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Set a Runaway in Capri: i must have per una vacanza sull’isola azzurra all’insegna del fashion

Più si allontanano e più le desideriamo, cosa sono?
Inutile dire che la risposta più comune in questo periodo sarebbe “le vacanze”. Mai come ora in cui le ore accumulate su Zoom, Skype e Microsoft Teams ci sembrano più delle ore vissute, ci accingiamo a pensare ad un periodo di meritato riposo “rivoluzionato” o meglio riadattato al momento attuale.
Ma se fosse possibile immaginare le onde del mare, le vacanze in barca e gli aperitivi in piazzetta…cosa vi verrebbe in mente?
5 semplici lettere che preannunciano un’attitudine minimo a 5 stelle.

Avete detto Capri? Esattamente quello che avevamo in mente.
Celebrata in tutto il mondo come set cinematografico, dal più recente Capri Batterie all’Imperatore di Capri, oltre ad essere protagonista di numerose fashion seasons, da Dolce & Gabbana a Chanel, Capri si pone ancora come una delle isole più cool ed accoglienti della nostra Penisola.
L’origine del nome, già di per sé, si presenta come espressione delle grandi epoche passate; è infatti incerto se l’origine di Capri sia da associarsi al greco antico Kapros che in realtà significa cinghiale o dal latino Capraeae, traducibile con capre. Di sicuro è possibile registrare sul suolo caprese la presenza di diversi popoli importantissimi che hanno contribuito allo sviluppo del suo patrimonio artistico e culturale, possiamo ricordare Teleboi e l’Imperatore romano Augusto di cui i celeberrimi giardini portano il nome, collocati proprio in cima dell’isola.
In seguito, arrivò a soggiornarci, per diversi periodi, l’imperatore Tiberio che la scelse come luogo di ritiro dall’indaffarata vita romana e ci fece costruire 12 residenze private tra cui Villa Jovis a Capri e Villa Damecuta ad Anacapri.
Alle soglie del ‘900, l’isola diventa luogo di rifugio di esuli russi come Massimo Gorki e Vladimir Lenin che ne omaggiano le bellezze e la elevano a piccola oasi letteraria.
Inutile dire che la storia non è altro che un dettaglio per descrivere l’azzurrissimo biglietto da visita dell’isola più poliedrica ed affascinante del Mediterraneo: ogni stradina o piccolo vicolo si presta a scatti eccezionali, complici l’altura, la luce naturale ma anche i suoi colori dal giallo dei lussureggianti limoni al rosso vermiglio degli immancabili cornetti portafortuna, rigorosamente collaudati dalla tradizione partenopea.
Appena scesi sull’isola, in prossimità di Marina Grande è d’obbligo essere premuniti di O.C.C., occhiali-cappello-camera, il trinomio indissolubile per essere agili nel percorso e al contempo essere in grado di non perdersi nessun dettaglio. Una soluzione fashion oltre che indispensabile, causa sole H24, è indossare un cappello di paglia. Esso può esser simile ad una paglietta veneziana per dare un tocco alla garçonne oltre ad essere giocoso; guardando brevemente alla praticità suggerita dalle più sportive è da menzionare la visiera di paglia, “very touristy” ma anche molto versatile e docile sui capelli più voluminosi; infine il cappello di paglia ampio è invece sicuramente una decisione più sofisticata con un tocco di vintage. Che sia neutro o in completo con il costume, con effetto hand-made o sapientemente strutturato, il cappello “da diva” si lega all’allure degli occhiali. Tondi e grandi per lo più retrò, con cordino per le scalatrici appassionate o in materiali eco-solidali per le più rispettose dell’ambiente.
Una volta giunti al centro è necessaria una sosta caffè in piazzetta.
La folla potrebbe scoraggiare soprattutto se il via vai non permette il formarsi di una coda ben distribuita; ma non temete tutto può esser affrontato con l’outfit giusto.
L’isola azzurra è nota, come tutta la costiera amalfitana d’altronde, anche per la lavorazione del lino: molte sono le botteghe che in estate espongono i propri lavori alle porte delle loro boutique ammaliando i turisti. Dal crema, all’avorio al bianco puro questi sono i toni dei negozi in via delle botteghe a Capri.
Oltre all’abbigliamento, l’isola azzurra è celeberrima anche per le calzature molto apprezzate anche in passato da personaggi pubblici del calibro di Jacqueline Kennedy che, una volta in vacanza sull’isola, si fece confezionare un paio di sandali capresi su misura inaugurando una moda destinata a non esser passeggera: il sandalo caprese infatti, oltre a rappresentare pienamente la tradizione artigianale Made in Italy, si presta alle tendenze e si evolve con le sue indossatrici rappresentando un’alternativa trendy anche di sera.
Una volta entrati nel mood dell’isola, attraverso outfits & attitudes, bisogna prenotare subito un giro in barca per poter ammirare da vicino i Faraglioni, le grotte più caratteristiche e le spiagge di Marina Grande e Marina Piccola. Sicuramente la scelta del costume non deve esser casuale: molte preferiscono l’intero al classico due pezzi se hanno intenzione di fare un bagno all’ombra dei Faraglioni causa forti correnti; le più convinte del bikini in genere preferiscono prendere il sole in barca con cappello, costume e camicia di lino coordinata. All’ora del pranzo, come anche per la cena d’altronde, c’è l’imbarazzo della scelta presso ristoranti stellati come “il Riccio” o vere e proprie boutique del gusto come “da Gemma” dove lo spettacolo culinario è associato ad esposizioni artistiche temporanee in co-working con la galleria Liquid art System Capri.
Dai ravioli capresi, agli scialatielli alla Nerano, al pesce all’acqua pazza alla più leggera caprese con mozzarella fresca, pomodoro e basilico: un trattamento light per potersi aggiudicare una fetta della torta caprese, non così leggera quanto la sua omonima insalata.
Per digerire il tutto, va segnalata una passeggiata pomeridiana a via delle Camerelle, luogo di ritrovo per lo shopping griffato ed internazionale fino Punta Tregara, dove è possibile ammirare il paesaggio accompagnati dall’odore delle bouganville.
Per la cena, gli amanti della canzone napoletana sicuramente suggeriranno “la taverna anema e core” in via Orta che rappresenta la movida caprese per chi desidera passare la serata in isola invece che dirigersi in barca verso svariate belle location. I più riservati sicuramente prediligeranno una passeggiata fino all’arco Naturale oppure una cenetta più tranquilla con giardino e limonaia.

