Credits by Ilaria Tripodi

Da Occidente ad Oriente: l’evoluzione della traduzione

Dalla parte opposta del mondo giungendo fino in Oriente, più precisamente in Cina, la teoria della traduzione prende piede grazie ad alcuni importanti traduttori che hanno perseguito con costanza e determinazione l’attività di creare una propria teoria traduttologica garantendo un ottimo lavoro di traduzione. Sarà con l’affermazione del Buddhismo in Cina, attraverso la via della seta che sorgerà il problema della traduzione, in quel periodo preciso che va dalla fine della Dinastia Han 汉朝 (206 a.C.-220 d.C.) fino alla Dinastia Song 北宋 (960-1125 d.C.) quando iniziarono ad apparire i primi testi in sanscrito conosciuti come 胡 (hu) identificativo di “testo barbaro”, i quali necessitavano di una traduzione cinese.

L’affermazione di una teoria traduttiva più metodica possiamo invece identificarla nel periodo della Dinastia dei Zhao Posteriori 后赵 (319-351), in cui visse Dao’an 道安, monaco buddhista e traduttore. Dao’an 道安 svolse una parte importante nel lavoro di traduzione in quanto si dedicò alla critica terminologica e testuale delle traduzioni sottolineando quali sono i passaggi necessari da effettuare. La teoria da egli proposta viene chiamata “teoria del Wushiben” 五 失 本 (letteralmente: le cinque perdite dell’originale) che prevede la perdita di cinque delle parti essenziali contenute nel testo originale; quella più evidente risulterebbe essere la perdita delle strutture delle lingue straniere, proprio perché nel tradurre verso il cinese tali strutture non trovano l’esatta corrispondenza. Mentre il periodo in cui abbiamo un innalzamento dello sviluppo traduttivo, non soltanto da un punto di vista di quantitativo ma anche qualitativo, fu durante la Dinastia Tang 唐朝 (618-907) di cui il maggiore esponente risulta essere il monaco buddista Xuanzang 玄奘, il quale di occupò di forgiare un gruppo di traduttori, curando una vasta gamma di testi buddhisti.

Definì inoltre alcuni casi individuabili nel contesto traduttivo che non necessitavano di essere tradotti se non attraverso l’operazione della translitterazione: ad esempio, nomi di oggetti che in Cina non esistevano o molto più comunemente nei casi dei testi buddisti dove vi sono parole intrise di valore religioso. Inoltre egli si occupò di stabilire alcune procedure traduttive utilizzate dal gruppo stesso di traduttori da lui scelti; queste procedure consistevano in un’attenta verifica della traduzione e del significato del testo di partenza, quindi del testo originale; uno dei punti fondamentali era una buona conoscenza della lingua, non soltanto della lingua del testo di arrivo ma anche e soprattutto la lingua del testo di partenza, al fine di poter risolvere quanto di irrisoluto avrebbe potuto esserci nel testo originale. Successivamente vi era la corretta trasposizione in cinese, a seguito di un oculato e accurato confronto con il testo di partenza per valutare attentamente eventuali errori, ed infine era importante effettuare attente letture per riuscire a comprendere se il testo risultasse scorrevole come avrebbe dovuto essere, revisionando nello stesso tempo il testo sia da un punto di vista dei contenuti che da un punto di vista stilistico e retorico.

In Cina, la traduzione che interessò i testi Buddhisti fu notevole e decisamente perfezionata nel tempo con diversi accorgimenti e riadattamenti testuali; vennero inoltre utilizzati termini derivanti da testi taoisti con il fine di definire questi testi più comprensibili alla popolazione cinese. Ma la svolta avvenne in un secondo momento, precisamente alla fine della Dinastia Ming 明朝 (1368-1644) e agli inizi della Dinastia Qīng 清朝 (1644-1911), quando l’attività traduttiva iniziava a progredire grazie ai missionari-traduttori europei e anche grazie ai traduttori Cinesi stessi, chiamati in modo più preciso shérén 舍人 (uomini di lingua-interpreti) o anche xiàngxu 象胥 (Termine designato per identificare alcuni funzionari dei tempi antichi, ma viene anche utilizzato per definire i traduttori-imitatori) i quali non erano a conoscenza di una lingua straniera e proprio per questo i termini sopracitati rappresentavano la figura decisamente mediocre e perdente del “traduttore” in quei tempi.

Sarà agli inizi del Novecento che in Cina l’attività traduttiva inizierà a raggiungere un notevole sviluppo, giungendo al punto che la traduzione occidentale inizierà a superare le traduzioni originali in lingua cinese, tanto che la forte necessità di traduzioni di opere occidentali in lingua cinese per poter perseguire l’apprendimento di quelle tecniche utilizzate prevalentemente in occidente inizierà a farsi sentire sempre più con l’aumentare di vendite di giornali e libri, aumento causato anche dalla drastica sconfitta che la Cina subì da parte del Giappone.

