La Scala dei Turchi: tra storia e leggenda

Care lettrici e cari lettori,

oggi voglio portarvi nella mia amata Sicilia, alla scoperta della meravigliosa Scala dei Turchi.  

La Scala dei Turchi è una falesia di marna bianca che si erge sul mare nel territorio di Realmonte, in provincia di Agrigento. È un luogo di straordinaria bellezza ed è stato anche un luogo di ispirazione cinematografica: infatti, sono numerosi i riferimenti alla Scala dei Turchi nelle opere di Camilleri, specie nel commissario Montalbano. Seppur difficile da raggiungere, attrae sempre numerosi turisti, attratti dalle acque limpide e cristalline che la circondano e dai diversi volti che assumono la roccia e il paesaggio a seconda del momento della giornata. In pieno giorno, la roccia diventa candida e riflette il blu del mare. Al tramonto, invece, si colora di un rosso tenue. Infine, la notte riflette la luce candida della luna.

Geograficamente è denominato “Punta Maiata”, ma è comunemente conosciuta come Scala dei Turchi perché un tempo era il luogo di approdo degli arabi che saccheggiavano i villaggi siciliani.

Il vero nome, però, avrebbe dovuto essere Scala dei Saraceni, perché furono loro ad approdare sulle spiagge di Realmonte nel Cinquecento e a saccheggiare i villaggi vicini. Però, tutti i popoli arabi erano, erroneamente, chiamati Turchi. La parola Scala, invece, sembrerebbe derivare dalla sua conformazione a gradoni, però potrebbe anche essere un’alterazione del vocabolo “Kalla” che significava “luogo riparato dal vento” o “porto”.

Ma c’è una bellissima, quanto triste, leggenda legata a questo luogo. Si tratta della leggenda di “U Zito e a Zita”. È la storia di due giovani, Rosalia e Peppe, lei figlia di un ricco signore di Realmonte e lui un operaio. I due si incontrarono mentre Rosalia tornava dalla sua passeggiata pomeridiana con la governante e lui trasportava un sacco pieno di fave. Si innamorarono subito perdutamente l’uno dell’altra. Ma il loro amore non era visto di buon occhio dal padre della ragazza che non voleva che lei sposasse un operaio. Così erano costretti a vedersi di nascosto. Ma Rosalia, triste per non poter vivere pienamente il suo amore, cominciò a non mangiare e quindi a deperire. Il padre, preoccupato, consultò un medico, il quale le prescrisse delle lunghe passeggiate all’aria aperta. Quelle passeggiate erano occasione di incontro con il suo amato. Ma questi incontri non sfuggirono all’occhio attento della governante, la quale raccontò tutto al padre della ragazza. Così, l’uomo decise di rinchiuderla in un monastero sperduto in provincia di Palermo. I due giovani, devastati dalla notizia, si giurarono amore eterno, sia in vita che in morte, e, a notte fonda si recarono sulla punta di Monte Rossello e si gettarono nel vuoto. E lì, dove i due innamorati misero fine alle loro vite, spuntarono due scogli uniti da una sottile lingua di roccia, conosciuto come “Scogghiu do zzito e a zzita”. E secondo la leggenda, durante le notti di luna piena si sente Rosalia cantare una triste melodia in ricordo del suo amato Peppe.

Erika Corso