Come una pianta d’incenso nell’Orto di Roma può cambiarti la vita

Alle pendici del Gianicolo, attorno al palazzo romano di Villa Corsini nel cuore di rione Trastevere, si trova il bellissimo Orto Botanico di Roma con una varietà straordinaria non solo di vegetazione, ma anche di storie umane. Proprio alla scoperta di una storia di accettazione ed inclusione è dedicata questa tappa nel nostro itinerario tra i luoghi romani, indagando le profonde connessioni con la questione coloniale italiana e le problematiche di tutti i ragazzi di seconda generazione. Siete pronti?

L’orto Botanico di Roma è lo scenario di un interessantissimo racconto – che vi consiglio di leggere – dal titolo “Rapdipunt” dell’autrice italo-somala Ubax Cristina Ali Farah. Nello specifico Rapdipunt è un monologo della protagonista che si rapporta ad un gruppo di adolescenti, tutti maschi di origine africana, ispirati alle vicende della Comitiva Flaminio negli anni ’80 il cui luogo di ritrovo era piazzale Flaminio a Roma. Nel gruppo di ragazzi le difficoltà tipiche dell’età si aggiungono alla questione identitaria e a quella disillusione che si genera fin dalla prima adolescenza riguardo le false promesse sul proprio futuro italiano. Nonostante siano molto giovani, i personaggi sono infatti descritti con serietà e sembrano possedere una forma di scetticismo nei riguardi della realtà che li circonda.

Il racconto di Ali Farah rappresenta una scena di vita quotidiana che si svolge in storici luoghi romani, elementi integranti della crescita e della costruzione identitaria dei ragazzi che appartengono tutti alla seconda generazione, con una perfetta dominanza della lingua e soprattutto del dialetto romano. Nonostante ciò, permane in questi giovani un senso di inadeguatezza e manca il senso di una piena inclusione sul territorio. La coesistenza e l’oscillazione tra due identità diverse nei giovani di seconda generazione – identità non sempre in grado di conciliarsi armonicamente – genera un senso di spaesamento e l’incapacità di sentirsi realmente appartenere agli spazi. L’idea che fatica ancora ad entrare nell’opinione comune è però che la sensibilità nuova di cui si fanno portatori i ragazzi della comitiva consente di avere uno sguardo innovativo sugli spazi.

Uno dei ragazzi di origine somala del racconto – Mauro, nato e cresciuto a Roma – ascolta da un signore incontrato per strada storie e leggende sulla resistenza somala e viene condotti all’Orto Botanico di Roma per vedere una piccola e apparentemente insignificante pianta di incenso tipica ed originaria della Somalia.

Trovare in un luogo così importante per Roma una piccola pianta d’incenso rappresenta per i ragazzi della compagnia la riscoperta di un legame col passato e un parziale radicamento al presente. Quel che emerge infatti continua ad essere la disillusione delle seconde generazioni e l’impatto della rimozione storica sui luoghi, sulle storie personali e sul processo di integrazione; la relazione storica tra Somalia e Italia è in questo caso ineludibile, ma gli stessi ragazzi della compagnia non avvertono più una vicinanza emotiva con gli spazi e con le persone che li abitano.

La pianta di incenso, dunque, e il fatto che sia reperibile nell’Orto Botanico di Roma, sotto gli occhi di tutti ma nello stesso tempo lontana, consente ai ragazzi di recuperare un legame con la terra in cui vivono; un legame che non si limiti ad essere solo geografico – considerando l’Italia come meta prediletta per l’emigrazione, per la sua ubicazione nel Mediterraneo – ma che sia soprattutto un legame storico ed affettivo.

Evelyn De Luca

Fonti

Ubax Cristina, Ali Farah, Rapdipunt, in La letteratura postcoloniale italiana, dalla letteratura d’immigrazione all’incontro con l’altro, a cura di T. Morosetti, numero monografico di “Quaderni del’ ‘900”, IV, 2004.

Caterina, Romeo, Riscrivere la nazione: la letteratura italiana postcoloniale, Le Monnier Università, Firenze, 2018.