Uno degli autori-traduttori cinesi più conosciuti durante la Dinastia Qīng 清朝 fu Yan Fu 严复. Privilegiato sotto il punto di vista linguistico in quanto egli conosceva la lingua inglese, fu considerato inoltre il padre fondatore della teoria della traduzione e divenne famoso per aver introdotto molte delle tecniche traduttive occidentali all’interno delle sue traduzioni. Fu anche l’ideatore di una delle teorie traduttive più rilevanti della storia, quella della traduzione a tre facce, che consiste nell’acquisire l’autenticità di una traduzione attraverso l’attuazione di tre doti molto importanti definite xìn 信(eleganza), da 达 (fedeltà), ya 雅 (espressività).

Yan Fù 严复 rientra tra coloro i quali stabilirono teorie traduttive più recenti come anche il noto traduttore cinese Liu 柳, il quale propose la teoria della “triplice struttura”, la quale stabilisce che il centro traduttivo per eccellenza deve essere composto da studi culturali, linguistici ed estetici-stilistici della traduzione. Liu 柳 è conosciuto anche per la metodologia, da lui impiegata, che si fonda sulla letteratura e sulla filologia come tipicamente accadde in Cina nel contesto traduttivo, mentre in modo differente accade per quella metodologia schematicamente utilizzata in occidente, che si basa strettamente sui concetti della linguistica.

Un aspetto particolare subentrato nel contesto traduttivo della lingua cinese è il concetto di “straniero”, concetto che permette la ricorrenza verso l’innovazione di ciò che la lingua cinese era attraverso l’acquisizione primaria di alcuni degli elementi essenziali caratterizzanti delle lingue straniere, con il fine ultimo di arricchire la linguistica cinese. A tal proposito, un riferimento principale è indirizzato ad uno degli scrittori più emblematici della Cina moderna, Lu Xun 鲁迅. Egli avanza verso il concetto di ciò che è una traduzione letterale consistente nella traduzione di ogni parola presente nel testo; questo concetto assume una definizione più tecnica, meglio conosciuta come letteralismo. Lu Xun 鲁迅 prese parte ad una disputa che mirava al sostegno dell’europeizzazione della lingua cinese, in quanto egli riteneva essenziale l’ampliamento del vocabolario cinese, a differenza di molti altri che differivano da questo tipo di pensiero. Per citare un esempio, ricordiamo Ye Shengtao il quale difendeva l’idea che la lingua cinese non avrebbe dovuto unificare altri elementi caratterizzanti di altre lingue, così da garantire che questa non si contaminasse, in quanto la lingua cinese si ergeva come simbolo primordiale che contrassegnava l’identità di un popolo.

Il rinnovamento del sistema linguistico avviene e si va consolidando in maniera estremamente proficua nei tre decenni successivi al movimento del 4 Maggio 五四运动, con il contributo di diverse figure rilevanti nella storia della traduzione cinese come ad esempio Zhu Shenghao 朱生豪, famosissimo traduttore conosciuto per aver tradotto la moltitudine di opere di W.Shakespeare e Lin Yutang 林語堂, il quale mostrò all’intero mondo la tradizione all’interno della filologia cinese. L’evoluzione temporale e culturale della Cina ha senza dubbio contribuito a stabilire le tecniche di traduzione utilizzate dai Cinesi stessi, che trovarono fonte d’ispirazione nelle teorie occidentali, i quali stabilirono l’esercizio traduttivo creando una valida corrispondenza di traduzione in cinese occupandosi inoltre di approfondire ciò che sono le problematiche traduttive riscontrabili in tutte le loro variazioni; questo avvenne perché una parte del pensiero cinese rigetta le teorie traduttive provenienti dall’occidente ma privilegia maggiormente l’aspetto prettamente cinese, autentico e significativo.

Questa peculiarità del pensiero cinese è stata portata avanti da Shen Xiaolong 申小龙, che predilige in uno delle sue pubblicazioni di Interpreting Language del 1992 l’insolvenza del sapere linguistico occidentale nei confronti di quella che è la linguistica cinese, affermando una valida opzione che sarebbe quella di revisionare l’intero sapere linguistico, considerando il fatto che la grammatica cinese si diversifica radicalmente dagli standard grammaticali occidentali. Importante in tutto questo è che Shen Xialong 申小龙 effettua una teoria a sè riguardante la creazione di una lingua. Questa creazione emerge da un sistema di segni peculiari che contraddistinguono la cultura della lingua a cui si fa riferimento.

Ilaria Tripodi