La rassegna stampa internazionale dell’UNINT

Sebbene l’emergenza Covid rappresenti ancora un tema di grande rilevanza e preoccupazione per il mondo intero, negli ultimi giorni un altro gravissimo avvenimento ha sconvolto gli equilibri (ed in certi casi anche le coscienze) di molti Paesi: George Floyd e il movimento #BlackLivesMatter.

Negli Stati Uniti, il 25 maggio la polizia di Minneapolis ha arrestato un uomo di colore di 46 anni di nome George Floyd, con l’accusa di aver comprato sigarette con una banconota da 20 dollari contraffatta.

Diciassette minuti dopo l’arrivo sulla scena della prima auto della polizia, Floyd era privo di sensi e bloccato sotto tre agenti, senza mostrare alcun segno di vita.

Grazie alla presenza di video di passanti e di telecamere di sicurezza, il New York Times ha ricostruito nel dettaglio i minuti che hanno portato alla morte dell’uomo, permettendo alla verità di venire a galla: gli agenti hanno compiuto una serie di azioni illecite, violando le politiche del Dipartimento di Polizia di Minneapolis, che hanno causato la morte dell’uomo.

Successivamente all’accaduto, si sono susseguite più di cinquecento proteste legate all’uccisione di George Floyd, in cui si chiede giustizia per la morte dell’uomo ma anche delle tante altre vittime di colore che, negli anni, hanno perso la vita ingiustamente. L’ondata di proteste porta avanti il motto “Black Lives Matter” che è diventato poi il nome stesso del movimento, non solo negli USA.

Sebbene la stragrande maggioranza delle proteste è stata pacifica, ci sono stati anche casi di sommosse, violenza e brutalità.

Le proteste hanno avuto luogo nelle principali città degli Stati Uniti, tra cui New York, Washington DC e Philadelphia. Alcune città hanno visto scene di saccheggi e incendi dolosi.

Le manifestazioni statunitensi hanno risuonato in tutto il mondo e molti sono stati i Paesi che hanno deciso di esprimere la propria solidarietà.

In Australia,le protestehanno avuto inizio sabato scorso e si sono svolte a Sydney, Adelaide e Brisbane dopo aver ricevuto l’autorizzazione dalle autorità nonostante le misure restrittive per il Covid-19. Le migliaia di manifestanti hanno espresso il loro sostegno, ponendo l’attenzione anche sui casi di morte ingiusta avvenute durante l’arresto di alcuni aborigeni australiani. Il Commissario Grant Stevens aveva autorizzato la manifestazione lo scorso venerdì definendolo un evento straordinario che ha fatto scaturire in molti il desiderio di protestare contro le ingiustizie.

Anche in Canada sono state organizzate diverse proteste simili, creando un clima di tensione che ha esacerbato ancora di più i rapporti già precari con la polizia, secondo quanto affermato dall’ispettore dell’Ottawa Police Service, Carl Cartright. Molti agenti di polizia, soprattutto di colore, hanno espresso le loro preoccupazioni riguardo questi ultimi giorni, diventando, poi, essi stessi vittime di prese in giro razziste tramite delle caricature dei loro volti presenti in una vignetta pubblicata recentemente. Tutto ciò può solo portare ad altre ingiustizie, facendo sprofondare la società in una spirale di odio e violenza.

Salvina Calanducci e Simona Picci

I giorni successivi alla morte dell’afroamericano George Floyd non sono stati facili: il tragico evento ha avuto risonanza mondiale e ha riacceso le polemiche sull’abuso di potere e su un razzismo ancora radicato.

Sabato, in Germania, decine di migliaia di persone sono scese in strada per manifestare al grido di “no justice, no peace”; in molti mostravano cartelloni con scritto “Black Lives Matter” e “enough is enough”. Neanche la pandemia ha fermato i berlinesi, che si sono riuniti nella gremita Alexanderplatz. Secondo le forze di polizia, nella capitale erano presenti circa 15.000 persone rispetto alle 1.500 annunciate e sono state impiegate 800 pattuglie di emergenza. Circa 20.000 persone anche a Monaco. Tuttavia, ad una prima manifestazione più pacifica, nella capitale ne è seguita una più violenta: secondo un fotografo della DPA, un gruppo di persone ha inveito contro gli agenti della polizia scagliando contro di loro pietre e bottiglie. Diversi i feriti. La polizia ha fatto sgomberare Alexanderplatz e proceduto con gli arresti. Simile la situazione registrata nel centro di Amburgo, mentre a Stoccarda, Mannheim e Karlsruhe è stato mantenuto l’ordine.

