è un’occasione, per i più giovani, di uscire a conoscere una potenziale futura moglie. Le ragazze si agghindano e sfoggiano i loro vestiti più belli, sperando di catturare lo sguardo di qualche fanciullo.

A bordo di una meravigliosa giunca di legno, ho navigato tra le isolette della Baia di Ha Long e, al sorgere del sole, ho praticato Tai Chi sul ponte della nave. Su tutta la costa, i pescatori vietnamiti venerano e rispettano profondamente le creature del mare, tanto da erigere, in loro onore, dei piccoli tempi tra gli scogli (la particolarità di questa Baia è che è possibile scorgere un altarino dedicato ad una balena sfortunatamente arenatasi e morta sulla spiaggia).

Andando verso sud, ho abbandonato il freddo e i villaggi rurali per lasciare posto al caldo e alle grandi città occidentalizzate. Non fraintendetemi, anche il sud ha le sue meraviglie naturali da scoprire, però tutto sembra riarrangiato e sistemato a misura di occidentale. Anche sulle rive del Mekong si cerca di accontentare il pretenzioso visitatore in ogni suo capriccio e nel sito che ospita i famosi tunnel di Cu Chi, costruiti durante la guerra d’Indocina e poi riutilizzati durante la guerra del Vietnam, hanno costruito una sorta di poligono di tiro molto gettonato tra i turisti. Attrazione che personalmente, trovo deprimente: come si può sentire la voglia di sparare ad un bersaglio in un luogo in cui sono morte, tra atroci sofferenze, così tante persone?

Questo è stato uno dei viaggi più intensi che abbia mai fatto: immergersi in una cultura così diversa dalla propria lascia sempre qualcosa di estremamente arricchente in chi parte. Che sia questa o un’altra meta, partite appena potete. Quando gli impegni scolastici o gli ostacoli esterni non saranno oppressivi, compratevi una guida turistica qualunque e fatevi travolgere dalla voglia di scoprire qualcosa di nuovo.

Giulia Giacomino

#POLITICAFFÈ

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Lo spettro di un lockdown s’aggira per l’Europa

Stampa inglese

L’evoluzione della situazione epidemiologica in Europa preoccupa, e nell’ultima settimana diversi governi hanno annunciato l’introduzione di nuove restrizioni più severe per bloccare la virulenza del Covid-19.

Il direttore regionale per l’Europa dell’OMS Hans Kluge ha affermato che secondo gli studi effettuati, se i Paesi non avessero applicato delle misure più severe per un certo periodo di tempo, le morti giornaliere di Covid avrebbero potuto raggiungere cinque volte il picco di aprile entro gennaio 2021 – così The Guardian. Dunque, queste nuove misure sarebbero necessarie per ridurre drasticamente l’aumento delle nuove tendenze. Il dottor Kluge ha però precisato che l’aumento dei casi è dovuto in parte all’accrescimento dei test effettuati e che, nel frattempo, c’è stata una riduzione del tasso di mortalità in ragione della maggiore trasmissione tra le persone più giovani e meno vulnerabili e per il miglioramento delle capacità degli ospedali a trattare i pazienti più gravi. 

