Inclusività, dal linguaggio all’istruzione: verso una scuola inclusiva

Il concetto di inclusività riveste un ruolo molto importante non solo dal punto di vista linguistico, ma anche a livello educativo, soprattutto nelle scuole.

Al di là della sensibilizzazione nei confronti della diversità e dell’inclusività (non solo linguistica, ma sotto ogni aspetto), è importante ricordare che stanno emergendo sempre di più tecniche di insegnamento inclusivo (negli asili, ma anche nelle scuole primarie e secondarie) e rivolte perlopiù a bambini che presentano delle difficoltà a livello cognitivo, principalmente nel caso di bambini con DSA e BES (quest’ultimo acronimo di Bisogni Educativi Speciali).

Una difficoltà per i bambini che presentano tali problematiche è spesso l’apprendimento delle lingue, ecco perché si sta cercando sempre di più di attuare delle tecniche per una didattica inclusiva che favorisca l’apprendimento delle lingue, soprattutto dell’inglese, una lingua che presenta varie difficoltà – livello fonetico e ortografico poiché vi sono suoni non presenti nella lingua italiana (ad esempio, il suono – [θ] three), nonché un sistema di scrittura non trasparente (ad esempio, parole che hanno lo stesso suono, ma lettere diverse, come fly o bye). Queste difficoltà della lingua inglese sono ancora più grandi per i bambini con DSA e BES, proprio perché essi hanno difficoltà nel linguaggio orale (disturbo fonetico-fonologico, disprassia verbale) e difficoltà nella letto-scrittura (nel caso dei bambini con DSA). 

Pertanto, dare una dimensione multisensoriale all’insegnamento della lingua inglese non solo è cruciale, ma si tratta anche di uno dei principali presidi per l’inclusività. L’inglese multisensoriale è una metodologia basata sia sull’esposizione alla lingua tramite i tre canali percettivi (visuale, uditivo e cinestesico) sia sull’elaborazione dello stimolo ricevuto utilizzando tutte le modalità a disposizione del bambino, ovvero l’espressività grafica (illustrazione), l’operatività motoria e gestuale (giochi fisici, azioni mimate), il canto ed il ritmo.

In quest’ottica appare quindi importante adottare diverse tecniche che possano promuovere l’”inclusive English”, tenuto conto del fatto che ciascun individuo ha la propria metodologia di apprendimento.

Quali sono, quindi, le tecniche ottimali che si dovrebbero impiegare per l’insegnamento inclusivo della lingua inglese?

In particolare, alla scuola primaria si tendono a privilegiare tecniche basate sull’insegnamento della lingua mediante le canzoni (inizialmente mimate, ad esempio, per poi passare ai contenuti e significati più espliciti, attraverso anche la traduzione di singole parole nelle canzoni e quindi in un contesto specifico), oppure sullo storytelling, passando da testi più semplici fino a quelli più complessi.

Nelle scuole secondarie, invece, l’approccio multisensoriale dell’apprendimento della lingua inglese è favorito da tecniche che prevedono l’apprendimento della lingua sempre mediante canzoni amate dagli studenti, mediante attività come “lyrics-training”, ossia un metodo efficace e motivante per proporre esercizi di listening comprehension e gap filling; o ancora mediante attività cooperative basate su progetti (task -based) e compiti di realtà: in queste occasioni i ragazzi devono compiere una serie di compiti operativi quali trarre informazioni da un testo (scritto o audio-video) per usarle in esercizi che premiano la loro capacità di organizzazione e originalità.

Dunque, perché l’apprendimento multisensoriale facilita gli alunni con DSA?

Molto spesso i bambini e ragazzi con DSA hanno un canale percettivo danneggiato, normalmente quello visivo oppure uditivo. Non vuole dire che non ci vedano o non ci sentano, ma che la processazione degli stimoli visivi o uditivi non è perfetta, o non è perfettamente integrata.

Capita per esempio che un bambino abbia una vista acuta, ma una visione distorta (non riesca per esempio a tenere la mira mentre legge, oppure scambi la posizione delle lettere o si confonda nel definire il loro orientamento e quindi ad identificarne i suoni e leggerle nei tempi richiesti). I bambini che soffrono di questi disturbi o simili possono sviluppare problematiche nella letto-scrittura o nella comprensione del testo scritto, però, se coinvolti in un programma globale, favorito da una didattica inclusiva, possono mettere in campo altre abilità, potenziando le loro capacità di apprendimento e riuscendo a compensare le loro difficoltà.

La didattica inclusiva, quindi, rappresenta un aspetto molto importante assolutamente da non sottovalutare non solo nell’insegnamento delle lingue, ma a livello generale, e sicuramente ci saranno nuovi sviluppi in futuro.

