Milano: luci e resilienza
È facile per un romano fare ironia spicciola su Milano quando gli si chiede di parlare della città meneghina. “La cosa più bella de Milano è er treno pe’ Roma”: parole così strabordanti di contenuto che se Trilussa potesse tornare tra noi cederebbe volentieri la piazza a lui dedicata al poeta che proferì siffatto verso. Dal momento che noi di UNINTBlog siamo degli instancabili ricercatori, decidiamo che è arrivato il momento di scoprire se effettivamente il verso nasconde un fondo di verità e così io, insieme alle mie prodi compagne di viaggio, Silvia e Chiara, ci ritroviamo in una Termini ancora non illuminata dal sole, con gli occhi fissi sul tabellone delle partenze. L’Italo Roma Termini – Milano Centrale 9970 delle 7:30 del 5 dicembre 2022 è in partenza in orario.
Il viaggio procede tranquillo, senza troppi scossoni, o ritardi, o bambini che piangono, o yuppies intenti a fatturare al telefono. Tre ore di pianificazione individuale della trasferta; il segreto sta sempre nel non pianificare troppo, un po’ come nella vita d’altronde. Qualcuno ha presente quella situazione nella quale quando si prende un mezzo da un punto A a un punto B si ha l’impressione che nel punto A le voci predominanti siano tipiche di quel punto A e man mano che si arriva al punto B quelle stesse voci lascino spazio a quelle tipiche del punto B? Partendo da Roma avevo la sensazione di sentire solamente voci romane, ma a pochi minuti dall’arrivo in Stazione Centrale non riesco a sentire altro che “taaaac gli han ciulato il motorino”. Solo io ho questa percezione? Nessun altro? Va beh. L’hotel che l’agenzia ci ha prenotato è il Sempione, nell’omonima zona, non distante dalla stazione. I colori di Milano a primo impatto sono un po’ quelli che ci si aspetta, il grigio industriale che fa poco contrasto col cielo e con la bianchissima Mela Reintegrata del Pistoletto che in questo momento come in tanti altri sfida il deterioramento comportato dalla pioggerellina che fa da biglietto da visita della città. Il primo di questi tre giorni decidiamo di dedicarlo all’esplorazione, infatti lasciati i bagagli in albergo ci avventuriamo per le strade che pullulano di caotica vita meneghina: dagli uomini e donne d’affari in completo che girano armati di telefono all’orecchio, ai signori con coppola e sciarpa di cachemire, senza dimenticare le meravigliose sciure impellicciate, tipiche della fauna locale. Sulla via verso il Duomo, cuore pulsante di Milano, ci imbattiamo nella Scala, circondata dai furgoni RAI che attendono pazientemente il 7 dicembre per la Prima, una scena che Leonardo Da Vinci osserva dal suo piedistallo antistante. Sarà sempre lui che constaterà per primo il gruppo di attivisti che proprio la mattina della Prima imbratteranno la facciata del Teatro; forse se l’aspettava pure. Alle sue spalle vediamo Palazzo Marino e poi tagliamo per Galleria Vittorio Emanuele II illuminata e baldanzosa come ci si aspetta, sicuramente aiutata nel suo sfarzo dal mastodontico albero di Natale allestito da Swarovski all’incrocio tra i due bracci della struttura. Prima di uscire sulla piazza principale, non si può non buttare un occhio sui piatti di risotto allo zafferano che vengono trasportati da camerieri freschi di alberghiero nel Bistrot di Carlo Cracco. Se si chiudono gli occhi e si ascolta attentamente si può quasi udire il tipico “VELÓCIIIH”. È uscendo dalla Galleria che ci ritroviamo nel cuore di Milano: il Duomo. Imponente, maestoso, quasi una figura genitoriale per i milanesi che quotidianamente gli si affannano intorno. Sembra severo, ma è in realtà una figura comprensiva e amorevole che sostiene i propri frettolosi figli.