La BBC offre invece una panoramica delle misure introdotte dai governi europei. La Francia, è tra le nazioni europee a essere stata maggiormente colpita dalla seconda ondata. Per questo motivo, è stato introdotto un pesante coprifuoco dalle 21.00 alle 06.00 del mattino nell’Île-de-France e in altre otto metropoli. In Spagna, il 9 ottobre è stato dichiarato uno stato di emergenza di 15 giorni a Madrid e nelle zone circostanti, quindi le persone non potranno lasciare o raggiungere la capitale spagnola se non per motivi essenziali. Inoltre, dal 15 ottobre le autorità catalane hanno ordinato la chiusura dei bar e ristoranti della regione per due settimane, potranno offrire solamente un servizio da asporto. Anche nei Paesi Bassi, dal 14 ottobre e per almeno quattro settimane, bar, ristoranti e caffetterie potranno unicamente lavorare tramite i servizi da asporto; sono consentite le visite presso la propria abitazione a un massimo di tre persone e solo quattro possono incontrarsi fuori. In Germania, il divieto di grandi raduni è stato prolungato fino alla fine dell’anno nelle zone con alti tassi di infezione, e sono previste multe per coloro che non lasciano corrette informazioni sulla propria identità nei locali pubblici. Nella città di Berlino – che ha registrato un notevole aumento dei casi – bar e ristoranti potranno rimanere aperti fino alle 23.00, mentre le feste private e le riunioni sono consentite a un massimo di dieci persone. In Danimarca è stato introdotto l’obbligo delle mascherine sui trasporti pubblici e a Copenaghen e nelle aree circostanti, bar, ristoranti e discoteche dovranno chiudere alle 22.00. In Belgio, i tifosi potranno tornare ad assistere alle partite di calcio negli stadi, seppure in maniera ridotta rispetto alle piene capacità delle strutture e con l’uso della mascherina. A Bruxelles, dal 1° ottobre non è obbligatorio indossare la mascherina nei luoghi all’aperto mentre ne è raccomandato l’uso negli spazi dove non è possibile mantenere la distanza di almeno 1,5 m. In Portogallo, dalla metà di settembre la chiusura degli esercizi commerciali è stata fissata alle 23.00 e dal 15 ottobre sono state vietate le feste universitarie. Sono però consentiti i raduni a un massimo di cinque persone ed è concesso l’invito a un massimo di cinquanta persone a matrimoni e battesimi. In Grecia, è stato introdotto l’obbligo dell’uso delle mascherine negli spazi pubblici interni e su tutti i trasporti pubblici. In Irlanda, sono stati scoraggiati tutti i viaggi non essenziali e i ristoranti possono solo effettuare pranzi all’aperto o asporto. Dal 15 ottobre, inoltre, sono state vietate le visite alle famiglie e agli ultrasettantenni è stato chiesto di rimanere a casa. In Svezia, non ci sono stati blocchi ma la maggior parte delle persone si è semplicemente adeguata al rispetto delle raccomandazioni, come il mantenimento delle distanze e l’incremento del lavoro da casa. Bar, ristoranti e palestre sono infatti rimasti aperti. Ad ogni modo, le autorità non hanno escluso la possibilità di adottare future misure più restrittive.   

Stampa francese

Emmanuel Macron ha spiegato che è stato necessario ridurre i contatti un po’ inutili, ossia quelli più festosi, anche se si è scusato per averli definiti così. E ha proseguito il discorso dicendo che è normale fare festa quando si è giovani, per questo non vuole colpevolizzare questa fascia della società ma ha chiesto loro maggiore responsabilità ancora per qualche settimana o mese. Le Monde, allora, ha voluto intervistare alcuni giovani protagonisti. Essi, in linea generale, hanno dichiarato che dopo una reclusione che “ci ha segnato”, i legami sociali sono necessari per mantenere una salute mentale più o meno stabile. In pratica – spiega il quotidiano – anche se fare festa ora appare superfluo, per molti c’è la necessità di aggrapparsi a questa bolla rassicurante di positività per vivere un autunno meno “ansiogeno”.

Le Figaro ricorda che la pandemia da Covid-19 ha già ucciso 1,09 milioni di persone in tutto il mondo dalla fine di dicembre. Ufficialmente, sono stati registrati circa 38,57 milioni di casi, di cui più di 26,6 milioni sono stati curati. E aggiunge che proprio in questi giorni la Francia ha superato la soglia dei 30.000 casi positivi in 24 ore. Per cercare di arginare questo flusso ingente di contagi, sono state introdotte particolari misure restrittive nel Paese. Chi viola il ‘couvre-feu’ rischia una multa di 135 euro; inoltre è stata incoraggiata la ‘bolla sociale’, quella teoria che spinge ad avere non più di sei contatti per persona. Oltre a ciò, è stata sostenuta la possibilità di introdurre il lavoro in videoconferenza per almeno due o tre giorni a settimana.