Che sia una vacanza di qualche giorno o di qualche settimana, l’isola di Capri ha il potere indiscusso di ritagliarsi un posto speciale nel cuore dei propri visitatori, accogliendoli con garbo e classe, eleganza e raffinatezza. E si sa, si torna sempre nei luoghi che prima di farsi amare, ci hanno amato.

Fanny Trivigno

SOURCES:
https://beauty.vogue.it/magazine/fashion/2018/07/07/weekend-capri-look-giusto-lisola-azzurra/

https://www.capri.net/it/e/storia-2

Il cappello di paglia: tutti i modelli dell’estate

https://www.manecapri.com/en/magazine/where-to-buy-handmade-products-in-capri

6 piatti tipici dell’isola di Capri: quando gusto fa rima con bellezza

https://www.capripalace.com/en/services-and-entertainment/beach-club.html

https://www.dagemma.com

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Courtesy photo by Abed Mahfouz

PAESE CHE VAI…MATRIMONIO CHE TROVI…

In Italia, per tradizione, il mese di maggio, segna l’inizio del periodo dei matrimoni, le giornate diventano più lunghe e il clima più mite, i colori e profumi della primavera insieme alla rinascita della natura con i fiori di campo, rose, tulipani, papaveri e splendidi girasoli molto adatti per creare addobbi colorati e allegri. Inoltrecon la primavera anche il menù offerto durante la cerimonia si colora arricchendosi di frutta fresca, fragole, mirtilli, sorbetti e gelati assaporati prima della torta. La primavera con le sue manifestazioni di romanticismo annuncia quindi lo sbocciare dell’amore in future nozze. Insomma, maggio sembra proprio il mese ideale per dire il fatidico “Sì”. Ma non tutti i matrimoni sono uguali e si celebrano nella stessa maniera. Il proverbio “Paese che vai, usanze che trovi” sarà riadattato all’occorrenza e diventerà “Paese che vai, matrimonio che trovi” dove tutto cambia sino dal primo incontro tra gli sposi, la scelta dell’abito, la tipologia del ricevimento e soprattutto la moltitudine di usanze, superstizioni e tradizioni molto disparate e dissimili nei diversi continenti del nostro piccolo grande mondo.

Contemplando la nostra amata Europa, in diversi paesi come l’Italia e la Francia, la legge riconosce solo il matrimonio civile contratto in municipio. Il matrimonio con rito religioso è una libera scelta dei coniugi basata sulle proprie convinzioni e credenze. Ma comunque non si rivelano enormi differenze riguardo alla varietà delle cerimonie e rispetto ai festeggiamenti che susseguono la celebrazione: la sposa di solito indossa un abito bianco o panna o al limite un colore pastello, rari sono quelli che indossano l’abito colorato al primo Sì. Spesso lei sceglie un abito su misura confezionato in un Atelier di sartoria che assomiglia a quello che ha sempre sognato da bambina, un abito che la fa sembrare la principessa del reame, nelle sue mani un bouquet di rose che lancerà prima del taglio della torta, sperando che l’amica del cuore – ancora single – lo possa afferrare al volo. Infine, non manca mai l’usanza di distribuire i confetti e le bomboniere e di fare tante foto con parenti e amici. Piccole possono essere le differenze tra un paese europeo e l’altro, ma se ci allontaniamo e cambiamo continente, atterrando ad esempio in Asia, anche Cina, Giappone e India hanno usanze e credenze totalmente diverse tra loro. In Cina, il bianco è il colore dei funerali e della morte quindi la sposa si veste di