Si potrebbe pensare che il punto più turistico di Milano sia piazza del Duomo, ma non è così, almeno se non si considerano i prezzi esorbitanti di quell’area e il fatto che la piazza rientra tra i luoghi turistici comuni, quelli della vecchia generazione. Purtroppo, o per fortuna, Instagram sta dando una spinta aggressiva a delle attrazioni non comuni di una città; nascono infatti quelle mete turistiche accessibili solo a chi abbia un account alla piattaforma e dico così perché trovo molto difficile che qualcuno esterno a IG possa conoscerle. Come i coniugi Remo e Augusta Proietti, interpretati da Alberto Sordi e Anna Longhi in Le vacanze intelligenti, che si ritrovano catapultati nella Biennale di Venezia di fronte a una sala piena di /’pecore/ “toccate dalla mano dell’artista”, o a due paia di occhiali incastonati in un muro di cemento armato, o ancora inseriti nell’opera stessa sotto a una palma di plastica coi frutti finti, diventiamo parte delle installazioni del chiacchierato Museum of Dreamers in Piazza Cesare Beccaria. Il progetto è figlio delle due designer milanesi Elena e Giulia Sella che volevano fondere insieme i concetti di design e comunicazione invitando i visitatori a percorrere un viaggio immersivo e d’ispirazione all’insegna del sogno e del divertimento. All’entrata, si viene accolti da una parete che riporta citazioni altamente motivanti come “Se puoi sognarlo, puoi farlo” di Walt Disney o “In fondo a ogni cuore riposa un sogno” di Christian Dior. Ora, che l’abbiano detto o no, non ha importanza, entriamo a gamba tesa in quello che viene descritto da MilanoToday come un “luogo surreale, dove tutto è possibile, grazie a colori, design, luci e musica”: quindici installazioni immersive con lo scopo di far entrare il visitatore in un universo onirico, oppure quindici set fotografici ideali per Instagram. Si passa da un box green screen, a una cameretta decorata di piume e luci neon, a un salotto a fiori rosa con sedie in ferro battuto, o un mini palcoscenico che riporta la dicitura neon The stage is yours, quasi minaccioso, per non parlare della palma di plastica coi frutti finti, solo per citarne alcuni. Ma la vera chicca, le grand final, è il vascone delle palline, per il quale bisogna mettere la suoneria al telefono nella speranza di ritrovarlo se eventualmente lo si perde; il cartello con l’invito a farlo c’era, quindi evidentemente deve essere successo.
La seconda tappa ufficiale del nostro viaggio all’insegna del Milanismo Contemporaneo si trova in Via Bergognone, 26, non lontana dai Navigli. È la Beautiful Gallery che ci invita a intraprendere un altro percorso, questa volta però, un percorso che ci porterà a vedere “la luce in fondo al tunnel”. Dico così perché è proprio quello che dice il sito a riguardo: un copy per riferirsi al fil rouge della resilienza, che stando a quanto dicono “ci ha sempre contraddistinto come Italiani”. Sarà, ma cominciamo il nostro percorso con una falsa partenza, infatti, il tunnel a specchio e neon che doveva fungere da ingresso alla galleria, ci nasconde completamente la maniglia della porta per accedere e solo grazie all’aiuto delle due ragazze in biglietteria riusciamo a immergerci nello strabiliante percorso di resilienza che tanto ci contraddistingue. Una serie di sale buie illuminate da installazioni luminose a neon dotate di treppiedi per i più instagrammer, dei cabinati arcade con il tetris e una scultura interattiva, la F.A.Q. Machine, composta da una pulsantiera che a seconda del pulsante cliccato rivelerà la voce dell’artista riferire frasi come “taaac” e “hey, voglio una birra”: la resilienza è palpabile.
Tra uno Spritz in Brera (meh), un Negroni a base di acqua di cacio e pepe sui Navigli (sublime) e una cotoletta alla Milanese in zona Porta Venezia (buona, ma richiede un mutuo) ritorniamo verso la Stazione Centrale, non senza aver prima trascinato le mie prodi compagne di viaggio alla ricerca di un panettone tradizionale; sì, il panettone, uno dei più grandi tesori della città di Sant’Ambrogio, e non parlo di quelle volgari varianti al cioccolato, pistacchio o altre deviazioni dalla norma da poter etichettare come “panettoni depanettonati”; no, il vero panettone milanese. Cariche di freddo e resilienza prendiamo il nostro treno, salutando una città che ci ha accolte nel suo freddo nordico e ci ha salutate con un “Calabria straordinaria” riflesso sulla facciata Liberty e Art Déco della Stazione.
Che la si ami o la si odi, nel suo essere influencer d’Italia, Milano ha veramente tanto di suo da offrire, anche senza le sue installazioni oniriche: dall’architettura, alla pittura, dal cibo allo stile di vita.
È proprio così, Milan l’è bèla.
Cinzia De Gregorio