Il quotidiano inoltre, si preoccupa di riportare le impressioni nazionali di alcuni Paesi in seguito all’introduzione delle nuove misure. In Germania per esempio, è stata la complessità delle regole diverse tra i vari Land a suscitare l’esasperazione della popolazione tedesca, tanto che i media hanno parlato di ‘Regel-Chaos’ ovvero il caos delle regole. Quanto all’Inghilterra, va detto che Boris Johnson ha introdotto un nuovo sistema di allerta, basato su tre livelli. Eppure, sia la comunità scientifica sia l’opposizione laburista sono convinti che il Premier non stia facendo abbastanza, tanto che Keir Starmer ha chiesto un espresso contenimento del Paese anche in vista delle vacanze di Ognissanti. Infine, particolare attenzione viene dedicata alle reazioni degli italiani. Secondo l’Istituto Piepoli, Giuseppe Conte ha aumentato i consensi di due punti percentuali rispetto al mese scorso sulla gestione delle crisi pandemica, e così le sue misure restrittive lo hanno portato a raccogliere il 62% delle opinioni favorevoli. Tuttavia, è stata raccontata dell’avversione che ha suscitato il divieto di alcuni sport e a tal proposito è stata riportata la polemica dell’editorialista Massimo Gramellini, che sul Corriere della Sera ha espresso la sua ‘indignazione’ per il mancato divieto dei giochi di carte nella lista dei circa 130 sport che sono stati vietati dal governo. Ha scritto, infatti, che anche una semplice partita da poker è una disciplina che contempla possibilità di contagio.

Stampa statunitense

Il numero di casi di Coronavirus registrati questa settimana in Europa ha raggiunto il suo punto più elevato dall’inizio della pandemia. Infatti, in meno di 10 giorni si è rapidamente passati da 6 milioni a 7 milioni di contagiati e il numero di morti giornaliere è superiore a 1000. Questi dati, riportati da The New York Times, sono stati diffusi dal Direttore della regione europea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Hans Kluge.

I Paesi europei si trovano in queste settimane a fronteggiare una seconda ondata di Coronavirus, imponendo chiusure mirate e restrizioni agli spostamenti per evitare di dover ricorrere ad un lockdown su larga scala come si è avuto la scorsa primavera. Infatti, di lockdown parziali si parla nei Paesi Bassi, Repubblica Ceca, Slovacchia, Polonia e Francia. In Italia, Paese colpito in particolar modo dal virus durante la prima ondata a marzo, tornano restrizioni per quanto riguarda la vita sociale ma meno dure rispetto ad altri Paesi. Il Governo italiano ha prorogato lo stato di emergenza fino al 31 gennaio 2021 ed ha imposto l’uso della mascherine anche all’aperto in tutto il territorio nazionale. In questi giorni il Governo italiano sta vagliando diverse proposte per arrestare l’aumento dei contagi ed evitare un nuovo lockdown. Attendendo le disposizioni di Giuseppe Conte, al momento si parla di ricorrere alla didattica a distanza e di aumentare il lavoro agile, proprio per evitare di esporre le persone ad ambienti chiusi e tendenzialmente affollati come mezzi di trasporto, uffici e scuole. Per quanto riguarda la Gran Bretagna, il Primo Ministro Boris Johnson ha ignorato il consiglio di un influente gruppo di scienziati di bloccare l’economia per un breve periodo per cercare di fermare questa nuova ondata di casi di Coronavirus.

Bloomberg sottolinea come tale raccomandazione abbia intensificato il dibattito nel Regno Unito circa l’efficacia del lavoro svolto dal Governo inglese per prevenire questa seconda ondata. Questa settimana Johnson ha disposto alcune chiusure mirate e ha ribadito di essere contrario ad un nuovo lockdown generale che porterebbe seri danni a livello economico e sociale. In Gran Bretagna si parla di uno stato di allerta basato su tre livelli, a seconda dell’andamento dei contagi.

La CNN si è interessata in particolar modo al caso di Parigi, una delle principali capitali europee che sta sperimentando un rapido aumento dei casi, a seguito degli annunci che si sono susseguiti in queste ultime settimane. In diverse città francesi e nella capitale è stato imposto un coprifuoco dalle 9 della sera alle 6 del mattino al fine di ridurre i cosiddetti “contatti privati”, giudicati come i più pericolosi per la diffusione del virus. Due settimane fa era plausibile una chiusura totale delle attività in Francia a causa del vertiginoso aumento dei casi in tutte le regioni francesi.