C’era da aspettarsi che un evento del genere mettesse in luce i dissapori di coloro che non condividono la politica del presidente Trump e il suo modo di gestire le proteste.

Di certo, il caos generatosi non aiuta quei rapporti tra Germania e Stati Uniti che la Merkel per prima definisce “complicati”. Il suo “no” all’incontro per il vertice del G7, in programma a Washington, potrebbe anche essere motivo del piano di ritiro di molti soldati americani dalla Germania. Il primo a scriverne è lo Spiegel, che rimbalza le notizie fatte trapelare dal Wall Street Journal venerdì. Si parla di circa 9.500 soldati da far rientrare entro settembre, un quarto del totale dei militari statunitensi impiegati oggi nel Paese. Ma finora nessuna conferma. Il ministro degli esteri Heiko Maas, incalzato dalla stampa, risponde: «In caso di ritiro delle truppe americane, la Germania prenderà nota. Apprezziamo la collaborazione con gli Stati Uniti che si è consolidata nei decenni. È nell’interesse di entrambi i nostri Paesi».

Inoltre, la gestione delle proteste in America da parte di Trump fa discutere molti. Joseph Borrell come Alto rappresentante dell’Ue si dice inorridito per l’omicidio e chiede impegno nel combattere l’abuso di potere negli USA come altrove. Maas critica apertamente le minacce di Trump di procedere con lo schieramento dell’esercito per evitare altre sommosse: «In una situazione così tesa, rispondere alla violenza con altra violenza è un atteggiamento sbagliato e, in vista delle prossime elezioni presidenziali in America», continua: «spero vivamente che tra tutte le voci prevalgano quelle più responsabili», strizzando così l’occhio all’avversario di Trump Joe Biden e all’ex presidente repubblicano George W. Bush.

Laura Razzini e Michela Sartarelli

Anche in Spagna, il Black Lives Matter, ha riunito migliaia di persone che si sono ritrovate nelle principali città per manifestare contro la morte violenta del cittadino statunitense George Floyd.

El racismo mata”, “No al racismo”, “Black Lives Matter” sono solo alcuni dei cartelli esposti dai circa tremila manifestanti – tra cui un’ampia rappresentanza della comunità africana– che si sono radunati a Madrid dinanzi all’ambasciata americana inginocchiandosi come segno di condanna del razzismo. Il governo aveva autorizzato la manifestazione per 200 persone ma il numero dei partecipanti, molti dei quali senza mascherina e senza rispettare le distanze anti Covid-19, è stato di gran lunga superiore.

Anche i cittadini di Valencia, nella mattinata di domenica, hanno partecipato numerosi alla manifestazione indetta dal Colectivo Negro de Afrodescendientes y Africanas Comunidad Valenciana per proclamare la propria indignazione verso gli atti di violenza razzista. Le centinaia di partecipanti, tra cui moltissimi giovani, riuniti in Plaza de la Virgen si sono inginocchiati alzando il pugno al cielo come gesto di protesta.

Il caso di George Floyd ha suscitato disapprovazione anche a Barcellona dove, sotto la pioggia, si sono date appuntamento circa duemila persone, che, tuttavia, hanno sufficientemente rispettato le norme di sicurezza anti-Covid. Nella città catalana è molto sentito il tema del razzismo che, nel 2019, ha fatto registrare 188 denunce.

L’America Latina, essendo oltretutto vicina di casa degli Stati Uniti, non è rimasta impassibile alla notizia.