rosso. Tradizione curiosa è l’obbligo del digiuno e il silenzio della sposa nel giorno delle nozze oltre allo scambio di oche come simbolo di lunga vita e l’uso di ombrelli durante il corteo nuziale. In Giappone, si crede di dare vita a delle coppie sposate molto affidabili e sicure tramite l’usanza di combinare matrimoni seguendo criteri quasi cartesiani, qui sembra che la ragione vinca sul cuore: verso i 25 anni la ragazza prepara una propria scheda personale con studi, aspirazioni lavorative, preferenze e hobbies, la inoltra in giro tra colleghi di lavoro, parenti e amici e verrà contattata da ragazzi in cerca di moglie e soprattutto che si intuiscono affini o in cerca dei requisiti elencati nella scheda che descrivono una moglie ideale.  Il rituale matrimoniale shintoista è molto suggestivo. Gli sposi, con indosso due kimoni particolarmente fastosi, bevono ciascuno tre volte da una ciotola con dentro riso e sakè. In India invece è la famiglia che combina i matrimoni, la cultura indiana basa tutta la società su una rigida divisione in caste ed è prassi comune combinare i matrimoni quando i bambini sono ancora piccoli. Il giorno prescelto per il rito deve capitare in un momento astrologicamente favorevole e i festeggiamenti iniziano sette giorni prima delle nozze e continuano a lungo. Il rito indù prevede che la sposa indossi un sari di seta rossa. L’uomo, invece, veste di bianco e tutti gli invitati indossano ricche vesti di seta colorata. Invece nei Paesi arabi di cultura islamica, gli sposi sono accolti dagli “Zaffa” un gruppo di danzatori e percussionisti che li circondano e cantano per celebrare il lieto evento. Una volta nella sala gli sposi prendono posto su due troni, prima dell’arrivo degli invitati.  Nella cultura mediorientale, prima del matrimonio si celebra il fidanzamento ed entrambi i futuri sposi indossano la fede all’indice destro, il giorno del matrimonio tale fede cambia posizione e si trasferisce all’indice sinistro. Nel corso dei festeggiamenti è necessario rispettare le regole della tradizione islamica, per cui uomini e donne dovrebbero essere separati, ma ultimamente si festeggia tutti insieme. Il banchetto si contraddistingue per l’ottimo cibo accompagnato da un intrattenimento di canti e musiche.  Il primato spetta ad Istanbul con i suoi 166 mila sposalizi all’anno. In Turchia le celebrazioni durano tre giorni. Durante il primo gli sposi si preparano, aiutati dai parenti; il giorno successivo la sposa viene portata in braccio dal padre e dallo zio fino alla casa del futuro marito: per tradizione i suoi piedi non devono toccare terra, consuetudine comune anche ad altre popolazioni, come quelle berbere del nord Africa. Nel frattempo, i genitori dello sposo hanno offerto in sacrificio una pecora. L’ultimo giorno, l’Iman celebra il matrimonio vero e proprio. La sposa veste in bianco, ma il volto è coperto da un velo rosso, simbolo della verginità. Anche nello Yemen altro paese dove i riti matrimoniali sono molto diversi da quelli di altri Paesi della penisola arabica: costosi, ricchi e soprattutto lunghi. Nella capitale Sana’a la cerimonia diventa un’occasione per gareggiare in ostentazione. Alla festa partecipano anche musicisti professionisti con il compito di allietare gli sposi. Ma il ruolo della musica è così importante e rituale che tutti gli invitati si alternano agli strumenti per suonare.