Chiara Aveni e Gaia Natarelli

FONTI

Europe lockdown: new coronavirus rules country-by-country disponibile su https://www.bbc.com/news/explainers-53640249, consultato il 16/10/2020

Europe’s daily Covid deaths could reach five times April peak, says WHO disponibile su https://www.theguardian.com/world/2020/oct/15/europe-records-highest-ever-weekly-covid-cases-says-who-expert, consultato il 16/10/2020

Fêtes et soirées, «des moments indispensables pour le lien social et la santé mentale» : qu’en reste-t-il dans cet automne «anxiogène» ? disponibile su https://www.lemonde.fr/societe/article/2020/10/16/fetes-et-soirees-des-moments-indispensables-pour-le-lien-social-et-la-sante-mentale-qu-en-reste-t-il-dans-cet-automne-anxiogene_6056193_3224.html, consultato il 16/10/2020

Allemagne, Italie, Angleterre, Belgique: les nouvelles restrictions anti-Covid divisent les Européens disponibile su https://www.lefigaro.fr/international/allemagne-italie-angleterre-belgique-les-nouvelles-restrictions-anti-covid-divisent-les-europeens-20201015, consultato il 16/10/2020

Covid-19: couvre-feu, contacts réduits, déplacements limités… Ce qu’il faut retenir des annone de Macron disponibile su  https://www.lefigaro.fr/politique/covid-19-couvre-feu-contacts-limites-deplacements-reduits-ce-qu-il-faut-retenir-des-annonces-de-macron-20201014, consultato il 16/10/2020

Coronavirus: la France franchit le cap des 30.000 cas, «situation très préoccupante» en Europe disponibile su  https://www.lefigaro.fr/sciences/coronavirus-la-france-franchit-le-cap-des-30-0000-cas-situation-tres-preoccupante-en-europe-20201016, consultato il 16/10/2020

Europe scrambles to halt a rising wave of virus cases with more refined travel restrictions and closures, disponibile su https://www.nytimes.com/live/2020/10/13/world/coronavirus-covid/europe-scrambles-to-halt-a-rising-wave-of-virus-cases-with-more-refined-travel-restrictions-and-closures, consultato il 15/10/2020

Boris Johnson ignored scientists’ advice for a brief national lockdown, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/13/world/boris-johnson-ignored-scientists-advice-for-a-brief-national-lockdown.html, consultato il 15/10/2020

U.S. Election, Boris Johnson, Coronavirus: Your Friday Briefing, disponibile su https://www.nytimes.com/2020/10/15/briefing/us-election-boris-johnson-coronavirus-your-friday-briefing.html, consultato il 15/10/2020

U.K., Czech Republic, Italy to Toughen Rules as Cases Surge, disponibile su https://www.bloomberg.com/news/articles/2020-10-11/u-k-czech-republic-italy-to-toughen-rules-as-cases-surge, consultato il 15/10/2020

London and Paris bring in strict new rules as cases surge across Europe, disponibile su https://edition.cnn.com/2020/10/15/europe/europe-coronavirus-paris-curfew-intl/index.html, consultato il 15/10/2020

Paris at risk of total lockdown as Europe cases rise, disponibile su https://edition.cnn.com/2020/10/02/europe/paris-lockdown-coronavirus-europe-intl/index.html, consultato il 15/10/2020

#LOSAPEVATECHE

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Il caso del Cinema Impero – Roma e Asmara a un passo di cuore

«“Arzete” fece allora, “e vattene ggiù pe l’Acqua Bullicante, che io te vengo appresso.” Chiacchierando si rifecero tutta la via dell’Acqua Bullicante, mentre alle loro spalle le sambe suonate al fonografo e i canti della processione andavano smorzando. C’era ormai solo qualcuno che tornava dal Preneste o dall’Impero verso la Borgata Gordiani, o verso il Pigneto, oppure qualche ubriaco che rincasava cantando ora Bandiera Rossa ora la Marcia Reale.»

È così che scriveva Pier Paolo Pasolini nel suo Ragazzi di vita, raccontando di una umanità dimenticata sul bordo delle strade e di ragazzini che s’affacciano sul cinismo del mondo in uno dei quartieri più fervidi e dinamici della Roma del secondo dopoguerra: Tor Pignattara.

