Crisi migratoria: la proliferazione degli spazi-frontiera e la cartografia degli hotspot
Il contesto mediterraneo è una zona di intenso dibattito e riflessione nello scenario geopolitico contemporaneo; è forse lo spazio pubblico più adatto a svelare i limiti e criticità delle azioni politiche e istituzionali sul territorio, rappresentando una sfida per le politiche europee e globali, e potenzialmente una grande opportunità. Come definito dallo storico Braudel, il Mediterraneo è uno “spazio-movimento” che si esplicita attraverso il viaggio e l’incontro con una alterità sociale, storica e politica.
Il Mediterraneo, in questo senso, fonde le vie marittime con quelle terrestri per creare uno spazio di movimento di merci, persone e idee. Nello scacchiere mediterraneo le città e gli hub portuali assumono il ruolo di nodi infrastrutturali non solo di grande rilevanza economica, ma anche sociale e culturale, incarnando perfettamente il “non luogo” in cui avviene una fruizione immediate e rapida, e uno spostamento verso una meta terza.
Secondo la ricercatrice e docente Martina Tazzioli della University of London, sono presenti due principali modalità di “presa” per affrontare la crisi migratoria adottate dagli Stati europei per elaborare una risposta efficace ai flussi migratori: da un lato, il ritirarsi delle forze militari-umanitarie lasciando annegare chi cerca di arrivare quasi a nuoto per chiedere asilo; dall’altro, bloccare e respingere in corrispondenza delle frontiere esterne ed interne, principalmente con accordi bilaterali – come ad esempio l’accordo di Chambery tra Italia-Francia – che sospendono in date condizioni la convenzione di Schengen, disilludendo le aspettative di cittadini stranieri che sperano di riuscire a muoversi liberamente nell’Area Schengen, e dimostrando come la libera circolazione sia relativa al passaporto in proprio possesso (e sia un diritto, quindi, solo dei cittadini europei).
Rispetto alla narrazione nazionale diffusa fino a due anni fa, che poneva il focus sull’isola-frontiera d’Europa per eccellenza – Lampedusa – ad oggi si assiste a una proliferazione degli spazi-frontiera (basti pensare agli eventi a Ventimiglia, i naufraghi morti sulle spiagge, il filo spinato di Calais, la condizione libica, il muro ungherese anti-migranti, le rotte migratorie dei rifugiati siriani). Gli spazi-frontiera sono così tantissime nuove Lampeduse d’Europa che rappresentano un “prima” spaziale che i migranti sono costretti ad attraversare prima di essere inseriti definitivamente in uno spazio urbano.
Quel che si crea è una cartografia di hotspots, ovvero centri strutturati posizionati nei punti nevralgici dei flussi migratori per aiutare i Paesi maggiormente esposti ad essi, come l’Italia, che, come hotspots, ha Lampedusa, Pozzallo, Messina e Taranto. Gli hotspots, creati a partire dal 2015 dalla Commissione europea, sono “punti di crisi” in cui avviene un primo screening sanitario del migrante, la raccolta delle impronte digitali, la fotosegnalazione e l’avvio delle procedure di riallocazione in presenza di esperti nazionali, aiuti umanitari e membri delle agenzie europee. Tale riallocazione dipende così non dal singolo soggetto in movimento, ma è regolata dalle quote negoziate nella distribuzione dei migranti dopo una feroce lotta diplomatica.
A oggi, pur in presenza di una proliferazione dei confini nazionali, lo Stato nazione è ancora un punto di riferimento politico importante dal punto di vista delle configurazioni del potere e della loro articolazione, ma le molteplici componenti del concetto e dell’istituzione del confine tendono a staccarsi dalla linea corrispondente alla linea geopolitica di separazione tra Stati-nazione. Oggi i confini non sono più esclusivamente margini geografici ma sono istituzioni sociali complesse come conseguenza della globalizzazione, della colonizzazione e delle dinamiche capitalistiche che rientrano nello Stato nazionale ma che allo stesso tempo trascendono da esso. Si crea uno spazio globale eterogeneo con un continuo processo di cambiamento e riorganizzazione delle scale geografiche, mettendo in discussione il confine come punto di riferimento.
Cosa accade negli hotspots e in prossimità delle frontiere – dove spesso il confine tra accoglienza a detenzione umanitaria è molto labile – rappresenta così necessariamente un punto di partenza per ripensare la gestione dei flussi migratori, la politica di asilo e i processi di ricollocazione dei migranti.
Evelyn De Luca
FONTI:
http://www.euronomade.info/?p=5462
Confini e frontiere, Sandro Mezzadra, Brett Neilson, Il Mulino, 2014.