Un matrimonio molto romantico è sicuramente quello delle Isole Fiji che per tradizione, si tiene poco prima del tramonto in riva al mare, regola mantenuta viva per i turisti che vogliono sposarsi nelle Fiji con rito civile. Poi non si può dimenticare Las Vegas, ultima tappa del nostro viaggio, la capitale mondiale dei matrimoni dove si celebrano circa 8400 nozze al mese, cioè uno ogni 5 minuti! Per sposarsi basta presentarsi al Marriage Licence Bureau, la licenza è pronta e ci si può sposare in una delle oltre cento cappelle della città. Ognuna con i suoi riti e i suoi ministri, puoi trovare anche il sosia Elvis Presley. Il matrimonio è valido a tutti gli effetti, basta ricordarsi di fare la trascrizione una volta rientrati al paese d’origine

Maria Christina Rigano

PH. by Francesca Santopadre

Fonti:

https://www.matrimonio.com/articoli/tradizioni-di-nozze-nel-mondo–c1739

Matrimonio nel Mondo: Usanze e Tradizioni

https://www.focus.it/cultura/curiosita/viva-gli-sposi

https://www.matrimonio.com/articoli/matrimonio-musulmano–c4269

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To all Mothers… with Love

« L’avenir d’un enfant est l’oeuvre de sa mère »

Napoléon Bonaparte

While in May roses and daisies are blooming around, sons and daughters from around the world are setting up plans to surprise their own mothers during their celebrative day.

So, hurry up or run like the wind, most of the time not exactly as figurative as expected, to fetch the best bouquet or the most appropriate last anti-wrinkle lotion (what sweet girls we are).

But how it all started? Is it celebrated in the same way and at the same time in all countries?

Let’s find it out.

According to the writer and suffragist, Julia Ward Howe, the idea of celebrating a mothers’ day was born in Boston in the late 19th century, as a chance to gather together women for peace. However, some other sources declare that the celebration, as we all know it, has been brought to life by the west Virginia activist Anna Jarvis.

Later on, Anna Jarvis organized several Mother day work clubs with the aim of addressing topics like child rearing and public health together with the commemoration of mother’s work, who was a community advocate.

The observation became official in USA, in 1914, when the then American president Woodrow Wilson proclaimed the second Sunday in May as “the celebrative day” for the expression of love and devotion for our mothers.