Partendo dal Messico, notiamo come il grido antirazziale abbia portato i cittadini a riflettere sulla loro condizione: secondo il Consejo Nacional para Prevenir la Discriminación, più della metà dei messicani riconoscono di essere stati insultati a causa del colore della loro pelle. Va comunque precisato che la nazione si sente molto vicina a ciò che è successo a George Floyd, ma ritiene anche che bisogna avere un atteggiamento sincero nei confronti del tema: “se chiedi a un messicano se in Messico c’è razzismo, la risposta sarà sicuramente negativa: ti dirà che il razzismo esiste solo negli Stati Uniti” afferma l’antropologo César Carrillo Trueba.

In poche parole, l’argomento viene trattato come se fosse un tabù, ma sembra che la gente, cogliendo la palla al balzo, voglia porre fine a questi atteggiamenti.

In Colombia, a Bogotá, centinaia di persone sono scese in piazza fino all’ambasciata statunitense per denunciare il razzismo contro la popolazione afro, in solidarietà con le rivolte di questi ultimi giorni. I colombiani hanno deciso di protestare anche per opporsi all’arrivo nel paese delle truppe statunitensi in funzione anti-venezuelana, concordate con il governo di estrema destra di Iván Duque. In quest’occasione, è stato, inoltre, ricordato Dilan Cruz, un giovanissimo studente assassinato dalla polizia colombiana lo scorso 25 novembre durante la prima giornata dello sciopero nazionale.

Lavinia Cataldi, Michela Di Franco e Ilaria Violi

In diverse città della Francia, nonostante il divieto di assembramento dovuto al Coronavirus, più di 23.300 persone si sono riunite in segno di protesta contro le violenze a sfondo razziale della polizia. A causa del clamore generato, sono state avviate delle indagini sugli abusi di potere delle forze dell’ordine. Nonostante la preoccupazione per gli assembramenti, secondo molti esponenti della comunità scientifica l’epidemia è sotto controllo. Infatti, il Ministro dell’istruzione nazionale spera in un prossimo alleggerimento delle restrizioni sanitarie nelle scuole.

Domenica, in Belgio, 10.000 persone si sono riunite davanti al Tribunale di Bruxelles a sostegno del movimento “Black Lives Matter”, in denuncia degli episodi di razzismo in cui è coinvolta la polizia belga. Il sindaco di Bruxelles aveva acconsentito allo svolgimento di una manifestazione, a patto che si svolgesse nel rispetto del distanziamento sociale. Nonostante ciò, la protesta svoltasi il 7 giugno preoccupa gli esperti poiché potrebbe rappresentare un nuovo focolaio di contagi. Ma ci vorrà del tempo prima che si possa avere una reale percezione dell’impatto dell’evento.

In Svizzera, il 6 giugno, sulla scia delle proteste contro la discriminazione razziale, si sono svolte diverse manifestazioni: a Berna i manifestanti hanno portato avanti la protesta seduti in semicerchio sul piazzale della stazione e indossando maschere con la scritta “I can’t breath“; a Basilea la polizia non è intervenuta per bloccare una manifestazione non autorizzata per via dei divieti di assembramento; a Zurigo, invece, si è svolta una manifestazione tollerata dalla polizia municipale, la quale ha accompagnato il corteo vigilando sul rispetto delle restrizioni anti-Covid.

Come nel resto del mondo, anche in vari Paesi dell’Africa francofona(e non solo) il video della morte di George Floyd è diventato virale e ha dato il via a molteplici manifestazioni. A Tunisi, nella giornata di sabato, i cittadini si sono uniti contro gli abusi subiti dalla popolazione afroamericana. I manifestanti hanno esposto cartelli con su scritto “rispettate la nostra esistenza o rispettate la nostra Resistenza” e “non respiriamo l’aria dell’umiliazione e del razzismo”. Anche molte figure politiche africane hanno condannato il razzismo di ogni natura: in Senegal, l’ex Ministra della giustizia ha espresso la sua solidarietà verso la comunità afroamericana e l’ex Primo Ministro del Ciad ha ricordato la conferenza dell’Organizzazione dell’Unità Africana del 1964, alla quale aveva partecipato Malcom X, un grande personaggio della lotta per i diritti degli afroamericani.

