La resa dell’Afghanistan

Nell’agosto 2021, dopo oltre venti anni di conflitto, i Talebani sono tornati al potere in Afghanistan. La presa del paese, definita una catastrofe inaspettata, è accaduta velocemente e senza troppi intoppi. Il 6 luglio i Taliban controllavano circa un terzo del territorio afghano; un mese dopo circa, il governo aveva ormai perso il controllo della maggior parte delle aree contese. Kabul è caduta nel giro di poche ore; sono innumerevoli le immagini ed i video che abbiamo visto negli scorsi mesi degli aeroporti, della disperazione di coloro che volevano fuggire dal nuovo regime. Nel caso dell’Afghanistan ci troviamo di fronte a migliaia di persone che si trovano di fronte ad un futuro incerto, complicato, senza alcuna garanzia.

L’avanzata talebana è stata semplice: in molti casi i militari non hanno impugnato neanche un’arma, arrendendosi senza combattere, consapevoli del fatto che gli USA si sarebbero ritirati da lì a breve e che non avrebbero mai ricevuto alcun rinforzo. Come riportano gli articoli del Washington Post di agosto, a quanto pare i Talebani avrebbero proposto addirittura soldi agli ufficiali statunitensi ed afghani in cambio di una resa pacifica. Un’avanzata semplice, resa ancor più agevole dagli Accordi di Doha siglati da Trump nel 2020, i quali decidevano il ritiro delle forze armate a stelle e strisce dalla regione. Dopo lo shock dell’11 settembre e la guerra dispendiosa portata avanti negli ultimi 20 anni, Biden decide di non contrastare l’idea del suo predecessore e di attuare la ritirata come pianificato. Una scelta aspramente criticata dalla comunità internazionale e dagli stessi media statunitensi, dopo l’impegno (prevalentemente economico) preso nei i primi anni duemila.

La ritirata americana, seppur ampiamente prevista, ha lasciato il mondo con l’amaro in bocca. Nessuno si aspettava che sarebbe successo veramente e che i paladini dei diritti fondamentali, dell’emancipazione, della democrazia, potessero lasciar accadere tutto questo. In realtà, la scelta statunitense sembra restare coerente con la linea di disimpegno in politica estera adottata già durante la prima presidenza Obama. Questo cambiamento di approccio dei democratici portata avanti anche poi dallo stesso Trump (e nuovamente da Biden) rappresenta semplicemente ciò che possiamo definire come l’ennesimo esempio che sostiene l’impossibile realizzazione del paradigma del mondo unipolare. Gli Stati Uniti hanno goduto di un’egemonia alquanto breve, terminata proprio con la scoccata dell’attentato alle Torri Gemelle e l’inizio di una politica estera aggressiva verso il Medio Oriente al fine di debellare la chimera del terrorismo. Il fallimento di queste crociate ha decisamente influenzato l’idea di procedere con il disimpegno che ad oggi ha raggiunto il proprio apice.

No, gli USA non sono più quelli di cui abbiamo bisogno. In realtà, a quanto pare la situazione internazionale lascia ben intendere che tutti abbiano bisogno di tutti da un punto di vista economico, ma che nessuno abbia bisogno di nessuno quando si tratta di ingerenza, di situazioni interne. L’esempio più lampante ci viene fornito dalle (solite) Cina e Russia, che alzano le mani sostenendo che ognuno a casa sua deve essere libero di fare ciò che vuole. Alla fine, anche il loro discorso non fa una piega.

Chi ha sbagliato quindi con l’Afghanistan? Tutti o nessuno? Quello che è certo, però, è che a causa di decisioni prese o non prese, ci sono donne che non riescono più a far valere i propri diritti, ci sono state persone che hanno perso la propria vita non tendendosi strette ad un aereo in partenza.

Martina Noero