È tra le strade di Tor Pignattara che inizia il nostro itinerario.

Qui, in Via dell’Acqua Bullicante 123, dove i ragazzetti pasoliniani chiacchieravano e compivano piccoli furti, era stato inaugurato nella metà degli anni ’30 il Cinema Impero. Con una forte impronta fascista e in stile Art Decò, l’Impero fin dai primi anni di attività rappresentò un luogo imprescindibile nella vita popolare, sintesi perfetta di affaire galanti ed incontri loschi, punto di riferimento di generazioni di abitanti del quartiere romano e spazio attorno cui orbitavano principalmente giovani.

La struttura venne poi abbandonata in uno stato di totale degrado a partire dal 1983 nonostante i diversi progetti di riqualificazione urbana ed il tentativo nel corso degli anni di trasformare l’Impero in un cantiere artistico e culturale polifunzionale.

Se cammini a Tor Pignattara e presti attenzione alla facciata deteriorata dell’Impero, puoi notare ancora oggi la citazione di Pasolini e la scritta provocatoria «Ci siamo trasferiti ad Asmara». Questa frase è apparentemente insignificante, ma rappresenta invece un fondamentale collegamento tra la realtà italiana e quella eritrea e il tentativo di creare una memoria in uno spazio politicamente manipolato nella direzione della rimozione storica del colonialismo all’interno dell’esperienza italiana.

La costruzione del Cinema Impero avvenne infatti nel periodo di massimo consenso al regime fascista e di massima espansione italiana, parallelamente ad un nuovo progetto architettonico dell’Italia oltre il Mediterraneo con l’obbiettivo di riproporre in Eritrea una architettura che fondesse modernismo, futurismo ed un inconfondibile stile littorio. La struttura del Cinema Impero, decodificata e adattata alla sua funzione di spazio d’aggregazione, dopo essere stata costruita a Roma fu ripresa e riproposta ad Asmara (Eritrea) seguendo il medesimo format architettonico, realizzando un Cinema quasi identico nel 1937 ed attualmente ancora in uso.

Il tentativo di riprodurre in Eritrea una città coi connotati tipicamente italiani celava però una ulteriore brama di assoggettamento e una presunta inferiorità della capitale eritrea su quella italiana. Ad Asmara – ma anche nella città portuale di Massaua e nelle città minori, ma in maniera meno evidente – si tentò di imporre una prossimità storica, politica ed architettonica che valse alla capitale eritrea il nome di “Piccola Roma”. La pianificazione urbanistica e delle infrastrutture permise una forte innovazione in campo architettonico, applicando al contesto eritreo tendenze stilistiche tipicamente europee ed imponendo nella gestione degli spazi un controllo sorvegliato, per delimitare i confini di una Asmara tranquilla e pacifica, distinguibile facilmente dal caos delle altre città del Corno d’Africa.

Quella che fu proiettata su Asmara fu però un’utopia architettonica e urbanistica, mai definitivamente conclusa, che vedeva la città come una meta privilegiata di emigrazione italiana secondo il piano d’espansione fascista.

Ad oggi però, nonostante il tentativo di ricreare una “Piccola Roma” su suolo eritreo, solo in pochi sentono lo stretto legame tra l’Italia e le ex colonie; quel legame tra il Cinema Impero di Roma che sembra ormai solo un locale dismesso e il suo fratello eritreo, ancora attivo e punto di ritrovo della capitale. La semplice scritta “Ci siamo trasferiti ad Asmara” rappresenta così, in un territorio che spesso cerca di negare le sue connessioni storiche, il desiderio di rivendicare uno spazio; educare il passante a guardare con criticità alla realtà, scoprire laddove vi sia stato un tentativo di occultamento storico, legittimare uno spazio.

Questa semplice scritta crea infatti un collegamento tra l’Italia e il suo passato coloniale; è una rivendicazione di appartenenza di tanti migranti e figli di migranti, di storie di vita vissuta e di persone che cercano luoghi da abitare, in cui muoversi, in cui integrarsi, in cui sentirsi a casa.