Elen’Alba Vitiello e Silvia Calbi

In Brasile, il quartiere politico di Brasília è stato preso d’assalto da numerosi manifestanti divisi in due gruppi. Il primo chiede il rafforzamento del sistema sanitario nazionale e critica le morti di persone di colore; l’altro invece difende il presidente. La stessa cosa è successa a San Paolo e Rio de Janeiro. I manifestanti chiedono le dimissioni di Bolsonaro, che qualche giorno fa ha dichiarato che morire “è il destino di tutti”, riferendosi ai morti per il Covid-19. I sostenitori innalzano la bandiera di Israele gridando “Bolsonaro 2022”. Il presidente risponde definendo “terrorista” e “drogato” chi ne chiede le dimissioni.

In Portogallo ci sono state manifestazioni nel fine settimana a Lisbona, Porto, Braga, Coimbra e Viseu. Le minoranze bersaglio di discriminazione sono i paesi africani ex-colonie (principalmente Angola, Capo Verde, Guinea Bissau, Mozambico, São Tomé e Príncipe), quella brasiliana e quella dei rom. Venerdì 5 giugno 2020 il governo ha approvato tre progetti di lotta al razzismo che prevedono più sicurezza tra giovani, quartieri periferici e forze della polizia; uno studio etno-razziale sulla popolazione nelle carceri e l’eliminazione della disparità di bambini e giovani afro-discendenti e rom nel sistema scolastico. Ѐ stata richiesta anche una campagna di informazione antirazzista nei mezzi di comunicazione sociale.

La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, di cui fanno parte la Guinea-Bissau e Capo Verde, lo scorso giovedì ha condannato l’oramai noto accaduto affermando che la democrazia vincerà l’infelice fenomeno del razzismo ricordando la risoluzione storica contro la discriminazione razziale presa negli USA nel 1964.

L’Angola, rappresentata dall’ambasciatrice alle Nazioni Unite Margarida Izata, fa un appello durante una riunione a Ginevra in linea con le proteste accomunate dall’hashtag #blacklivesmatter. L’ambasciatrice ha ribadito l’impegno dell’Angola nel compimento dei suoi obblighi internazionali, in accordo con i principi fondamentali dei Diritti umani, Diritto allo Sviluppo, Diritti delle Donne e Parità di Genere, nell’ambito della cooperazione internazionale. L’Angola chiede a tutte le autorità internazionali che venga costruita un’ordinanza globale basata sulla giustizia sociale, l’uguaglianza, la dignità e l’inclusione, respingendo tutte le dottrine basate sul razzismo, la discriminazione e la xenofobia.

In Mozambico invece è in corso un’altra lotta per i diritti umani. Attacchi armati ripetuti, iniziati già dal 2019, da parte di un gruppo dello Stato Islamico nel nord del paese, a Cabo Delgado, hanno portato alla morte e alla fuga della popolazione locale. La coordinatrice dell’ONU ha chiesto un aiuto di 33,5 milioni di dollari alla comunità internazionale e Medici Senza Frontiera ha dovuto chiudere il suo centro di salute nel posto.

Diana Fagiolo e Martina Pavone

Il 29 maggio la Federazione Russa è stata protagonista di un enorme disastro ecologico che ha coinvolto la città di Norilsk, nella regione di Krasnoyarsk. Il collasso di un serbatoio di carburante in una centrale termoelettrica ha provocato la fuoriuscita di circa 20.000 tonnellate di gasolio riversate nel fiume Ambarnaya.

La Federazione Russa è venuta a conoscenza del grande disastro solo il 3 giugno, a seguito dell’intervento del presidente Vladimir Putin e della dichiarazione dello stato di emergenza da parte di quest’ultimo. Il vicepresidente del Ministero per le Situazioni di Emergenza, Aleksandr Chupryan, ha dichiarato che la fuoriuscita del carburante è un problema a carattere federale e coinvolge l’intera Federazione.

