Da sempre l’uomo si è interrogato sulla proprie origini, sulla propria esistenza e sui i fenomeni naturali che lo circondano. Quando ancora non poteva fare affidamento sul pensiero scientifico, l’essere umano cercava risposte nella narrazione mitica, creando storie che potessero spiegare la sua esperienza nel mondo.
Nonostante la scienza moderna sia ormai in grado di rispondere a gran parte delle nostre domande, i miti non smettono mai di affascinare e avere un’influenza sul nostro panorama culturale.
Inoltre, anche se siamo ormai abituati a pensare ai miti come favolette frutto dell’ingenuità dei nostri antenati, questo tipo di narrazione è in realtà intimamente intrecciata alla natura e alla storia dell’uomo. I racconti condivisi sembrano aver giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione della nostra specie, infatti, grazie alla crezione di un senso di appartenenza e comunità, hanno consentito livelli di aggregazione e cooperazione tra uomini mai osservati in nessun’altro essere vivente.
Yuval Noah Harari ha battezzato questo principio “mythic glue” o “collante mitico” e ha identificato nella capacità umana di creare miti unificanti la chiave di successo della nostra specie, ciò che ci ha garantito dominio indiscusso nel regno animale.
In questa rubrica vorrei esplorare insieme a voi alcune delle risposte più originali ai nostri grandi interrogativi, nella speranza di regalarvi una visione più fiabesca del Mondo.
Papa e Rangi
L’abbraccio cosmico da cui nacque il Mondo
Partiamo dalle origini, o meglio, dai miti d’origine. Questa categoria è anche identificata con il nome di “miti cosmogonici” o “cosmogonie”, dal greco κοσμογονία “nascita dell’universo”, e comprende tutti i miti, poemi e dottrine che raccontato appunto la formazione dell’Universo.
I miti d’origine, oltre a raccontare la nascita del mondo in senso più ampio, fanno spesso anche chiarezza sulle origini dell’Uomo, rispondendo a una delle domande più complesse della storia ovvero “Da dove veniamo?”.
Questo unico interrogativo ha condotto alle spiegazioni più disparate. Se lo chiedete ai monaci taosti del 600 a.C., vi giureranno di aver visto il mondo schiudersi da un uovo, la tribù Yamaka vi dirà che è stato il Grande Capo Lassù a palsmarlo dal fango con le sue stesse mani, mentre secondo la tradizione norrena sarebbre nato dal sacrificio di un gigante smembrato. Pensate c’è chi avrà il coraggio di dirvi che l’intero universo è stato vomitato da un essere primordiale e che l’uomo è in realtà fatto di mais.
Oggi vorrei raccontarvi dell’interpretazione neozelandese proposta dalle tribù native Maori, secondo la quali il Mondo sarebbe nato da un abbraccio.
In principio non c’era che Oscurità assoluta. Ogni Notte soffocava nel catrame vischioso di un’altra Notte, altrettanto cupa, altrettanto profonda, in un perpetuo susseguirsi che non conosceva nemmeno il sollievo delle stelle. Era una Notte impenetrabile, asfissiante, sconfinata, che prometteva buio perenne. Il Suo nome era Te Po e oltre a lei c’era solo il Vuoto (Te Kore).
Dopo secoli di tenebre si generarono, dapprima confusi e impalpabili, e poi sempre più definiti, Papa (Madre Terra) e Rangi (Padre Cielo), intrecciati, sin dal loro primo respiro, in un inscindibile abbraccio primordiale. Secondo molte tribù Maori in questa fase nacque anche la Luce (Te Ao Mārama), l’elemento maschile della natura, che si contrappose al buio di Te Pō, principio femminile, dando vita all’alternarsi del Giorno e della Notte. Tuttavia tra l’abbraccio di Rangi e Papa dimoravano ancora le tenebre assolute, il loro amore era così forte da non permettere nemmeno alla luce e all’aria di separarli.
Dai corpi aggrovigliati di Madre Terra e Padre Cielo nacquero sei figli, tutti prigionieri della stessa instancabile stretta genitoriale. Si trattava di sei Dei, ognuno personificazione di una manifestazione della natura. La progenie divina, costretta in quel buio soffocante, sognava la libertà, spinta da un bruciante desiderio di luce e calore. A lungo gli Dei discussero su una possibile soluzione e cento volte cercarono di fuggire invano.
Un giorno, però, Tane-Mahuta, Dio delle foreste e di tutte le creature che le abitano, ebbe un’idea. Puntò i piedi contro Papa e il capo contro Rangi e cominciò a spingere con tutte le sue forze. Dopo anni, forse secoli, i suoi sforzi riuscirono finalmente a separare i genitori; a nulla erano servite le loro suppliche e i loro lamenti disperati: il Cielo fu spostato lontano verso l’alto, mentre la Terra rimase in basso.
Nello squarcio creatosi tra Papa e Rangi si riversò il sole, come aceto in una ferita fresca. Gli Dei furono finalmente liberi e Te Ao Mārama, la luce del giorno, baciò i loro occhi per la prima volta. Nello spazio che ora divideva Madre Terra e Padre Cielo, i figli liberati cominciarono così la creazione: costruirono il Sole e la Luna, adornarono il cielo di Stelle, generarono gli animali e le piante e plasmarono la prima donna, che Tane-Mahuta prese in sposa.
La vita fioriva rigogliosa in quel nuovo mondo, ma il Cielo e la Terra erano inconsolabili; Rangi pianse così a lungo che le sue lacrime formarono i fiumi e gli oceani, mentre dal lamento di Papa si levarono rugiada e nebbia. Proprio dall’esibizione quel di dolore la vita traeva, e ancora oggi trae, la sua forza.
Questo mito è parte della cosmogonia Māori, ma è in realtà piuttosto diffuso in varie isole del Pacifico, dove ha assunto colorazioni e sfumature diverse. Dopo una lunga trasmissione orale, la prima testimonianza scritta del mito risale agli anni 50 dell’800 quando Sir Grey, allora governatore della Nuova Zelanda, pubblicò una raccolta di miti e leggende del popolo Maori, nel tentativo di comprendere meglio la cultura dei nativi neozelandesi, al tempo in ribellione contro il governo inglese.
Concludo riproponendovi una frase in cui spero possiate intravedere una timida morale a questa storia. Si tratta di un estratto del libro Il mondo prima del mondo – Miti delle origini di Alexios Tjoyas e Benoît Reiss, in particolare del capitolo Un dolore verde intenso, in cui troviamo una rivisitazione del mito.
“Se una mattina alzandovi presto, appena passata la notte, uscite di casa e andate a incontrare il mondo, solo per guardarlo, senza giudicare in base al vostro umore, e vi accontentate di osservarlo […] vi accorgerete che quel mondo trova la sua origine nel dolore e che nel dolore trova anche la sua forza”.
Alessandra Bigi