La realizzazione di una scuola inclusiva, pertanto, richiede in prima istanza una rinnovata cultura didattica che riconosca la centralità del ruolo degli insegnanti quali agenti strategici dei processi di inclusione sociale e scolastica, in quanto «student learning is strongly influenced by what and how teachers teach» . Tale impostazione postula la necessità per il docente di individuare strategie e approcci didattici in grado di rispondere in maniera efficace alle specifiche esigenze dei propri studenti, favorendone il processo di apprendimento anche laddove quest’ultimo risulti ostacolato da difficoltà di varia natura. Le istanze di individualizzazione e personalizzazione dei percorsi didattici impongono, infatti, all’insegnante di regolare il proprio agire didattico in ragione della complessità emergente dall’interazione di molteplici elementi e dalle situazioni prodotte dall’incontro di diverse soggettività in un dato contesto.

In questa prospettiva, appare indispensabile individuare approcci educativi che tengano conto della complessità del fenomeno didattico e siano in grado di fronteggiare tale complessità risolvendo «la tradizionale tensione dualistica tra chi insegna e chi apprende».

Alla luce di tali riflessioni, interessanti suggestioni sembrano provenire dall’approccio educativo basato sulla relazione che consente al docente di modellare la propria azione didattica sulla base dei differenti stili di apprendimento degli studenti, in una dimensione di costante interazione orientata al raggiungimento di obiettivi didattici specifici.

Tale intervento può essere definito come «the process of stepping in and out of a learning activity to support the student’s individual needs and growing independence». Questo processo implica un’osservazione sistematica ed attenta degli studenti al fine di comprenderne la dimensione emotiva e relazionale e di interagire con loro in maniera più responsiva, individuando le strategie maggiormente idonee per supportarli nel raggiungimento dei loro obiettivi. Attraverso il Responsive Teaching gli insegnanti ricorrono a strategie di supporto e di condivisione che promuovono le singole abilità degli studenti affinché questi ultimi diventino responsabili e autodiretti nel proprio processo di apprendimento e, dunque, in grado di raggiungere i propri obiettivi in maniera autonoma. Si tratta di brevi e semplici strategie, suggerimenti che gli insegnanti, e in generale tutti gli educatori, compresi i genitori, possono utilizzare per monitorare e modificare il modo in cui interagiscono con i propri allievi in qualsiasi momento e in qualsiasi situazione.

I comportamenti cardine si configurano come un piccolo set di processi evolutivi che consentono al soggetto di acquisire abilità e competenze di sviluppo nell’ambito dei tre domini evolutivi relativi al funzionamento cognitivo, comunicativo e socio-emotivo. Tali comportamenti cardine sono stati identificati dalle teorie sullo sviluppo infantile che includono le teorie costruttiviste sullo sviluppo cognitivo, le teorie sullo sviluppo del linguaggio e le teorie sullo sviluppo socio-emotivo. Sostenendo, come Piaget, una visione secondo la quale i bambini sono «active learners» che costruiscono la propria conoscenza attraverso l’interazione contestuale, Vygotsky si discosta dalle teorie dello studioso svizzero, mettendo in evidenza che l’interazione sociale, prevedendo il coinvolgimento degli adulti e di compagni reputati più capaci, costituisce la cornice socio-culturale per una costruzione della conoscenza che sia condivisa e consapevole.

A differenza di Piaget, che rintraccia nelle componenti genetico-biologiche individuali la natura dei processi cognitivi, egli, infatti, ritiene che ogni funzione nello sviluppo infantile si realizzi prima di tutto a livello sociale e poi a livello individuale, dal momento che le differenziazioni psicologiche soggettive emergono in ragione dell’interazione con i fattori ambientali. In tal senso, la conoscenza e le abilità, che si rivelano importanti nei processi di apprendimento e, si sviluppano all’interno del contesto di interazione

sociale per poi essere internalizzate ed espresse dal bambino attraverso attività indipendenti. Basandosi sulla costante interazione tra docente e discente, traduce dunque una visione del fenomeno educativo e didattico nella quale insegnamento e apprendimento sono dimensioni inseparabili di un unico processo sociale. La posizione di Vygotsky rispetto alle origini sociali dell’apprendimento e dello sviluppo risulta strettamente collegata al concetto di «zona di sviluppo prossimale».

Le tecniche di insegnamento legate al Cooperative Learning costituiscono un ottimo metodo alternativo e complementare all’insegnamento tradizionale. Se quest’ultimo si basa su un tipo di lezione frontale, centrato sull’insegnante quale dispensatore nozionistico di contenuti, queste nuove

Modalità pongono al centro gli studenti e si focalizzano non tanto sul contenuto quanto piuttosto sul processo stesso di apprendimento e sullo sviluppo delle relative competenze.

L’insegnante assume il ruolo di facilitatore e organizzatore delle attività, creando un ambiente di apprendimento idoneo e un clima relazionale positivo in cui tutti gli studenti offrono il proprio contributo personale al processo di apprendimento.

Evelyn De Luca, Federica Zunino

Fonti:

Di Gennaro, Diana, Responsive Teaching come strategia per una didattica inclusiva Responsive Teaching as a strategy for inclusive didactics, Rivista Formazione & Insegnamento XIV, 2016.