Tuttavia, a pagare per il danno ambientale non saranno fondi pubblici, ma la società Norilsk Nickel proprietaria della centrale termoelettrica. L’oligarca Vlaimir Potanin ha infatti assicurato, durante l’incontro con il presidente Putin, che non verranno spesi fondi pubblici per rimediare alla catastrofe. Norilsk nickel pagherà più di 10 miliardi di rubli che corrispondono a circa 129,5 milioni di euro. “Stiamo finanziando tutto questo interamente a spese dell’azienda, non un solo rublo di fondi di bilancio sarà speso per questo”, ha dichiarato Potanin, incontrando il consenso di Vladimir Putin.

Green Peace Russia ha al contempo stimato gli ingenti danni ambientali che la fuoriuscita del carburante provocherà sia come inquinamento del suolo sia per le emissioni di sostanze inquinanti nell’atmosfera. Si attesta una cifra di 10,2 miliardi di rubli per limitare l’impatto ambientale della catastrofe.

Inoltre, il Servizio Federale di sorveglianza e gestione ambientale ha valutato i rischi di un secondo incidente a Norilsk. Secondo il capo del servizio Svetlana Radionova il compito principale consisterebbe nell’evitare il ripetersi dell’incidente e aggiunge anche che la prevenzione delle emergenze dovrebbe essere effettuata regolarmente.

“In questo momento ci concentriamo sulle misure di contenimento,” ha annunciato il Regime federale per la gestione dell’emergenza, “tutte le forze sono mobilitate per raccogliere i prodotti petroliferi.” Dopo un’analisi di campioni d’acqua selezionati, infatti, è stato notato che la concentrazione massima consentita di sostanze inquinanti nei fiumi è stata superata di molto nella zona di Norilsk.

Secondo la Radionova, il calcolo del danno di questo incidente dipende da quanto sarà possibile raccogliere prodotti petroliferi da fiumi e terreni contaminati.

A tal proposito, il Segretario di Stato degli Stati Uniti, Mike Pompeo ha dichiarato che la sua Nazione è pronta a offrire aiuti alla Russia nel mitigare gli effetti della fuoriuscita del carburante, aggiungendo che nonostante i divari fra i due Stati, verrà prestata tutta la competenza tecnica necessaria.

Silvia Noli e Diana Sandulli

La Cina vede come protagonisti di questi giorni due importanti avvenimenti: da un lato la costruzione, iniziata questa settimana, della ferrovia Husuhu che collegherà Shanghai (上海), Suzhou (苏州) e Huzhou (湖州), città, queste ultime, nei pressi del Fiume Azzurro, dall’altro l’emanazione della legge sulla sicurezza nazionale nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong.

Il progetto della ferrovia Husuhu rientra nell’idea di una cooperazione interregionale, fondamentale affinché le città che si trovano vicino al fiume Azzurro possano essere facilmente raggiungibili e avere un ruolo maggiore all’interno dell’economia cinese.

Sono sei le stazioni previste lungo tutto il percorso (163.8 km): la città di Shanghai, ad esempio, avrà due fermate, quella della stazione ferroviaria di Shanghai Hongqiao e quella della stazione ferroviaria di Songjiang. L’intero progetto dovrebbe essere completato in 4 anni e una volta finito, il sistema di trasporto integrato si rafforzerà, favorendo ulteriormente la cooperazione e creando nuovi legami economici tra Shanghai e le città di Suzhou e Hangzhou. Anche l’industria del turismo beneficerà della presenza della ferrovia, poiché sarà possibile ammirare i diversi parchi nazionali e le antiche città d’acqua (Zhouzhuang,Tongli, Wuzhen).

Per quanto riguarda Hong Kong, il governo centrale cinese ha affermato, in questi giorni, di voler procedere con l’emanazione della legge sulla sicurezza nazionale nella Regione amministrativa speciale di Hong Kong. Tale legge ha il fine di proteggere i diritti e le libertà legittime dei cittadini, ma anche di proteggere la città stessa da atti di sovversione e terrorismo e dalle interferenze straniere nei suoi affari.

Luo Huining, direttore dell’ufficio di collegamento del governo popolare centrale di Hong Kong, ha incontrato sabato i rappresentanti locali, che hanno chiesto a gran voce l’emanazione della legge per garantire che Hong Kong mantenga un alto grado di autonomia e abbia prosperità e stabilità a lungo termine.

