Itinerari linguistici, viaggi e imprevisti: di cosa si parla e perché ripensare il concetto di errore

Here I go again!

Avete mai associato il vostro apprendimento linguistico a un viaggio? Non mi riferisco a un’esplorazione, per quanto quest’associazione possa essere valida, ma a un vero e proprio viaggio con un itinerario ben preciso, perché oggi è in questa chiave che guarderemo l’acquisizione di una lingua.

Quello di cui parliamo è un viaggio abbastanza lungo e con più scali, quindi immaginatevelo come un Roma-Madrid-Buenos Aires-Santiago del Cile, oppure come un Roma-Cassino quando ci sono i lavori sulla ferrovia; il tempo speso sarà più o meno lo stesso. Cominciamo!

Siamo in aeroporto, dall’altoparlante sentiamo chiamare il nostro volo per iniziare l’imbarco, andiamo a fare la fila e la situazione è questa: tizio numero 1 che sembra del tutto indifferente, tizia numero 2 che non vede l’ora di salire sull’aereo e di iniziare ufficialmente il suo viaggio, tizi* numero 3 che soffre di mal d’aereo e ha già tirato fuori il pacchetto di gomme. Ovviamente, già dall’inizio, ognuna di queste persone affronterà il viaggio in maniera differente, cioè, il viaggio seguirà le stesse tappe per tutti, ma per alcuni sarà più veloce ed esaltante, per altri sarà un po’ più complicato e sembrerà durare di più.

Ora, cosa c’entra il viaggio con il mestiere dell’insegnante? Scendiamo dal nostro volo ed entriamo nel vivo dell’articolo, perché parleremo dell’interlingua. Si tratta di un sistema linguistico interno all’apprendente – che quindi varia individualmente a seconda delle ipotesti che l’apprendente fa su ciò che sta imparando e non è uguale né alla lingua materna né alla lingua che si sta studiando – e provvisorio, cioè in continuo mutamento. Questo è il sistema che costruiamo tutti quando iniziamo a imparare una lingua e può essere associato ad un viaggio proprio perché non è statico, ma segue un certo itinerario, che in questo caso è ben preciso e che in glottodidattica si chiama ordine naturale. Questo itinerario è composto da varie tappe, chiamate sequenze di acquisizione, ossia di un ordine di elementi che vengono uguale per tutti, ma che potrebbero essere raggiunte in tempi diversi.

Avrete notato, per esempio, che durante un vostro corso, che possa essere di inglese, francese, spagnolo o di qualsiasi altra lingua, difficilmente l’ordine degli argomenti affrontati sarà stato differente da quello dei vostri colleghi, nonostante siano stati differenti gli insegnanti, il libro usato, la scuola etc, e questo è proprio dovuto all’esistenza di queste sequenze, che devono seguire un certo ordine – sono quindi dette implicazionali –, dato che non si può arrivare alla numero 4 senza aver prima imparato quelle numero 1,2 e 3, ossia tutte le sequenze precedenti. Guardando per esempio l’apprendimento dei verbi, immagino che tutti abbiamo seguito un ordine del tipo presente > passato prossimo > imperfetto > futuro e condizionale > congiuntivo.

Ve lo ricordate il tizi* numero 3 con il mal d’aereo? Beh, purtroppo è dovuto rimanere un giorno intero in albergo, quindi non seguirà lo stesso ritmo degli altri. Come abbiamo già detto, l’interlingua è un sistema sì governato da delle tappe più o meno uguali per tutti e che seguono un ordine naturale, però il modo in cui queste tappe si vengono raggiunte rimane interno al singolo apprendente; ciò comporta che non tutti seguiranno l’itinerario con le stesse tempistiche: ci sarà chi andrà più veloce, chi andrà più lento, chi si fermerà per strada per guardare più attentamente un monumento.
La velocità e l’agevolezza con cui si affronterà il percorso linguistico dipendono infatti da varie cause, che possono essere la vicinanza linguistica tra lingua materna e/o altre lingue studiate e lingua di studio, la quantità di input alla quale siamo esposti, l’utilizzo strategie di apprendimento, etc.

Ma quindi all’insegnante serve veramente sapere queste cose, dal momento che segue l’ordine degli argomenti presentato dai libri? Qui troviamo un altro elemento importante, se non per me fondamentale, ossia il fatto che questo viaggio lo si fa nel modo che noi crediamo più adatto e corretto. Con questo non mi riferisco a teorie psicologiche o a come interfacciarsi con un corso di lingua, ma al fatto che l’interlingua, nel caso in cui stessimo imparando l’inglese, sarà sempre “quello che secondo me è l’inglese”.

Questo punto lo ritengo importantissimo, perché ci fa guardare anche gli errori sotto un’altra luce.
Infatti, dal punto di vista dell’apprendente, lui o lei non sta commettendo un errore, ma sta seguendo le regole corrette di un sistema linguistico che lui stesso o lei stessa ha creato. Regole che, come sappiamo, potrebbero o non potrebbero corrispondere a quelle del sistema che si sta apprendendo e, nel secondo caso, gli errori non saranno da condannare, ma serviranno all’insegnante – come vale per le formulazioni corrette – per capire a quale punto dell’itinerario si trovi il suo studente o la sua studentessa, in modo da attuare un intervento mirato, sulla base delle regole di quel sistema non corrispondente alla lingua di studio.


In quest’ottica, il o la docente non deve solo fare segni rossi per segnare l’errore, ma deve capire a quale regolarità l’errore sia dovuto, cercando di capire i ragionamenti dello studente o della studentessa.
Vi faccio un esempio: Mónica (nome di fantasia), studentessa di italiano di lingua materna portoghese, ha formulato la frase “Quando era piccola giocava spesso fuori con i miei amici”.
A chi conoscerà il portoghese, questo potrebbe sembrare un errore dovuto a un’interferenza linguistica, cioè, una regola della lingua materna – in questo caso l’imperfetto portoghese che alla prima persona singolare è eu era – che viene applicata anche alla lingua di studio. Parlando con Mónica, sì è invece arrivati alla conclusione che, secondo lei, lì si avrebbe dovuto accordare genere del soggetto e desinenza del verbo, ed essendo il soggetto un femminile, la forma verbale avrebbe dovuto terminare in -a, come in una frase del tipo “Ieri sono stata in montagna”.

Questo per farvi capire che segnare un errore, senza capirne le cause, non ci permetterà di aiutare l’apprendente a capire su cosa debba lavorare e quale sezione della sua interlingua debba far evolvere, precludendogli o precludendole un viaggio sicuramente più agevole.
In conclusione, quello che dovrebbe fare l’insegnante di fronte agli errori è “entrare nella testa dell’apprendente”, in modo da riuscire a capire su cosa e come lavorare, a che punto si trovi e se tutte le cose che sono già state trattate siano state effettivamente interiorizzate.

Per oggi è tutto, vi aspetto per l’ultimo articolo dell’anno accademico all’interno della rubrica #mammamia!

Aurora