Quante volte nella nostra mente prende forma una certa idea, concetto, sensazione, o sentimento, e paradossalmente, quante volte ne abbiamo una visione talmente chiara e specifica che ci risulta impossibile esprimerla ad alta voce perché “non trovo la parola”.
È qui che entra in gioco la traduzione: quella parola, spesso e volentieri esiste, semplicemente ci è ignota perché forse proveniente da una cultura lontana o da una lingua troppo diversa.
Se invece ci si addentrasse nei meandri del lessico delle varie lingue, ci si potrebbe rendere conto che, quella sensazione, emozione, momento, ricercato per anni in tentativi di spiegazioni prolisse ed inefficaci, è racchiuso in un unico lemma: ecco una sfumatura di significato unica e tutta nuova.
Un solo vocabolo è in grado di rappresentare un ventaglio di significati, di cui non sapevamo neanche di aver bisogno, è proprio questa la grandiosità e l’unicità delle parole intraducibili.
MAMIHLAPINATAPAI
Un significato prezioso
“Uno sguardo condiviso da due persone, ognuna delle quali vorrebbe che l’altra inizi qualcosa che entrambe desiderano ma che nessuna delle due vuole iniziare” o semplicemente: Mamihlapinatapai.
Inserita nel Guinness dei Primati del 1994 come la “parola più sintetica” del mondo, Mamihlapinatapai deriva dalla lingua della tribù Yaghan (o Yamana) della Terra del Fuoco, un arcipelago all’estremità meridionale del Sud America.
Sembra descrivere l’indescrivibile, forse per questo ha assunto i significati più vari nel corso del tempo, e si è caricata delle sfumature più colorate: nessuno sa cosa significhi di preciso, tutto ciò che sappiamo su questa parola è una ricostruzione.
“Il suo significato è prezioso”, dice una ragazza nel documentario del 2011 Life in a Day. “Può trattarsi di due capi tribù che vogliono fare la pace, ma nessuno dei due vuole iniziarla per primo. Oppure possono essere due persone a una festa che vogliono avvicinarsi l’una all’altra, ma nessuna delle due è abbastanza coraggiosa da fare la prima mossa”.
In diverse interpretazioni la parola ha ricevuto una connotazione romantica, forse perché questa traduzione, del tutto approssimativa, del termine permette alle persone di rispecchiarsi in quell’imbarazzante, fugace attimo di paura del rifiuto, portando quindi alla diffusione popolare del termine con questo significato.
Ella Frances Sanders, talentuosissima scrittrice ed illustratrice tenta di raccontarci questa parola, nel suo libro Lost in translation, una raccolta di cinquantadue parole intraducibili spiegate con l’ausilio di un’illustrazione, e questa è la sua proposta per Mamihlapinatapai:
È stato il linguista britannico Thomas Bridges a proporre questa prima spiegazione del termine, ma potrebbe essersi sbagliato, d’altronde esiste solo un’ultima persona che parla Yaghan come lingua madre, è l’ottantanovenne cilena Cristina Calderon, e persino lei non sa cosa significhi esattamente. La guida Yaghan Victon Vargas Filgueira, che conosce bene la lingua dei suoi antenati ma non è madre lingua, sostiene infatti voglia dire tutt’altra cosa ossia “il momento di meditazione attorno al fuoco serale quando i nonni trasmettono le loro storie ai più giovani”.
Ormai la parola ha assunto un significato tanto poetico quanto diverso, ma il vero significato di mamihlapinatapai per gli Yaghan rimarrà probabilmente un mistero.
Anna Bonetti
*Parola bonus casuale: eccomi in soccorso per tutte le volte in cui proprio non sapete come indicare la distanza che una renna può percorrere prima di aver bisogno di una pausa (che tra l’altro è pari a circa 7,5 chilometri), beh esiste una parola finlandese solo per quello: Poronkusema. Non c’è di che.