Nowadays, the motherhood recurrence does not involve always all the same elements and customs.

In France, for example, the celebration has been legally established in 1950, “la fetes des mères” to take place on the fourth Sunday of May except when it overlaps religious fundamental recurrences: generally when this happens, the former is postponed. Anyway, if you should make a comparison with the American version, it is possible to say that cards, cakes, dinners and flowers are still in France, the most common gift during that day.

In UK, the celebration has been observed on the fourth Sunday of Lent and it has been called Mothering Sunday since the early 16th century. Families used to gather together and to attend the mass. Later on, it evolved into traditional time at home. And this year, the tradition has been fully respected.

Some other countries are extremely fond of this celebration. One example is Mexico. Here, some years ago, it has been reported to the Washington post that the Mother’s day is the busiest day for Mexican restaurants. A fun fact to mention is that as a present for their mothers, it is common to dedicated them a serenate of the song “Las Mananitas” performed by Mariachi.

Japan, on the other hand, connects the celebration with deep meanings too. Initially aligned with the Empress Koujun, nowadays it has been estimated that the 87% of adult men regularly plan something on their Mothers’ day.

In Russia during the Soviet Union Regime, the mothers were celebrated on March 8, the same day of the International women’s day to honor not only motherhood but also gender equality. From the late 90s, Russia introduced Mother’s day on the last Sunday in November.

As for some Arab countries, like for example Egypt and Lebanon the Mother’s day is celebrated on March 21 which is also the first day of spring.

As for Italy, as we all know, the Mother’s day is celebrated on the second Sunday of May, this year 2020, on May 10th. It was during this lockdown, when the world is still holding its breath, celebrating our mothers is only possible from a certain distance. If the delivery is not enough to amaze them let’s move to the screen. An available option could be the use of a Zoom call for a little virtual house-party; for the occasion it has been made up a partnership between Dove and Zoom which allowed unlimited calls just for Mother’s day without the risk of getting cut after the 40 minutes time limit on ordinary meetings.

In conclusion, a big thanks to all the mums through time is certainly needed; not only today but for all the moments we had to be proud to be their sons and daughters.

Fanny Trivigno

SOURCES

https://time.com/94286/mothers-day-2014-world/

https://edition.cnn.com/2020/05/10/us/mothers-day-history-trnd/index.html

https://www.refinery29.com/en-us/2020/05/9794592/virtual-mothers-day-ideas-zoom

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IL LIBANO PAESE DEI CEDRI
VIVE UNA DUPLICE EMERGENZA

Per inaugurare la rubrica che parla di #destinationgems non potevo iniziare con un paese diverso da quello dove sono nata e dove ho passato gli anni più belli della mia infanzia e adolescenza, anche se purtroppo oggi questo paese vive una duplice emergenza dettata non solo dal Virus Covid-19, urgenza che tutto il pianeta sta affrontando, ma anche dalla gravissima crisi economica culminata (per la prima volta nella sua storia), con la dichiarazione di Default.

In passato, il Libano, Paese dei Cedri, veniva chiamato “la Svizzera del Medio Oriente” per lo spiccato senso dei suoi abitanti per gli affari, oggi quest’affermazione potrebbe sembrare una contradizione! Durante gli Anni ‘60, Beirut, la Capitale, era conosciuta come la “Parigi del Medio Oriente” oggi purtroppo viene menzionata soprattutto per la terribile Guerra civile in cui la città andò in rovina dal 1975 al 1990. Non voglio usare il passato nel mio racconto, semplicemente per una speranza di ritorno del Libano al suo vissuto splendore, un paese emozionante e straordinario.