Matthew Cheung Kin-chung, segretario capo dell’amministrazione di Hong Kong, sta lavorando a stretto contatto con gli organi del governo centrale per far attuare la legge, mentre si vagliano altre possibili leggi, tenendo sempre in considerazione i diritti, le libertà e i valori fondamentali delle persone.

Nel frattempo, Carrie Lam, attuale capo esecutivo, dichiarato che una legge sulla sicurezza nazionale, sarebbe utile per gli investitori e andrebbe a consolidare ancora di più lo status di centro finanziario internazionale di Hong Kong.

Gioia Ribeca

Mentre il Nord Africa si prepara a ripartire dopo i lunghi mesi di emergenza sanitaria, alcuni problemi irrisolti sembrano tornare a galla.

L’Egitto, infatti, ha lanciato pochi giorni fa la nuova iniziativa “Dichiarazione del Cairo” per risolvere la crisi in Libia. Tale iniziativa, che si basa sui risultati del vertice di Berlino tenutosi lo scorso gennaio, include una proposta di cessate il fuoco che partirà lunedì 8 giugno.

La Libia vive infatti una situazione di caos dal 2011, anno del rovesciamento e uccisione del leader Muammar Gheddafi.

La zona orientale del Paese è passata sotto il controllo delle forze di Haftar, che si definiscono “Esercito nazionale libico”, mentre la parte occidentale è controllata da gruppi armati che sostengono il Governo di accordo nazionale.

Gli Emirati Arabi Uniti hanno mostrato il loro sostegno nei confronti del tentativo egiziano di fermare gli scontri in Libia, incoraggiando “i fratelli libici” a rispondere positivamente all’iniziativa del Cairo. Il Ministero degli Affari Esteri degli EAU si è detto infatti favorevole a ritornare sulla strada politica guidata dalle Nazioni Unite: “la pista politica è l’unica opzione accettabile per raggiungere la stabilità e la prosperità desiderate”.

L’Arabia Saudita e il Bahrein seguono la stessa linea di pensiero. Riyadh ha infatti appoggiato a pieno la richiesta di Al-Sisi del cessate il fuoco in Libia mirata a favorire la strada della politica internazionale. Quanto al Bahrein, lo sceicco Khaled bin Ahmed Al Khalifa ha annunciato il proprio sostegno all’iniziativa, affermando che la Dichiarazione del Cairo è un passo importante per riunire tutte le parti in Libia e per raggiungere un accordo storico.

Mentre l’Egitto e i suoi alleati si mobilitano per risolvere la guerra in Libia, ormai in corso da nove anni, una nuova crisi si fa strada nel Maghreb.

Un documentario trasmesso da un canale televisivo francese, infatti, ha provocato una crisi diplomatica tra Algeria e Francia a causa della sua raffigurazione del movimento popolare algerino contro il regime, iniziato il 22 febbraio 2019.

Il documentario, trasmesso dal canale governativo “France 5” ed intitolato “Algeria My Love” è stato prodotto dal regista e giornalista franco-algerino Mustafa Kossous. Il film, dalla durata di 72 minuti, fornisce testimonianze della protesta antigovernativa dei giovani algerini sulla libertà, sulla democrazia e sui propri sogni. Tali dichiarazioni sono state denunciate dai politici algerini in quanto considerate un affronto al movimento, a causa del comportamento dei giovani laureati.

Dopo aver trasmesso il film, l’Algeria ha richiamato il suo ambasciatore da Parigi per alcune “consultazioni”. Il Ministero degli Affari Esteri algerino il 26 maggio ha dichiarato in una nota: “La natura costante e ripetuta dei programmi trasmessi dai canali pubblici francesi, con il pretesto della libertà di espressione, non è in realtà altro che un attacco al popolo algerino e alle sue istituzioni, compreso l’esercito”.

Samar Hassan

FONTI E SITOGRAFIA CONSULTATE

Inglese

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Quan D. (07/06/2020) “Heartbroken and conflicted: Canada’s Black police officers open up about George Floyd’s death and anti-racism protests”

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