Abitare la spaccatura – come camminare può diventare un atto politico
Camminare per una città, appropriarsi degli spazi, riconoscere le connessioni profonde tra i luoghi storici del nostro Paese, è un atto fortemente politico. Camminare poi tra i luoghi simbolici del colonialismo italiano – più o meno riconoscibili per un qualsiasi passante distratto – vuole dire cercare di porre la questione coloniale in una luce nuova, e comprendere quei complessi meccanismi della storia coloniale italiana e delle sue conseguenze in epoca postcoloniale. È con questa considerazione che vuole iniziare la rubrica #LoSapevateChe!
A oggi si parla spesso di “seconda generazione” (G2) per racchiudere in una etichetta non sempre lusinghiera ragazze e ragazzi figli degli immigrati, nati in Italia oppure arrivati nel Paese nei primi anni di vita o anche in fase adolescenziale; una categoria che raccoglie dunque le casistiche più disparate con storie e background culturali profondamenti diversi tra loro. La presenza sempre più numerosa di questa componente eterogenea rende necessaria una riflessione sull’esito – a distanza di decenni – dell’immigrazione sul piano sociale e su come essa si trasformi in un insediamento durevole; su come, dunque, siano mutati i rapporti tra due o più culture che si scontrano e si incontrano e sulle aspettative future dei ragazzi di seconda generazione.
Nel panorama sociale e culturale dell’Italia contemporanea comprendere gli spazi e le dinamiche di potere presenti sul territorio consente una rilettura del concetto stesso di italianità; un concetto mutevole, connesso a una identità flessibile e in continua negoziazione, che sia un grado di cogliere spinte culturali e sociali diverse. Parlare di italianità nei termini convenzionali, infatti, non consente di comprendere a pieno la polifonia di voci e testimonianze che agiscono nel nostro spazio e migrano da un luogo a un altro.
Ragazze e ragazzi G2, la loro voce, la loro sofferenza e le loro aspettative sull’Italia, consentono forse più di qualsiasi altro fenomeno sociale di ampliare il concetto di italianità e proporre una visione nuova non limitata esclusivamente allo status giuridico dell’essere cittadini italiani, ma comprendente sfaccettature diverse sul piano sociale, culturale e linguistico. Arrivare, dunque, a una inclusione progressiva e all’idea di una cittadinanza flessibile vuole essere l’obbiettivo di questa rubrica per aiutare, anche solo in maniera impercettibile, tanti giovani a pieno titolo italiani ma che, per questioni che man mano indagheremo più specificatamente, non vengono percepiti tali nello spazio che abitano.
Ad oggi risulta indispensabile una costante interconnessione globale e multi-vocale che operi in maniera fluida e flessibile; pensare infatti che una comunità all’interno di confini nazionali, sia fisici sia simbolici, possa essere etnicamente omogenea è ormai una prospettiva anacronistica. Quel che è necessario è invece un un border thinking che colga le dinamiche reticolari dello spazio, e che riesca a muoversi con contaminazioni, assemblaggi, costellazioni, legami orizzontali e trasversali.
Per questo motivo camminare vuole dire riscoprire sul territorio memorie celate e negate; soltanto rileggere la storia coloniale italiana, senza più giustificazioni, consente di riappropriarsi dello spazio e di aiutare la seconde generazioni a diventare soggetti attivi nelle città che abitano. Raccontare i luoghi attraverso la storia coloniale ed imparare ad abitare le spaccature della nostra era consente così di essere un crocevia e il tramite per una nuova concezione di spazio urbano.
Partendo dal Cinema Impero di Tor Pignattara per continuare poi con tutti i luoghi di rimozione storica del colonialismo italiano, quel che faremo in questa rubrica sarà quindi comprendere quel legame storico, geografico, politico, architettonico e affettivo che l’Italia ha posseduto e possiede con le ex colonie, e con tutti quei figli che dovrebbe imparare ad accettare.
Evelyn De Luca