Beirut è una città che sembra non avere pace, una serie infinita di conflitti che l’hanno ferita profondamente, eppure i suoi abitanti sono vitali, forti e dinamici: non a caso il Libano rappresenta un’eccezione, rispetto agli altri paesi del Medio Oriente di lingua araba, e questo grazie alla sua multiculturalità. È un paese legato alle tradizioni, ma aperto alle novità e alla mentalità occidentale. Inoltre, il Libano ha una storia antichissima che affonda le radici nell’epoca fenicia ed oggi custodisce città antiche e reperti romani, località sciistiche e balneari, un’infinità di alberghi lussuosi, locali e ristoranti che animavano le notti infinite arrestate dal Covid-19.

Il Libano è un paese pieno di divergenze e contrapposizioni causati dal melting pot di culture, religioni, credenze e gruppi etnici. Diciotto sono le confessioni riconosciute ufficialmente, tra le quali Cristiana Maronita che segue la chiesa Cattolica Apostolica di Roma, Cristiana Greco-Ortodossa, l’armena Apostolica, la Sciita, la Sunnita, l’Ebraica, la Drusa, la Protestante e la Copta. Beirut, sopranominata “la Parigi del Medio-Oriente” il suo centro comprende grattacieli di lusso, negozi e ristoranti ispirati all’Occidente. Beirut è affascinante, coinvolgente e sorprendente, soprattutto caratterizzata da una storia millenaria dove i suoi vecchi monumenti raccontano del passato di grandi fasti e ricchezze in coesistenza con palazzi distrutti dalle bombe dell’ultimo conflitto che gridano il dolore del popolo.

L’arabo è la lingua ufficiale, ma oltre a quello classico studiato nelle scuole e scritto nella letteratura, i libanesi parlano un dialetto orale derivante dall’arabo classico intercalato da espressioni francesi e inglesi. I libanesi dialogano tra di loro usando contemporaneamente queste tre lingue. La seconda lingua ufficiale è il francese, seguita di pari passo dall’inglese e in percentuale minore troviamo anche la lingua armena e quella curda diffuse grazie alla presenza di comunità armene e curde stabilitesi da tempo.

Per comprendere Beirut e la mentalità libanese occorre capire le contraddizioni presenti in seno alla società. Visitare Beirut delinea e narra un viaggio in un mondo dove una chiesa cristiana si innalza accanto a una moschea e/o adiacente ad una Sinagoga. Il quartiere cristiano di Ashrafieh, dove sono nata e cresciuta, si trova su una collina a est della città, è uno dei più antichi di Beirut, offre scuole prestigiose soprattutto francesi e il Palazzo Sursock, una volta residenza della facoltosa famiglia di cui porta il nome, oggi sede del museo di arte contemporanea. Nicolas Sursock, collezionista di oggetti d’arte, volle che, alla sua morte, avvenuta nel 1960, la sua casa fosse trasformata in museo. Invece Hamra insieme al lungomare di Raucheh, sono i quartieri a maggioranza musulmana con ristoranti, bar, hotel di lusso, catene internazionali e appartamenti prestigiosi affacciati sul lungo mare. A Hamra ha sede UAB, l’Università Americana di Beirut. Le strade del centro e dello shopping sono moderne, con negozi, ristoranti, bar all’aperto e numerosi spazi per eventi e spettacoli. Il Libano è anche culla di stilisti di Alta moda. Le Fashion Week internazionali pullulano delle loro collezioni che fanno sentire la donna che le indossa una vera Odalisca o Principessa. Il più conosciuto è sicuramente Elie Saab, il suo atelier principale si trova ancora a Beirut. I suoi negozi si possono trovare in tutto il mondo, a partire da Parigi, Londra, Milano, Dubai, New York e Melbourne. Elie Saab è famoso per vestire le star sul red carpet, Angelina Jolie è stata una di loro. Tra le sue clienti più famose troviamo la regina Rania di Giordania e Halle Berry. Altri Fashion Designer amati dalle VIP e principesse sono Zuhair Murad, Abed Mahfouz che per oltre 15 anni ha sfilato a ALTAROMA sempre nella fashion Week Romana hanno partecipato Missaki Couture, Tony Ward, Rani Zakhem e molti altri. Il Libano non è solo famoso per l’alta moda ma anche per l’ottima cucina conosciuta e apprezzata in tutto il mondo, il famoso Hummus (crema di ceci) ormai fa parte di tutte le tavole internazionali. Anche la produzione di Vini viene riportata nelle migliori guide di Enologia; la produzione libanese è costituita per lo più da vini rossi provenienti da varietà internazionali importate dalla Francia. La zona di coltivazione più fertile è la Valle della Bekaa, Château Ksara è la più antica azienda vinicola, fondata nel 1875 dai Gesuiti. Ksara è attualmente uno dei più importanti produttori del Libano e uno dei suoi fiori all’occhiello è lo Château Rouge.