Un grazie speciale e un invito alla lettura dei testi dell’autrice italo-somala Igiaba Scego, una ricchezza straordinaria per Roma e per tutte le storie che sa raccontare nel suo modo unico di dire le cose.

Evelyn De Luca

#UNINTSpeechPressReview

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El Día de la Hispanidad

Nella giornata dello scorso lunedì avrete sicuramente notato su social come Instagram, Twitter o Facebook tantissimi hashtag interessanti che parlavano del Día de la Hispanidad. Ma cosa si festeggia veramente in questo giorno, come si festeggia e perché? Cosa succede in Spagna?

Ogni 12 ottobre il cielo di Madrid si tinge dei colori della bandiera spagnola, i musei statali sono tutti eccezionalmente aperti, gli aerei militari solcano lo stesso cielo mentre i viali della capitale sono gremiti di persone che si accalcano per ammirare la parata militare alla quale partecipano le massime cariche del paese. Questi sono i festeggiamenti che ricorrono in questa giornata così particolare ogni anno. Sono festeggiamenti regolati dalla legge del 1987 n. 18, che si verificano in occasione della festa nazionale spagnola, festa dedicata all’orgoglio spagnolo. Questa ricorrenza, considerata una delle più importanti in Spagna, rivendica l’ispanità nei suoi vari aspetti, tanto linguistici quanto culturali. Ma perché si festeggia proprio il 12 ottobre?

Facendo un passo indietro scopriamo che è una giornata in ricordo della scoperta dell’America, evento che fu per la Spagna motivo di contatto tra il Nuovo e il Vecchio Mondo e che diede inizio alla colonizzazione delle nuove terre. Il 12 ottobre del 1492, infatti, Colombo approdò nell’isola delle Bahamas, scoprendo così il “Nuovo Mondo”; da lì avverrà lo sbarco, dando inizio alla colonizzazione europea. Né Colombo né i suoi uomini sapevano che quello sarebbe stato il primo passo verso un evento che avrebbe cambiato il mondo. Il 12 ottobre è una ricorrenza importante anche in alcuni paesi del Sud America, poiché l’arrivo dei conquistadoressegnò profondamente la storia di tali paesi con lo sterminio delle popolazioni indigene. Per questa ragione, in America la festa ha una denominazione differente: in Messico si chiama “Giorno della razza”, in Argentina “Giorno del rispetto e della diversità culturale” e in Bolivia “Giorno della decolonizzazione”.

Ma consideriamo adesso un aspetto piuttosto importante: sui social network emerge chiaramente l’immagine di una Spagna profondamente divisa, una divergenza marcata da hashtag del tipo: #Eldíadetodos (il giorno di tutti), #DíaDeLaHispanidad (giorno dell’Ispanità) o #NadaQueCelebrar (nulla da festeggiare). Senza ombra di dubbio si tratta di una velata critica da parte di coloro che non si sentono integrati nel concetto di Spagna: la divisione territoriale e la forte identità delle varie regioni autonome indeboliscono il patriottismo spagnolo. Prendiamo come esempio la Catalogna: alcune istituzioni hanno deciso di non considerare il 12 ottobre come festa nazionale, considerandolo piuttosto come un giorno feriale qualunque. Un caso particolare è quello di Barcellona il cui sindaco, Ada Colau, nel 2015 ha chiaramente espresso la sua posizione riguardo alla festività su Twitter dicendo: “È una vergogna uno Stato che celebra un genocidio, per di più con una parata militare da 800.000 €”.

Tuttavia, la capitale continua a far sognare i suoi abitanti con strabilianti spettacoli, balli e sfilate.

Francesca Vannoni

Fonti:
https://www.itagnol.com/2015/10/12-ottobre-festa-nazionale-in-spagna-a-madrid-parata-militare-e-musei-gratis/, consultato il 12/10/2020.


https://www.itagnol.com/2019/10/12ottobre-parata-militare-madrid-festa-nazionale/, consultato il 12/10/2020.


https://www.idealista.com/it/news/lifestyle-spagna/2019/09/30/6152-il-12-ottobre-si-celebra-la-festa-nazionale-spagnola, consultato il 12/10/2020.