Tutto questo sembra solo appartenere a un sogno, oggi invece Beirut è diventata una città deserta, dal 26 marzo il governo ha adottato un lockdown e un coprifuoco dalle 5 di sera alle 7 del mattino, misure attuate quando i casi di Covid-19 erano ancora pochi, questo per evitare che l’epidemia potesse assumere le dimensioni di altri paesi con rischi di implosione del sistema sanitario in quanto non potrebbe rispondere efficacemente vista anche la grande maggioranza di profughi provenienti soprattutto dalla Siria. La città così deserta è un panorama inimmaginabile. Solo qualche mese fa le piazze erano gremite di manifestanti che protestavano in modo pacifico contro la corruzione del governo e la crisi economica aggravatasi nel 2019 e, come detto, culminata di recente con il default. I conti pubblici avevano raggiunto dei livelli disastrosi.  “Ma come si è arrivati a questo punto? Il piccolo Libano si reggeva su di un paradosso. Se sul fonte politico era conosciuto come il più instabile Paese del Medio Oriente, su quello finanziario era in assoluto il più stabile. Ancora nel 2011 il brillante e dinamico settore bancario privato, su cui si reggeva l’intera economia di questo Paese.” “La guerra civile nella vicina Siria, scoppiata nella primavera del 2011, ha poi dato il colpo di grazia. Un milione e mezzo di profughi siriani si è riversato nel piccolo e impreparato Libano, trasformandolo nel Paese con il più il più alto rapporto al mondo di rifugiati per abitante. Le sue strutture e infrastrutture, già insufficienti per i libanesi, hanno resistito ma alla fine non hanno retto alla pressione.” (Cit. Sole24Ore)

Mi chiedo se anche questa duplice Emergenza potrà essere superata come tutte le precedenti situazioni complicate. Il popolo libanese non si è mai perso d’animo, ottimista di carattere, ha sempre permesso al paese di sollevarsi e di superare tutte le crisi e tutti i contrasti avvenuti in passato come le guerre civili, i bombardamenti e attacchi che lo hanno sempre messo a dura prova. Di declini, il piccolo paese dei Cedri ne ha vissuti tanti, alcuni anche lunghi e dolorosi ma oggi nel 2020 l’epidemia si abbatte su una economia in disfacimento. Il governo libanese il 9 marzo ha scelto di fallire danneggiando il sistema bancario. Questi avvenimenti mi rattristano molto e non amo pensare al mio Paese d’origine, una volta meta del jet set internazionale e luogo di villeggiatura dei Principi Arabi, evolversi con una traiettoria senza fine. Una volta era la Svizzera del Medio Oriente, oggi è un paese povero orfano di uomini d’affari e imprenditori che colmavano banche, teatri e ristoranti.

Maria Christina Rigano

Maria Christina Rigano – Lungomare di Beirut 1995

Fonti:

Il Sole 24 Ore / 16 Aprile 2020/ L’inchiesta di Roberto Bongiorni (quotidiano)

https://www.ilsole24ore.com/art/libano-ecco-come-svizzera-medio-oriente-e-finita-default-ADx1P3B

https://lebaneseinside.wordpress.com/category/moda/

https://www.bibenda.it/news_bibenda_singola.php?id=2928

La Svizzera del Medio Oriente: Beirut

viaggi.corriere.it/asia/libano